giovedì 30 ottobre 2008

Provaci ancora Ben

Come tutti avevano già dato per scontato oggi il vecchio Ben ha deciso di tagliare i tasso di interesse dello 0,5% portandolo all'1%. Venerdì la banca centrale Giapponese probabilmente taglierà il proprio tasso di interesse portandolo allo 0,25% dallo 0,5% attuale. Trinchet ha già detto che alla prossima riunione della BCE anche il tasso Europeo verrà abbassato ed in Inghilterra Charles Goodhart, membro fondatore del comitato per le politiche monetarie della banca centrale inglese, ha suggerito che potrebbe rivelarsi necessario portare il tasso di interesse allo 0% (da che esiste la banca centrale inglese, 1694, il tasso di interesse non è mai sceso sotto il 2%).

Si preannuncia una vera e propria orgia di tagli.

I paesi in via di sviluppo invece, nel tentativo di frenare la fuga di capitali i tassi li stanno alzando, come l'Ungheria che ha aumentato il tasso di interesse del 3% portandolo all'11,5% la scorsa settimana. Il paese dell'est Europa ha appena accettato un pacchetto di salvataggio da parte dell'FMI, con la collaborazione dell'Unione Europea e della Banca Mondiale per un ammontare complessivo di 20 miliardi di euro. l'Islanda ha portato il tasso di interesse al 18% aumentandolo di un modico 6% nottetempo. La manovra islandese viene descritta come inaspettata dalla maggior parte della stampa, ma corre voce che sia stato l'FMI ad obbligare l'isoletta del nord a questo improvviso aumento ottenendolo come contropartita del prestito da 2 miliardi di dollari da esso erogato.

Questa voce sta spaventando diversi paesi che potrebbero avere presto bisogno di prestiti da parte dell'FMI. La Turchia ad esempio, benché si trovi in una situazione economica sempre più precaria ha dichiarato di non aver bisogno di aiuti o di ingerenze esterne. Più o meno quello che diceva il Pakistan prima di essere costretto a capitolare e a rivolgersi a testa china al fondo monetario internazionale. Secondo la Germania il Pakistan deve ottenere un prestito entro la settimana se si vuole impedire che la situazione nel paese collassi.

Alla fine, tra una manovra e l'altra, l'FMI si è trovato ad aver impegnato più di un quarto dei 200 miliardi di dollari a sua disposizione aprendo un dibattito tra i paesi membri su come fare per rimpinguare la cassa del fondo. Gordon Brown, il primo ministro inglese ha dichiarato che devono essere gli stati che partecipano al fondo ad aprire il portafoglio. Sarkozy si è mostrato d'accordo ed i due, uniti, hanno tirato in ballo la Cina e gli stati del Golfo Persico invitandoli a partecipare impegnando più soldi.

Intorno a questo problema sta girando anche un altra e più preoccupante idea. Viene definita "opzione nucleare". In sostanza l'FMI potrebbe decidere di mettersi semplicemente a stampare denaro, trasformandosi in una sorta di banca centrale mondiale. Ad esempio l'FMI stesso ha il potere di emettere delle obbligazioni con rating AAA e recuperare così capitali sul mercato. Anche se questa opzione non è mai stata adottata in passato la gravità della situazione attuale potrebbe richiedere un eccezione.

Oggi intanto è stata annunciata dal Fondo Monetario Internazionale, la creazione dell'ennesima facility, l'SLF (Short-Term Liquidity Facility), il cui compito sarà quello di fornire prestiti a breve termine a paesi che possiedano un economia solida, ma che momentaneamente si ritrovino con dei problemi di liquidità. Il caso ad esempio della Corea del Sud e del Brasile. Ogni paese potrà ottenere prestiti per un importo pari a 500 volte la propria quota di partecipazione nell'FMI stesso.

La creazione dell'SLF sembra proprio rispondere alle paure di ingerenza che nutrono diversi stati. In sostanza l'FMI garantisce che chi si rivolgerà alla nuova facility non si vedrà avanzare richieste di adeguare la propria economia conformandola alle condizioni che normalmente il Fondo Monetario Internazionale impone, mentre nei confronti di quelle economie che il fondo ritiene abbiano bisogno di aggiustamenti strutturali esso adotterà le solite strategie: prestiti in cambio di riforme.

Anche la FED oggi è intervenuta sul mercato internazionale, istituendo delle swap line con la banca centrale Messicana, Brasiliana, Sud Coreana e di Singapore in modo che esse possano emettere direttamente dollari per un importo di 30 miliardi l'una e soddisfare la crescente domanda interna di valuta americana.

A tutti questi fattori che di certo hanno aumentato la liquidità complessiva nel sistema, si sono aggiunti gli interventi monetari delle banche centrali, prima fra tutte quella Giapponese che ha cercato di contenere il rialzo dello yen in ogni modo e, come rivela un articolo su Bloomberg, l'effetto ottenuto all'apertura della facility istituita dalla FED per l'acquisto di commercial paper (debito a breve termine emesso dalle aziende). Essa ha prodotto un aumento di 10 volte nella vendita di cp, portando l'ammontare venduto lunedì a 67,8 miliardi di dollari contro una media di 6,7 miliardi della settimana prima. Questo ha ridato un po' di fiato alle aziende, anche se per ora l'unico vero compratore rimane la FED.

La risposta delle borse a questa serie di interventi è stata un euforica cavalcata al rialzo che ha spinto diversi analisti a dichiarare che finalmente sia stato raggiunto il fondo. Ora il mercato può cominciare la sua trionfale risalita, raccontano.

Francamente non capisco di che fondo stiano parlando. Anche senza considerare tutti gli interventi a sostegno della borsa, solo un numero come quello fatto dalla Porsche con la Volskwagen è in grado di produrre un rialzo artificiale dei listini. Ho passato una mattinata a chiedermi cosa stesse succedendo al dax (l'indice tedesco) che potesse giustificare un suo aumento percentuale in doppia cifra mentre il resto dei listini Europei ondeggiavano tra il 2% e il 3%. Poi si è scoperto che la Porsche aveva accumulato segretamente quote della VW arrivando ad aumentare la sua partecipazione fino al 75%. La notizia ha gettato nel totale scompiglio diversi Hedge Funds che avevano shortato (scommesso al ribasso) il titolo Volskwagen, puntando sul fatto che le aziende automobilistiche sono tra le più colpite dalla crisi attuale, come dimostrano gli orrendi dati di vendita. La manovra della Porsche ha prodotto il rafforzamento del titolo Volskwagen e questo ha costretto gli Hedge Funds, in un ondata di panico, a comperare improvvisamente ed in massa azioni VW per coprire le loro shorts (short covering), ma dato che il 75% delle azioni era in mano alla Porsche e un altro 2o% di proprietà dello stato della Bassa Sassonia, rimaneva solo poco più del 5% di azioni disponibile sul mercato.

Il risultato è stato un aumento, negli ultimi due giorni, del titolo VW di un 80% al giorno, facendolo passare da 210 euro a più di 1000 euro.

Una bella trappola fatta scattare nei confronti degli Hedge Funds probabilmente con l'approvazione del governo tedesco che non ha mai nutrito grande amore per quelli che definì un branco di locuste. In un altro paese sarebbe stato illegale per un azienda accumulare tutte quelle quote in segreto senza dover lanciare un opa, in Germania invece è tutto perfettamente legale. Il dax che per un quarto dipende dal titolo VW è letteralmente volato.

Si dice che molti fondi, la stessa Goldman, la Morgan Stanley e la Societe Generale siano usciti massacrati da questa scommessa e si siano gettati poi sul mercato americano a comperare per rifarsi delle perdite, scatenando ulteriori short covering. Ovviamente gli ultimi rialzi non dipendono unicamente da questo avvenimento, ma quello che è accaduto con l'operazione intorno alla VW è un ottima dimostrazione del clima di volatilità che si respira in borsa.

Anche ad un analisi superficiale mi pare evidente che non esistano elementi strutturali in grado di giustificare il ritornello degli analisti sul fatto che saremmo arrivati al fondo. Durante l'ultima recessione seguita allo scoppio della new economy Wall Street perse metà del suo valore. All'epoca i consumi della popolazione non si ridussero in maniera significativa. Attualmente la crisi non si è limitata a colpire il comparto finanziario: è l'intera popolazione ad essere costretta a ripagare i suoi debiti e a ridurre drasticamente i consumi. Wall Street, ha per ora perso solo il 40% dall'ultimo picco, troppo poco perché sia credibile l'uscita dal tunnel. Per quella occorreranno anni se tutto va bene e se i governanti e i banchieri centrali la smetteranno con certe trovate.

Un taglio dei tassi americani all'1% lo abbiamo già visto tutti, così come un tasso di interesse giapponese prossimo allo 0%. L'ultima volta ci hanno regalato la bolla immobiliare ed il carry trade. Questa volta non si scorgono bolle in giro da gonfiare a parte quella sui buoni del tesoro americani ed aspettate che scoppi quella, poi si che ci sarà da ridire. Con un deficit che il prossimo anno supererà i 2 trilioni di dollari il tesoro americano dovrà fare i salti mortali per non dichiarare bancarotta. Secondo Bloomberg il tesoro sta pensando di re-introdurre i buoni a scadenza triennale e di vendere più bot a lungo termine per sopperire alla necessità di finanziamento.

Pagare debiti facendo ancora più debiti non ha mai funzionato granché, per cui probabilmente gli Stati Uniti cercheranno di diminuire l'entità dei loro debiti svalutando il dollaro.

Un film già visto.

Non credo che gli attuali tagli ai tassi produrranno effetti sostanziali se non qualche breve rialzo dei listini. Non riusciranno a re-inflazionare il mercato creando altre bolle, perchè non è rimasto più nessuno su cui basarle. Il massimo che gli USA potranno fare sarà cercare di monetizzare il debito, distruggendo lentamente nel processo la loro l'economia. C'è chi, come gli analisti politici di Europe 2020, prevede che nell'estate del 2009 gli USA smetteranno semplicemente di ripagare il proprio debito. Francamente ne dubito. Resto dell'idea che monetizzeranno, il risultato finale dell'operazione è lo stesso, ma richiede più tempo raggiungerlo.

Non illudetevi quindi. Questo ultimo valzer di interventi riuscirà solo a peggiorare ulteriormente la situazione. Tagliare i tassi in questa maniera equivale a cercare di curare un alcolizzato fornendogli altro alcool.

La solita sceneggiatura che si ripete, con il solito finale. Alla lunga o moriremo o ci dovremo disintossicare.

Riguardo ai rialzi degli indici di borsa: se ne riparla tra 2-3 settimane.

lunedì 27 ottobre 2008

Effetto Domino

La mappa qua sopra, presa dal Financial Times, illustra in maniera efficace e simpatica la situazione delle economie dei vari stati Europei. L'Italia non è messa per nulla bene, ma ha scatenare i veri problemi saranno probabilmente altri paesi.

Negli ultimi post ho accennato alla situazione di vari stati in giro per il mondo. Quella che si sta verificando è una serie di problemi di natura monetaria su scala globale. Dato che è improvvisamente giunta per molti l'ora di pagare i propri debiti, primi tra tutti gli hedge funds, c'è una grande richiesta di valuta internazionale.

Le monete più richieste sono lo yen e il dollaro.

Nel primo caso, la causa è l'inversione del carry trade, quella pratica per cui si prendeva a prestito denaro in Giappone dove il tasso di interesse era arrivato ad essere prossimo allo zero per poi investirlo in paesi che promettevano alti rendimenti. Si lucrava ovviamente sulla differenza tra il tasso di interesse e l'alto rendimento degli investimenti fatti. Il crollo dell'economia ed il rafforzarsi dello yen stanno costringendo tutti quelli che si erano gettati sul carry trade a ripagare il loro debiti, e dato che erano debiti contratti in yen improvvisamente la domanda della valuta giapponese è cresciuta enormemente. Questo ha rafforzato ulteriormente lo yen constringendo altra gente a ripagare precipitosamente i propri debiti (ogni rafforzamento dello yen rende più costosi i debiti contratti).

Il risultato per il Giappone è devastante.

Il paese del Sol Levante ha un economia largamente basata sulle esportazioni. La recessione globale sta producendo un drastico calo della domanda internazionale ed a questo si va ad aggiungere il progressivo rafforzamento dello yen. Ovviamente ciò è molto male per tutte quelle aziende che di esportazioni vivono, come ad esempio la Sony. Un altro problema è che le banche Giapponesi che venivano ritenute tra le più solide al mondo potrebbero aver bisogno di un aumento generalizzato di capitale a causa delle numerose partecipazioni che hanno in diverse aziende. Queste partecipazioni azionarie venivano conteggiate ai fini dei requisiti minimi di capitale. Se il valore delle azioni cala improvvisamente le banche si ritrovano sotto capitalizzate e nella necessità di trovare denaro da qualche parte. La Mitsubishi UFJ ha aperto le danze emettendo azioni per l'ammontare di 10,7 miliardi di dollari. Con tutta probabilità altre presto ne seguiranno l'esempio.

Se il futuro non è certo roseo per il Giappone, paragonato a quel che sta succedendo nel resto del pianeta la situazione del paese del Sol Levante è robetta.

Il buon vecchio e solare (ironia) Ambrose Evans-Pritchard sul Telegraph fa un buon riassunto della situazione Europea e di un problema a cui accenai in un vecchio post: l'esposizione delle banche Europee nei confronti di paesi traballanti.

Un caso emblematico è quello Austriaco. L'esposizione delle bance austriache nei confronti dei paesi emergenti è pari all'85% del PIL del paese. I paesi nei confronti dei quali l'Austria si trova maggiormente esposta sono quelli dell'Europa dell'est Ucraina, Ungheria e Serbia. Chi segue questo blog sa benissimo come sia la situazione in questi paesi. L'Ucraina ha appena ricevuto un prestito da 16,5 miliardi di dollari dall'FMI altrimenti sarebbe pressoché fallita. L'Ungheria ha ricevuto anch'essa assistenza dall'FMI. I dettagli non sono chiari ma secondo analisti della JP Morgan l'Ungheria potrebbe accedere a prestiti fino a 12 miliardi di dollari che uniti alle attuali riserve monetarie del paese e alla swap line che la BCE ha instituito qualche giorno fa dovrebbero essere sufficienti a sostenere il paese.

Estonia e Lituania sono messe meglio, ma di poco.

Ovviamente una delle fondamentali ragioni per la quale questi paesi dell'est vanno salvati e che anche solo il fallimento di uno di essi potrebbe avere delle ripercussioni abbastanza gravi da mettere in discussione la sopravvivenza economica delle banche austriache. Dall'Austria poi i danni si diffonderebbero a tutti quei paesi Europei esposti nei suoi confronti. Il più classico degli effetti domino.

Quella fu una delle ragioni per cui l'islanda venne salvata. L'FMI concesse al paese nordico 2,1 miliardi in prestito. Anche il tesoro inglese sta studiando un modo per allungare dei prestiti all'Islanda in maniera tale che essa, possa finalmente scongelare i conti correnti di tutti quegli inglesi che avevano dei depositi nella banche islandesi, banche che furono nazionalizzate per impedirne il fallimento.

Oggi però la principale banca islandese, la Kaupthig, attualmente sotto controllo statale, ha dichiarato default su una partita di samurai bond, cioè bond denominati in yen (indovinate che succede a questi bond quando lo yen come sta facendo ora sale?). Visto che è lo stato islandese ormai a garantire il sistema bancario questo default è molto preoccupante e mette a rischio il pagamento dei 26,6 miliardi di dollari di bond in totale che il sistema bancario dell'isoletta del nord dovrebbe onorare in futuro. Le perdite che potrebbe provocare l'intera l'islanda ammontano secondo Pritchard a 74 miliardi di dollari di cui 22 se li sarebbe già ingoiati la Germania.

Naturalmente chiunque abbia comprato dei bond dall'islanda ora ha un grosso problema per le mani.

Un altra paese Europeo nei guai è la Spagna. Le banche spagnole sono terribilmente esposte nei confronti dell'america latina. In totale hanno concesso prestiti per l'ammontare di 316 miliardi di dollari circa il doppio dell'esposizione dell'intero sistema bancario statunitense. Se un qualche grande paese del sud america fallisse ci ritroveremmo direttamente costretti a salvare la Spagna.

La situazione in america latina ricorda da vicino quella dei paesi dell'est. Stretti nella morsa di debiti contratti in mercati internazionali, di capitali che abbandonano il paese e di debiti da ripagare in un dollaro che si fa sempre più forte a causa del deleveraging in atto, molti si sono ritrovati chiusi in un angolo.

L'Argentina è di nuovo ad un passo dal fallimento. Qualche giorno fa nazionalizzò i fondi pensione privati per un ammontare di 30 miliardi. Alcuni dicono che l'abbia fatto per proteggere le pensioni della gente dalle perdite incassate a seguito dei tracolli dei listini. In realtà quei 30 miliardi sono soldi di cui lo stato aveva una necessità spaventosa per restare in piedi e che gli garantiscono un minimo di respiro, ma anche con essi la situazione è migliorata di poco.

Il Brasile si trova nella stessa situazione della Corea del sud. Entrambi i paesi hanno un economia relativamente sana, ma la difficoltà di accesso al dollaro li sta strangolando. La Corea del Sud oggi ha tagliato il tasso di interesse dello 0,75%, un livello record. Nonostante tutto la borsa di Seoul ha chiuso con un misero +0,82%. Anche in questo caso l'FMI si dice pronto ad intervenire per concedere a Brasile e Corea del Sud dei presiti in dollari in modo da soddisfare la crescente richiesta di valuta Statunitense.

La situazione di questi ultimi due paesi esemplifica bene quello che accade in diverse parti del mondo. Molti paesi sulla carta avrebbero un economia sana, ed un surplus nella bilancia commerciale oltre ad aver accumulato ingenti riserve di valuta estera, in particolar modo di dollari. Si pensava che questi fattori sarebbero stati sufficienti per affrontare eventuali problemi economici, nonstante l'indebitamento in valuta estera contratto delle banche di queste nazioni.

Ogni illusione è crollata negli ultimi tempi.

La fuga di capitali, il crollo dell'export e l'indebolimento delle rispettive monete si è rivelato troppo anche per le riserve monetarie che i paesi avevano accumulato. La tabella sotto presa dall'economist riporta la situazione di alcuni dei paesi maggiormente in difficoltà.



Quello che balza subito all'occhio è il tracollo che le valute di paesi come la Corea del Sud, il Brasile e l'Ungheria hanno avuto rispetto al dollaro. Questo ha reso costosissimo comperare dollari per ripagare i debiti internazionali contratti da banche ed aziende.

Anche il Messico è in grossi guai. Il prezzo del petrolio di cui è grande esportatore è crollato, la sua moneta ha perso il 25% del suo valore e la disoccupazione è in aumento dato che la crescita è precipitata dal 4% all'1%.

Il Pakistan è al collasso e sta cercando di assicurarsi anche lui un prestito dall'FMI. La moneta Turca ha perso il 27% del suo valore contro il dollaro ed anche in Turchia si stanno verificando gli eventi che hanno infettato il resto dei paesi emergenti. La situazione Russa si aggrava ogni giorno che passa e i cds che prezzano la possibilità di fallimento del paese entro 5 anni hanno superato i 1000 punti un livello che indica un forte stress anche se siamo ben lontani dal recordo negativo dell'Ucraina, 2800 punti.

La cosa paradossale è che dal dover garantire banche e aziende, stiamo passando al dover garantire interi stati dato che il rischio sistemico del fallimento di uno stato non è meno pericoloso rispetto a quello di una banca. L'effetto domino anche solo del crollo di stati piccoli come Ucraina e Islanda potrebbe essere troppo da sopportare nella situazione attuale.

Questa settimana probabilmente prevarrà il deleveraging sui mercati internazionali e gli avvenimenti ci daranno qualche indicazione più chiara su quanto sia pericolosa la situazione dei paesi emergenti.

Pritchard e altri intanto, ci mettono in guardia, indicando in una crisi monetaria diffusa il vero problema attuale, crisi capace di produrre il fallimento di diverse nazioni e lo scatenarsi di un effetto domino in grado di contagiare l'intera economia mondiale.

Come se non avessimo già abbastanza problemi.

venerdì 24 ottobre 2008

Deleveraging

Questo è uno di quei post insensatamente lunghi che ogni tanto scrivo e che alcuni miei amici odiano tanto. Avevo anche pensato di dividerlo in due separati post, ma ciò avrebbe interrotto il filo del discorso e alla fine ci ho rinunciato.

Siete quindi avvisati: scappate fin che siete in tempo o mettetevi comodi.

Nei commenti all'ultimo post che ho pubblicato Giovanni si chiedeva quanto fosse giusto un intervento statale in materia economica e se il tentativo di impedire il progressivo deleveraging del sistema, cioè una riduzione complessiva del debito, che gli stati stanno promuovendo non andasse nella direzione corretta.

Il dibattito su quanto sia necessario un intervento dello stato e come esso eventualmente si debba configurare in una situazione come quella attuale è annoso e ricorda da vicino certe disquisizioni filosofiche su chi sia esistito per primo se l'uovo o la gallina.

Quelli che vengono definiti Keynesiani ovviamente sono a favore di un diffuso intervento da parte statale. Questo articolo scritto da Paul McCulley, la persona che coniò il termine Minsky moment, rappresenta bene il punto di vista di certi Keynesiani. McCulley reputa obsolete certe logiche di aiuto statale come tagli fiscali o stimoli economici sotto forma, ad esempio, dell'assegno da 600 dollari fatto recapitare a casa di ogni cittadino americano durante la prima metà di quest'anno nella speranza che quel denaro sarebbe poi stato usato per consumare.

Con grande disappunto dei legislatori Statunitensi i cittadini invece utilizzarono il suddetto assegno per ripagare parte dei debiti che avevano contratto.

Secondo McCulley il deleveraging non sarebbe un processo di per se dannoso, se venisse intrapreso da singole aziende o da semplici individui. Quando però l'intero sistema: cioè aziende, banche, fondi di investimento ecc cercano di ridurre il loro leverage allo stesso tempo quella che rischia di crollare è l'intera baracca. Per impedire che questo si verifichi, McCulley afferma sia necessario un intervento della banca centrale attraverso un abbassamento del tasso di interesse che renda disponibile tutta la liquidità necessaria e contemporaneamente un intervento governativo che si traduca nell'acquisito di tutti quegli asset che aziende, fondi e simili svendono nel tentativo di recuperare denaro e diminuire la propria esposizione.

L'acquisto degli asset da parte dello stato, finirebbe col fornire un supporto al valore di questi assets (dato che esisterebbe un compratore di ultima istanza) impedendone una eccessiva svalutazione e bloccando all'origine quella spirale di vendite che il panico scatenato da un prezzo progressivamente calante potrebbe innescare.

Questa in soldoni è la stessa logica che sta dietro la creazione del TARP, il fondo da 700 miliardi che Paulson ha costretto (e se non pensate che il parlamento americano sia stato "costretto" guardatevi questo) il congresso americano ad approvare e che in origine avrebbe dovuto acquistare titoli andati a male dalle banche per ricapitalizzarle.

All'altro estremo ci sono i seguaci della scuola Austriaca di economia che si rifanno alle teorie di Mises e di Rothbard tanto per citare i due rappresentanti più illustri. Secondo la teoria Austriaca ogni intervento statale rappresenta un alterazione del mercato ed è di per se distruttivo, quindi la cosa migliore da fare in una situazione come quella odierna è stare a guardare e lasciare che il mercato corregga se stesso. Un articolo di sul sito del Mises Istitute riassume bene questa visione.

In sostanza Shostak dice che anni di interferenza sul mercato da parte della FED e della sua politica di tassi bassi hanno impoverito la base dei risparmiatori, finanziando invece una serie di bolle basate sui debiti. Non facendo nulla la FED ed il governo consentirebbero a chi ha soldi di prestarli ad un tasso di interesse alto che rifletta in maniera più realistica il rischio attuale del sistema (il rischio che questi prestiti non vengano restituiti). Questo consentirebbe una progressiva ricostruzione del risparmio (dato che con tassi alti risparmiare diventerebbe conveniente) e col tempo questo risparmio si tradurrebbe in denaro rimesso in circolazione sotto forma di prestiti. Ovviamente tutto questo renderebbe sconveniente un economia basata sulle bolle e sulle piramidi finanziarie e produrrebbe il fallimento di diverse aziende, istituti e banche che su queste bolle hanno campato. Un prezzo alto, ma inevitabile da pagare.

Nel mezzo, tra le idee di McCulley e gli Austriaci, si trovano le più svariate posizioni, ma che potremmo riassumere con la visione di Roubini. Salviamo il salvabile del sistema bancario e facciamo i Keynesiani, ma nei confronti della popolazione non delle aziende decotte e dei fondi di investimento, investendo pesantemente in opere di interesse pubblico e tramite sgravi fiscali.

La mia personale posizione si potrebbe riassumere con: "Intanto salviamo il salvabile".

La prima cosa da dire è che il deleveraging che ci piaccia o no è in atto.

Un caso che ha suscitato scalpore è stato quello di Kirk Kerkorian un miliardario che aveva investito pesantemente nel titolo della Ford. La crisi economica ha colpito duramente il settore dell'auto ed ha prodotto perdite pari a due terzi dei 995 miliardi di dollari che Kerkorian aveva investito. Anche gli altri due principali titoli posseduti dal miliardario, MGM e Delta Petroleum sono stati colpiti dalla crisi. In totale le azioni che possedeva sono passate da un valore di 16,6 miliardi alla miseria di 3,1 miliardi di dollari. Trovatosi alle corde a causa di una serie di margin call da parte delle banche, Krekorian ha dovuto vendere buona parte delle azioni Ford in suo possesso e ha minacciato di liberarsi delle rimanenti gettando lo scompiglio tra i dirigenti della casa automobilistica che stanno ora valutando la possibilità di liberarsi della partecipazione Ford nella Mazda.

Più in generale però, è l'intero settore degli Hedge Fund in settembre ad aver riportato un livello di perdite record secondo l'Eurekahedge Hedge Fund Index. L'arrestarsi del mercato del credito, unito al vertiginoso aumento del ritiro dei soldi dati in gestione ai fondi da parte degli investitori e al blocco delle short (che ha distrutto alcune delle più normali strategie d'investimento) avrebbero prodotto una perdita media del 4,7%, il maggior calo mensile da quando l'indice fu creato nel 2000. Le perdite e il ritiro degli investimenti hanno costretto molti di questi fondi a vendere i loro assets e ad accumulare denaro liquido per poter mantenere i propri impegni.

Questo accumulo di denaro si è tradotto in una vera corsa al dollaro. Non solo i fondi, ma anche aziende e banche si sono unite alla caccia al biglietto verde, dato che si erano indebitate tutte sul mercato internazionale (quindi principalmente in dollari). Questo ha prodotto un pressione spropositata sulle banche centrali e sulle swap line aperte con la FED americana. Le swap line permettono alle banche centrali di alcuni paesi, come Europa e Giappone di emettere direttamente dollari in un quantitativo limitato. Data l'enorme domanda delle ultime settimane ogni limite è stato rimosso. Le banche centrali di Europa, Giappone, Svizzera e Inghilterra possono emettere tutti i dollari che ritengo necessari.

Il problema sorge per tutte quelle nazioni che non hanno swap line attive con la FED come Bred Setser mette in evidenza sul suo blog. Il caso della Corea del sud è emblematico. Anche se dopo la crisi "delle piccole tigri" del 97, i governi dell'area asiatica si ripromisero di non diventare mai più dipendenti dagli investimenti esteri, che così come erano arrivati altrettanto velocemente potevano andarsene lasciandosi dietro solo macerie, le banche coreane non si sono dimostrate altrettanto risolute. Si sono indebitate pesantemente in dollari. Non avendo la banca centrale coreana swap line con la FED, tutto quello che può fare per soddisfare la crescente domanda di dollari è usare la sua moneta per comprarli sul mercato o utilizzare direttamente quelli che ha accumulato come riserva.

Il risultato è un progressivo indebolimento del Won coreano, che spinge gli investitori ad abbandonarlo per lidi più sicuri aggravando ancora di più la situazione.

Come la Corea anche altri paesi si ritrovano con un bisogno disperato di valuta estera. L'Ungheria ha un grande bisogno di euro. L'Ucraina sia di dollari che di euro. La Russia di dollari, così come il Pakistan che non essendo riuscito ad elemosinare un prestito dai cinesi si è dovuto rivolgere all'FMI e cosa molto preoccupante la Svizzera ha un grande bisogno di euro tanto che la BCE ha dovuto allestire un apposita swap line.

Questa corsa alle principali valute internazionali ed in particolar modo al dollaro è dovuta al massiccio deleveraging in atto nel sistema.

Tutti si trovano costretti a pagare i loro debiti e tutti hanno bisogno di valuta americana.

I soggetti che scommisero in un indebolimento progressivo del dollaro nei confronti delle altre valute utilizzando strumenti derivati, stanno incassando pesanti perdite ed anche queste perdite, ironia della sorte, dovranno essere ripagate in dollari. I più invischiati in questo problema sono i paesi sud Americani in particolar modo il Brasile e il Messico.

Di fronte all'enorme pressione esercitata da questo fenomeno c'è poco da fare. E' naturale che prima o poi il debito vada pagato.

La proposta di McCulley è un assurdità. Usare lo stato per comperare roba andata a male a dei prezzi fuori mercato non servirebbe a granché, anche se di certo farebbe comodo alla PIMCO (l'azienda di McCulley) che è esposta nei confronti di certi strumenti. Qualunque fondo, come il TARP, messo in piedi a questo scopo verrebbe letteralmente assaltato da bande di disperati ansiosi di liberarsi di cartaccia senza valore ed esaurirebbe le sue risorse in breve tempo. Gli investitori non si metterebbero di certo a comperare ed a vendere certa roba solo perché all'improvviso e comparso un compratore di ultima istanza. Anche se il governo comprasse ad 80 degli assets che nella realtà valgono 10 il mercato, non dimenticherebbe d'un tratto quale sia il loro vero valore. Nessuno si sognerebbe di comprarli ad 80, mentre tutti quelli che ne sono in possesso cercherebbero di scaricarli sulle spalle del governo.

Shostak ha senz'altro ragione a dire che la responsabilità principale per la crisi attuale ricade sulla FED e sulla sua politica dei tassi bassi e sono completamente d'accordo anche con la definizione che fece Mises di crack up boom:

Il boom può durare solo finché il credito si espande a un tasso sempre più rapido. Il boom si interrompe quando ulteriori quantità di beni di fiducia smettono di essere immessi sul mercato dei prestiti. Ma esso non può comunque durare in eterno anche se l'inflazione e l'espansione del credito aumentassero costantemente. Ad un certo punto verrebbero raggiunte le barriere che impediscono l'espansione senza confini del credito circolante. Ciò porterebbe al "crack up boom" e alla distruzione dell'intero sistema monetario.

L'espansione del credito è costruita su fondamenta di sabbia, costituite dalle banconote e dai depositi. Essa dovrà collassare. Se l'espansione del credito non si ferma in tempo, il boom si trasformerà in un "crack up boom"; allora la fuga verso beni reali comincerà e l'intero sistema monetario si squaglierà. La continua inflazione finalmente terminerà con un "crack up boom" e la distruzione dell'intero sistema monetario.

Quella che ci troviamo ad affrontare a causa delle attuali manovre della FED e dei vari governi è la concreta possibilità di un crack up boom. Per non voler accettare una correzione naturale del mercato stiamo rischiando l'esplosione del sistema. L'unico vantaggio di un crack up boom rispetto ad una depressione è che ti ammazza più lentamente.

Non sono completamente d'accordo con gli austriaci quando dicono che lo stato dovrebbe tenersi sempre e comunque fuori dal mercato e che in una situazione come quella attuale dovrebbe stare ai margini a guardare mentre riguardo alla posizione di Roubini mi verrebbe invece da dire: tanti buoni propositi, ma con che soldi di grazia?

La cosa più straordinaria però è che banchieri centrali e i governi stanno facendo praticamente tutto.

Di sicuro sono lontani anni luce dalla posizione Austriaca e non potrebbe essere altrimenti del resto, dato che essa non prevederebbe neppure l'esistenza di un banca centrale tanto per cominciare. Non stanno però adottando nemmeno la via di Roubini o quella di Culley.

Le stanno adottando entrambe!

Stanno cercando di salvare tutti e tutto a cominciare da Wall Street. Hanno ricapitalizzato le banche nella maniera peggiore possibile, senza eliminare il managment od ottenere garanzie di qualche tipo sull'uso che esso avrebbe fatto del denaro elargito. Hanno dovuto aumentare i tetti della garanzia sui depositi bancari quando non li hanno garantiti per intero. Poi dato che le banche non fidandosi più una dell'altra avevano smesso di prestarsi denaro hanno dovuto garantire i prestiti interbancari. Poi i Money Market Fund hanno cominciato a perdere fondi perché la gente ritirava il denaro depositato per investirlo in buoni del tesoro o semplicemente per depositarlo in banca dove era protetto dalla garanzia statale. A quel punto lo stato ha deciso di garantire anche i depositi dei Money Market Fund. Poi ha garantito i depositi bancari delle aziende. Poi, dato che la commercial paper (debito a breve termine delle aziende) rimaneva fuori dagli strumenti garantiti ed essa è fondamentale per il funzionamento del mercato, il governo americano ha deciso di acquistarla direttamente.

La prossima gamba a traballare saranno i "corporate bond", le obbligazioni delle aziende. Ovviamente esse non sono (ancora) garantite e come avrete già capito la gente le sta abbandonando per investire in strumenti garantiti dallo stato. Il rendimento dei corporate bond sta salendo alle stelle e per le aziende sarà sempre più difficile e costoso finanziarsi sul mercato. Un articolo di bloomberg di qualche giorno fa titolava: "Prezzo da Armageddon fallisce nell'attirare compratori nel mezzo di pesanti vendite". Il titolo si commenta da solo. Sotto potete vedere come sia schizzato in alto il rendimento che i bond emessi dalle aziende devono promettere agli acquirenti.



Che si fa? Garantiamo pure le obbligazioni o ci mettiamo a comprarle direttamente come abbiamo fatto con la commercial paper?

Ogni intervento lascia scoperta una parte che viene immediatamente abbandonata da gente ormai incapace di fidarsi e credere nel sistema ed ogni volta lo stato deve intervenire per garantire anche quella parte. Gli stati a partire dagli USA stanno diventando l'intero sistema ed il rischio di tutto il debito irripagabile si sta scaricando su di essi.

E come se non bastasse il sostegno all'intero sistema finanziario, contemporaneamente si pensa di adottare anche politiche Keynesiane più classiche come quelle proposte da Roubini. Bernanke in questi ultimi giorni ha cominciato a parlare di stimoli sotto forma di sgravi fiscali e di facilitazioni nell'accesso al credito da parte dei cittadini. Ha lamentato che le spese in infrastrutture avrebbero un effetto a breve termine pressoché insignificante sull'economia, dando ad intendere che non esistono seri progetti in quel senso. Al capo della FED si è poi unita Sheila Bair, capo dell'FDIC, che davanti al comitato bancario del senato ha dichiarato che è allo studio insieme all'amministrazione bush, un piano per un sistema di garanzia dei prestiti che preveda da parte del governo l'impegno ad accollarsi una fetta del rischio. Secondo la Bair tale sistema dovrebbe stabilire degli standard per la modifica dei prestiti erogati dalle banche. La garanzia statale dovrebbe invogliare le banche medesime ad applicare queste modifiche, rendendo i prestiti esistenti più economici e quindi più facilmente ripagabili.

In definitiva però, tutto questo rischio non scomparirebbe, si trasferirebbe semplicemente. Se tutto è traballante e pretendi di garantire tutto prima o poi, tu stato, dovrai incassare delle perdite. Se le perdite diventano troppo ingenti le alternative non restano che due. Farla finita e dichiarare la bancarotta o come è più probabile succeda, dire semplicemente: "abbiamo scherzato! La garanzia statale da oggi non vale più."

A quel punto una liquidazione frenetica del debito ed un Minsky moment non te lo leva nessuno. La differenza rispetto anche ai peggiori scenari attuali è che gli stati in quel caso si ritroverebbero ad aver consumato gran parte delle loro risorse nel tentativo di garantire tutti e tutto e rischierebbero di non averne più a sufficienza per salvare il salvabile.

Il deleveraging come già detto è inevitabile. Sta già succedendo. Roubini che dopo il rilassarsi del mercato del credito ed il lento sgonfiarsi di indicatori come il Libor ed il TED, aveva allentato un po' il suo pessimismo è tornato a parlare di possibile rischio sistemico a causa di una vera e propria corsa agli Hedge Funds da parte degli investitori. Come precedentemente detto, il ritiro di denaro dai fondi sta progressivamente accelerando in velocità, costringendo questi ultimi a vendere assets per soddisfare tutte le richieste che giungono loro. Se questo processo non si arresta, Roubini reputa possibile l'intero blocco dei mercati per una o due settimane.

Già un paio di settimane fa durante l'ondata di vendite in borsa l'ipotesi aveva cominciato a circolare e fu annunciata ad alta voce da Silvio Berlusconi che affermò di averla discussa assieme agli altri capi di governo (quando c'è da dire o fare una cazzata nel momento sbagliato possiamo sempre contare sul nostro presidente del consiglio).

In questa situazione gettare denaro nel sistema non serve. Intanto non c'è più gente in grado di ingoiarselo dato che sono tutti troppo indebitati e secondo come scrissi nell'ultimo post, più denaro crei e più ti avvicini al punto in cui il debito generato in questa maniera non produce più crescita economica. Si tratta di quelle "barriere che impediscono l'espansione senza confini del credito circolante" di cui Mises parla nella sua definizione di crack up boom.

Bisogna arrendersi all'evidenza. Il sistema è saltato ed è necessario che gli assurdi squilibri che ha generato in questi anni vengano corretti. I valori dei beni follemente inflazionati devono tornare in linea con la realtà e tutti quelli che hanno investito male devono essere lasciati fallire, non possiamo salvare tutto e tutti. Lo stato può intervenire cercando di salvare il salvabile, occupandosi ad esempio di nazionalizzare quella parte del sistema bancario indispensabile al mantenimento della struttura economica. Nazionalizzare significa cacciare via tutto il managment, azzerare il valore di tutte le azioni e lasciar a bocca asciutta anche gli obbligazionisti. Al massimo si potrebbero convertire le obbligazioni in nuove azioni, fermo restando che la quota di maggioranza resti in mano allo stato.

Fatto ciò, lo stato può farsi i conti in tasca e nel caso ne avesse le risorse pensare di stimolare l'economia con interventi diretti come sgravi fiscali o spesa pubblica.

Il punto di partenza di tutto però deve essere il ripristino della verità.

Bisogna fare chiarezza sui bilanci delle banche e delle aziende. Nessuno si fida più del sistema, perché nessuno è in grado di sapere chi sia di fatto fallito e chi invece sia in salute. Anna Schwartz che insieme a Friedman scrisse quella che dallo stesso Bernanke viene considerata la Bibbia sulla grande depressione (un libro intitolato "A Monetary History of the United States") ha affermato precisamente questo.

Dal Wall Street Journal:

"La FED" lei dice "si è comportata come se il problema fosse una mancanza di liquidità". Quello non è il problema fondamentale. Il problema fondamentale per i mercati è l'incertezza che i bilanci degli istituti finanziari siano credibili."

Mrs Schwarz fa poi il paragone tra la situazione odierna e la grande depressione, affermando che all'epoca le banche fossero relativamente in buona salute e che sarebbero soppravissute se fosse intervenuta la banca centrale fornendo la liquidità necessaria a sostenerle durante la fase dei ritiri frenetici dei depositi da parte della gente. Oggi invece le banche non sono in buona salute, hanno dei crateri nei bilanci e continuare a fornire loro linee di credito non serve a risolvere il vero problema.

Insomma è il discorso che molta gente compreso il sottoscritto fa dall'inizio di questa crisi: esiste un grave problema di insolvenza e non di liquidità.

La signora Schwarz continua affermando che le aziende e le banche vanno lasciate fallire e che non si può finire col restare ostaggi di quella sempre più spesso evocata minaccia chiamata:"rischio sistemico". L'economista 92 enne infine, chiude il suo discorso con una stoccata personale a Bernanke, rievocando quello che l'attuale capo della FED disse nel 2002 durante un discorso tenuto in onore del novantesimo compleanno di Milton Friedman:
"Vorrei dire a Milton e ad Anna: riguardo la Grande Depressione. Avete ragione voi, è stata colpa nostra. Ci dispiace molto. Ma grazie a voi, non lo rifaremo di nuovo."
E per non ricascarci cosa hanno pensato bene di fare Bernanke e gli stati?

Ovviamente tutto il contrario di quello che sarebbe necessario.

Europa e Canada si sono unite agli Stati Uniti nel "rilassare" le regole di bilancio in modo di non applicare il mark to market, andando quindi entrambe in direzione completamente opposta a quella della chiarezza. Un classico "uccidere il messaggero perché non ci piace il messaggio".

Per quel che riguarda la liquidità tutti danno per scontato che alla prossima riunione del 28-29 Ottobre, la FED taglierà il tasso di interesse all'1% e secondo un articolo di Bloomberg se anche ciò non dovesse migliorare la situazione, nel 2009 Bernanke, tanto per non smentire il suo sopranome (Helicopter Ben) potrebbe portare il tasso di interesse ad un valore prossimo allo 0%. Nel caso poi che fosse necessario un ulteriore stimolo all'economia - dice Adam Polse direttore del Peterson Institute for International Economics e co-autore assieme a Bernanke - la FED potrebbe sempre comperare direttamente i buoni del tesoro americano per tenerne bassi rendimenti.

Come dire che il governo USA comincerebbe a far girare le presse a tutto spiano e senza bisogno di finanziamenti dall'estero si autofinanzierebbe nella stessa maniera che adottò la repubblica di Weimar e più recentemente lo Zimbawe: stampando direttamente tutta la moneta necessaria.

Questa è la cosa che più si avvicina a una ricetta per l'Armageddon.

I casini attuali sono stati creati dal non aver voluto accettare una correzione nel 2001 quando scoppiò la bolla della New Economy, ed aver invece cercato di sostenere il sistema re-inflazionandolo follemente grazie un tasso portato ad un minimo dell'1%.

E adesso Ben ci viene a raccontare che la soluzione sarebbe riportare il tasso di interesse allo stesso valore di allora, magari minacciando addirittura lo zirp (zero interest rate point) e di stampare dollari in quantità pressoché illimitata???

Questo è un suicidio puro e semplice. Non può funzionare. Non ha mai funzionato.

Pregate che non funzioni.

Perchè se anche funzionasse, potrebbe al massimo rimandare la resa dei conti di 3-4 anni creando nel frattempo una bolla ancora più grande di quella appena scoppiata.

Uno dei principali ostacoli alla linea che sta adottando Helicopter Ben è il prossimo crollo di Bretton Woods 2.

Bretton Woods 2 è l'informale nome che venne dato al quel sistema basato sul riciclo da parte della Cina dei dollari ottenuti in cambio delle proprie merci, con l'acquisto di debito pubblico americano. In questo modo la Cina finanziava ulteriormente i consumi dei cittadini statunitensi, consumi che in gran parte si riversavano nuovamente su merci cinesi, fornendo altri dollari alla Cina con cui acquistare debito pubblico americano e cosi via.

Alla fine dei giochi gli USA si sono ritrovati ad aver bisogno di più di 2,5 miliardi di dollari al giorno di finanziamenti dall'estero per restare in piedi. Come disse Herbert Stein, famoso economista: "ciò che non puo durare, non durerà". Secondo Bred Setser il momento del crollo di Bretton Woods 2 è ormai prossimo e non come Setser stesso ed altri economisti pensavano a causa di una crescente preoccupazione cinese nei confronti dell'aumentare del debito pubblico americano.

Quello che sta venendo meno piuttosto è un adeguato ritorno per gli investimenti operati dai Cinesi sul territorio statunitense. Gran parte del ritorno economico la Cina lo traeva dagli acquisti che i consumatori americani facevano delle merci prodotte dalle aziende cinesi. Questi continui acquisti garantivano l'espansione dell'economia cinese e finanziavano la modernizzazione del paese.

A causa del congelamento del mercato del credito, dell'alto indebitamento delle famiglie e della diffidenza che hanno le banche nei confronti di chiunque chieda loro un prestito, si è rotto quel meccanismo che trasformava i soldi ottenuti tramite la vendita dei buoni del tesoro in credito individuale concesso ai cittadini americani. Quello stesso credito che li metteva in grado di consumare quasi compulsivamente le merci prodotte dalla Cina.

Con la rottura di questo processo di trasformazione, il ritorno in termini economici degli investimenti cinesi in debito pubblico americano si sta riducendo progressivamente ed arriverà il punto in cui esso perderà completamente qualunque convenienza. Sarà la fine di ciò che Setser ha sempre definito il "quiet bailout" (il salvataggio silenzioso) che i cinesi hanno operato nei confronti dell'economia USA.

La conseguenza ovvia è che il tesoro americano per finanziarsi e sostenere la sua demente pretesa di garantire tutto quanto, dovrà promettere rendimenti sempre più alti sul proprio debito.

Dovranno aumentare per forza i rendimenti sui buoni del tesoro a breve o a lungo termine.

Nel primo caso il rischio è quello di un inversione dei rendimenti in cui finanziarsi a breve termine divenga più costoso che finanziarsi a lungo termine facendo saltare la funzione principale delle banche che dovrebbe essere proprio quella di finanziarsi a breve per investire a lungo termine.

Nel secondo caso si finirebbe col distruggere quel po' che rimane del mercato immobiliare dato che l'importo delle rate dei mutui viene agganciato ai rendimenti dei buoni del tesoro di relativa durata, facendo così fallire i disperati tentativi di Bernanke e Paulson fatti per sostenere il valore degli immobili. (Nessuno può obbligare una banca a concedere un mutuo. Se il rendimento dei buoni del tesoro a 10 anni è del 5% la banca per un mutuo di uguale durata chiederà ad esempio un interesse del 6% perché altrimenti tanto varebbe per lei comprare direttamente i buoni stessi che almeno sono garantiti dallo stato).

In entrambi i casi le strategie di Ben si frantumerebbero miseramente.

Per impedire l'aumentare dei rendimenti sui buoni del tesoro, come disse Adam Polse, la FED può sempre decidere di stampare dollari e usarli per comprare direttamente buoni del tesoro. Ben e Polse possono anche andare in giro a dire che un operazione del genere avrebbe un effetto neutro sull'economia, ma in realtà sarebbe lo stesso giochino del TARP.

L'effetto sarebbe neutro se ad ogni dollaro usato per comperare un buono del tesoro corrispondesse un dollaro di controvalore, ma se invece il valore dei buoni del tesoro fosse ad esempio pari a 50 centesimi per ogni dollaro che la fed spende per i suddetti buoni, quei 50 centesimi di differenza messi in circolazione dalla FED sarebbero pura e semplice inflazione.

Questa strada porta direttamente al crack up boom e alla completa distruzione del dollaro, nel qual caso come dice sempre un mio amico: "spero abbiate un astronave parcheggiata in garage".

Dobbiamo rassegnarci al deleveraging in atto e alla sequenza di fallimenti che produrrà. L'alternativa è mille volte peggiore. Una crisi economica per quanto dura, si può anche sopportare fin tanto che il prezzo da pagare è ripartito ugualmente su tutti quanti, sono le ingiustificate differenze ad essere intollerabili.

Un crack up boom invece aprirebbe scenari molto peggiori.

Come Yves Smith sul suo blog va ripetendo da tempo, gli Stati Uniti sono ormai una Repubblica delle banane con la sola differenza che hanno il dollaro e le testate nucleari.

Ma se anche il dollaro grazie alle manovre di Ben & Co dovesse crollare cosa resterebbe agli USA?

martedì 21 ottobre 2008

Alla fine della strada

Inanzi tutto se ancora non lo avete fatto andate a vedervi l'ultima puntata di report. Essa ripercorre le origini della crisi economica attuale e riesce in un oretta a riassumere tutto quello che bisognerebbe sapere e capire sugli avvenimenti attuali. Se avete dei dubbi sul casino finanziario in cui ci troviamo e su come ci siamo arrivati è imperativo che vi guardiate quest'episodio di report.

L'unico appunto che mi viene da fare a Gabanelli e colleghi è che sarebbe stato carino se un episodio del genere lo avessero fatto un paio di anni fa.

Un altra fatto che mi ha dato una certa soddisfazione è stato vedere in apertura di puntata un lungo preambolo sul prezzo del petrolio, in cui hanno spiegato a grandi linee come funziona il mercato dei future e come si forma il prezzo a barile. Ho trascorso mesi sgolandomi, nel mio piccolo, nel tentativo di spiegare come quella petrolifera fosse l'ennesima bolla e fosse sostenuta dalle banche, che dopo essersi ritrovate piene di perdite hanno scaricato tutto il denaro che la fed forniva loro con le varie facility per speculare sui future e far pagare a noi tramite gli aumenti del prezzi del petrolio il loro fallimento.

La spinta del sistema era chiaramente deflazionaria, ma la speculazione sulle materie prime creava un inflazione artificiale, inflazione che non poteva che sgonfiarsi quando lo spettro della recessione fosse diventato evidente a tutti, come dimostra il crollo verticale del prezzo negli ultimi mesi. Eppure questa banale realtà sembrava non essere chiara a molti. Da un lato i peak-oilisti dicevano che era colpa del peak oil che ci stava per uccidere tutti, dall'altro esimi economisti come Paul Krugman, che ha appena vinto un nobel ed i banchieri centrali, sembravano non capire come cavolo funzionasse il mercato dei future e continuavano a parlare di domanda e offerta mentre i consumi continuavano a calare.

Detto questo veniamo all'argomento di questo articolo.

Alcuni post fa parlai di come ad un certo punto si arrivi in una situazione in cui l'indebitamento del sistema diventa troppo elevato e non esista più nessun soggetto abbastanza grande o numeroso con le garanzie necessarie per andare in banca, farsi concedere dei prestiti e creare così denaro sufficiente per sostenere il sistema.

Qualche giorno fa ho scoperto una situazione del genere venne chiamata da Paul McCulley, quello che nel 1998 era a capo della PIMCO, un Minsky moment in onore di Hyman Minsky un economista che a quanto pare riusciva ad essere più pessimista di me. La prima crisi in cui fu usato il termine Minsky moment fu quella Russa del 98.

Quello che molti dicono si stia cercando di evitare a tutti i costi è proprio che si verifichi un Minsky Moment, cioè una terribile spirale di liquidazione del debito unità ad una incapacità di generare credito a sufficienza per espandere l'economia.

Ora, tanto per cambiare, parliamo di Stati Uniti. Chi segue il blog riconoscerà il grafico riportato sotto, dato che lo pubblicai già questa estate.


Il grafico come molti capiranno bene mostra l'andamento del rapporto tra debito totale e il PIL degli Stati Uniti. Con debito totale non si intende debito pubblico bensì la somma del debito pubblico, del debito delle aziende e del debito delle famiglie. Quella cifra divisa il PIL ci da un indicatore di quando debito sia necessario a generare un unità di prodotto interno lordo. Ci vogliono quasi 4 dollari di debito per generarne uno di "ricchezza" (per come la ricchezza viene misurata attualmente).

La cosa è arci nota e viene generalmente accettata con una scrollata di spalle da parte degli economisti.

"E' cosi che funziona il mondo" si dice.

Purtroppo quello che il grafico sopra mette in luce è che il mondo non può funzionare così a lungo.

Una delle prime cose che balzano agli occhi è il picco mostruoso toccato dal rapporto debito totale/PIL intorno al 1933. Come si nota, anche dopo il crollo del 29 la curva ha continuato a salire per alcuni anni. Come sanno i visitatori del blog che hanno letto il post in 3 parti The Story so far, durante la crisi del 29 i debiti venivano liquidati o cancellati molto rapidamente a causa della spirale deflazionaria che si venne a creare in seguito al tracollo dei mercati. Anche se i debiti scomparivano in fretta il calo del PIL avveniva ad una velocità ancora maggiore. Il risultato finale fu che il rapporto debito/PIL restò in costante aumento durante gli anni della crisi fino al picco del 1933.

La grande depressione è un classico esempio di Minsky Moment. Il debito era cresciuto troppo rispetto al PIL e ad un certo punto il sistema scoppiò quando le banche smisero di erogare nuovi prestiti a gente già indebitata fino al collo ed anzi iniziarono a chiedere il saldo dei debiti esistenti.

Nel 1933 il picco venne toccato intorno ad un rapporto debito totale/PIL di 270% mentre alla primavera di quest'anno gli USA avevano un rapporto di 350%. Il giappone durante la crisi del 1990, che diede vita al "decennio perso" (che dura da 18 anni), di economia stagante, arrivò a toccare il picco del 250%, ma come dissi più volte, le famiglie Giapponesi avevano un alto livello di risparmio che permette presumibilmente di ritenere che l'entità del debito giapponese fosse inferiore in termini reali e quindi il rapporto fosse piu basso.

Gli americani invece hanno un tasso di risparmio negativo.

Possiamo quindi direttamente spararci e farla finita in maniera pulita?

In realtà quel 350% di rapporto debito totale/PIL è una cifra inferiore, come disse in un intervista su Financial Sense Barry Bannister, dato che buona parte del debito esistente a causa di tutti i giri che gli ha fatto fare la finanza è stato contato due volte. Viene generalmente ritenuto che il valore attuale sia dalle parti di quello toccato nel 33. Non certo un idea rassicurante, ma sempre meglio che un 350%.

Il rapporto debito/PIL come indicatore macroeconomico, rivela che storicamente la curva non può crescere all'infinito. Dopo il 33 si verificò il collasso quando il debito cominciò a sparire più velocemente di quanto il PIL riuscisse a calare. Anche se in quegli anni le aziende che al picco della curva avevano smesso di indebitarsi, per necessità, cercarono di invertire l'andamento non trovarono nessuno disposto a prestrargli denaro.

Ci volle la seconda guerra mondiale perché la tendenza si invertisse, tra alti e bassi e finisse per assestarsi all'incirca alla fine degli anni 70, quando saltarono, sotto Nixon, gli accordi di Bretton Woods. Fino ad allora il dollaro, moneta di riferimento mondiale era garantita dall'oro che gli americani dicevano di custodire nei loro forzieri. Quando si scoprì che l'oro a garanzia non esisteva il sistema saltò e la moneta divenne un semplice pezzo di carta senza supporto reale. Si nota bene come da quel punto in avanti il rapporto non fa che salire per poi bloccarsi nei primi anni 90 in seguito ai vari fallimenti bancari dovuti alla crisi delle Saving & Loans americane.

Dalla seconda metà degli anni 90 in avanti la crescita è vertiginosa e la cosa come si vede dal grafico è continuata fino a Marzo del 2008. Quelli sono gli anni in cui abbiamo avuto due mostruose bolle in successione: la new economy e la bolla immobiliare.

Quello che stanno di fatto cercando di impedire Bernanke, Paulson e metà dei governanti del pianeta è che quella curva segua l'andamento degli anni 30, cioè evitare che essa cali in maniera precipitosa. I modi per ottenere questo risultato in teoria sarebbero due. Aumentare ancora di più il debito (ricordate sempre che debito e denaro sono la stessa cosa) o diminuire il PIL. Ovviamente la seconda opzione è completamente insensata. Non gli resta altra strada che aumentare il debito, quindi il denaro in circolazione, nel tentativo di tenere in piedi il sistema. Dato che ormai sono in pochi a potere ottenere denaro dalle banche indebitandosi, il governo stesso e la FED hanno dovuto aumentare i soldi in circolazione indebitando lo stato.

Il limite del gioco che stanno conducendo Ben e soci diventa più chiaro osservando un grafico che di fatto è simmetrico di quello precedente.


Il grafico indica la diminuzione del ritorno in termine di PIL di ogni dollaro di debito.

I conti ad occhio sono differenti rispetto all'altro grafico, in esso eravamo a 3,5-4 dollari di debito per 1 di PIL in questo siamo a 5 dollari di debito per 1 di PIL. Senza stare troppo a disquisire su quale dei due riporti i numeri corretti quello che mi interessa è far notare l'andamento.

Ogni dollaro di debito creato produce progressivamente sempre meno in termini di PIL. La parità gli Stati Uniti la persero alla fine degli anni 60. Quando superi la parità, quindi un dollaro di debito comincia a produrre ad esempio 90 centesimi di PIL, stai smettendo di finanziare la crescita attraverso un debito e stai cominciando a finanziare un debito con altro debito.

Nel 1971 gli USA dichiararono fallimento. Non avevano oro nei loro forzieri a garanzia della loro moneta ed avevano sempre bisogno di maggiore moneta, cioè di maggiore debito per finanziare il loro PIL. Finché c'era l'oro come base monetaria era difficile per gli Stati Uniti stampare moneta in libertà dato che avrebbero dovuto allo stesso tempo aumentare le loro riserve auree e l'oro ancora non si stampa e non si crea dal nulla.

Quello che l'ultimo grafico mette in luce è che l'andamento è stato costantemente in discesa. Più il tempo passa e meno ogni dollaro di debito rende in termini di PIL, fino al livello attuale in cui ogni dollaro rende solo il 20%. Continuando così nel 2015 si arriverebbe all'orizzonte degli eventi, il punto in cui ogni dollaro di debito produrrebbe 0 in termini di PIL. Oltre quel punto si trova un gigantesco buco nero in cui ad ogni dollaro di debito conseguirebbe una diminuzione del PIL.

Questo spiega anche perchè hedge fund e compagnia, avevano bisogno di invischiarsi in effetti leva di 30x per avere degli alti ritorni, ritorni che normalmente il sistema non era in grado di produrre.

Il limite di Ben e soci è li. L'orizzonte degli eventi. Più denaro e più debito getteranno alla crisi attuale e più vicino si farà l'orizzonte degli eventi. Una volta arrivati a quel punto è finita. Anche creare debito aggiuntivo non servirebbe a nulla perché non produrrebbe nessuna crescita. L'unica cosa da fare è cancellare il debito ed esso si cancella ripagandolo o facendo fallire chi non può ripagarlo. Non ci sono altri modi.

Anche comprendendo il desiderio di evitare un Minsky moment, cioè una liquidazione frenetica del debito come avvenne negli anni 30, non si può pretendere di salvare e sostenere tutti a forza di denaro gettato al sistema, perchè agire così serve solo a peggiorare la situazione. Bisogna lasciare che fallisca chi se lo merita e che il relativo debito venga cancellato.

Non c'è altra via d'uscita.

L'unica cosa che si può provare a fare è cercare di ridurre il debito nella maniera meno traumatica.

Invece ancora una volta si preferisce rimandare e sperare che la gestione della crisi divenga il problema di qualcun altro in futuro. Il quantitativo di denaro impegnato da FED e Tesoro americano nel tentativo di sostenere l'economia è terrificante. Il New York Times ha riassunto tutti gli interventi in un unico diagramma. Anche se non son tutti soldi materialmente sborsati, si tratta comunque di denaro che gli USA si sono impegnati a impiegare.

Ogni intervento di questo genere non fa che anticipare il momento in cui i debiti serviranno solo a pagare se stessi senza arrivare a generare crescita economica. Quello che ci attende alla fine della strada che il mondo sembra aver deciso di percorrere è il collasso del sistema. L'alternativa è un rallentamento doloroso, con aumento di disoccupazione, riduzione del superfluo, ricostruzione del risparmio e abbandono dell'idea che investire in borsa possa offrire dei ritorni irrealistici.

Un alternativa estremamente antipatica, ma resta il minore dei due mali.

venerdì 17 ottobre 2008

Un po' di notizie sparse


Il primo ministro giapponese ieri mattina si è svegliato, ha dato un occhiata all'indice della borsa di Tokyo e di fronte alla linea del Nikkei che precipitava nel vuoto, ha deciso che era il caso di recuperare un microfono e comunicare al mondo intero che la colpa del cattivo andamento in borsa era da attribuire alle inadeguate misure adottate dal governo americano per combattere la crisi economica.

Secondo Taro Aso il piano da 700 miliardi di Paulson è una risposta insufficiente ai problemi del mercato e questo avrebbe finito con l'alimentare il clima di sfiducia presente tra gli operatori aggravando il crollo dei listini. Il New York Times dopo essersi fatto un po' di conti ha dovuto rivedere il costo totale del pacchetto di assistenza all'economia americana il quale sarebbe arrivato a toccare i 2,25 trilioni di dollari. Oltre ai 250 miliardi di dollari usati per ricapitalizzare le banche vanno aggiunti 1,5 miliardi per garantire il nuovo debito emesso dagli istituti e 500 miliardi per garantire i depositi delle aziende.

Il tutto senza contare tutti gli interventi della Federal Reserve: le 4 facility, il prestito per salvare l'AIG, quello per la Bear Sterns ecc.

Per quanto ingenerosa sia l'accusa del primo ministro giapponese evidentemente la cifra non è sufficiente. Barry Ritholtz, analista e commentatore economico, che fino a qualche giorno fa sul suo blog prevedeva alla fine dei giochi una spesa totale da parte del governo prossima ai 3 miliardi, ha dovuto rivedere le sue stime portandole tra i 4 e i 6 trilioni.

Il Libor oggi è sceso al 4,42% dal 4,5% di ieri ed il TED si è fortunatamente sgonfiato scendendo a 399 punti, ma contemporaneamente il Libor-OIS che viene usato come un indicatore della liquidità del mercato è salito leggermente. La situazione dal punto di vista del credito sebbene stia migliorando rimane ancora precaria. Un articolo su Reuters ci fa sapere che la scorsa settimana le banche hanno preso in prestito 437,53 miliardi al giorno dalla Federal Reserve, una cosa mai vista. Sono sempre di più gli analisti che si lamentano, facendo presente che fino quando la FED continuerà ad elargire tutta quella liquidità i vari istituti non avranno nessun incentivo che li spinga a prestarsi i soldi tra loro, facendo così ripartire il circuito interbancario.

La condizione generale sui mercati resta tesa. Le borse un giorno precipitano all'inferno e quello dopo risalgono timidamente. Gli ultimi dati sull'economia americana sono pessimi. La produzione industriale è crollata del'2,8%, il più ingente calo dal 1974. Quello però che preoccupa maggiormente è l'indice del Baltico che anche ieri ha perso il 10,7%. Nella cartina sotto si nota immediatamente il crollo traumatico che l'indice ha subito da questa estate in avanti


Se andate qui potete trovare tutta una serie di grafici comparativi sull'indice del baltico.

La ragione dell'accelerazione nel crollo verticale dell'indice secondo il Financial Times è da attribuire alla famosa questione delle lettere di credito. Dato che nessuna banca accetta più le lettere di credito emesse da altri istituti, gli spedizionieri si ritrovano senza i soldi necessari ad inviare le merci. Un altro articolo sempre sul Financial Times rivela che interi carichi di grano sono fermi nei porti americani, in attesa di essere acquistati da importatori che non riescono più ad ottenere lettere di credito con cui pagare. Se la situazione non si sblocca in fretta le conseguenze potrebbero diventare estremamente antipatiche.

Sempre il Financial Times dice che l'intera Europa dell'est è in bolletta. Dopo che sono stati congelati i conti correnti in una banca Russa di media grandezza, la Globex, che lo scorso mese si è vista ridurre i depositi del 13%, tutte le banche del paese si sono ritrovate assalite da gente intenzionata a ritirare i proprio soldi. Il governo russo ha messo a punto un piano da 200 miliardi di dollari in aiuti al sistema bancario nel tentativo di calmare la situazione. Anche Lettonia e l'Estonia sono entrate in recessione mentre la crescita in Kazakistan si è fermata quasi completamente a causa del diminuire del prezzo del petrolio di cui è grande esportatore. I cds sull'Ucraina hanno toccato nuovi vertici arrivando a 1900. Solo due giorni fa erano a 1596. Il paese è sull'orlo del fallimento e come nel caso dell'Ungheria, la cui moneta il fiorino ungherese sta agonizzando, sembra che potrebbe intervenire l'FMI tramite un prestito di 14 miliardi di dollari.

Nel frattempo pare che il fallimento delle banche islandesi potrebbe scatenare l'ennesimo casino sul mercato dei derivati. Questa volta il problema sono i cdo sintetici. I cdo (collateral debt obbligation) sono sostanzialmente debiti, in genere mutui, fatti a pezzettini e mischiati assieme ad altri pezzetti di debiti simili. Questi coriandoli di debiti venivano poi presi ed impacchettati in obbligazioni per essere venduti come investimento. Finché la gente, i cui mutui venivano re-impacchettati in questa maniera, continuava a pagare la propria rata i cdo garantivano dei rendimenti.

I cdo come ogni altra obbligazione potevano poi essere assicurati comperando dei cds (credit default swap). I cds sono delle vere e proprie assicurazioni finanziarie. Chi li compra normalmente si assicura per una certa cifra contro la possibilità che le obbligazioni che detiene non gli vengano pagate, cioè dall'eventualità che chi ha emesso quelle obbligazioni fallisca. L'assicurato pagherà un premio mensile all'assicuratore il cui importo dipenderà da quanto viene ritenuto probabile che questo fallimento si verifichi. Per questa loro caratteristica i cds vengono usati come barometro per stabilire la solidità di un soggetto economico (più costano i cds più un dato soggetto è a rischio di fallimento) e possono anche diventare un potente strumento di speculazione. Per ogni obbligazione in circolazione si stima esistano fino a 10 cds, dato che non è obbligatorio presentare fisicamente un obbligazione nel momento in cui si comprano dei cds. In sostanza fino a 9 persone usano questi strumenti per speculare invece che per assicurarsi. In aggiunta a ciò gli assicuratori, hanno emesso cds per delle cifre che non sono minimamente in grado di ripagare. Fino a che la bolla immobiliare si espandeva sembrava che nessuno potesse fallire, quindi perché preoccuparsi? Per queste ragioni i cds vengono considerati una vera e propria bomba ad orologeria.

Questi due tipi di derivati, cdo e cds presentano diversi problemi e sono alla base della crisi attuale. Intanto non sono regolati. Sono quelli che si definiscono otc (over the counter) cioè strumenti scambiati tra le singole parti al di fuori del mercato. Non si sa esattamente quanti ce ne siano (anche se esistono delle stime) o chi li abbia in mano. Un altro grande problema e che rendono complicatissimo stabilire chi si sta accollando per ultimo il rischio. Il rischio alla fin fine è quello che il debito non venga ripagato. Quando una persona va in banca a chiedere dei soldi in prestito, la banca crea il denaro necessario li per li. E' denaro nuovo che prima non esisteva. Contemporaneamente si crea un debito pari allo stesso importo più un certo interesse, che chi prende questo denaro dovrà ripagare.

Il rischio originario del sistema è tutto li.

E' il rischio che alla fine qualcuno non ripaghi quel debito nei confronti della banca e che essa perciò subisca un equivalente perdita.

Una volta era facile sapere che si accollava questo rischio. Erano le banche. Quando un governo doveva intervenire o voleva avere un idea del rischio generale del sistema bastava che si rivolgesse al sistema bancario.

Con i cdo il rischio è stato sparpagliato e rivenduto a degli investitori. Con i cds il rischio venne scaricato invece sugli assicuratori. Quando scoppiò la crisi dei subprime che erano solo l'anello più debole di tutta la catena folle del debito che ha alimentato l'ultima bolla speculativa, si scoprì che era quasi impossibile risalire al rischio. L'identità di chi stringeva tra le dita il cerino spento si poteva scoprire solo quando qualcuno falliva e si era costretti a ripercorrere l'intera catena di debiti rivenduti e assicurati. Diventava quindi difficile capire chi salvare o anche solo intervenire dato che il rischio era finito in mano a soggetti (fondi di investimento, banche di investimento ecc) nei confronti dei quali governo e banca centrale non avevano giurisdizione.

La cosa non era ancora abbastanza folle evidentemente, dato che un bel giorno qualcuno seduto dentro un ufficio di una banca propose con entusiasmo: "Che ne dite se prendiamo dei cds li spezzettiamo e li impacchettiamo sotto forma di cdo? I rendimenti di queste nuove obbligazioni verrebbero sostenuti da tutti quelli che pagano il premio assicurativo".

In un mondo normale a questo punto la neuro, in assetto da combattimento, avrebbe fatto irruzione nella suddetta banca e avrebbe trascinato via questo individuo, mentre esso dibattendosi disperatamente gridava: "Voi non capite! Si chiamano innovazioni finanziarie!"

In quello che era il mondo fino a poco tempo fa invece, l'idea fu ritenuta valida ed i cdo di cds vennero chiamati cdo sintetici. Pensate che cosa straordinaria. Io avrei potuto comprare dei cdo ritenendoli un buon investimento e per sicurezza avrei potuto assicurarli tramite dei cds. Poi con qualche soldo avanzato avrei potuto scegliere di comprare dei cdo sintetici come ulteriore investimento e diventare senza saperlo l'assicuratore di me stesso.

E c'è pure gente che è rimasta genuinamente sorpresa quando tutta questa baracca crollò lo scorso anno.

Secondo Bloomberg il fallimento delle banche islandesi, unito a quello della Lehman e della Washington Mutual rappresenterebbero un "sostanziale" rischio per chi detiene questi cdo sintetici. Quanto sostanziale non lo dice, anche perché come già detto, lo si può scoprire solo quando si arriva all'ultimo anello della catena, quello costretto ad aprire il portafoglio e a pagare, ma la situazione potrebbe rivelarsi estremamente seria.

Sempre a proposito di assicuratori le maggiori aziende del settore stanno lavorando ad un piano da presentare al tesoro americano per poter scaricare tutta una serie di asset nel famoso TARP. In sostanza stan cercando un modo per poter scaricare nel TARP i cdo che hanno assicurato in modo da poter cancellare i relativi cds (cds che tanto non sono realmente in grado di pagare). Dopo le finanziarie che elargivano prestiti per comperare automobili a destra e a manca (come la GMAC il braccio finanziario della GM che si dice sia prossima al fallimento) adesso pure gli assicuratori fanno la fila per poter scaricare spazzatura nel TARP. Mi chiedo quanto potrà durare il TARP una volta aperto prima di esaurire tutti i 450 miliardi a disposizione (250 li hanno usati per ricapitalizzare le banche).

Come se non bastassero gli assicuratori ancora in vita se pur moribondi, anche quelli morti da un po', come l'AIG, non la smettono di ciucciare denaro dal governo. All'inizio la FED nazionalizzò l'AIG al costo di 85 miliardi. Non bastarono. Poco tempo fa ha dovuto allungarle altri 38 miliardi. Adesso l'AIG, dopo aver consumato due terzi dei 122,8 miliardi ottenuti dalla
FED chiede di poter avere accesso anche alla facility messa in piedi da essa per comperare commercial paper.

Tutta questa fame di denaro da parte dell'AIG fa pensare che la situazione sul mercato dei cds a seguito dei vari fallimenti bancari sia tutt'altro che rosea, nel qual caso l'AIG stessa potrebbe rivelarsi un vero e proprio pozzo senza fondo dal costo imprecisato.

Warren Buffet oggi ha dichiarato che è venuto il momento acquistare azioni perché il loro prezzo sarebbe basso. Molti ironicamente, riferendosi all'investimento fatto da Buffet nella Goldman Sachs, ribattono che riuscendo ad ottenere i suoi stessi termini sarebbero ben felici di investire. La mossa di Buffet sembra un insolito (dato il personaggio) tentativo di ripristinare un po' di fiducia sul mercato. Di solito se è venuto veramente il momento di comprare non lo vai a gridare in giro. Se hai il denaro di Buffet (l'uomo più ricco del mondo) cerchi di investirlo il più silenziosamente possibile.

Se la fiducia degli operatore di borsa stenta a tornare anche quella dei consumatori cola a picco. L'indice che la misura si è assestato ad un misero 57,5 contro un valore di 65 che si aspettavano gli analisti. Il dato si riflette nell'inflazione in calo e nell'aumento delle attività commerciali e di vendita che chiudono i battenti scatenando il panico tra gli esportatori indiani.

Oggi le borse Europee sono risalite è si sono riviste foto con trader sorridenti sui quotidiani online. Wall street ha chiuso in negativo anche se di poco. Se lo schema degli ultimi giorni sarà rispettato anche le borse Europee e Asiatiche lunedì perderanno costringendo i giornali a rispolverare le foto di ieri.

Staremo a vedere.

mercoledì 15 ottobre 2008

No grazie!

L'acronimo TARP sta per "Troubled Asset Rescue Plan" e identifica il piano di 400 pagine ideato da quella mente eccelsa del ministro del tesoro americano Henry Paulson (Hank per gli amici). Attraverso il TARP il tesoro statunitense ha ottenuto il potere di istituire un fondo da 700 miliardi di dollari, fondo che in origine doveva essere utilizzato per comprare dalle banche, in modo da ricapitalizzarle, tutta una serie di titoli di cui sono imbottite e che hanno perso quasi completamente ogni valore. La bellezza del TARP però, sta in alcune righe del suo testo le quali dicono in sostanza che il buon Hank, è in grado di acquistare "ogni altro asset che il tesoro ritenga necessario per assicurare la stabilità economica".

Hank non ha certo atteso molto per mettersi ad utilizzarle questo assoluto potere che il congresso americano gli ha gentilmente concesso.

Ieri, come scrissi nell'articolo precedente, il tesoro USA ha "forzato" le 9 maggiori banche del paese ad ingoiarsi 125 miliardi di ricapitalizzazione (altri 125 saranno ripartiti tra banche minori). In cambio ha ottenuto delle preferred stock (azioni privilegiate) con un dividendo sopra del 5% per i primi 5 anni e di 9% per quelli successivi (se sarà ancora in possesso delle azioni ovviamente). Se considerate che il rendimento sulle preferred che Warren Buffet ottenne un paio di settimane fa per l'investimento che fece nella Goldman Sachs, fu del 10%, risulta chiaro l'affarone che le povere banche, ricapitalizzate controvoglia, hanno fatto.

Il tesoro ha giustificato questa mossa affermando che andando a risanare la situazione finanziaria dei 9 istituti li si metterebbe finalmente in condizione di tornare a prestare denaro in giro. In sostanza, Hank ha raccontato che i famosi 125 miliardi di rifinanziamento sarebbero poi stati presi dalle banche ed usati per garantire dei prestiti. I banchieri interpellati sulla cosa hanno sostanzialmente risposto: "con i soldi dei contribuenti ci facciamo un po' quel cavolo che ci pare". Al povero ministro del tesoro non è rimasto che ribattere: "e mica le si può costringere a prestarli quei soldi .... però sarebbe carino che lo facessero".

In sostanza sono stati regalati dei soldi alla stessa banda di gente che ha prodotto la crisi attuale senza imporre loro nessuna condizione, nessun blocco delle stock option e senza ovviamente ottenere nessun potere di voto da parte del governo, dato che le preferred non garantiscono questa possibilità. Tutto con la speranza che i suddetti omini comincino a prestarsi tra loro il denaro ricevuto, incuranti del terrificante livello del tasso interbancario ed in barba alla linea di credito sempre aperta che le banche che presiedono hanno a condizioni vantaggiose con la banca centrale.

Logico, no?

Ma ehi, poverini! Sono stati costretti ad accettarli quei soldi, per dare il buon esempio alle banche minori e per sfatare lo stigma della precarietà normalmente associato alle banche che chiedono aiuto al governo.

Guardate nella foto sotto come sono usciti amareggiati due dei poveri banchieri in questione dall'incontro con Hank Paulson.



Che musi lunghi. Non fanno quasi tenerezza?

La cosa fastidiosa in tutta questa manovra è che non c'è lo ha prescritto il medico di salvare alcuni dei maggiori responsabili del terribile casino in cui il mondo è precipitato. Questa è gente che dovrebbe marcire in galera, ma dato che una loro incriminazione tirerebbe in causa la SEC che ha passato 15 anni a girarsi i pollici senza mai intervenire seriamente, il governo che applaudiva e approvava ogni balzana trovata di questi banchieri, le agenzie di rating che partecipavano entusiaste alla bonanza dei titoli spazzatura certificandoli come oro e produrrebbe insomma l'incriminazione dell'intero sistema, questi personaggi vanno lasciati stare.

E facciamo pure finta che con un grande sforzo arrivassimo ad ingoiare questa antipatica realtà, spiegatemi in base a quale ragionamento li dovremmo lasciare sulle loro poltrone dorate, gli dovremmo regalare dei soldi e li dovremmo anche pregare gentilmente, se proprio gli avanza del tempo, di attivarsi per prestare in giro il denaro che gli elargiamo, in modo da sbloccare il mercato del credito che sta strangolando l'economia. La Svezia (lo so ci ritorno sempre) per risolvere una crisi analoga, nazionalizzò le banche, silurò tutto l'incapace managment, azzerò le azioni (ed i poveri dirigenti bancari poterono usare come carta igienica le loro stock option) e rimise in moto forzatamente la liquidità dato che essendo diventata la proprietaria diretta degli istituti non doveva chiedere favori a nessuno.

Che interesse dovrebbero avere queste banche a ricominciare a prestarsi il denaro?

Il tasso interbancario resta estremamente elevato, mentre c'è mamma banca centrale che a tassi bassi continua a concedere tutti i soldi necessari. Meglio prendersi i soldi dalla FED o chi per lei e prestarli direttamente senza passare tramite altre banche, tanto più che il tasso di interesse a cui le banche prestano soldi è legato al tasso interbancario. Se il Libor è al 4,6% ad esempio, le banche presteranno denaro al 6% agli utenti finali, anche se lo prendono in prestito all' 1,5% dalla banca centrale bypassando il sistema interbancario.

Il Telegraph afferma seccato che sarebbe bello se uno di questi banchieri miliardari si scomodasse quanto meno a chiedere scusa per il casino prodotto. Invece fan tutti finta di nulla e Greenspan primo artefice di questa crisi, se ne va in giro fischiettando con nonchalance quasi a dire "Io? Io sono passato per caso dalla Federal Reserve. Per 20 anni. Ogni giorno. E magari mi sarà scappato anche qualche ordine, ma che responsabilità volete che abbia mai se tutti mi chiamavano capo ed eseguivano?".

In ogni caso, vista la terribile rigorosità del tesoro nell'elargire soldi ai soggetti più pericolanti, si è già formata una lunga fila di questuanti fuori dai suoi uffici. Le compagnie finanziarie che si sono sempre occupate di fornire prestiti necessari per l'acquisto di autoveicoli stanno facendo pressione affinché il governo americano, tramite TARP si compri tutti i crediti inesigibili in loro possesso. Si giustificano dicendo che "la carta (debiti e derivati basati sui finanziamenti per acquistare automobili) sulle auto è indispensabile per la stabilità del mercato".

Come no!

Cos'altro poi? Tra un po' chiederanno al governo di comprarsi perfino partite invendute di formaggio.

....Scusate. Quello sta già succedendo. Indovinate un po' in quale paese?

L'Italia ovviamente.

Abbiamo concesso per anni finanziamenti a pioggia alle ditte che producono grana padano, finendo con l'incentivare così il sorgere di aziende casearie, aziende che sono spuntate come i funghi e tutte a produrre il celebre formaggio, attività ben più remunerativa che produrre ad esempio del semplice latte. Adesso si ritrovano tutte nel mezzo di una gravissima crisi dovuta ad un eccesso di produzione. L'enorme offerta esistente è riuscita a deprimere il prezzo del parmigiano, portando diverse aziende vicine alla bancarotta. I produttori se la prendono ovviamente con la cattiva grande distribuzione che non gli paga abbastanza la materia prima, salvo poi puntare il dito contro venditori senza scrupoli che vendono a prezzi bassissimi utilizzando addirittura ebay.

Se la grande distribuzione paga "sotto costo" il parmigiano forse è perché a quei prezzi ne trova quanto ne vuole da acquistare e ne trova così tanto in circolazione perché abbiamo incentivato in maniera insensata la sua produzione.

Non riusciamo a mangiarcelo tutto, questo parmigiano in Italia.

Non temete però. Anche se non vi piace il parmigiano o siete allergici al formaggio vi farà piacere sapere che il governo non si è mostrato insensibile alle grida disperate di aiuto lanciate dai produttori di grana e dietro pagamento di modici 50 milioni di euro siamo tutti diventanti comproprietari di 200000 mila forme. Tanto per non farlo sembrare un aiuto di stato troppo sfacciato il governo ha dichiarato che le forme verranno usate per scopi umanitari: le regaleremo agli indigenti e agli affamati che presumo ringrazieranno per la dieta equilibrata che gli stiamo offrendo.

Francamente che ci si metta a spendere dei soldi per mantenere dei produttori di grana che non dovrebbero esistere in primo luogo, nel bel mezzo della peggiore crisi economica dagli anni 30 mi pare semplicemente assurdo.

Intanto, mentre il nostro paese diventava il più grande proprietario di formaggio padano, l'OMX (la borsa islandese) riapriva i battenti dopo 3 giorni di blocco perdendo un 76% secco. Se continua così saremo costretti a paracadutare il cibo in Islanda direttamente dagli elicotteri. L'Islanda è il tragico esempio di uno stato che ha provato a mantenere in vita tutte le sue banche, mettendo in gioco la sua stessa esistenza. La sfortuna dell'Islanda è stata che le sue banche complessivamente avevano un esposizione pare a 12 volte il PIL dell'intero stato. Erano diventati dei mostri troppo grossi per essere salvati. Il disperato tentativo di farlo ha per ora prodotto il crollo della corona islandese, che la scorsa settimana nel giro di una notte ha perso due terzi del suo valore e l'annullamento dell'economia della piccola isola.

Quello che è successo in Islanda potrebbe succedere anche qua.

Gli stati Europei hanno le spalle più grandi dell'Islanda e per fortuna l'Unione ha una scudo che si chiama euro. Senza l'euro e l'Europa ho paura che l'Italia e diversi altri stati nostri vicini avrebbero già fatto la stessa fine della piccola Islanda. La moneta unica non è però uno scudo impenetrabile.

Durante la grande depressione il sistema finanziario e la borsa saltarono completamente. Il comparto produttivo rimase essenzialmente intatto anche se non produceva per mancanza di domanda. La deflazione allora in atto aveva risucchiato il denaro dall'economia reale lasciando la gente senza soldi in tasca per poter consumare. Quello che non venne sostanzialmente intaccato e che fece la differenza fu lo stato. Lo stato sotto la direzione di Roosevelt decise di adottare le politiche di Keynes e di arrivare a mettere, attraverso la spesa pubblica, del denaro in mano alla popolazione per poter rilanciare consumi e produzione.

Quello che stiamo facendo ora, non si riduce più alla scelta tra sostenere il branco di parassiti che hanno succhiato la linfa vitale al sistema con i loro schemi di ponzi o sostenere le aziende e il lavoro. Stiamo cercando di salvare tutto quanto e per farlo ci stiamo giocando la sopravvivenza degli stati stessi. Se questa scommessa rischiosa fallirà quando tutto ci crollerà in testa non sarà rimasto più niente e nessuno in grado di intervenire.

Nella situazione attuale non abbiamo una capacità produttiva intatta perché abbiamo pensato bene che fosse una furbata spostarla in altri paesi come Cina e India, lasciando che si occupassero loro della produzione mentre noi giocavamo ai piccoli geni della finanza. Se salteranno anche gli stati nel tentativo di salvare un castello di carte troppo grande per essere sostenuto, che cosa ci resterà dopo?

La situazione in giro per il mondo, non sembra essere particolarmente migliorata dopo gli interventi degli stati Europei.

L'indice del baltico che misura l'attività delle spedizioni via mare è crollato del 20% in due giorni, arrivando a perdere in totale l'80% dal livello massimo toccato in luglio. Secondo il Guardian questa caduta è dovuta alla riduzione della domanda di materie prime da parte della Cina e quindi a una caduta generale della produzione e dei consumi. E' probabile che centri qualcosa anche il fatto che le banche abbiano smesso di accettare le lettere di credito. Di certo i consumi sono calati ed anche i giornalai italiani segnalano con stupore sui propri quotidiani il ridursi dell'inflazione.

L'Ungheria ha sospeso ogni prestito in valuta straniera. Pessimo segnale che indica una fuga di capitali stranieri dal paese e l'impossibilità delle banche Ungheresi di coprirsi con delle swap, a causa delle turbolenze sul mercato del credito, dal rischio di fluttuazioni improvvisi dei cambi. Lo spread dei cds sull'Ucraina intanto è ulteriormente aumentato, raggiungendo quota 1596. In sostanza il fallimento del paese viene dato come sempre più probabile. Il mercato delle automobili in Europa è sceso di un altro 8.2% a Settembre. La FED ha annunciato che comprerà debito a breve termine delle aziende ad un 1,1 punti percentuali sotto il tasso di mercato, mettendo di fatto ogni altro compratore fuori gioco e assicurando secondo Robert Eisenbeis, un gestore di Hedge Fund, il blocco dell'intero mercato della commercial paper. La BCE ha deciso che fornirà denaro in cambio di junk, roba tossica che può arrivare fino ad un rating di BBB- (vera e propria cartastraccia), la Fortis ha perso in una sola giornata il 64% del suo valore, la borsa Brasiliana è stata sospesa anche oggi mentre gli altri listini del pianeta cadevano in picchiata e gli operatori che fino a ieri esultavano sulla scia degli ingenti rialzi, oggi sono tornati ad avere lo sguardo perso nel vuoto.

Per rassicurare tutti Bernanke oggi è tornato a parlare dichiarando che "le turbolenze sui mercati rappresentano un significante rischio per un economia americana in rallentamento".

Grazie Ben, per l'informazione.

I soliti sospetti, il Libor (il tasso interbancario) e il Ted (un indicatore della propensione delle banche a prestarsi denaro), pur scendendo sono rimasti su valori storicamente critici. Il Libor è calato assestandosi al 4,55% dal 4,82% toccato la scorsa settimana, ma se considerate che poco più di un mese fa era a 2,82% siam ben lontani da valori normali. A riprova che la situazione resta allarmante lo spread sul TED dopo aver oscillato tra il 4,09% e 4,30% ieri, oggi è risalito al 4,37%.

Incuranti dei disperati tentativi di Ben, Hank e dei paesi dell'Unione Europea di garantire l'intero pianeta gettando loro addosso montagne di denaro al grido di "Sgonfiatevi! Sgonfiatevi!" sia il Libor che il TED sembrano, per ora, aver risposto seccati:

No, Grazie!