mercoledì 25 giugno 2008

Effetti collaterali

Nell'ultimo post ho parlato dell'inflazione. Un interessante articolo di repubblica mette in luce alcuni degli effetti collaterali che gli aumenti dei prezzi stanno producendo in europa:

Non per petrolio, ma per braccia: il Nordest che in anni recenti era sbarcato in massa in Romania, al punto da catalogare la contea di Timisoara come l' ottava provincia veneta, impatta oggi con il lato oscuro della delocalizzazione, arrivando in alcuni casi a programmare addirittura la marcia indietro. Per un problema legato alla più classica delle materie prime: la manodopera. Spinti dal miraggio dell' Italia ma più ancora dal caro vita del loro Paese, gli operai romeni si licenziano ed emigrano a decine di migliaia anche a costo di andare a lavorare in nero, mettendo in crisi chi aveva aperto un' azienda in casa loro.

Ne sta pagando le spese, tra i tanti, un autentico pioniere: "In Romania sono arrivato 26 anni fa, ero il quinto imprenditore italiano del tessile a delocalizzare", spiega Luigino Gastaldon, trevigiano di Castelfranco, settore abbigliamento da uomo, titolare di Bagar-Sartori Veneti, che a Bucarest ha aperto un' azienda in cooperazione con un industriale romeno. Quella che sta conoscendo è una vera e propria emorragia.«Nel giro dell' ultimo anno e mezzo, ho perso 360 dei miei 480 dipendenti, come dire tre quarti del personale. Oggi mi ritrovo con 120 unità, e sono costretto a rivedere i miei piani, spostando altrove una parte consistente della produzione». Proprio in questi giorni Gastaldon è a Tunisi per definire un' alternativa («sto trattando con due aziende italiane già presenti sul posto»), e intanto ha avviato una trattativa anche in Bulgaria. Bucarest addio, dunque?

«Qualcosa terremo: questa in fin dei conti è la nostra prima base, dove lavoriamo solo con tessuti italiani e con lo stile italiano. Ma certo è un problema ormai permanente: ogni settimana ci sono operai che si licenziano, e molti di loro lo fanno per trasferirsi in Italia». Cosa c' è alla base di questo esodo? «Sono attratti dal benessere del nostro Paese così come lo vedono in tv. Se ne vanno in particolare le donne: la metà di quelle fino ai 35-40 anni scelgono di andare a fare le badanti a 8-900 euro al mese, e magari tra loro c' è anche chi poi arrotonda con, diciamo, uno stile di vita diverso da quello cui era abituata~ Sta di fatto che chi sceglie l' Italia lo fa nella convinzione di realizzare soldi». Pesa comunque anche l' inflazione, balzata a marzo all' 8,6 per cento, contro il 4,9 del 2007, e dovuta in misura consistente all' aumento dei prezzi dei beni di largo consumo: a fronte di uno stipendio medio mensile compreso tra i 280 e i 360 euro, ad esempio, un operaio romeno paga 1,50 euro un chilo di zucchero bianco raffinato, contro gli 0,74 dell' Italia, e un litro di olio 2,04 euro contro poco meno di 1 di quello più commerciale italiano.

Come si fa fronte all' esodo, che nel solo 2007 ha registrato 25mila romeni neo assunti in Veneto? Risponde Gastaldon: «Sono stati reclutati molti lavoratori asiatici, specie del Bangladesh, ma l' esperienza si sta rivelando negativa; così il governo sta adottando una serie di misure per cercare di frenare l' emorragia». Tra queste, una Borsa dei posti di lavoro disponibili in Romania, organizzata nel febbraio scorso a Roma, con le aziende locali che oltre allo stipendio promettono a chi rientra bonus particolari, buoni-pasto e alloggi. Ma intanto in fabbrica restano i vuoti, e gli imprenditori italiani sono preoccupati non solo per i posti di lavoro non coperti, ma anche e soprattutto per la perdita di professionalità.

Gastaldon insiste molto su questo aspetto: «Nei tanti anni di presenza a Bucarest, noi abbiamo portato tutto il nostro know-how per sostenere l' immagine del prodotto. Con queste defezioni massicce di dipendenti, stiamo perdendo valori ed esperienze significative. Solo per addestrare una persona a stirare correttamente ci vuole un anno e mezzo; servono da quattro a sei mesi per imparare ad eseguire il cucito sulle operazioni normali, e da otto a dodici per le cuciture più impegnative, tipo collo e maniche. Abbiamo investito tantissimo, anche in tempo e pazienza, per adattarci alla loro mentalità.

Oggi ci ritroviamo con tre quarti del personale in meno, e non è un vuoto che si possa rimpiazzare da un giorno all' altro». Sono difficoltà che su altri piani investono anche "grandi firme" nordestine come Mario Moretti Polegato (scarpe Geox) e Gianfranco Zoppas (componentistica elettronica). Avverte Moretti Polegato: «Le cose stanno effettivamente cambiando, e una serie di piccole e medie industrie manifatturiere, soprattutto terziste, hanno deciso di chiudere i battenti. Il fatto è che la delocalizzazione deve correggere il tiro; occorre capire cosa sta succedendo e adeguarsi». O arrendersi


Di certo il mondo sta cambiando anche se è difficile capire in quale direzione.

Per combattere l'inflazione, l'emigrazione è sempre stata una soluzione adottata in passato. Considerando però quanto amore ci sia attualmente nei confronti dei romeni in Italia, un improvviso esodo potrebbe avere spiacevoli conseguenze dal punto di vista sociale.

Negli Stati Uniti strano a dirsi, sta succedendo esattamente il contrario di quello che accade tra Italia e Romania. I Messicani che han sempre affrontato lunghi viaggi della speranza, attraversando il deserto che separa il loro paese dagli USA, per finire poi a lavorare da clandestini (in america per i clandestini esiste il carcere. La cosa ha funzionato talmente bene nel corso degli anni che stanno discutendo di fare una sanatoria per 12 milioni di messicani), stanno cominciando a fare dietro front.

Le paghe negli Stati Uniti sono basse specialmente per qualcuno che è clandestino, mentre le distanze tra casa, lavoro, supermercato sono vaste e percorribili solo in auto, dato che i mezzi pubblici sono quasi inesistenti. Con il prezzo della benzina e il gasolio stabilmente sopra i 4 dollari al gallone, il costo per gli spostamenti si mangia gran parte dei soldi guadagnati.

Il resto viene speso per sopravvivere: casa, cibo ecc. Una volta tolte tutte le spese a molti non rimangono che 50 dollari da spedire ai loro famigliari in Messico.

Non ne vale più la pena.

Così molti tornano indietro nel paese d'origine, dove il costo della vita è più contenuto e il governo calmiera il prezzo dei carburanti.

Il Times riporta in suo articolo di un altro effetto "secondario" abbastanza ovvio dei rincari nei prezzi, sopratutto dell'energia, ed è il recedere naturale della globalizzazione:

Con brutale efficienza, il prezzo del petrolio sta cominciando a sottomettere uno dei mostri del ventesimo secolo: la globalizzazione. I lunghi tentacoli che hanno stretto il nostro mondo in un orribile abbraccio si stanno improvvisamente indebolendo e il polipo delle multinazionali appare leggermente pallido e malaticcio. Lo straordinario aumento nel prezzo del petrolio sta distruggendo il modello di business basato sull'outsorcing e la distanza dal cliente finale non è più una semplice questione di stupida logistica. Che tu venda acciaio o fiori il costo del trasporto è un problema.

L'industria dell'acciao americana sta godendo di un inaspettata rinascita, il suo margine competitivo risulta migliorato a causa del muro tariffario eretto dal costo per trasportare prodotti pesanti e dal basso valore aggiunto attraverso il pacifico. Si sentono meno lamentele dagli americani, riguardo il gioco al ribasso sull'acciaio compiuto dagli Asiatici; invece sono proprio gli esportatori Asiatici a sentire la stretta che deriva dal costo delle importazioni e dai costi di spedizioni ai propri clienti.

La Cina deve importare ferro e carbone, ma il costo di spedizione di una tonnellata di ferro dal Brasile alla Cina supera i 100 dollari, un costo che equivale al valore del minerale stesso. Il costo del petrolio per il passaggio dall'atlantico al pacifico sta dando prova di essere un potente strumento di negoziazione tra alcune compagnie minerarie Australiane ed i loro clienti Cinesi.

L'economia basata sui fornitori a lunga distanza sta venendo riscritta, se il prodotto è piccolo e poco costoso - medicinali e gadget elettronici ad esempio - i costi per il carburante hanno un basso impatto, ma gli oggetti ingombranti sono sotto la scure. Mobili, scarpe, macchinari di base, materiali da costruzione - questa è la roba che la Cina esporta in grandi quantità in america ed è sempre stata molto economica fino ad ora.

I costi di importazione in america rappresentano un effettiva tassa doganale: del 3% quando il prezzo del petrolio era a 20 dollari il barile nel 2000; adesso è superiore al 9% e salirà all'11 nel caso il petrolio arrivasse a toccare i 150 dollari.

Più a lungo il prezzo del petrolio resterà su valori elevati e più l'inversione tornerà a beneficio del commercio e della produzione locale. Anche se probabilmente gli Stati Uniti si limiteranno a spostare certe produzioni in posti a basso costo più vicini, come il Messico. In Cina ed India un inversione della globalizzazione può produrre effetti devastanti fino ad un vero e proprio crollo dell'economia.

Già qualcuno consiglia di stare alla larga dai due colossi mondiali.

Altro fattore da non sottovalutare è che spostare la produzione dai posti lontani come i paesi Asiatici a luoghi più vicini o locali è un processo che richiede diverso tempo. Nel frattempo saremo costretti per forza ad acquistare merci prodotte in luoghi lontani, con tutti i costi aggiuntivi dovuti alla spedizione o smettere semplicemente di acquistare certe merci (cosa che, come visto nel precedente post, sta avvenendo).

Anche un articolo di repubblica prova a riassumere la situazione:

Il Wall Street Journal registra una serie di casi di de-globalizzazione. L' azienda di pompe idrauliche che, dopo aver delocalizzato dall' Indiana alla Cina lavorazioni di fonderia per 1 milione di dollari, ha rispostato i suoi ordini sui fornitori americani. L' industria di batterie elettriche che ha ripreso ad assumere in Ohio. Il produttore di divani e quello di radiatori che, dopo aver aperto una fabbrica in Cina, ci hanno tutt' e due ripensato e sono tornati a produrre in patria, ben contenti di non essersi ancora liberati dei vecchi macchinari. La svolta può avere ripercussioni enormi sull' economia mondiale.

Gli economisti calcolano che un raddoppio del costo dei trasporti comporta una riduzione del 45 per cento dei volumi del commercio. «Non basta l' aumento del petrolio per avere effetti così vasti» osserva Paul Krugman. Tuttavia, se il petrolio restasse ai livelli attuali a lungo, Krugman valuta che il commercio mondiale potrebbe, in linea di principio, contrarsi del 17 per cento. Più che una riduzione secca, tuttavia, l' effetto più immediato sarebbe, probabilmente, un frammentarsi della globalizzazione, una regionalizzazione del commercio. È già successo. Dopo lo shock petrolifero degli anni '70, le importazioni americane da Europa e Asia si ridussero del 6 per cento, mentre aumentavano nella stessa misura quelle dall' America latina. Vedremo più etichette "made in Bulgaria", piuttosto che "made in China" nei negozi?

Possibile

Alcuni dei settori più colpiti dagli aumenti del prezzo del petrolio sono quelli dei trasporti:

La Thai Airways ha deciso di cancellare il volo diretto New York-Bangkok. L' Aer Lingus quello Dublino-Los Angeles. L' American Airlines non vola più direttamente ad Austin: bisogna fare scalo a Dallas. Gli esperti dicono che è solo l' inizio della ritirata dai lunghi voli no-stop. Ancora una volta, la colpa è del prezzo del carburante, che incide per il 40 per cento sul costo di un volo. E portare un aereo dall' Europa a Los Angeles vuol dire consumare il 30 per cento di carburante in più, ogni ora di volo, rispetto ad un volo dall' Europa a New York. Perché? Perché il carburante in più serve, appunto, a trasportare il carburante in più, necessario per un volo più lungo senza rifornimento. Non ce lo possiamo più permettere

Le compagnie aeree sentono la terribile stretta dei prezzi crescenti dei carburanti. In america, come nel resto del mondo, cercano in ogni modo di risparmiare e non aumentare i biglietti aerei. Ad esempio diminuendo il peso consentito per il bagaglio e facendo pagare a caro prezzo la necessità di portarsi dietro un bagaglio supplementare. Diverse compagnie sono sull'orlo del fallimento e stanno discutendo febbrilmente con altre di possibili fusioni.

L'intero settore è in fermento.

E' interessante notare come siano poche le compagnie che hanno comprato future per assicurarsi una fornitura di petrolio ad un prezzo bloccato e proteggersi da un rischio di rincaro del carburante. Una (di cui adesso non ricordo il nome) di esse lo fece più di anno fa, riuscendo a risparmiare il 50% sul prezzo attuale del carburante.

Per ultime ci sono le aziende automobilistiche. Se la fiat ha riscontrato cali drammatici nelle vendite degli ultimi mesi, con un meno 12,16% a Maggio mentre l'intero comparto in Italia registrava un meno 17,56%, dall'altra parte dell'oceano non va certo meglio.

Le aziende americane del settore: General Motors, Ford, Chrysler sono state messe sotto osservazione da Standard & Poor's, il che significa che hanno il 50% di probabilità di vedersi abbassare il rating.

La Ford ha ritardato la produzione del suo nuovo pick up, perché improvvisamente gli americani solitamente innamorati di essi e dei suv, hanno abbandonato la loro antica passione per problemi di portafoglio, liberandosi degli inefficenti macchinoni per cambiarli con auto dai consumi più ridotti.

La Chrysler attraversa anch'essa pesanti difficoltà economiche. A Novembre annunciò licenziamenti per 12000 persone che andavano ad aggiungersi ad piano che prevede una riduzione di 13000 unità in 3 anni. I suoi dirigenti nonostante tutto emanavano confidenza affermando che si aspettavano un rallentamento del mercato delle vendite, ma che erano preparati. Peccato che il rallentamento quando è arrivato in piena forza si è rivelato del 20% peggiore rispetto alle previsioni fatte. Si aspettavano che nel 2008 gli americani avrebbero comprato solo 15,5 milioni di veicoli, ma le vendite in Aprile sono state del 7% inferiore alle stime mentre a Maggio sono scese dell'8%. Di questo passo Citigroup stima che alla fine dell'anno saranno venduti 12,5 milioni di mezzi.

Dulcis in fundo, la General Motors, i cui dirigenti sembrano vivere a fantasilandia. In questo articolo vengono riportate le dichiarazione di Tom Wilkinson il portavoce della GM che se ne esce dicendo che stanno pensando di limitare la produzione di suv e camioncini, per concentrarsi su veicoli più efficienti:

"Li stiamo ritardando -- almeno finché non avremo una idea più chiara di dove stia andando il mercato" ha detto. "C'è un estrema incertezza su dove stia andando il mercato dei grandi veicoli, principalmente a causa del prezzo del petrolio."

Mentre alla GM stanno cercando di capire dove stia andando il mercato le vendite della Toyota sono stabilmente in crescita, grazie alla sua linea di auto ibride ed energeticamente più efficenti rispetto alle controparti Statunitensi. La Toyota ha presentato il prototipo di un auto ibrida che si possa ricaricare di elettricità, così come un auto normale fa con la benzina. Si attacca la spina ad uno speciale distributore ed in pochissimo tempo l'auto è carica.

La risposta dalla Ford è stata dichiarare la propria fiducia sull'esistenza di progettisti negli Stati Uniti in grado di costruire un auto con quel tipo di tecnologia, ma hanno poi aggiunto, che per un operazione del genere e per diffondere l'auto successivamente sul mercato sarebbe necessario l'intervento del governo.

Questo nel paese della libera impresa, che si dice aborrisca l'intervento statale.

La verità è che il mondo si sta allontanando progressivamente dalle auto di grosse dimensioni e con elevati consumi. Se prima il trend, benchè evidente restava contenuto, l'accelerazione dovuta all'aumento del costo del carburante ha colto di sorpresa i produttori americani abituati a costruire auto ingombranti e poco efficenti, che non avevano neppure fatto finta fino ad allora, di provare a produrre o anche solo a fare della ricerca seria, su auto innovative: che fossero amiche sia del portafoglio che dell'ambiente.

A riprova Wilkinson aggiunge:

"La nostra intenzione è di continuare con 7-8 linee, a seconda di cosa decidiamo di fare con l'Hummer e lo stiamo ancora decidendo" ha detto Wilkinson.

Il CEO Rick Wagoner ha detto che la GM sta pensando di rinnovare o vendere la linea dell'Hummer. Una vendita potrebbe dimostrarsi difficile considernado l'appetito per quello che è diventato un icona ingoia carburante. Le vendite dell'Hummer sono calate della metà in Aprile rispetto ad un anno prima.

Mentre la GM riflette su che farci con l'Hummer (avrei alcuni suggerimenti da avanzare a riguardo) la situazione dei suo bilancio si fa sempre peggiore. L'anno scorso ha perso 40 miliardi di dollari e sulla sua sorte girano scommesse per un trilione di dollari. C'e' gente che ha comprato i buoni e vecchi CDS (swap) scommettendo su un eventuale fallimento della GM per una cifra pari a 100 volte la capitalizzazione di mercato della General Motors.

Un altro film che per molti non avrà un lieto fine.

Tutte e 3 le storiche aziende produttrici di automobili americane sono in pessime acque e rischiano insieme a quelle aeree di andare a far compagnia ai pesci.

Ieri la GMAC il ramo finanziario delle GM che si era messo, indovinate un pò, a elargire mutui e finanziamenti e a re-impachettarli, durante gli anni del boom, è riuscito a farsi elargire 60 miliardi da una serie di banche (tra cui JP Morgan e Citigroup) evitando momentaneamente il fallimento del proprio reparto dedicato alla finanza residenziale e le cui perdite, ammontanti a 5,3 miliardi, avevano scatenato una crisi che rischiava di terminare con la bancarotta della GMAC stessa.

La GMAC non è neppure un entità secondaria. E' più grande della defunta Bear Sterns. Nata 89 anni fa, ha 27000 dipendenti e asset per 250 miliardi.

Le swap che riguardano il settore residenziale della GMAC predicono al 100% la possibilità che esso fallisca nel giro di 5 anni.

L'evento avrebbe ripercussioni enormi sul mercato, anche se non posso certo affermare che sentirei la mancanza dell'Hummer.

Sull'Inflazione

La media dell'inflazione in Europa ha toccato il 3,7%. E' un livello storicamente basso, ma che dato l'impoverimento generale della maggior parte della popolazione genera diverse sofferenze. I maggior aumenti di prezzi si riversano sui beni di prima necessità e indispensabili, quali petrolio, quindi l'energia e gli alimentari. Gli effetti di questi aumenti non si sono fatti attendere.

Repubblica riporta che i dati sui consumi ad Aprile indicano un calo medio del 2,3% un dato che non si vedeva da anni. I prodotti maggiormente colpiti come era prevedibile sono quelli meno necesssari:

scarpe, borse e articoli da viaggio (-6,4%), abbigliamento e pellicceria (-5%), giochi, giocattoli, articoli sportivi e da campeggio (-4,9%), generi casalinghi (-4,2%) e utensili per la casa (-3,4%), libri, giornali e riviste (-3,4%), gioielli e orologi (-2,8%) e cosmetici (-2,7%).

Le vendite di alimentari sono calate di un misero 0,8%. Altro segnale importante è la crescita nel volume d'affari dei grandi magazzini e iper/supermercati, mentre i piccoli negozi sono stati completamente disertati perdendo il 4,1% di vendite:

Tutte le forme di vendita della grande distribuzione hanno registrato aumenti, ad eccezione degli hard discount che hanno segnato una variazione nulla. Gli ipermercati segnano un +0,1% (+0,8 alimentari, -0,4 non alimentari) i supermercati un +0,3%, i grandi magazzini un +0,2%, gli altri specializzati un +1%.

I dati sono molto chiari. L'inflazione sui beni indispensabili sale e per far fronte all'aumento di spesa la gente è costretta a rivolgersi ai grandi magazzini dove i prezzi sono più contenuti, evitando contemporaneamente le spese superflue come abbigliamento e viaggio. E' interessante notare come le vendite negli hard discount siano rimaste costanti. Dovendo interpretare il dato direi che chi si rivolgeva ai discount fino ad ora, ha continuato a farlo, mentre le famiglie che facevano spesa vicino a casa in piccoli negozi non hanno voluto rinunciare ai prodotti che usavano abitualmente, ma hanno preferito acquistarli negli ipermercati per risparmiare.

Quando (perchè son convinto che succederà) si verificherà un aumento di vendite significativo nei discount, esso sarà un segnale molto preoccupante ed indicherà che le famiglie han dovuto rinunciare contro voglia, ai prodotti di marca a cui erano abituate per sostituirli con equivalenti a basso prezzo.

Sarà un evento da valutare con estrema attenzione e ci sarebbe da sperare che chi di dovere gli presti la dovuta attenzione.

Nel frattempo chi di dovere (altrimenti detto Tremonti) ha scambiato alcune dichiarazioni con Epifani sul tasso di inflazione programmato. Il governo ha stabilito che esso debba essere fissato all'1,7%, sollevando le proteste della CGIL che tramite Epifani ha ribattuto che l'inflazione reale è al 3,7. Legare gli aumenti contrattuali a un tasso dell'1,7 significherebbe, quindi, far perdere 1500 euro in 3 anni di potere d'acquisito a chi ha uno stipendio medio annuale di 25000 euro.

Maurizio Blondet sul suo sito commenta lo scambio di battute:

Com’è vecchio Epifani (CGIL): crede di vivere ancora sotto la lira, al tempo della sovranità monetaria. Poichè Tremonti ha posto un «tasso d’inflazione programmato» ridicolo, 1,7%, Epifani ha fatto due conti e scoperto che un salario da 25 mila euro annui perde 1500 euro di potere d’acquisto in tre anni. Bella scoperta. Tremonti gli ha consigliato di telefonare alla BCE: «Vi spiegherà qual’ è il motivo tecnico per cui ci chiede di inserire nei documenti di finanza pubblica questa indicazione».

Appunto, non siamo più sovrani della moneta. Viviamo sotto una moneta estera, l’euro, ed è la Banca Centrale Europea a imporre il tasso d’inflazione a quel ridicolo livello. Tremonti però avrebbe dovuto spiegare meglio il motivo tecnico: si tratta del piano di impoverimento programmato, deciso dai gestori monetari, della classe media e lavoratrice europea.

La cosa risponde, in qualche modo, a giustizia: un popolo italiano che è meno colto, meno istruito, meno produttivo del popolo cinese o indiano, non può pretendere di avere un potere d’acquisto superiore. Nel prossimo decennio, ci impoveriremo al livello cino-indiano, mentre gli indiani e i cinesi saliranno tendenzialmente verso il livello attuale europeo. Ci si incontrerà a metà strada. Ma ovviamente, una cosa è essere dalla parte che sale, e ben peggio è stare dalla parte che scende.

Non è solo perdita del potere d’acquisto; è la perdita storica di possibilità che attende le generazioni future (e semi-analfabete); ci saranno meno speranze, e prospettive più ristrette. E se l’istruzione continua a scendere, ci saranno sempre meno competenze, quelle da cui dipende se risaliremo dall’abisso. E’ l’Occidente che diventa terzo mondo.

Il fenomeno non è solo italiano. Nè euro-dipendente. In Gran Bretagna, milioni di famiglie si sono accorte che il costo della vita è aumentato per loro del 6,7% annuo (inflazione reale) contro il 3,3% d’inflazione ufficiale. E un’inflazione programmata dal governo britannico del 2%.

Il fatto che l'inflazione programmata sia sempre inferiore a quella reale è principalmente a causa delle spese della stato per il welfare o la "social security" come lo chiamano in america: pensioni, assistenza sanitaria, assegni di disoccupazione ecc. Sono spese che lo stato si deve sobbarcare e sono tutte indicizzate all'inflazione programmata. Ovviamente se invece di aumentare le pensioni, e le altre spese, del 3,7% si aumentano dell'1,7% il risparmio per il tesoro è di 2 punti percentuali netti. Per certi stati come quello italiano può fare la differenza tra la bancarotta, finanziarie assassine e la sopravvivenza economica.

Blondet prosegue il suo articolo citando l'editorialista ed economista del New York Times Paul Krugman:

Paul Krugman, economista di Princeton, benchè piuttosto critico del sistema capitalistico terminale, segnala che ormai la sola cosa da fare è scongiurare l’innesco della spirale prezzi-salari degli anni ‘70-‘80. Nel 1981, il sindacato minatori USA strappò un aumento contrattuale dell’11% in 33 anni, seguito da aumenti salariali per tutte le altre categorie. «Lavoratori e datori di lavoro si impegnarono nel gioco della cavallina: i primi chiedevano aumenti di salario per tener testa all’inflazione, le ditte passavano i costi salariali maggiorati sui prezzi delle merci e servizi, e prezzi rincarati portavano ad ulteriori richieste salariali e così via». La spirale della «stag-flation». Da cui l’America è uscita con la deregulation, spietata soprattutto per i lavoratori.

Oggi, dice Krugman, è sciocco temere che l’alluvione monetaria con cui la FED ha salvato le banche d’affari provochi inflazione. «Dove sono i sindacati che chiedono aumenti salariali dell’11 %? Anzi, dove sono i sindacati tout court? I consumatori si preoccupano dell’inflazione, ma bisogna cercare col lanternino lavoratori che chiedano di compensare l’inflazione con salari più alti, e meno ancora padroni disposti. Di fatto le paghe sembrano persino rallentare, data la debolezza del mercato del lavoro».

L’offerta di lavoro - contrariamente all’offerta di petrolio - è sovrabbondante: è «giusto» che costi sempre meno. Quindi la FED fa benissimo a non aumentare il tasso primario per tenere sotto controllo l’inflazione. Non ci sarà inflazione. Il prezzo del disastro finanziario lo pagheranno i lavoratori.

Agisce qui il dogma - sancito da Milton Friedman, l’autore dell’ultraliberismo terminale - che l’inflazione è sempre e solo un problema monetario. I rincari di petrolio e cibo, che hanno altre cause, non sono definiti «inflazione». Basta, dice Krugman, che i prezzi delle materie prime calino. E caleranno perchè, nell’immiserimento generale, ci sarà meno richiesta per esse. Allora «anche l’inflazione si calmerà da sè».

Che l'inflazione sia un fenomeno (quasi) sempre monetario lo han ripetuto molti alti colleghi di Friedman a partire dagli austriaci come Mises e Rothbard. Senz'altro è ridicolo pensare che al giorno d'oggi si possa verificare il circolo vizioso che accade negli anni 70. I sindacati nella maggior parte dei paesi se non sono completamente spariti sono ridotti alla pallida ombra di ciò che erano allora e gli aumenti salariali sia nel servizio pubblico che in che in quello privato (salvo accordi particolari) sono legate alla famosa inflazione programmata. Saranno quindi sempre inferiori agli aumenti del costo della vita. A rigor di logica Krugman dovrebbe aver ragione e il problema della crescente inflazione dato l'impoverimento della gente dovrebbe risolversi da se.

Vorrei però chiedere a Krugman. Se l'inflazione è un fenomeno monetario, non ha un effetto forse, tutto il denaro creato dalle banche centrali e accumulato dai grandi speculatori e fondi d'investimento e istituzionali? Negli ultimi anni tutto questo denaro si è scaricato nel mercato della carta (azioni, bond,derivati di vario genere), inseguendo strumenti di finanza strutturata incomprensibili anche agli investitori più smaliziati. Oggi che tutta quella massa di carta si è rivelata senza valore dove si stanno scaricando tutti quei soldi creati dalle banche centrali?

Sulle materie prime, sull'energia, sugli alimentari.

Tutta una serie di merci di cui la gente ha necessità primaria. Se le banche centrali non fossero intervenute per salvare il comparto bancario diversi istituti sarebbero falliti distruggendo buona parte di quella massa di denaro fittizio e risolvendo il problema alla radice.

Invece i banchieri centrali hanno tenuta aperta una continua linea di credito per rifinaziare le banche, tramutando in reale il valore di gran parte di quella cartaccia invendibile che affolla ancora oggi i bilanci delle banche. Tutto questo denaro esiste e da qualche parte dovrà finire. Ovunque esso vada, farà salire i prezzi alle stelle che la gente abbia o meno i soldi per spendere. Se si scarica sui beni primari che la popolazione è costretta ad acquistare significa che il prezzo per il fallimento del sistema finanziario viene scaricato sulle spalle dei cittadini. Non si può chiedere alla gente di smettere di nutrirsi, di non usare luce o l'auto perchè i prezzi sono alti e se smettessimo di mangiare e guidare l'inflazione calerebbe.

Anche se i consumi di petrolio caleranno com'è naturale in questi casi, i produttori si limiteranno semplicemente a produrne di meno ed anche il cibo può venire stoccato. Gran parte dell'aumento di prezzo in questi settori è dovuta alla speculazione, non a vera scarisità. Se si volesse combattere veramente l'inflazione si andrebbe a colpire i capitali creati dai banchieri centrali come negli anni 70 si sono andati a colpire i sindacati e i salari dei lavoratori.

Stiglitz, premio nobel dell'economia e persona molto critica sull'attuale ordinamento economico del pianeta, su repubblica dice:

I presidenti delle banche centrali costituiscono un club molto chiuso e sensibile alle mode. Nei primi anni Ottanta, ad ammaliarli fu il monetarismo, una teoria economica semplicistica rappresentata in primo luogo da Milton Friedman. Dopo la caduta in discredito del monetarismo, la cui adozione fu pagata a caro prezzo da svariati Paesi, iniziò la ricerca per un nuovo mantra.

La risposta arrivò con l´inflation targeting, una strategia di politica monetaria secondo la quale ogniqualvolta la crescita dei prezzi supera un livello prestabilito devono essere alzati i tassi di interesse. Una ricetta suffragata da scarse elaborazioni di teoria economica e modeste prove empiriche: non vi sono ragioni per ritenere che la migliore risposta sia un rialzo dei tassi di interesse, indipendentemente da quali siano le fonti dell´inflazione. La speranza è che la maggior parte dei Paesi sia abbastanza sensata da non adottare l´inflation targeting. Le mie simpatie vanno in ogni caso ai cittadini di quei Paesi che lo hanno fatto (Israele, Repubblica Ceca, Polonia, Brasile, Cile, Colombia, Sudafrica, Thailandia, Corea, Messico, Ungheria, Perù, Filippine, Slovacchia, Indonesia, Romania, Nuova Zelanda, Canada, Regno Unito, Svezia, Austria, Islanda e Norvegia).


L´inflation targeting quasi certamente fallirà. I tassi di inflazione più alti che si trovano ad affrontare oggi i Paesi in via di sviluppo non sono da imputarsi a una gestione macroeconomica più carente, bensì ai prezzi in impennata del petrolio e delle materie prime alimentari e, inoltre, in questi Paesi queste voci rappresentano una quota della spesa media delle famiglie assai più alta rispetto a quella delle famiglie nei Paesi ricchi. In Cina, per esempio, l´inflazione si sta avvicinando, o sta già superando, l´8 per cento; in Vietnam è persino più alta e si prevede che quest´anno sfiori addirittura il 18,2 per cento; in India è del 5,8 per cento. Negli Stati Uniti, invece, l´inflazione si è attestata al 3 per cento. Si deve dedurre che questi Paesi in via di sviluppo devono alzare i tassi d´interesse in misura molto maggiore rispetto agli Stati Uniti?

L´inflazione in questi Paesi è, per la maggior parte, importata. Tassi d´interesse più alti avrebbero effetti esigui sul prezzo internazionale dei cereali o dei carburanti. Anzi, se si considera la dimensione dell´economia statunitense, è logico presumere che un suo rallentamento possa avere effetti sui prezzi a livello mondiale di gran lunga superiori a quelli di un rallentamento in qualsivoglia Paese in via di sviluppo, un dato che, se si assume una prospettiva globale, indica che è negli Stati Uniti e non nei Paesi in via di sviluppo, che dovrebbero essere ritoccati al rialzo i tassi.

Finché i Paesi in via di sviluppo restano integrati nell´economia globale i prezzi domestici del riso o degli altri cereali sono destinati a subire un incremento significativo ogni qual volta lo subiscono quelli internazionali. Per molti Paesi in via di sviluppo, gli alti prezzi del petrolio e delle materie prime alimentari rappresentano una tripla minaccia: non solo i Paesi importatori si trovano a sborsare di più per le granaglie, ma devono anche spendere di più per farle arrivare in questi Paesi, con un´ulteriore spesa per farle arrivare a quei consumatori che risiedono lontano dai porti.


L´incremento dei tassi d´interesse potrebbe ridurre la domanda aggregata, rallentando a sua volta l´economia e mitigando così i prezzi di alcuni beni e servizi, in particolare di quelli non determinati dal mercato. Ma, a meno che non siano portate fino a livelli intollerabili, queste misure, di per se stesse, non sono in grado di abbassare l´inflazione ai livelli target. Per esempio, anche se il ritmo dell´aumento dei prezzi dell´energia e delle materie prime alimentari a livello mondiale dovesse rallentare rispetto a quello attuale - scendendo a un 20 per cento l´anno, per esempio - e ciò si riflettesse sui prezzi interni, per fare scendere il tasso di inflazione complessivo a, diciamo, un 13 per cento, occorrerebbe una netta caduta dei prezzi da qualche altra parte. Ciò comporterebbe quasi sicuramente un significativo rallentamento dell´economia e un alto tasso di disoccupazione. La cura sarebbe peggiore della malattia.

Che cosa si dovrebbe fare dunque? Innanzitutto, non si dovrebbe addossare la responsabilità di un´inflazione importata ai politici o ai presidenti delle banche centrali, così come non deve essere attribuito loro il merito di una bassa inflazione quando l´ambiente economico complessivo è favorevole. Ora si riconosce che buona parte del pasticcio nel quale si trova attualmente l´economia degli Stati Uniti è da imputare all´ex presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, mentre qualche volta gli si attribuisce il merito della bassa inflazione registrata negli Stati Uniti durante il suo mandato. La verità è, invece, che negli anni di Greenspan, gli Stati Uniti hanno beneficiato di un lungo periodo di caduta dei prezzi delle materie prime e della deflazione in Cina, elementi che hanno contribuito a mantenere i prezzi dei manufatti sotto controllo.

Secondo, è necessario prendere atto che questi alti prezzi possono rappresentare un terribile stress per le popolazioni e, in particolare, per le persone a basso reddito. Le rivolte e le proteste che si sono avute in alcuni Paesi in via di sviluppo ne sono solo la manifestazione più evidente.
Più di 25 anni fa, ho dimostrato che, in condizioni plausibili, la liberalizzazione del commercio avrebbe potuto peggiorare la situazione per tutti. Non mi stavo pronunciando a favore del protezionismo, bensì richiamando alla cautela e ricordando la necessità di tenere presenti i rischi e di essere pronti ad affrontarli.

Nel caso dell´agricoltura, i Paesi industrializzati, come gli Stati Uniti o come i Paesi membri dell´Unione Europea, proteggono sia i loro consumatori sia i loro agricoltori da questi rischi. La maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, invece, non ha le strutture istituzionali o le risorse per fare altrettanto. Molti stanno imponendo delle misure di emergenza quali tariffe o divieti sulle esportazioni per aiutare i propri cittadini, ma ciò avviene a spese della popolazione di altri Paesi.

Se si vuole evitare una reazione ancora più forte contro la globalizzazione, l´Occidente deve rispondere rapidamente e con forza. I sussidi per i biocarburanti, che hanno favorito una riallocazione delle terre dall´alimentazione all´energia devono essere revocati. Inoltre, alcuni dei miliardi che si spendono per i sussidi agli agricoltori in Occidente dovrebbero essere destinati ora ad aiutare i Paesi in via di sviluppo più poveri a soddisfare il loro fabbisogno minimo di cibo ed energia.

Tuttavia, più importante ancora è che sia i Paesi industrializzati sia i Paesi in via di sviluppo abbandonino la strategia dell´inflation targeting. La lotta per fare fronte ai prezzi in continua crescita delle materie prime alimentari e dell´energia è già dura abbastanza. La più debole economia e il più alto tasso di disoccupazione che comporta l´inflation targeting non avranno grandi effetti sull´inflazione, ma renderanno soltanto più arduo il compito di sopravvivere in queste condizioni.


Stiglitz si lancia contro l'aumento dei tassi e la credenza che attraverso un politica semplicemente monetaria si possa intervenire sull'inflazione. Come dire che l'inflazione di adesso non è un fenomeno unicamente monetario, ma dipende da altri fattori. Tra essi mette i sussidi all'agricoltura e ai biocarburanti.

Di certo l'aumento dei tassi rischierebbe di stangolare la crescita economica in europa sopratutto in paesi come quelli dell'area del mediterraneo, mentre avvantaggerebbe la zona tedesca. Lungo quest'asse politicamente si sta combattendo un accesa partita politica tra Francia e Germania che hanno differenti interessi in politica monetaria, con Sarkosy che arriva quasi a minacciare di andarsene per i fatti suoi e un Trinchet, preso nel mezzo , che fa finta di nulla continuando a ripete che l'inflazione va contenuta e che bisogna stare attenti agli stipendi della gente.

Se alzare i tassi in europa non servisse ci ritroveremmo con una moneta troppo forte per l'Italia e con un inflazione comunque in aumento, un potenziale disastro. Se tutto il resto del mondo venisse dietro al rialzo dei tassi annunciato dalla BCE, come il mercato ritiente faranno gli USA, questo avrebbe certamente un impatto sull'inflazione a costo di un aggravarsi del rallentamento economico globale.

La partita è certamente rischiosa.

Il fallimento dell'inflation targeting, a cui fa riferimento Stiglitz, è ormai cosa acquisita in america, mentre alla BCE erede naturale della Bundesbank ancora sopravvive. E' interessante come esso sia divenuto nel tempo una razionalizzazione per l'esistenza stessa delle banche centrali. Il suo fallimento ha aperto un dibattito sulla necessità stessa di una banca centrale.

Quando una banca alza o abbassa il tasso di interesse finisce col avvantaggiare una categoria di individui a scapito di un altra. Proprio per questa ragione si decise di separare la funzione di una banca centrale strappandola al potere politico, per non creare distorsioni a vantaggio o a svantaggio di qualcuno. I banchieri, si disse, si sarebbero dati un obbiettivo neutro e pubblicamente dichiarato e in base a quello avrebbero regolato la loro politica monetaria.

L'obbiettivo fu individuato nel mantenere il tasso di inflazione entro un determinato valore (il 2% per quel che riguarda la BCE).

Come dice Stiglitz questa di è rivelata "Una ricetta suffragata da scarse elaborazioni di teoria economica e modeste prove empiriche"

Le modeste prove empiriche non hanno mai fermato certi economisti.

L'inflation targeting era anche una delle ragioni per cui le banche centrali non sono intervenute in questi anni per fermare le varie bolle susseguitesi. Finché l'inflazione sui prezzi al consumo è inferiore o uguale al target non importa che cavolo succede sul mercato. Non importa se una montagna di pezzi di carta continua ad aumentare di valore a causa di un espansione chiaramente inflattiva. I computer e gli ipod calavano di prezzo, quindi tutto bene.

Di fatto il mondo e la struttura economica del mondo era cambiata, ma ancora si continuava a descriverlo attraverso strumenti obsoleti, se non completamente campati per aria.

Ultimamente la Federal Reserve ha abbandonato qualunque finzione di imparzialità ed è intervenuta per salvare le banche prossime al fallimento, seguita anche da altre banche centrali (celebre il caso della banca della banca centrale inglese con la northen rock), ed avvantaggiando chiaramente il reparto bancario e finanziario a scapito della collettività su cui è stato scaricato il costo di questi interventi.

Il problema è che queste operazioni possono essere legittimamente fatte, ma sono il risultato di scelte dichiaratamente politiche e pertanto di pertinenza dei relativi parlamenti. Non dovrebbero essere effettuate da burocrati non eletti, come nel caso di Bernanke e dell'operazione di salvataggio della Bear Sterns.

Ciò rappresenta il più evidente e clamoroso fallimento dell'inflation targeting.

Per finire, mentre trovo che i sussidi economici americani ad un idiozia come il bioetanolo ricavato dal mais (energeticamente ed economicamente sconveniente ) siano una cretinata ed un regalo ai grossi conglomerati alimentari degli USA, non riesco a concordare sul fatto che i paesi del primo mondo dovrebbero abbattere ogni barriera e ogni sussidio all'agricoltura.

Se venisse fatto le merci del terzo mondo invaderebbero i nostri mercati rendendo obsoleta e antieconomica la coltivazione locale. Nessun problema direbbe un economista, si chiama vantaggio competitivo. Una cosa viene prodotta dove è più vantaggioso a causa di condizioni locali, come clima o basso costo del lavoro e poi viene venduto dove serve.

Tutto bene, finché tutto va bene.

Se però si verifica una guerra in alcuni dei grossi paesi produttori o a causa di problemi climatici, come negli ultimi anni, i raccolti risultano scarsi non possiamo riacquisire di colpo le competenze agricole perse o abbattere i palazzi costruiti su terreni una volta coltivati.

L'agricoltura è una componente strategica per la sopravvivenza di una nazione e va tenuta in vita a costo di aprire il borsello ed elargire alcuni sussidi.

venerdì 20 giugno 2008

La Spagna ci "schifa"

Bloomberg riporta come la Spagna abbia preso la decisione di non accettare più i buoni di stato Italiani come garanzia per prestiti a breve termine.

Il tesoro Spagnolo presta la liquidità in eccesso a sua disposizione a istituti finanziari e banche di investimento in cambio di securities di vario genere come garanzia. L'anno scorso la Spagna in seguito ad un boom del surplus a disposizione, ha esteso la gamma dei titoli che accetta includendo buoni del tesoro di governi esteri e bond emessi da aziende con rating AAA.

Da luglio, che sia di origine privata o pubblica, la Spagna accetterà solo debito che abbia un rating AAA, il che taglia fuori l'Italia i cui BOT hanno un rating A+ (pari a quello del Botswana) secondo Standard & Poor's e Aa2 secondo Moody's.

Da Bloomberg:

"Ciò sembra riflettere esattamente le divergenze di interessi all'interno della zona euro che ci aspettavamo e ne dovremmo tener conto in futuro" ha detto Meyrick Chapman un stratega sulle posizioni a reddito fisso all'UBS AG di Londra.

La liquidità del governo Spagnolo è calata quest'anno a causa dell'aumentato numero di buoni che hanno raggiunto la maturità, constringendo il tesoro ad essere più severo riguardo alle garanzie che accetta, ha detto Ezquerra (direttore del debito pubblico al tesoro spagnolo)

"Abbiamo meno denaro in eccesso da prestare al mercato" ha detto. "In pratica, questo significa che non possiamo continuare ad accettare i buoni Italiani".

La Spagna continuerà ad accettare i buoni del tesoro della Germania, Francia e Olanda, dagli altri membri quotati all'Iberclear con un rating AAA, e naturalmente quelli emessi da essa stessa.

Il segnale per l'Italia è ovviamente pessimo. La Spagna potrebbe essere solo il primo di tanti altri paesi che potrebbero rifiutare i nostri buoni del tesoro. Questo si va ad aggiungere all' aumento vertiginoso dello spread (la differenza) tra il rendimento dei BTP italiani e quelli tedeschi arrivata a toccare i 60 punti base a Marzo il massimo dal 1999.

La crisi nel mercato del credito fa scappare gli investitori e li spinge a rifugiarsi in titoli ritenuti poco rischiosi come i buoni tedeschi o a speculare sulle materie prime. Questa fuga rende più costoso all'Italia finanziarsi tramite il proprio debito, dato che i rendimenti sui Btp devono aumentare per attirare gli investitori.

La spaccatura tra i buoni dei diversi stati europei riflette la differenza, nella forza delle varie economie e il fatto che esse avrebbero bisogno di politiche economiche diverse. Paghiamo, insomma il prezzo delle previsioni che opera il mercato su quanto duramente verrà influenzata l'economia Italiana dalla crisi attualmente in corso.

Ovviamente chi compra dei buoni, è interessato oltre che al loro rendimento alla richiesta che esiste sul mercato per i buoni stessi, cioè quanto essi siano vendibili. Se altri paesi seguissero la direzione indicata dalla Spagna e cominciassero a rifiutarli, il nostro debito rischierebbe di fare la fine della questione dei matrimoni tra gay nella campagna elettorale americana.

Non li vorrebbe toccare nessuno. Neanche con un palo di 10 metri.

E adesso arrestateli tutti

La retata che ha visto finire in manette 406 persone è stata riportata con clamore nelle prime pagine di molti giornali (almeno di quelli online).

I nomi che continuamente ricorrono nei vari articoli, sembrano però restare solo quelli dei due manager della Bear Stearns: Ralph Ciotti e Matthew Tannin, il che mi fa presumere la mancanza di altri personaggi eccellenti tra i 400 arrestati o che sull'identità dei restanti coinvolti nelle indagini resti ancora il segreto.

I due rischiano fino a 20 anni di galera per aver mentito sulle reali condizioni dei fondi che gestivano. Ben sapendo che essi erano ormai prossimi al fallimento, rassicuravano i clienti mentendo sulla loro solidità.

Da un articolo su Bloomberg:

Il procuratore afferma che i due uomini abbiano mentito sulla liquidità, sulle richieste di redemption (quando un investitore di un fondo ritira i soldi investiti dal fondo stesso), e sui loro stessi investimenti prima che i fondi fossero chiusi lo scorso Giugno, costando 1 miliardo agli investitori.

"Questo è un veloce riassunto dei fatti" ha detto l'ex procuratore William Mateja. "Sembra esistano molte prove per stabilire un accusa di frodi sulle securities nei confronti dei due manager. Senza aver sentito le argomentazioni della difesa, posso dire che il caso mi pare essere solido"

Cioffi e Tannin sono stati accusati dalla corte federale di Brooklyn, New York, per cospirazione, frodi sulle securities e frode elettronica. Cioffi è stato anche accusato per insider trading per 2 milioni in redemption da uno dei fondi.

Chi è interessato può leggersi l'intero documento con le accuse qui. Mi limito a riportare un paio di punti delle accuse (i punti 18-19-20):

Come descritto agli investitori dai due accusati e altri colleghi, l'obbiettivo dell'High Grade Fund era di provvedere una modesta, sicura e costante fonte di guadagno ai suoi investitori. Cioffi,Tannin e altri hanno detto agli investitori che essi si potevano attendere un ritorno annuale attorno all'incirca al 10-12%, e che l'High Grade Fund non era disegnato per "cercare fuori campo" (il colpo grosso). Gli accusati e altri han portato gli investitori a credere che l'High Grade Fund fosse solo leggermente più rischioso di un money market fund (sono fondi studiati apposta per limitare i rischi dovuti a problemi di liquidità, nel credito o ribassi eccessivi del mercato).

Per un considerevole periodo di tempo, la performance dell'High Grade Fund è stata in linea con questa presentazione. Dal 2006, invece, la performance ha cominciato a declinare. Come parziale risposta al declino, e come conseguenze delle minacce degli investitori di ritirare ("redemptions") il loro denaro dall'High Grade Fund, Cioffi, Tannin e altri hanno creato l'Enhanced Fund nell'Agosto del 2006.

L'Enhanced Fund ha investito principalmente in CDO. Esso ricorreva ad un effetto leva molto superiore all'High Grade Fund. Cioffi, Tannin ed altri hanno detto agli investitori che l'Enhanced Fund avrebbe generato guadagni superiori rispetto all'High Grade Fund, ma che l'Enhanced Fund era solo leggermente più rischioso, perché avrebbe investito in proporzione una fetta superiore nelle securities meno rischiose. Il maggior guadagno sarebbe derivato dall'aumento dell'effetto leva.

I due manager della Bear Stearns hanno senz'altro sbagliato e mi auguro che vengano puniti di conseguenza. Quello che han fatto si può tranquillamente definire truffa. Siamo seri. 10-12% di ritorno per un investimento con rischi bassissimi?

Equivale a totò che prova a vendere la fontana di trevi.

Detto questo sono daccordo con i loro avvocati quando parlano di capri espiatori. Il giochino fatto da Ciotti e Tannin era pratica comune fino a qualche anno fa a Wall Street e la loro incriminazione per il momento puzza molto di capro espiatorio. Come mai i loro capi non sono stati incriminati? Dobbiamo credere che non sapessero che facevano i due mentre maneggiavano miliardi?

La verità è che se si volesse applicare a tutti lo standard con cui vengono giudicati i due manager, mezza Wall street finirebbe dietro le sbarre. Lungi da me l'idea di operare la tipica equivalenza italiana "tutti colpevoli=nessun colpevole".

Anzi. Vorrei ribaltarla. Se Ciotti e Tannin sono colpevoli significa che tantissimi altri lo sono e non posso fare a meno di augurarmi:

E adesso arrestateli tutti!

Travaglio il super hacker

Finalmente "l'onorevole" Maurizio Lupi del Pdl, rivela alla trasmissione Iceberg, come facciano i giornalisti ad ottenere i testi delle intercettazioni e la ragione per cui la nuova legge su di esse risulti indispensabile. A parte l'ovvia falsità delle argomentazioni dei politici devo dire che è la prima volta che vedo un Travaglio così alterato.




giovedì 19 giugno 2008

Sooooorpresa!!!

Un articolo di Blomberg intitolato Bill Ackman aveva ragione: MBIA, AMBAC sull'orlo del declassamento ci spiega come Ackman, un famoso gestore di fondi di investimento, avesse ragione a scommettere su un ribasso del titolo delle 2 Monoline ( chi non sa cosa sia una Monoline può leggere qui) ed a mettere in guardia da un loro probabile fallimento.

Molti commentatori specialmente quelli televisivi si erano mostrati scettici riguardo le affermazione di Ackman, ma come per magia negli ultimi giorni sembrano usciti tutti contemporaneamente dal letargo.

Dice Blomberg riguardo alla situazione:

Lo scenario un tempo impensabile innescherebbe clausole su 400 miliardi di contratti derivati (swap) sottoscritti per assicurare collateralized debt obligations (CDO) e altre securities, permettendo ad i possessori delle suddette swap di chiedere l'immediato pagamento per le perdite di mercato, che hanno toccato i 20 miliardi, secondo i rapporti delle compagnie. Il declassamento degli assicuratori causerà una caduta di rating per i 2 trilioni di debito che le compagnie (le 2 Monoline) garantiscono, cancellando il valore dei CDO assicurati in possesso degli istituti di Wall Street, dicono gli analisti alla Oppenheimer & Co.

Dato la grande quantità di credit default swap (CDS) che l'industria assicuratrice ha emesso esiste la reale possibilità di un crollo del rating che attraversi l'intero comparto degli assicuratori di bond" dice il direttore di Fitch (una delle 3 agenzie di rating) Thomas Abruzzo, il primo analista ad aver privato MBIA e Ambac del massimo rating.

Ambac ha annunciato oggi di aver chiesto a Fitch di rimuovere il rating di tutte le sue sussidiarie. MBIA aveva richiesto a Marzo, a Finch, di smettere di riportare la solidità finanziaria della compagnia.

"Lo scenario un tempo impensabile" dichiara l'articolo.

Impensabile sopratutto se non si usa il cervello, mi verrebbe da aggiungere.

Da notare anche come entrambe le compagnie abbiano silurato la Fitch in modo che non riportasse più il loro rating. Un neofita potrebbe restare stupito della cosa, ma nel mondo della finanza sono le aziende che pagano le agenzie per farsi assegnare da loro un rating.

Un insignificante conflitto di interessi, dicevano tutti. Prima che l'intero comparto del credito rischiasse il fallimento, almeno. Ora l'insignificante questione e allo studio di politici ed economisti che stanno cercando un modo per risolvere la situazione e riformare le 3 agenzie di rating.

Ackman ha avuto ragione: una discreta soddisfazione, oltre a quella di essersi fatto un sacco di soldi giocando al ribasso sulle 2 compagnie da prima di Novembre.

Ancora qualche giorno fa, intervistato da bloomberg si è trovato costretto a spiegare quale fosse la reale condizione delle 2 Monoline ad una scettica presentatrice

Sotto chi comprende l'inglese può guardarsi l'intervista



Sempre dall'articolo di Bloomberg:

CIFG North America potrebbe cadere per prima. Il suo rating da Marzo è stato declassato di 17 livelli da AAA a CCC da Fitch a causa del timore che non sarà in grado di onorare i pagamenti su contratti per 57 miliardi

Ambac possiede 2 miliardi a bilancio come riserve per eventuali perdite, ciò la lascia con un surplus ufficiale di 3,6 miliardi. Essa garantisce all'incirca 47 miliardi in CDO e debiti immobiliari.

Anche se entrambe le compagnie sono al di sopra dei requisiti minimi di capitale, S&P ha riportato in un rapporto a Febbraio che in uno "scenario di stress", MBIA potrebbe essere costretta a pagare 7,9 miliardi di dollari su richieste basate sui valori di allora e Ambac potrebbe doverne pagare 6,2.

Chi ha venduto dei CDO ultimamente, ha riportato perdite che andavano da un minimo del 30% ad un massimo del 75%, quindi per l'Ambac significherebbero circa 15 miliardi di perdite nel caso migliore, ma prendiamo per buone le cifre della S&P.

Dando un occhiata alle statistiche l'Ambac possiede a bilancio 1,65 miliardi di liquidità mentre per l'MBIA i miliardi sono 7,37.

7,37 contro 7,9 miliardi di perdite e 1,65 contro 6,2.

Altro che il sangue di San Gennaro se l'MBIA e l'Ambac non si liquefano portandosi dietro l'intero reparto assicurativo, quello sì, sarebbe un miracolo.

Il futuro è tra noi

La crisi economica, sta lentamente facendo il suo corso consumando la vita di milioni di persone. Nel sud della California sono comparse tendopoli come non se ne vedevano dagli anni 30. Se fino a qualche anno fa ad abitare in certe condizioni erano per la maggior parte drogati, persone con seri problemi mentali o personali, ultimamente le tendopoli sono sempre più occupate da gente la cui vita ha preso una piega sbagliata.

E con piega sbagliata intendo: "aver sottoscritto un mutuo di tipo speculativo consapevolmente o ingannati dalla propria banca e non essere riusciti a far fronte all'aumento progressivo delle rate da pagare".

Il Dailybulletin in un articolo racconta come si sia modificata la composizione degli abitanti delle tendopoli e come il loro numero continui ad aumentare costantemente. Alcune famiglie che si ritenevano appartenere al ceto medio (nota personale: se pensate di appartenere al ceto medio siete in realtà membri della classe bassa, se pensate di essere ricchi appartenete la ceto medio ecc) , si sono trovate di fronte a una scelta che ricorda più certi paesi del terzo mondo che non gli Stati Uniti: o pagare il mutuo sulla casa o comprarsi il cibo.

Inutile dire cosa abbiano scelto.

Dal Dailybulletin:

"(l'insediamento) Ha assunto una vita propria" ha detto il sindaco Paul Leon. "Non ci siamo resi conto che sarebbe cresciuto tanto in un tempo così breve, il che riflette quanto sia necessario"

"Cresce e continua a crescere" ha detto CArlos Villabos, residente della città delle tende negli ultimi 4 mesi. "E non ho ancora visto nessuno andarsene"

Villalobos dice che il campo è molto popolare perché la polizia lascia vivere i suoi abitanti, salvo sporadici casi, senza particolari interferenze.

La città vicina fornisce acqua e bagni, e raccoglie l'immondizia. Diverse chiese forniscono regolarmente cibo.

Tende a parte sembrano messi meglio che in certe città italiane. Almeno li la spazzatura la raccolgono.

Con l'aggravarsi della crisi immobiliare è lecito attendersi un incremento della popolazione di queste tendopoli, con l'ovvio rischio di generare una pressione insostenibile anche per la solidarietà delle città, in cui esse sono localizzate.

Il video sotto penso si commenti da solo



Non disperate però!

Anche nel buio più pesto aleggia sempre una scintilla di luce.

La tecnologia e la creatività americana si sono fortunatamente messe in moto per trovare delle soluzioni ai problemi abitativi della popolazione e agli (ancora troppo) elevati prezzi delle case.

Niente più tende! Il futuro è dei container!

Avete letto bene.

Benvenuti a Container City!

Un azienda di Detroit (una delle città più violentemente colpite dalla crisi e dalla disoccupazione seguita al tracollo della General Motor) ha deciso di riutilizzare i container come unità abitative. Progetta di costruire un condomino pilota, composto da 17 unità il cui prezzo sarà del 25% inferiore al costo di un condominio "normale". Il prezzo delle abitazioni varierà dai 100000 ai 190000 dollari a seconda della metratura.

Un affarone insomma, considerato che ormai in certe zone le case normali arrivano a costare metà di quella cifra.

Da Containercity.com :

I container sono un metodo di costruzione estremamente flessibile, avendo una forma modulare, hanno una grande resistenza strutturale e sono rapidi da procurare. Le città fatte di container offrono una soluzione alternativa all'utilizzo dello spazio.

Non è neppure detto che le città di container debbano sembrare composte da containers!

Mmmmmmhhhhhhh

A voi cosa sembrano?






Auto volanti? Fusione fredda? Energia di punto zero?

Dimenticatele

Il futuro è già tra noi.

mercoledì 18 giugno 2008

Sull'orlo del ridicolo

L'MBIA è una delle Monoline, le agenzie che emettono swap il cui compito è assicurare gli investitori contro il possibile rischio di fallimento di un azienda o di default su securities di varia natura. Ho già descritto in passato la precaria situazione in cui si trovano questi istituti e l'MBIA in particolare.

Chi pensava che essa avesse toccato il fondo si è dovuto ricredere. L'MBIA qualche tempo fa annunciò che avrebbe recuperato 1,1 miliardi di dollari di liquidità per garantire alle sue sussidiarie, la capacità di far fronte ai rispettivi obblighi (a breve termine quanto meno). La scorsa settimana il managment dell'istituto si è rimangiato tutto dichiarando che l'azienda madre si sarebbe tenuta 900 milioni di dollari e alle sussidiarie sarebbero arrivate solo le briciole.

Peccato che proprio queste ultime si ritrovino con l'acqua alla gola a causa dei fallimenti e dei vari declassamenti di aziende e securites, trovandosi costrette a pagare le assicurazioni (le swap) emesse duranti gli anni del boom finanziario e della bolla immobiliare.

Perché questa mossa da parte dell'MBIA?

Semplice: i dirigenti sono pagati in base alla situazione dei libri contabili dell'azienda madre mentre le sussidiarie garantiscono dei guadagni tramite dividendi solo se possono garantire un profitto sulle proprie operazioni (esse sono in costante perdita da mesi) o se ciò viene permesso dalle entità che le regolano.

Questa mossa inaspettata dice molto sulla situazione. Al di là dell'ovvia doppiezza del managment dell'azienda è chiaro come esso si aspetti ulteriori perdite in futuro o un congelamento da parte dei regolatori dei dividendi. Oppure, i dirigenti temono che l'istituto venga posto direttamente in liquidazione dai regolatori nei prossimi mesi e vogliono tenersi i soldi per cercare di sostenere quanto meno l'azienda madre. In ogni caso il fatto che abbiano deciso di tenersi quasi interamente quegli 1,1 miliardi la dice lunga sulla gravità della situazione.

Il meglio però lo rivela sempre il New York Times in un articolo oggi:

MBIA ha sottoscritto 137 miliardi in swaps, contratti di assicurazione scambiati privatamente che permettono alla gente di scommettere sulla salute di una azienda. La maggior parte di questi contratti prevedono che se l'unità assicuratrice di bonds dell'MBIA diventa insolvente o il suo controllo passa ai regolatori della stato, i compratori (delle swap) possono richiedere il pagamento immediato.

Ma se ciò succedesse, MBIA avrebbe molto meno denaro per pagare i suoi assicurati e i possessori di bonds delle municipalizzate sostenute dalla compagnia stessa. Le swap le garantiscono quindi un elevato potere di influenza su Eric R.Dinallo, il commissario alle assicurazioni dello stato di New York, il quale vorrebbe che la compagnia cedesse i 900 milioni al suo settore assicurativo.

Nel caso della Bear Stearns, la Federal Reserve ha temuto che le credit default swap avrebbero scatenato una reazione a catena di perdite se la banca fosse stata lasciata semplicemente fallire. Dato che un simile rischio esiste anche nel caso dell'MBIA, Mr Dinallo difficilmente premerà perché i regolatori acquisiscano il controllo della sussidiaria anche se Joseph W.Brown, il capo della MBIA, rifiutasse di ricapitalizzare l'unità

Dinallo ha affermato di possedere la facoltà per rifiutarsi di onorare un accelerazione della domanda, in caso (come regolatore) prenda il controllo di un agenzia di assicurazione, ma una mossa del genere quasi certamente costringerebbe i possessori di swap a contestare la disposizione in tribunale. La clausola di accelerazione (una clausula in cui in caso di mancato pagamento di una quota dovuta, il contratto viene risolto e il "pagante" è costretto a versare immediatamente tutto l'importo rimanente ndr) è una caratteristica standard delle credit default swap emesse da molte assicuratrici incluse Ambac e la Financial Guaranty Insurance Company.

Fondamentalmente il regolatore dello stato di New York è ostaggio dei dirigenti della MBIA che fanno il comodo loro, in barba agli interessi dell'azienda e agli impegni presi con i loro clienti. La scusa ufficiale che adottano è quella di voler aprire una nuova sussidiara, ma la probabilità che sarà dato l'ok dai regolatori, ad un azione simile, anche se essa non fosse solo un trucco per prendere tempo, sono prossime allo 0.

Sempre dall'articolo del New York Times:

Joshua Rosner, un analista alla Graham-Fisher di New York, ha detto "Mi pare che Jay Brown insista nel mettere denaro dappertutto tranne che nelle sussidiare che si occupano di assicurazioni o anche passando attraverso una nuova sussidiaria direttamente sotto esse, sta dicendo molto chiaramente che non crede più nella fattibilità, per il reparto assicurativo della compagnia, di onorare i suoi obblighi"

John Miller, capo dell'ufficio investimenti al Nuveen Asset Management, un grande fondo che gestisce bond di municipalizzate a Chicago, ha espresso scetticismo rispetto al piano dell'MBIA di aprire una nuova sussidiara che possa riassicurare il proprio portafoglio.

"Sarebbe sorprendente se l'operazione avesse successo" ha detto Mr. Miller. “Si tratterebbe sempre di bond garantiti dall'MBIA dato che l'unità assicuratrice sarebbe dipendente dall'MBIA stessa, ma un MBIA presentata come una nuova compagnia"


E' interessante constatare il malcelato disappunto nell'articolo del New York Times per l'irrituale operazione da parte dei dirigenti dell'MBIA, i quali prendendo atto di un inevitabile futuro fallimento e sapendo che i regolatori non possono permettersi di intervenire nel timore di accelerare lo stesso e produrre una reazione a catena in grado di coinvolgere l'intero mercato finanziario, si tengono i soldi a livello di azienda madre per aumentarsi lo stipendio.

Dovrebbero farsi un giro in Italia. Un comportamento del genere susciterebbe forse uno sbadiglio.

Sempre riguardo ai CDS, (credit default swap) il cui valore nozionale ricordo è di 62 trilioni di dollari, un organizzazione non profit ha inoltrato un esposto alla Federal Reserve di New York e alla Federal Reserve Board di Washington riguardo ad un incontro a porte chiuse tenutosi pochi giorni a New York. Ad esso sono stati invitati i maggiori emettitori e sottoscrittori di swap nel tentativo di arrivare a ridisegnare questi strumenti, per cercare di impedire un futuro crollo verticale del mercato.

Quel che viene contestato è la segretezza del meeting ed il fatto che nessuna organizzazione oltre ai grandi gruppi bancari e assicurativi fosse presente. Il meeting violerebbe secondo il comitato, il federal Administrative Procedures Act. Non si sa molto di ciò che è stato deciso all'incontro. Girano voci di un progetto che preveda l'organizzazione di una camera di compensazione gestita dalle banche centrali per costringere a trattare in maniera aperta sul mercato le swap, ma quanto ci sia di vero e quanto nel caso ciò si rivelasse utile è tutto da vedere.

Quel che mi pare è che termini come regole, legalità, trasparenza sembrino diventare sempre più una barzelletta nel paese che di questi termini, in economia, aveva fatto la sua bandiera. Se una volta certe cose accadevano in segreto sembra che ormai succedano sempre più alla luce del sole. Ed anche quando la magistratura interviene, sotto i suoi colpi cadono i pesci piccoli, come nel caso della Bear Stearns. I suoi dirigenti l'hanno fatta franca, mentre i gestori dei due fondi dell'istituto che fallirono un anno fa scatenando la crisi nel settore bancario si ritrovano indagati per frode.

Che la crisi stia trasformando gli Stati Uniti nella brutta copia dell'Italia?

martedì 17 giugno 2008

A tutti gli illusi

Leggendo svariati articoli, non ho potuto fare a meno di notare come l'umore generale in questi giorni sia marcatamente "pessimista" tanto per usare un eufemismo. Il New York Times in un articolo, dopo aver fatto una botta di conti conclude che i maggiori 7 istituti bancari statunitensi (Bank of America, Citigroup, JPMorgan Chase, Lehman Brothers, Merrill Lynch, Goldman Sachs e Morgan Stanley ) abbiano perso nell'attuale crisi la metà dei guadagni accumulati negli anni dal 2004 al 2007, un periodo di boom per la finanza:

Ma il traguardo sembra allontanarsi continuamente. Anche quando le perdite si arresteranno, i dirigenti delle banche si troveranno a fronteggiare un futuro di ritorni più bassi, profitti assottigliati e meno lavoro a disposizione...

"Saranno costretti a costruirsi nuovi modelli di business" Richard X. Bove, un analisti di servizi finanziari a Punk Ziegel, ha detto riguardo alle banche di investimento. "Non credo che questi businesses abbiano la capacità di generare il tipo di profitti che hanno creato in questi ultimi anni senza ricorrere a un effetto leva ingente"

I canditi sono finiti insomma, per un modello insensato di guadagno basato sui debiti con livelli di leva che arrivavano fino a 30:1 (come avevo fatto presente qualche mese fa).

Ambrose Evans-Pritchard, ottimista come sempre, dalle pagine del Telegraph avverte che un possibile tracollo dei mercati in via di sviluppo potrebbe essere dietro l'angolo. L'indice della borsa di Shangai ha toccato il valore minimo in 14 mesi chiudendo 2900 punti mentre da Ottobre il valore delle azioni cinesi è crollato del 48%. Gli indici sono scesi negli ultimi giorni a seguito della manovra delle autorità cinesi che hanno alzato i requisiti di riserva obbligatoria per le banche, nel tentativo di riportare sotto controllo l'inflazione. Ciò ha drenato 60 miliardi di liquidità dal mercato bancario.

In India contemporaneamente l'indice BSE di Mubai è calato del 27% a causa della precipitosa fuga di diversi fondi di investimento stranieri. Anche in India si sta consumando una sanguinosa lotta contro l'inflazione. I tassi di interesse sono stati alzati all'8%, mentre il deficit di bilancio ha toccato il 9% del PIL a causa dei sussidi dati dal governo alla popolazione in particolare quelli sui prodotti petroliferi. La costante impennata nel prezzo del petrolio oltre a incidere sul deficit stava facendo fallire le compagnie energetiche indiane obbligate dal governo a sobbarcarsi il costo di buona parte dei sussidi per non sporcare troppo il bilancio dello stato. Il governo indiano si è visto perciò costretto a rimuovere gli aiuti di stato e a lasciar aumentare i costi energetici con ovvie ricadute sull'inflazione.

Russia, Brasile, India, Vietnam, Sud Africa, Indonesia, Nigeria, e Cile sono alcune delle nazioni che hanno alzati i tassi di interesse negli ultimi giorni anche se questi rimangono nonostante la manovra, troppo bassi se confrontati all'inflazione.

Dall'articolo del Telegraph:

Le monete di Korea, Tailandia, Filippine e Malasia si sono trovate sotto pressione questa settimana in seguito a una fuga di massa verso il dollaro che ricorda ciò che avvenne durante la crisi dell'est asiatico nel 1997-98. Diverse nazioni sono dovute intervenire per rallentare il crollo delle valute.

L'improvviso cambio di umore appare essere conseguenza dei commenti di Ben Bernanke e Tim Geithner, il capo della banca centrale americana e il capo della Fed di New York, che non hanno lasciato dubbi sul fatto che Washington abbia perso la pazienza di fronte al crollo del dollaro.

La campagna per un "forte dollaro" ha preso velocità. Il ministro del tesoro Hank Paulson ha condotto un aggressiva azione di lobby dietro la scena in medio oriente ed in Asia. Agli amici dell'America come ai suoi nemici non sono stati lasciati dubbi che l'intera potenza strategica degli Stati Uniti sarà posta a sostegno della moneta. Da adesso in poi chi sbarra la strada a Washington lo fa a suo rischio.

Se ciò che afferma Pitchard sul lavoro di lobbying fatto da Paulson è vero, questo potrebbe spiegare il concerto di affermazioni sul rialzo dei tassi susseguitesi in questi giorni e le previsioni del mercato dei futures su un rialzo dei tassi americani dell'0,5% entro Ottobre. Potrebbe essere la volta in cui la Fed oltre che parlare tanto di dollaro forte, comincia ad agire in quella direzione.

Sempre dal Telegraph:

Richard Cookson, un economista alla HSBC, consiglia i suoi clienti di ridurre drasticamente i loro interessi nella regione.

"L'inflazione sembra essere un reale problema in Asia, e il rischio che gli investitori perdano fiducia nelle monete della regione è concreto. Sebbene i mercati sia precipitati selvaggiamente dai loro picchi, essi sembrano ancora troppo costosi. Stiamo diminuendo la nostra esposizione ulteriormente, fino a zero" ha affermato.

Cresce la consapevolezza che la cina sta affrontando una violenta tempesta dato che l'inflazione (al 7,7%), il crescente valore dello yuan (salito del 5% quest'anno), il crescente costo del petrolio, e una congiuntura economica negativa in paesi chiave per l'export come il nord America e l'Europa si combinano e contribuiscono a schiacciare i profitti. La Cina usa 5 volte l'energia utilizzata dagli USA per produrre un unità di PIL. Il paese risulta acutamente vulnerabile a una crisi energetica.

Un quarto delle 800 fabbriche di scarpe cinesi in Guangdong hanno chiuso nei mesi recenti e diverse industrie tessili stanno lottando per restare a galla. La federazione industriale di Hong Kong ha avvertito che 10000 aziende nel sud della Cina potrebbero presto dichiarare fallimento.

Ricapitolando: la situazione negli Usa tra crisi bancarie e immobiliari è un disastro, in Europa abbiamo una crescita asfittica e le banche non son messe meglio delle loro colleghe americane, intanto l'Asia rischia di attraversare una crisi devastante come quella del 97 solo che oggi la rilevanza globale della regione rispetto ad allora si è enormemente accresciuta.

Quello che sta succedendo alla Cina e agli altri paesi asiatici si chiama stagflazione. Ciò di cui ho discusso negli ultimi post. L'inflazione avanza troppo velocemente, anche in paesi che hanno una crescita economica sostenuta. Quest'inflazione oltre a distruggere poco alla volta la crescita economica non è facilmente attaccabile essendo in gran parte dovuta all'aumento dei prezzi nelle materie prime e nel comparto alimentare. Alzare i tassi può servire solo in parte e così combattere la speculazione finanziaria (al G8 è stato deciso di alzare i margini per chi specula sul mercato dei futures).

Quello che appare chiaro è che ogni illusione di "decoupling" si sta infrangendo contro la dura diga della realtà. "Decoupling" sta a indicare la credenza che in caso di rallentamento o crisi in occidente l'economia mondiale potrebbe venire sostenuta dai paesi asiatici che sganciandosi dalle economie Americana ed Europea passerebbero dall'essere dei produttori a diventare dei consumatori. Questa fantasia è girata per parecchio tempo nei circoli economici tra analisti che non volevano affrontare la triste realtà.

L'Asia non ha la forza, ne le risorse economiche per sostenere il resto del mondo, sopratutto un mondo composto da economie come quelle occidentali e purtroppo non potrà salvarci da noi stessi.

lunedì 16 giugno 2008

Il cazzaro più grande

Trovo davvero patetico tutto il dibattito che sta avvenendo intorno alla nuova legge sulle intercettazioni. Per capire che si tratta di una grandissima fregatura basterebbe vedere come essa trovi l'approvazione di tutti gli industriali, i politici (a parte l'IDV), i banchieri ecc. Se dovessi scegliere chi ha sparato la fesseria più grossa su questo tema l'impresa si rivelerebbe estremamente ardua. Riporto quelli che ritengo arriverebbero in finale in un eventuale competizione a riguardo.





Crack up boom?

Ci si è messo anche l'FMI a gettare acqua sul fuoco. Il suo direttore Dominique Strauss-Kahn a margine del G8 che si è tenuto in giappone ha affermato : "ci sono delle buone possibilità che il grosso della crisi finanziaria sia ormai alle spalle, ma è troppo presto per dirlo".

Se è troppo presto, forse sarebbe il caso di stare zitti. E' interessante constatare come solo poco più di un mese fa l'FMI dipingesse uno scenario ben più fosco. Gli sviluppi delle ultime settimane sono tutt'altro che incoraggianti eppure Khan si unisce a Bernanke a Draghi e a tutto un nutrito gruppetto di banchieri centrali ed economisti che da qualche giorno non fanno altro che ripetere che il peggio è passato. Il sospetto che si tratti di un azione accuratamente coordinata, volta a rassicurare i mercati a parole più che con i fatti è forte.

Proprio i fatti languono, mentre frasi ottimiste si rincorrono sulle pagine della stampa economica. Questo perchè le opzioni a disposizione dei banchieri centrali, in primo luogo Bernanke, sono estremamente limitate. Tagliare il tasso di interesse portandolo al 2% non ha aiutato i mercati a riprendersi e adesso il capo della Fed si trova davanti una scelta impervia. Alzare o mantenere al livello attuale il tasso di interesse?

La scorsa settimana Trinchet (il capo della BCE) ha annunciato un prossimo rialzo dei tassi. Sull'onda delle sue affermazioni Paulson il ministro del tesoro americano e Bernanke hanno ricominciato a parlare di un dollaro forte. E' dall'inizio di questa crisi economica che i 2 vanno facendo dichiarazioni in questo senso, ma il mercato e tutti gli analisti non han mai fatto neppure finta di crederci dato che le loro azioni son sempre andate in direzione completamente opposta.

Questa volta complice l'alta inflazione il mercato prevede che la Fed non abbia più spazio per abbassare ulteriormente i tassi, e non possa neppure limitarsi a mantenerli inalterati. Il mercato dei futures ci dice che esiste una possibilità del 100% che entro la riunione di Ottobre i tassi aumentino di 50 punti base (0,5%). Le possibilità che esso aumenti di 75 punti base, sempre entro Ottobre, sono date al 24% ed esiste una possibilità del 98% che esso aumento di 100 punti base entro Gennaio del 2009.

Fino ad ora Bernanke è sempre costantemente stato "dietro la curva" come si dice in gergo. Cioè ha sempre seguito le aspettative del mercato senza mai deluderle. Probabilmente continuerà ancora su questa strada. Ovviamente un aumento dei tassi verrà visto come un colpo mortale dagli immobiliaristi. Realtytrac un sito che monitora l'andamento del settore edilizio riporta che le case ritornate in possesso delle banche sono aumentate del 48% in Maggio rispetto all'anno precedente. Ennesimo record da quando vengono raccolti dati a riguardo.

La situazione sul versante case e mutui è ben lontana dallo stabilizzarsi. Finché questo non succederà il mercato dei consumi americano che rappresenta il 70% del PIL non potrà riprendersi.

Troppa gente e troppe banche piene di debiti.

Aprendo una breve parentesi sul mercato bancario, parliamo brevemente della Lehman (tanto per cambiare). Il CFO (Chief Financial Officer) e il COO (Chief Operating Officer) della suddetta banca sono stati brutalmente silurati. Dopo che la povera Erin Callan (il CFO) tenne un estenuante incontro con giornalisti ed investitori cercando di chiarificare la situazione economica dell'istituto e di rassicurare il mercato, il valore del titolo perse quasi il 25% in 2 giorni. Ciò che sembra non aver convinto il mercato e l'annuncio che la Callan fece di aver venduto 130 miliardi di titoli riportando una perdita complessiva di 2,8 miliardi.

Le perdite sono sembrate troppo contenute conoscendo il valore effettivo di troppa cartaccia svalutata (essenzialmente securities di vario genere) che ancora rimane nascosta nei bilanci delle banche. Ciò ha generato la convinzione che siano stati venduti i gioielli di famiglia. I titoli di qualità più alta che la Lehman possedeva e che ormai nei libri contabili sia rimasta solo robaccia. La Callan è stata rimpiazzata dal suo vice, rendendo l'avvicendamento più cosmetico che altro. Nel week end si tenuta inoltre, una riunione straordinaria tra i vertici della banca, fa sapere la CNBC, in vista della presentazione di lunedì in cui l'istituto comunicherà i risultati del secondo quarto. L'appuntamento sarà di importanza vitale per la Lehman e la CNBC lascia intendere che in molti speculano su un possibile annuncio di vendita della banca ad una sua più solida collega.

Vedremo.

Un altro CEO ad essere silurato è stato quello dell'AIG. Una delle famose Monoline, le emettitrici di swap la cui funzione era assicurare tutta una vasta gamma di securities. A seguito dei pessimi risultati riportati dall'azienda negli ultimi due quarti la sua sostituzione si è resa necessaria per tentare, quanto meno, di ripristinare un minimo di fiducia nel managment.

Chi segue il blog sa che in realtà c'è poco da ripristinare, le Monoline sono cotte, ma tutti questi siluramenti ai vertici preannunciano nuove turbolenze sui mercati. Sarà probabilmente un altra settimana densa di avvenimenti sui mercati finanziari.

Tornando ai prossimi rialzi dei tassi, il nemico sembra essere di nuovo la stagflazione (di cui ho gia discusso qui) . Una parola che non si sentiva pronunciare con terrore, dai lontani anni 70. Con quel termine ci si riferisce ad una congiuntura economica di stagnazione e di contemporaneo aumento dei prezzi. Una morsa terribile per la gente comune, che vede il suo potere di acquisto ridursi progressivamente senza avere nessuna prospettiva seria di miglioramento economico.

Il problema allora venne individuato nella piena occupazione (prevista dal ciclo economico di Keynes) che portava i lavoratori ad avere troppo potere contrattuale e a far si che il loro stipendi si adeguassero automaticamente all'inflazione. Ciò finiva col produrre una spirale inflazionistica, in cui i prezzi aumentavano, gli stipendi aumentavano di conseguenza e questo produceva un aumento ulteriore dei prezzi e così via. Si decise allora di combattere la piena occupazione e di distruggere il potere dei sindacati, per cercare di limitare il potere dei lavoratori e quindi l'inflazione. La precarietà (o flessibilità se preferite chiamarla così) nasce in quegli anni. Si può dire che la precarietà sia espressamente prevista dal ciclo economico attuale, quindi chiunque racconti in giro di volerla combattere o eliminare sta mentendo (a meno che non presenti una teoria su un ciclo economico differente, cosa che non mi pare abbia fatto nessun politico).

Stephan Roach è il capo del reparto asiatico della Morgan Stanley. Uno dei pochi economisti che da anni va in giro a predicare il pericolo insito nell'attuale sistema economico. Nel 2005 se non ricordo male coniò in una riunione davanti a pezzi grossi della finanza e della politica, il termine "armageddon finanziario", mettendo in guardia dal fatto che secondo le sue stime gli USA avevano circa il 10% di possibilità di evitare la catastrofe economica.

Ovviamente nessuno se lo fumò, anche se ad un ballarò ricordo Fassino (incredibile!!!) citare il termine usato da Roach (peccato che probabilmente quel termine sia tutto ciò che si è ricordato delle affermazioni di Roach).

Dalle pagine del Financial Times Roach parla della stagflazione e di come sia cambiato dagli anni 70 il fenomeno:

La paura di una stagflazione come quella degli anni 70 aleggia nuovamente. Il mercato globale dei bonds si fa sempre più nervoso nei confronti di questa possibilità, ed i banchieri centrali di Europa e Stati Uniti parlano sempre più spesso degli aumentati rischi di una crescente inflazione.

Eppure oggi i rischi di una stagflazione sono molto differenti da quella che scatenò la sua furia 35 anni fa. A differenza di quel periodo, gli stipendi, nelle economie avanzate si sono scollegati dall'andamento dei prezzi. Ciò ha eliminato completamente la caratteristica dell'adeguamento automatico (all'inflazione) che creò la spirale stipendi-prezzi, probabilmente l'aspetto più nefasto della "grande inflazione" degli anni 70. Oltretutto, come lo shoccante aumento della disoccupazione negli stati Uniti a Maggio suggerisce, una ridotta crescita economica nelle economie industriali probabilmente porterà ad un rallentamento nella domanda sul mercato del lavoro, esercitando un pressione ciclica al ribasso sugli stipendi nei prossimi 2 anni.

Esiste però una nuova minaccia che non era presente negli anni 70. Essa arriva dai paesi in via di sviluppo, specialmente in Asia, dove la pressione sui prezzi (al rialzo) sta sfuggendo ad ogni controllo. Per i paesi asiatici in via di sviluppo presi nell'insieme, l'indice dell'inflazione ha toccato il 7,5% in Aprile il valore massimo negli ultimi 9 anni e mezzo e più del doppio rispetto al 3,6% di un anno fa. Naturalmente una consistente parte dell'aumento è dovuta all'accelerazione del rialzo dei prezzi di cibo ed energia - componenti critiche nel budget familiare nei paesi in via di sviluppo, ma che alcuni analisti economici si ostinano a rimuovere per avere una misura più chiara dell'inflazione sottostante (è esattamente quello che fa la Fed con i dati della "core inflation", l'inflazione depurata del cibo e dell'energia ndr). Ma anche l'inflazione che resta dopo questa operazione, quella detta "core", è salita in Asia al 3,8% in Aprile, raddoppiando il tasso dell'anno prima assestatosi all'1,8%.

Dopo gli anni 70 in soldoni i lavoratori cominciarono a diventare sempre più precari e ad avere sempre meno potere contrattuale. Questo limitò il denaro a loro disposizione ed insieme ad una serie di altre misure contribuì a limitare l'aumento dell'inflazione. Contemporaneamente la globalizzazione avanzava, l'unione sovietica cadde e i paesi in via di sviluppo divennero una grandissima fonte di lavoro a basso costo. La combinazione precarietà e globalizzazione diminuì terribilmente il potere di acquisto dei lavoratori nel così detto primo mondo.I prodotti a basso costo prodotti in Cina ed in altri paesi asiatici diminuì il costo di numerose merci abbassando il tasso di inflazione e limitando l'impatto delle retribuzioni calanti.

I banchieri centrali esultarono inneggiando alla sconfitta dell'inflazione e cominciarono progressivamente a tagliare i tassi di interesse, rendendo più conveniente chiedere denaro in prestito e chiudendo tutti e due gli occhi davanti alle varie "innovazioni finanziarie" che le banche usarono per garantire prestiti a cani e porci. La gente specialmente nei paesi anglosassoni fu più che felice di indebitarsi per consumare come se non ci fosse domani.

Purtroppo, in realtà l'inflazione non era stata sconfitta, l'avevamo semplicemente esportata altrove. In Cina, in India e in tutti i paesi che utilizzavamo come fonte economica di manodopera. Ora l'espansione inflattiva sta facendo il suo corso, come previsto secondo il ciclo economico della scuola austriaca. Quello che Von Mises definì "crack up boom":

Il boom può durare solo finché il credito si espande a un tasso sempre più rapido. Il boom si interrompe quando ulteriori quantità di beni di fiducia smettono di essere immessi sul mercato dei prestiti. Ma esso non può comunque durare in eterno anche se l'inflazione e l'espansione del credito aumentassero costantemente. Ad un certo punto verrebbero raggiunte le barriere che impediscono l'espansione senza confini del credito circolante. Ciò porterebbe al "crack up boom" e alla distruzione dell'intero sistema monetario.

L'espansione del credito è costruita su fondamenta di sabbia, costituite dalle banconote e dai depositi. Essa dovrà collassare. Se l'espansione del credito non si ferma in tempo, il boom si trasformerà in un "crack up boom"; allora la fuga verso beni reali comincerà e l'intero sistema monetario si squaglierà. La continua inflazione finalmente terminerà con un "crack up boom" e la distruzione dell'intero sistema monetario.
Mises parla di gente che si rifugia in beni reali. Il continuo aumento delle materie prime è perfettamente in linea con questo scenario. Gran parte dei dollari creati dalla Fed e prelevati dai consumatori americani tramite i debiti contratti sono finiti nei paesi asiatici. Oltre ad aver contribuito allo sviluppo interno di questi paesi tutto questo denaro ha generato pesantissime spinte inflattive. Mentre l'Asia si industrializzava l'occidente invece smantellava fabbriche e industrie pesanti, concentrandosi sul settore finanziario o quelli a contenuti tecnologici più elevati.

Adesso siamo gioco forza dipendenti dall'oriente per i prodotti di uso comune . Ora che l'inflazione ha finalmente colpite quelle, zone l'inflazione che pensavamo di avere esportato e di cui credevamo esserci liberati ci sta tornando indietro senza che esista una maniera efficace per combatterla. Contemporaneamte c'è una fuga generale dai pezzi di carta di varia natura (azioni, bonds, securities) e un rifugiarsi in roba concreta come petrolio, metalli e cibo.

Una doppia morsa.

In questo scenario basterà alzare i tassi di interesse per limitare l'inflazione?

Essa nei paesi asiatici e senz'altro alimentata dal folle taglio operato ai tassi nell'ultimo anno dalla Fed. Tutti i paesi come la Cina che per esportare tengono la loro moneta ancorata al dollaro, sono costretti a comprare dollari (stampando yuan ad esempio) per sostenere il livello del cambio o abbassare anch'essi i tassi. Il tutto si traduce in inflazione che poi viene esportata in occidente. Un aumento dei tassi avrebbe di certo un suo impatto sul livello dei prezzi. Il problema è la montagna di denaro che è stata stampata a tasso sempre più accelerato dall'inizio degli anni 90.

Se essa continuerà a scaricarsi sulle materie prime aumentare i tassi avrà un limitato impatto. Se la Cina che detiene ingenti riserve monetarie in dollari accumulate negli ultimi 10 anni, comincia seriamente ad investirle in occidente o a usarle per aumentare gli stipendi dei lavoratori cinesi per adeguarli al costo della vita (rischiando di generare un spirale inflattiva simile a quella degli anni 70, che verrà poi scaricata sui consumatori finali occidentali) c'e' poco che potranno fare i banchieri centrali.

La verità e che nessuno sembra in grado di prevedere con certezza quello che può succedere in futuro e ancora meno sono quelli che sembrano capire la complessità della situazione mondiale. I banchieri centrali come Bernanke ragionano ancora come se i vari paesi, gli USA in questo caso, fossero entità isolate, un sistema chiuso (come ritenevano nei loro studi gli economisti neoclassici da Smith in avanti) e il resto del mondo un fattore poco rilevante, alle cui variazioni, ci si può adeguare tramite manovre di politica monetarie.

Insomma mentre i banchieri centrali sembrano vivere in un mondo che non esiste più, la maggior parte degli economisti si aggrappa alle teorie economiche di Friedman, continuando a ripetere stantii slogan, che sembrano non funzionare più nel mondo attuale.

Purtroppo finché non arriverà qualcuno in grado di spiegare in maniera convincente l'attuale realtà economica, non usciremo dal tunnel nel qualche ci siamo infilati con spensierato abbandono e corriamo seri rischi di finire tutto con un grande "crack up boom".