giovedì 25 dicembre 2008

mercoledì 24 dicembre 2008

Auguri

Auguro Buon Natale e delle felici feste a tutti i lettori del blog. Cercate di divertirvi in questo periodo :).

Vi lascio con una canzone di Elvis Costello e Stephen Colbert.

Beggar thy neighbor

Una grande partita a "scommettiamo che?". Questo sembra essere diventato il susseguirsi degli interventi economici da parte degli stati.

L'ultimo rilancio lo ha fatto il Giappone annunciando l'intenzione di impiegare 227 miliardi di dollari a sostegno dei valori di borsa. Il governo Giapponese comprerà direttamente azioni di banche e altre entità rispolverando una legge approvata nel 2002.

Questo genere di interventi non ha mai portato grandi risultati. Uno dei principali problemi attuali è la mancanza di fiducia che avvolge il mercato. Una sfiducia che nasce dall'aver negato agli investitori, la possibilità di controllare un bilancio potendosi fidare dei dati riportati. Di poter conoscere con precisione chi è solvente e chi non lo è, di vedere puniti quelli che hanno investito in maniera errata e sconsiderata e premiato chi era stato prudente.

La funzione fondamentale del mercato è quella definita: "price discovery". Esso dovrebbe servire a fornire indicazioni precise sul valore di un determinato bene od azienda,valutazione che dovrebbe scaturire dalla somma delle operazioni che ogni singolo investitore compie con il proprio denaro ed in piena libertà. Quando un governo decide in maniera completamente arbitraria di comprare a destra e a manca dei titoli quotati in borsa, mina alla base questa funzione.

Il risultato è di alimentare ulteriormente il clima di sfiducia. Che senso ha mettersi a giocare una partita che si sa essere truccata fin dal principio?

Non contenta la Banca centrale Giapponese è intervenuta tagliando il tasso di interesse dall'0,3% allo 0,10%, cioè da quasi nulla a circa nulla. Un altro intervento puramente cosmetico a cui la borsa di Tokyo non sembra per ora aver prestato grande attenzione.

Forse per questa ragione diversi politici Giapponesi stanno premendo con forza perché vengano adottati interventi monetari volti a indebolire lo yen. Uno yen forte come quello degli ultimi tempi impatta pesantemente sulle esportazioni e la cosa non piace affatto al comparto industriale. Si dice ad esempio, che ogni volta che lo yen si rivaluta di un unità nei confronti di euro e dollaro questo costi 450 milioni di dollari alla Toyota e proprio quest'ultima, per la prima volta in 70 anni ha annunciato di aspettarsi una perdita operativa.

Raccogliendo l'appello dei parlamentari la banca centrale Giapponese ha deciso infine di adottare nuovamente misure di quantitative easing.

Non è però il paese del Sol levante l'unico a soffrire, l'intera economia del blocco asiatico si sta bloccando. Le esportazioni Giapponesi sono crollate del 27% a Novembre, quelle Tailandesi del 19% e la situazione in Cina non è certo migliore. Scrive Pritchard sul Telegraph:

"Pensiamo che la situazione sia estremamente seria" ha detto Stephen Jen, a capo delle operazioni valutarie alla Morgan Stanley. "Questi paesi, con un surplus delle esportazioni sono super-leveraged (super esposte ndr) nei confronti dell'occidente, ed ora stiamo vedendo un effetto moltiplicativo (al contrario), mentre il modello commerciale intra-Asiatico è posto sotto stress. Quello che è incredibile è che il Giappone abbia avuto un deficit commerciale per due mesi di fila nonostante il crollo del prezzo del petrolio. La prossima nazione da tenere d'occhio sarà la Germania" ha detto.

L'indice del Baltico che misura l'attività di trasporto merci via nave è precipitato del 94% da Giugno e non accenna a risalire. Il problema delle lettere di credito, lo strumento finanziario usato per garantire il pagamento delle merci spedite, non è mai stato risolto. Anche per le maggiori banche asiatiche è difficile recuperare i dollari necessari a sottoscrivere gli accordi di spedizione.

Stanno tutti correndo ai ripari, preoccupati dalle conseguenze che il continuo deteriorarsi dell'economia potrebbe produrre nelle varie nazioni. Il capo dell'FMI mette in guardia dalla possibilità di scontri e rivolti civili all'interno dei paesi maggiormente colpiti dalla crisi e si appella alle potenze mondiali perché intervengano con un coordinato intervento di natura fiscale che possa evitare lo spettro di una crescita globale ferma al 2% (sotto il 3% viene considerata recessione) ed una depressione globale.

Dal Telegraph:

"Se non siamo in grado di fare questo, allora rivolte sociali potrebbero verificarsi in diversi paesi, inclusi quelli ad economia avanzata. Stiamo fronteggiando un declino nella produzione senza precedenti. In tutto il mondo , la gente ha reagito con sentimenti che sono andati dalla sorpresa alla rabbia, e dalla rabbia alla paura" ha detto (Dominique Strauss-Kahn ndr).


Le rivolte sono già cominciate. Abbiamo assistito ad una vera guerriglia urbana tra le vie di Atene. Per 11 giorni si è respirata aria da insurrezione in diverse parti della Grecia, il cui rischio paese, misurato dai cds a 5 anni, è balzato da 122 punti a 246 in un solo mese. Gli Usa stanno silenziosamente preparando truppe militari pronte ad intervenire in caso di rivolte interne. In Russia il capo del partito politico di Putin, nella zona est del paese, ha dovuto dimettersi a seguito di violenti scontri tra manifestanti e forze dell'ordine avvenuti a Vladivostok. La protesta nasceva dalla decisione presa dalle autorità, di aumentare la tariffa di importazione sulle auto usate straniere portandola al 30%. Sono state inoltre aumentate le tasse di importazione sul pollame (sopra le quote stabilite per legge) e sui kit da fattoria portandoli rispettivamente al 95% e al 15%.

Anche la Cina si sta preparando a fronteggiare diverse rivolte da parte di lavoratori danneggiati dalla crisi economica e rimasti senza lavoro in seguito alla chiusura di numerose aziende. Le esportazioni sono calate del 2,2% a Novembre e si stima che 40 milioni di lavoratori potrebbero restare senza lavoro. Secondo i dati ufficiali la Cina avrebbe bisogno di un 8% di crescita l'anno per assorbire i nuovi laureati e la migrazione dalle campagne. Un articolo su chinaview, riporta le parole di Li Yizhong il ministro per l'industria e l'information tecnology. Yizhong ha annunciato che il governo offrirà il suo diretto supporto a 9 settori vitali: industria leggera, industria tessile, metallurgica, quella dei materiali non ferrosi, quella automobilistica, al petrolchimico, ai costruttori di navi, all'elettronica e alle telecomunicazioni.

Gli aiuti dovrebbero consistere in interventi fiscali, fondi speciali per le innovazioni ed aumenti dei prestiti bancari.

E' interessante constatare come l'articolo riesca a contraddirsi nel giro di due righe:

"La Cina ricorrerà a tariffe e rivedrà le sue politiche sugli scambi per facilitare l'export delle industrie ad uso intensivo di manodopera, delle principali industrie tecnologiche, e per incoraggiare le aziende locali a condurre fusioni ed acquisizioni di compagnie oltreoceano" ha detto Li Yizhong.

Li ha rimarcato l'importanza di aderire alla politica di apertura del paese nel mezzo di una contrazione internazionale del mercato e dell'emergere del protezionismo commerciale.

In una frase, Li annuncia di fatto che la Cina ricorrerà a forme di protezionismo ed in quella dopo sembra quasi avere un ripensamento ed affermare il contrario. Ora come ora è la Cina a protestare nei confronti degli Stati Uniti, accusandoli di imporre illegalmente delle tasse di importazione nei confronti di tubi d'acciaio, pneumatici e sacchi in tessuto prodotti dal paese orientale. Gli USA in risposta, hanno posto il veto alla creazione di un comitato del WTO che potesse risolvere la disputa amichevolmente e controbattono, accusando le aziende cinesi di vendere i beni in questione sotto costo grazie ad una serie di aiuti statali, col risultato di spingere fuori mercato le concorrenti americane.

Sembra di assistere ai primi embrioni di barriere commerciali. La Cina è tornata da poco ad ancorare in maniera rigida il valore della propria moneta al dollaro, abbandonato la politica di lieve apprezzamento che aveva adottato da più di un anno. Un chiaro segnale che nonostante tutto, il paese orientale continuerà a puntare fortemente sulle esportazioni.

Si riaffaccia lo spettro del Beggar-thy-neighbor ("chiedi la carità al tuo vicino"), la politica di svalutazioni monetarie e barriere commerciali che caratterizzò gli anni 30 e che ha nel malfamato Smoot-Hawley Tariff Act il suo simbolo. Allora furono gli Stati Uniti ad alzare per primi delle barriere al commercio nel tentativo di incentivare i consumi interni, ma l'operazione non produsse gli esiti sperati. Le altri grandi nazioni, per ritorsione, risposero innalzando anch'esse delle barriere escludendo gli Stati Uniti dai loro mercati. Gli USA, che allora erano il più grande esportatore mondiale, finirono con l'essere vittima della loro stessa strategia.

La Gran Bretagna abbandonò il gold standard e si dedicò al commercio con le provincie del suo vecchio impero. Ad essa si unirono poco alla volta altri paesi andando a formare un "blocco della crescita". Mentre il PIL USA crollava del 30% e quello francese del 15%, l'Inghilterra riuscì a contenere le perdite al 5%.

Adesso a trovarsi in una situazione simile a quella americana di allora è la Cina. Essa è il primo esportatore mondiale e la nazione con più grande surplus di capacità produttiva.

Micheal Pettis sul suo Blog ha pubblicato un post interessante a commento di un articolo del Telegraph, in cui un Pritchard infastidito, lamenta la testardaggine tedesca e cinese nel non voler accettare il proprio ruolo nell'odierna crisi finanziaria.

In sostanza, Pritchard teorizza che un paese come la Germania, con un surplus commerciale (7% del PIL), non dovrebbe girare le spalle ad un intervento economico congiunto di tutti i paesi Europei. La Germania non ha intenzione di pagare il prezzo della crisi anche per quei paesi che negli ultimi anni hanno ecceduto con l'indebitamento, come Spagna ed Inghilterra o con un folle rapporto debito/PIL come l'Italia. Su questo la Merkel è stata oltremodo chiara.

Secondo Pritchard però, i tedeschi dovrebbero comprendere che aiutare gli altri paesi Europei tornerebbe a loro vantaggio.

Se ognuno agisse per conto proprio nel contesto della moneta unica ogni intervento nullificherebbe l'altro. Se l'Italia avesse ancora la lira, l'attuale forza economica tedesca verrebbe riflessa dall'apprezzarsi del marco favorendo così le esportazioni Italiane. Con l'euro, se anche l'Italia agisse per sostenere la sua economia e la Germania facesse lo stesso, forte dei propri attivi commerciali, nulla cambierebbe.

La Germania, dice Pritchard, dovrebbe rendersi conto di questo fatto ed accettare di pagare il prezzo che le spetta ai fini della solidità Europea.

Durante lo scorso decennio la BCE mantenne i tassi bassi per favorire le industrie tedesche in sofferenza. Da questo punto di vista il surplus tedesco e la bolla immobiliare che si è verificata in altri paesi del vecchio continente non sono eventi separabili. L'efficiente Germania si sarebbe quindi avvantaggiata, mentre altre nazioni si stavano attivamente suicidando e adesso giocherebbe al beggar-thy-neighbour, non volendo aumentare i sui consumi interni o pagare il sostentamento delle nazioni kamikaze con parte dei suoi attivi.

Lo stesso starebbe facendo la Cina. Il paese orientale per anni avrebbe esportato il suo eccesso di capacità produttiva in occidente, in particolar modo verso gli USA, prestando contemporaneamente a questi ultimi il denaro con cui mantenere il proprio insostenibile livello di consumi. Su questa strategia la Cina ha basato tutto il suo piano di sviluppo e grazie ad essa è riuscita ad accumulare un enorme surplus commerciale ed ingenti riserve monetarie.

Pettis descrive un incontro avuto con un importante economista cinese e come esso sembrasse non capire il ruolo che la Cina ormai riveste nell'economia mondiale. I provvedimenti che questo economista proponeva erano di stampo prettamente domestico, senza considerazione alcuna per le conseguenze che avrebbero avuto a livello globale.

Il suo cruccio maggiore sembrava quello di riuscire a trovare una maniera per svalutare ulteriormente lo yuan senza provocare contemporaneamente una fuga di capitali stranieri. Un altra forma di beggar-thy-neighbour. Il tentativo di far pagare agli altri paesi il costo del rallentamento cinese. Un operazione del genere avrebbe però un effetto fortemente deflazionario sulle economie dei paesi con deficit commerciale e minerebbe alla base i loro tentativi di sostenere le rispettive economie.

Il rischio è quello di spingere il resto del mondo a ripercorre la strada degli anni 30. Allora gli Stati Uniti e la Francia si rifiutarono di sostenere la domanda, ed innalzarono barriere commerciali, provocando il crollo del Gold Standard. Alla fine tutti ci rimisero.

Di certo Keynes, durante la grande depressione, disse che per gli Stati Uniti fosse irragionevole sperare che i paesi europei con pesanti deficit potessero assorbire a forza di consumi la sovra-capacità produttiva americana. Allora (fortunatamente?) per gli USA, ci pensò la seconda guerra mondiale a fare piazza pulita della capacità produttiva Europea permettendo all'America di utilizzare il proprio surplus per colmare il deficit creatosi rendendola la prima potenza mondiale.

Dato che una guerra mondiale non se la augura nessuno, l'alternativa è che i paesi che se lo possono permettere comincino a consumare.

Ovviamente ci sono diversi problemi in questi ragionamenti. Intanto non è affatto banale riconvertire al consumo, anche solo in parte, un economia completamente sbilanciata verso l'export come quella cinese. Si tratta generalmente di un obiettivo a lungo termine mentre durante crisi economiche come l'attuale, come diceva Keynes, il lungo termine tende a diventare mortale. Se anche alcuni investimenti di natura interna, rivolti in ogni caso a supportare l'economia e l'industria locale, avverranno, il loro effetto a livello globale sarà limitato.

Inoltre non è facile spiegare ai paesi che hanno risparmiato ed investito correttamente le loro risorse che dovrebbero impiegare parte del loro surplus per sostenere il sistema. Pritchard afferma che se non lo facessero, finirebbero col danneggiare se stessi, perché l'eventuale crollo dell'economia si mangerebbe qualunque vantaggio derivante dagli attivi accumulati.

Purtroppo non esiste una reale controprova. Per quel che ne sappiamo, Cina e Germania potrebbero ritrovarsi a spendere soldi in diversi interventi, pagando anche per i paesi che nelle ultime decadi hanno fatto le cicale, senza riuscire realmente ad incidere sull'entità della crisi economica. Si potrebbero ritrovare insomma, ad aver inutilmente sprecato risorse. Risorse che potevano conservare per tempi peggiori.

L'errore più grande però, che ritengo quasi tutti stiano compiendo in questo dibattito è quello di sopravvalutare le possibilità economiche della Cina e contemporaneamente di sottovalutare la gravità della crisi.

Le stime delle FMI prevedono che il prossimo anno il PIL della Cina scenderà dal 8%-9% attuale assestandosi al 5%, un livello che per le caratteristiche dell'economia cinese significa recessione. Roubini, soprannominato "dr doom" per il suo ottimismo, nelle sue previsioni più negative prevede una crescita del PIL cinese del 4,5%.

Cosa succederebbe se invece la crescita cinese finisse con l'ondeggiare a livelli inferiori? Il 2%-3% ad esempio, o ancora peggio una crescita nulla o negativa?

La Cina si ritroverebbe nell'impossibilità di salvare se stessa, altro che contribuire a salvare il mondo dando fondo alle proprie riserve monetarie. Una crescita del PIL cinese pari allo 0% sembra un ipotesi oltraggiosa, almeno agli occhi dei maggiori economisti. In effetti David Karsbol, stratega per i mercati alla banca Saxo, intervistato dalla cnbc l'avanzò nell'ambito di un elenco di 10 possibilità che definì "oltraggiose", ma che a suo dire potrebbero verificarsi il prossimo anno.

Leggendole tutte devo dire che vi trovo ben poco di "oltraggioso". Appena un paio mi sembrano irrealistiche, come un eventuale uscita volontaria dell'Italia dall'euro.

Karsbol non sembra l'unico a pensare che la Cina potrebbe andare incontro ad un rallentamento molto più marcato di quanto generalmente previsto. George Jankovic un noto imprenditore ed ex presidente della NutriSystem, ha pubblicato su nakedcapitalism un articolo nel quale illustra la sua visione sulla condizione del paese orientale. Una visione profondamente pessimista. La produzione di energia elettrica in Cina è crollata del 9,6% a Novembre, contro un calo del 3,7% il mese prima. Secondo calcoli riportati dal Financial Times il dato anno su anno corrisponderebbe ad una crescita del PIL ridotta all'1,5%. Jankovic prevede un peggioramento di questa situazione nei primi mesi del 2009 con una crescita reale del PIL che diventerà negativa e che potrebbe rimanere tale per il resto dell'anno.

La Cina si troverebbe contemporaneamente soggetta ad un shock esterno ed uno interno. Da un lato deve fronteggiare il calo delle esportazioni dovute al crollo della domanda globale, da un altro si trova a fare i conti con lo scoppio della sua personale bolla immobiliare ed il precipitare dei listini di borsa. Se è irrealistico per il paese contare sull'export come ha fatto negli ultimi 13 anni, lo è anche sperare di compensare lo squilibrio grazie ai consumi interni. Lo stipendio della popolazione rispetto al PIL non ha fatto che calare nel corso degli anni (il PIL aumentava ma non gli stipendi) ed i singoli individui seppure non siano ricorsi all'indebitamento per giocare in borsa durante gli anni del boom, hanno comprato titoli dando fondo ai propri risparmi. Risparmi che dopo il tracollo delle borse asiatiche sono andati in fumo.

Se ci aggiungiamo l'ondata di licenziamenti e fallimenti aziendali che caratterizzerà il prossimo anno, c'è ne abbastanza per considerare i consumatori cinesi fuori gioco.

Resterebbe solo lo stato: nello specifico le grandi opere infrastrutturali. Anche su questo versante Jankovic vede nero. La costruzione delle fondamentali infrastrutture, come strade e porti, ha toccato il picco negli scorsi anni. Le reti ferroviarie toccheranno il picco nel 2008. Anche se il governo cinese decidesse di anticipare gran parte dei progetti previsti per il futuro potrebbe al massimo mantenere il livello dei lavori costante. Rimarrebbero giusto gli aeroporti, settore in cui Jankovic ritiene vi sia possibilità di espansione. Si tratterebbe però di progetti a lungo termine ancora da definire. Difficilmente potrebbero costituire una risposta adeguata alla crisi economica.

Naturalmente il governo cinese proverà in ogni modo a mantenere una crescita che arrivi almeno al 5%. Una crescita nulla o negativa metterebbe a rischio la tenuta dell'intero paese, conducendolo sull'orlo della rivolta. La Cina spenderà in interventi fiscali e di assistenza diretta tutto quello che può, come sembra dare ad intendere il ministro Li. In un contesto simile dubito che essa avrà abbastanza spazio di manovra per provare a riequilibrare il commercio mondiale aumentando significativamente la sua quota di consumi.

Anzi, se la situazione dovesse deteriorarsi troppo, per la Cina diventerebbe irresistibile la tentazione di svalutare cercando di guadagnare quote di mercato a spese degli altri paesi scatenandone così le ritorsioni commerciali. Oppure, potrebbero essere gli USA ad aprire le danze, estendendo le tariffe che impongono ai tubi d'acciaio e ai pneumatici al resto delle merci. Obama ha più volte messo in guardia la Cina, esprimendo la ferma intenzione di impedire la distruzione di lavoro qualificato americano a favore dell'equivalente cinese a basso costo.

Esiste il concreto rischio di tornare a vedere diffusi dazi e barriere all'importazione. Questo non è certamente nell'interesse della Cina che di export vive. Il paese orientale può però contare su un efficace arma di ricatto: le grandi riserve di debito pubblico americano che detiene. Minacciando di liberarsene può costringere gli USA ad adottare politiche economiche a lei più gradite. Ad esempio potrebbe obbligarli a non svalutare troppo il dollaro, cosa che diminuirebbe il valore delle riserve monetarie cinesi, oppure forzarli ad accettare in silenzio una svalutazione equivalente o superiore dello yuan.

Una situazione simile, potrebbe mantenersi solo, fino a quando gli USA accettassero di farsi ricattare. Se fossero forzati a pagare un prezzo troppo elevato o se arrivassero a ritenere le minacce cinesi un grande bluff, potrebbero rifiutare di adeguarsi alle richieste del paese orientale, aprendo la strada ad un conflitto commerciale dall'esito incerto.

Se questo avverrà, sarà attraverso un processo graduale, i cui segnali rivelatori spunteranno di quando in quando nel corso del prossimo anno, man mano che la situazione si farà più critica e paesi meno importanti decideranno di ricorrere a qualche forma di dazio o di svalutare competitivamente la propria valuta.

Pritchard conclude il suo articolo con una nota positiva (ironia):

Questa crisi ha già portato un rivoluzione monetaria con l'avvicinarsi del tasso di interesse, nei paesi dei G10, allo 0. Potrebbe ribaltare anche il "Nuovo Ordine Mondiale", a meno che non ci muoviamo con estrema cautela nei bui mesi che seguiranno. Qui è dove gli eventi si fanno pericolosi.

L'ultima grande era della globalizzazione toccò il suo apice poco prima del 1914. Conoscete il resto della storia.

giovedì 18 dicembre 2008

ZIRP

Alla fine come tutti si aspettavano Bernanke ha tagliato il tasso di riferimento portandolo dall'1% allo 0,25%.

Il cambiamento è puramente cosmetico. Da ormai una settimana i dati giornalieri sul tasso di interesse effettivo oscillavano tra lo 0,12% e lo 0,20%. La borsa americana ha comunque salutato festosamente l'annuncio cavalcando al rialzo.

Paul McCulley, della PimCo, entusiasta ha dichiarato alla CNBC che finalmente, grazie a questo intervento, eviteremo una depressione. McCulley ha azzeccato così tante previsioni in passato da far nascere in me lo strano impulso di toccare il toccabile.

La vera bomba però non è stato il taglio del tasso di riferimento. Nel comunicato ufficiale con cui il comitato della FED ha annunciato il taglio è stata anche ribadita l'intenzione da parte della banca centrale americana di acquistare direttamente buoni del tesoro a lungo termine e securities dalle GSEs, Fannie Mae e Freddie Mac. Probabilmente molti investitori si erano persi il discorso tenuto ad Austin dallo stesso Bernanke in cui il capo della FED, preannunciava l'adozione di questo tipo di strategia. O forse attendevano solo un segnale ufficiale. Qualunque sia la ragione, in seguito al comunicato della Federal Reserve il TNX - l'indice che riporta l'andamento dei rendimenti dei buoni del tesoro a 10 anni - è crollato di quasi il 10%.

Il grafico qua sotto si commenta da solo. Quella linea rossa nel grafico di mezzo che precipita di colpo è una conseguenza diretta delle dichiarazioni di Bernanke.




Tutti sono corsi ad acquistare freneticamente buoni del tesoro, nonostante il loro rendimento non stia facendo altro che scendere. Sono convinti che il prezzo del buoni aumenterà ora che un giocatore con il portafoglio profondo come quello della FED ha deciso di acquistare. Il prezzo e il rendimento dei buoni del tesoro variano in maniera inversa.

Se uno sale l'altro scende.

I buoni a breve scadenza pagano ormai un interesse negativo: in sostanza è chi compra i buoni stessi a pagare un premio allo stato perché questo gli conservi almeno il capitale. Brad Setser sul suo blog evidenzia come negli ultimi tempi siano le banche centrali dei paesi al di fuori degli Stati Uniti, i più grandi compratori di buoni a breve termine. Essi di fatto si liberano di assets che reputano rischiosi, come i bond delle aziende ed i titoli delle grandi agenzie: Fannie Mae e Freddie Mac e si rifugiano nei bot USA. Uno dei paesi che ha maggiormente incrementato l'acquisto di debito pubblico americano è stata la Cina, aumentando in un solo mese le sue riserve di buoni a breve termine di 56 miliardi di dollari e di quelli decennali di 10 miliardi.

Il grafico sotto mostra l'andamento dei titoli delle GSEs in blu ed in verde quello dei buoni del tesoro.


Hanno un andamento opposto.

Qualcuno sospetta che esista una qualche forma di accordo sotterraneo tra gli USA e alcuni dei suoi maggiori creditori, ad esempio la Cina. La FED comprerebbe securities dalle GSEs facendosi carico di quelle vendute dai grandi investitori (soprattutto stati) che preoccupati dal continuo calare del valore di questi asset e dalla loro scarsa liquidità starebbero cercando di liberarsene disperatamente. Essi però non vogliono svendere. Ci rimetterebbero troppo.

Interviene quindi la FED a rassicurarli comprando queste securities in prima persona. Come contropartita i creditori in questione si sarebbero impegnati a riutilizzare il denaro ricevuto in pagamento per comperare buoni del tesoro americani, investimento ritenuto più solido ed estremamente più liquido, contribuendo a sostenere il dollaro e gli interventi economici del governo americano.

Ovviamente questa è solo una teoria. Un giochino del genere potrebbe continuare solo fino a quando Cina & co continuano a trovarlo conveniente.

Il China Daily quotidiano Cinese in lingua in inglese e che alcuni ritengono venga utilizzato per lanciare in maniera indiretta inequivocabili messaggi, avverte:

L'aumento di acquisti da parte della Cina di buoni del tesoro americani non deve essere interpretato come un avvallo alla convinzione che il governo americano possa uscire dalla crisi finanziaria attuale tramite l'indebitamento.

Ogni negligenza riguardo la severità della questione causerà grandi problemi sia al debitore che al creditore, specialmente quando l'economia mondiale sta fronteggiando la più grave crisi in decadi. (...)

Con poche opzioni d'investire le sue crescenti riserve in maniera sicura e profittevole, la Cina potrebbe dover comperare securities del governo americano nonostante la crescente convinzione in patria che un simile acquisto possa incorrere in grandi perdite in futuro. (...)

Eppure, man mano che altri paesi creditori introducono dei propri pacchetti di stimolo per incentivare la domanda interna, il governo americano non dovrebbe aspettarsi un continuo afflusso di capitale straniero a basso costo per finanziare i suoi ricorrenti interventi di salvataggio.

L'attuale grande appetito di investitori stranieri non dovrebbe essere considerato dal governo americano come la solida prova del valore dei suoi buoni del tesoro sul lungo termine.

Invece, esso dovrebbe ingaggiare una corsa contro il tempo adottando le dolorose, ma critiche riforme per ravvivare la sua economia prima che una simile domanda (di buoni ndr) tocchi presto il suo picco.

In sostanza il China Daily sembra dire: "Per adesso stiamo al gioco, ma provate a fare una mossa falsa, ad esagerare con l'indebitamento e ve ne pentirete". Sembra inoltre mettere in guardia gli Stati Uniti da come potranno reagire altre nazioni alla luce di certi interventi monetari.

L'acquisto di buoni del tesoro a lungo termine da parte della FED produce come effetto il calo del rendimento che essi pagano (e l'aumento del loro prezzo). Buona parte dei mutui agganciano il proprio tasso di interesse, a questo rendimento. L'intervento della Federal Reserve dovrebbe, in teoria, produrre un calo del costo dei mutui contribuendo a smuovere un minimo il mercato immobiliare.

La stessa funzione verrebbe espletata anche dall'acquisto di titoli delle GSEs. Si tratta quasi sempre in sostanza di mutui spezzati e ri-impachettati. Dato che il valori di questi pezzi di carta crollò in seguito allo scoppiò della bolla immobiliare e al moltiplicarsi delle insolvenze, essi divennero pressoché invendibili. Il fatto che la FED decida di acquistarli ne aumenta istantaneamente la liquidità essendoci finalmente un compratore sul mercato. Le GSEs trovando un posto in cui scaricare questa spazzatura in cambio di denaro, riuscirebbero a ripulire i propri bilanci e potrebbero ricominciare un po' alla volta ad erogare nuovi mutui, producendo quindi un calo del tasso di interesse.

Serve veramente al mercato immobiliare questo tipo di intervento?

A chi ha già un mutuo poco o nulla. Il suo problema si chiama "negative equity".

Se ho comprato una casa a 300000 euro facendo un mutuo e la casa è arrivata a valere 150000 euro non me ne fregherà nulla di cosa fa l'interesse. E' sul principale che sto perdendo valore. Mi converrà in ogni caso, smettere di pagare il mutuo e riconsegnare la casa alla banca.

Gli unici che potrebbero trarre un qualche vantaggio dall'operazione della FED, sono quelli che hanno solide garanzie, la possibilità di anticipare almeno un 10-20% del valore dell'immobile che intendono acquistare e riescono miracolosamente a trovare una banca che gli conceda un prestito.

Un mezzo miracolo al giorno d'oggi.

La festa inoltre, nel mercato immobiliare è appena a metà. Un servizio di 60 minutes porta alla ribalta mostrandolo al grande pubblico, il problema degli option arm. Mutui che sarebbe più corretto definire truffe, sottoscrivendo i quali un individuo si ritrovava a pagare rate bassissime: così basse da non coprire neppure l'interesse. In sostanza mentre si paga il mutuo, questo invece di calare aumenta d'importo fino ad arrivare al 115%-120%, un livello limite toccato il quale il mutuo resetta e la rata mensile, a cui vengono di colpo aggiunti interessi mancanti e principale, nei casi migliori si limita a radoppiare.

L'ondata di reset dovrebbe cominciare nel 2009 e aumentare progressivamente fino a deflagrare completamente nel 2011.

Si parla di gente che fa fatica a pagare ora il proprio mutuo, figuriamoci nei prossimi anni con un panorama economico da film horror. Aggiungete a questo l'ondata di perdite nell'immobiliare aziendale, mercato che storicamente esplode con 12-18 mesi di ritardo rispetto a quello residenziale.

Questa storia non finirà tanto presto.

L'efficacia degli annunciati interventi della FED sul mercato immobiliare avrà quindi un impatto tutto da verificare, con grande probabilità estremamente limitato.

Di sicuro sta uccidendo i Money Market Fund che operano sul mercato del credito a breve termine. Con tassi di interesse a breve azzerati, essi hanno ormai rendimenti negativi. Dice Dean Baker co-direttore del Center for Economic and Policy Research:

"Sono un po' sorpreso che abbia deciso (la FED ndr) di arrivare fino in fondo, questo non avrà realmente un sostanziale impatto. L'altra ragione per la quale sono sorpreso è che questo potrebbe creare una antipatica situazione per i money market funds che si troveranno costretti a pagare alla gente ritorni negativi"

Le spese di questi fondi ormai sopravanzano i guadagni. La FED mesi fa, intervenne a supporto dei MMF, dato che la loro funzione di grandi fornitori di liquidità venne ritenuta fondamentale. Non è chiaro cosa pensi di fare nei loro confronti la banca centrale americana, ora.

La conseguenza più preoccupate però, che la manovra della FED sta producendo è la formazione di un ennesima bolla: quella sui buoni del tesoro. Il fatto che la banca centrale abbia annunciato di comperarli ha scatenato la caccia al debito governativo. Con la garanzia che ci sarà sempre un compratore, la FED, a qualunque prezzo, l'occasione sembra troppo ghiotta. Non ha più nessuna importanza che rendimento paghino i buoni. Nessuno ha intenzione di aspettarne la scadenza. Vengono acquistati nella convinzione che il loro prezzo salirà e che potranno essere venduti incassando un lauto guadagno, con pochi rischi e poca fatica.

Quando la gente comincia a comprare in maniera ossessiva un bene, non più per la sua funzione, ma per pura speculazione nell'attesa di un suo apprezzarsi, ci si infila in quel tunnel senza uscita che ha condotto l'economia mondiale nella situazione odierna.

Un altra dannatissima bolla.

Non ne sentivate la mancanza?

Dice John Kemp dalle pagine di reuters:

Convincendo gli investitori che i tassi di interesse resteranno ultra bassi per un lungo periodo, la Fed ha fatto in modo che fossero disponibili a prestare denaro al governo USA fino a 10 anni per quello che si rivela un misero ritorno.

Ci sono due rischi. Primo, l'enorme aumento nel prezzo dei bond e la compressione dei rendimenti è debordata nel mercato secondario. Il ministero del tesoro non è ancora riuscito a piazzare, a questi bassi rendimenti, molto del proprio debito in espansione e di quello che le spese del prossimo anno richiedono di emettere. Ma considerando la domanda stimolata dal panico, per assets non a rischio di default non dovrebbero avere grosse difficoltà.

Il grande problema è che la Fed sta guidando con l'inganno gli investitori a gettarsi nella più grande bolla di ogni tempo. Bernanke sta facendo quello che gli economisti chiamano una promessa "inconsistente nel tempo" di mantenere i tassi a livelli ultra bassi per un periodo prolungato.

Il problema è che se questa politica monetaria non convenzionale funzionerà, e l'economia si rialzerà, la Fed sarà costretta a "normalizzare" i tassi e ridurre la liquidità in eccesso per prevenire un aumento dell'inflazione. Il risultante aumento dei tassi infliggerà pesantissime perdite a chiunque abbia comprato bond al tasso odierno del 2,25%.

Bizzarramente, Bernanke e Co stanno invitanto gli investitori a scommettere che la loro politica fallirà, che l'economia rimarrà impantanata per un lungo periodo, che avremo la deflazione e i tassi di interesse resteranno a livello 0, così come è accaduto in Giappone dal 1990.


John Kemp è un ottimista.

E' preoccupato che la strategia del vecchio Ben funzioni. La Fed con le misure di quantitative easing che intende addottare inonderà il mercato di liquidità comperando buoni del tesoro il cui valore non farà che aumentare mentre il rendimento precipiterà. Le ultime dichiarazioni rilasciate dal consiglio della Fed sono chiare. Equivalgono a dire: "Non vi preoccupate. I tassi resteranno bassissimi per un pezzo ed anche se li dovessimo in un qualche futuro aumentare, vi avvertiremo per tempo. Comprate buoni senza crucci quindi, non potranno che aumentare di valore e noi saremo sempre qua, pronti ad acquistarli".

Se la manovra funzionasse e l'economia si riprendesse, tutto il denaro ora immobile, fermo ai margini del mercato in attesa di un segnale positivo, si rimetterebbe di colpo in moto facendo aumentare la spinta inflattiva. Ben a quel punto tradendo le attese di chi ha comprato buoni del tesoro dovrebbe cominciare a ritirare liquidità vendendo buoni.

Il loro prezzo crollerebbe di colpo facendo deflagrare un altra terribile bolla.

Ovviamente Ben si augura di poter ritirare liquidità un po' alla volta, alzando i tassi pian piano e facendo abituare gradualmente il mercato a questi aumenti. "Soft landing" lo chiamano.

E' quello che la Fed provò a fare dal 2005 in avanti nel tentativo di sgonfiare lentamente la bolla immobiliare e di ritirare la liquidità in eccesso che aveva pompato negli anni precedenti.

Ha funzionato benissimo non trovate?

Kemp però, non considera quasi quello che ha definito "il primo problema". La grande neccessità che hanno gli Stati Uniti di finanziarsi aumentando il proprio deficit nei prossimi due anni.

Se la bolla sui buoni scoppiasse prima che la situazione si sia stabilizzata?

Ad esempio, se intorno alla prossima estate qualche grande stato decidesse di vendere i buoni del tesoro americani in maniera massiccia, dovrebbe intervenire qualcuno con le spalle grosse per acquistarli e mantenere così l'illusione che il loro prezzo non sia destinato a calare per molto tempo. Questo qualcuno potrebbe essere la Cina o il Giappone se la situazione non è precipitata troppo. Se i grandi acquirenti storici avessero troppi problemi da affrontare in casa propria, potrebbero non essere in grado o disponibili ad assorbire l'eccedenza di bot USA.

Dovrebbe quindi intervenire la FED comprandoli direttamente.

Se gli altri stati ed i privati interpretassero quest'evento come un segnale di vendita, assisteremo ad una disperata corsa verso l'uscita. La Federal Reserve si troverebbe costretta ad assorbire sempre un maggior numero di buoni del tesoro. Se lo facesse stampando il denaro necessario, rischierebbe di distruggere completamente il valore del dollaro. Se si rifiutasse semplicemente di comprarli sarebbe come dichiarare esplicitamente che essi non hanno mercato. Il loro rendimento salirebbe alle stelle ed il loro valore precipiterebbe. Il governo USA si troverebbe a doversi finanziare, nel mezzo della più grave crisi dal dopoguerra in avanti, promettendo di pagare interessi folli sul proprio debito.

In entrambi i casi sarebbe il fallimento degli Stati Uniti.

Uno scenario del genere è meno remoto di quanto si possa pensare. Potrebbe realmente succedere. A questo si riferiva in modo sibillino il China Daily, mettendo in guardia gli USA e sconsigliando loro di infilarsi in interventi eccessivi finanziati col debito e la svalutazione.

Anche se quello appena descritto è uno scenario da Armageddon che ogni persona sana di mente vorrebbe evitare, non è detto che paesi come la Cina saranno pronti nel caso si verifichi, a correre in soccorso degli Stati Uniti. Lo dovranno trovare conveniente. Il che, presuppone da parte degli USA la capacità di offrire qualcosa di valore in cambio. La semplice minaccia: "Se dovessimo crollare vi porteremo all'inferno assieme a noi" potrebbe non bastare più.

In tutta questa vicenda, come sempre, a noi spetta giusto il ruolo di spettatori.

La strategia di Ben e amici è platealmente chiara (se mai ci fossero stati dubbi): "Stamperemo da qui all'infinito se necessario".

Per conoscerne i risultati, si tratta solo di aspettare un po'.

lunedì 15 dicembre 2008

Il paese delle prese in giro

I dettagli del piano di intervento economico varato dal ministro Tremonti sono ormai sufficientemente chiari da permettere di riassumerlo in poche parole: "tante chiacchere e poca sostanza". Tito Boeri sul suo sito, lavoce.info ne descrive i punti fondamentali utilizzando i dati forniti dal servizio bilancio della Camera:

Dopo che a Washington il 16 novembre scorso era stato annunciato dal ministro Tremonti un piano da 80 miliardi, ridotto solo tre giorni dopo a 12,7 miliardi, poi sceso a 7 miliardi, a 6,5 e, infine, il 29 novembre a 3,7 miliardi, ci ritroviamo ad avere un intervento a saldo zero. Più precisamente, il decreto anticrisi ha un saldo netto in positivo, tra variazioni nette nelle entrate e nelle uscite, di 390 milioni. Non solo non c’è una riduzione della pressione fiscale, ma vi è un incremento netto delle entrate, in gran parte tributarie, di 3 miliardi e mezzo che serve più che a compensare l’aumento netto delle spese.

Dal punto di vista macroeconomico, questo significa che ci stiamo preparando alla peggiore recessione del Dopoguerra sparando a salve. Una manovra antirecessiva può, infatti, avere un significativo impatto macroeconomico solo se varia i saldi. In un contesto come quello attuale, sarebbe stato fondamentale aumentare la spesa pubblica o ridurre la pressione fiscale per rilanciare l’economia. Certo, tutto questo andava fatto con prudenza, dato il livello del nostro debito pubblico. E mettendo subito in atto piani che ci portassero, quando la crisi sarà finita, a finanziare stabilmente le minori entrate (o maggiori spese) decise oggi con riduzioni permanenti della spesa, come quelle che stiamo proponendo sulle varie missioni del bilancio pubblico. Il decreto anticrisi, invece, finanzia le maggiori spese con maggiori entrate, innalzando ancora di più la pressione fiscale.

I dettagli riguardo all’impatto della manovra sul bilancio dello Stato (la tabella sul bilancio della pubblica amministrazione è più complessa, ma comunque consegna un saldo positivo) vengono forniti dalla tabella qui sotto. La parte del leone viene svolta dalla rivalutazione dei valori contabili Ias, una misura di riallineamento dei valori fiscali e contabili che in parte anticipa entrate future. Oggi, semmai, dovrebbe essere compiuta l’operazione opposta, immediate riduzioni di tasse oggi compensati da riduzioni di spesa domani. Vi sono poi circa 500 milioni che derivano da inasprimenti dell’Iva. Si noti che negli altri paesi si sta procedendo in direzione diametralmente opposta, riducendo l’Iva, come consentito dalla Commissione europea.

Una riduzione dell'iva come quella operata dal governo Inglese è discutibile. Come ha detto il ministro delle finanze tedesco, Peer Steinbruck, un intervento di questo tipo avrebbe effetti limitati sui consumi, ma costi elevati per le casse statali:

Mr Steinbruck ha detto che il passaggio del Regno Unito dalla prudenza finanziaria al pesante indebitamento è stato, allo stesso tempo "sconsiderato" e "da lasciar senza fiato". Criticando la decisione del governo Inglese di tagliare l'iva dal 17,5% al 15%, Mr Steinbruck ha messo in questione la sua efficacia.

"Veramente comprerete un lettore DVD perché ora costa 39,10 sterline invece che 39,90 sterline?" ha detto. "Tutto ciò che questo produrrà sarà un aumento dell'indebitamento inglese ad un livello tale che occorrerà un intera generazione per ripagarlo".

"Quando chiedo delle origini dell'attuale crisi finanziaria, economisti che rispetto, rispondono che essa è da imputare alla crescita del finanziamento a credito degli anni e delle decadi recenti. Non è forse lo stesso errore che all'improvviso tutti stanno compiendo di nuovo, dietro pressione dell'opinione pubblica?"

Concordo con il ministro tedesco. Un po' di iva quà e là non servirebbe a rilanciare i consumi in maniera significativa. L'intervento non varrebbe il suo costo.

Willem Buiter, professore di economia alla London School of Economics, ha invece dichiarato la sua netta contraposizione alla posizione assunta dal ministro tedesco. Buiter, è un signore che la scorsa estate, durante l'annuale conferenza a Jakson Hole in cui alcuni dei più illustri banchieri ed economisti si riuniscono per discutere di economia, scatenò le ire di gran parte dei presenti, quando dichiarò che le azioni della FED fossero troppo attente alle necessità di Wall Street e poco a quelle di Main street (della gente comune).

Nel suo ultimo post (lungo,tecnico ed estremamente interessante), Buiter si dice favorevole all'aumento della spesa pubblica come misura anti-ciclica che contrasti l'attuale crisi e spiega nel dettaglio i pro ed i contro.

Non sono pregiudizialmente contrario alle spesa pubblica e ad interventi mirati. In un mondo perfetto le misure anti-cicliche andrebbero adottate inanzi tutto, durante i periodi di espansione economica. Quando l'economia corre gli Stati dovrebbero accantonare dei risparmi da poter poi impiegare durante i periodi di recessione come sostegno all'economia.

Ovviamente gli stati non han neppure fatto finta di comportarsi in maniera giudiziosa. Quando tutto saliva e le entrate affluivano copiose, han pensato bene di aumentare le proprie spese. Il risultato è che molti di essi si ritrovano con un economia moribonda, entrate che precipitano, spese insostenibili e nessun risparmio da parte. La California è l'emblema di questa situazione.

L'Italia, fortunatamente anche negli anni degli eccessi non ha avuto la crescita riscontrabile nei paesi anglosassoni. Una crescita falsa, fittizia, finanziata tramite l'idebitamento della propria popolazione. Possiamo quindi consolarci pensando che se siamo cresciuti meno, questo ci ha risparmiato tutta una serie di distorsioni che stanno caratterizzando la crisi nelle altre nazioni.

Restano però immutati i problemi storici del paese.

Primo tra tutti l'alto indebitamento pubblico, che rende complessa l'adozione di misure di stampo Keynesiano che aumentino il deficit statale ed in sostanza nullifica il dato positivo sul basso tasso di indebitamento privato.

Abbiamo pochi debiti come singoli, ma questa diventa una magra consolazione se improvvisamente ci si ritrova disoccupati in uno stato che offre poche garanzie e poche prospettive per il futuro.

Il nostro "rischio paese" ultimamente non ha fatto altro che aumentare, allargando la forbice con gli altri grandi paesi europei. Sui buoni del tesoro a 10 anni paghiamo un rendimento del 4,5% contro il 3,10 della Germania e il 3,59 della Francia. I cds a 5 anni sull'Italia hanno superato i 180 punti mentri quelli Francesi ondeggiano vicino ai 60 e quelli tedeschi si assestano a 42 punti.

Il prossimo anno dobbiamo rinnovare 200 miliardi di euro in buoni del tesoro.

Se Tremonti fosse onesto direbbe: "Italiani! Per carità, comprate bot altrimenti finiamo a gambe all'aria", invece che lanciare dichiarazioni sulla solidità del paese. Se fosse furbo si limiterebbe a stare zitto. Molta gente ricorda ancora quello che successe in passato in seguito a continue rassicurazioni, da parte di vari esponenti politici sulla nostra condizione economica. Quando Amato, ad esempio, nel 92 garantì l'assoluta solidità della lira, salvo svalutare pesantemente pochi giorni dopo.

Quando Il Giornale arriva a mentire spudoratamente nel tentativo di convincere la gente ad acquistare bot, significa che la situazione è meno rosea di quanto non venga raccontato.

Nonostante tutti i nostri problemi però, non ha neppure senso, aumentare la tassazione come sta facendo il governo. L'intervento economico di Tremonti, al di là di tutto il can can, come mostra la tabella riportata sotto è inesistente.



Commenta Boeri:

Il decreto anticrisi si limita così a redistribuire risorse. E la redistribuzione, modesta peraltro, avviene con costi amministrativi molto elevati soprattutto in rapporto alle erogazioni concesse ai cittadini, come mettono in luce Massimo Baldini, Simone Pellegrino e Paola Monti. Si crea tanta burocrazia, ma nessun posto di lavoro con manovre di questo tipo. E non si offre protezione alla grande platea di lavoratori con contratti a termine che rischia di rimanere senza lavoro nei prossimi mesi.
Si dirà che una manovra a saldo zero non peggiora i conti pubblici, a differenza di quanto sta avvenendo in altri paesi. Ma non è così. Primo, perché in fasi di crisi come questa i conti peggiorano comunque e l’unico modo per migliorarli è far ripartire al più presto l’economia, creando le condizioni per cui i tagli alle tasse e le nuove spese decise oggi siano sostenibili, possano durare nel tempo. Secondo, perché il governo rischia di doversi trovare fra qualche mese a spendere molto di più di quanto previsto. Le misure di spesa appaiono sotto finanziate: a esempio, stimiamo che la social card costerà almeno 600 milioni, 150 in più di quelli stanziati per questa misura. E i fondi aggiuntivi per gli ammortizzatori sociali non sono comunque adeguati, anche mantenendo le regole attuali, per tassi di disoccupazione a due cifre. Questo significa che il governo dovrà presumibilmente intervenire in corso d’opera, come esplicitamente previsto dal decreto attuativo della social card, per chiudere il rubinetto delle erogazioni oppure per ampliare le dotazioni dei vari fondi, rendendo così discorsivi gli effetti della spesa.
Stiamo parlando quindi di grandi giri di carte, inutili costi burocratici e impatto limitato se non del tutto inesistente. La social card sulla cui origine ancora oggi molti si interrogano è la copia sputata dei food stamps americani. Da un annetto circa i buoni spesa che il governo degli Stati Uniti elargisce agli strati più poveri della popolazione per acquistare cibo, vengono erogati sotto forma di credito che viene caricato mensilmente su una carta elettronica simile ad una carta di credito.

Quando avvenne questo cambiamento aumentò anche il numero degli individui che fece ricorso ai foods stamp (ora sono circa il 10% della popolazione) visto che il fatto di poter presentare alla cassa un tessera elettronica confondibile con una carta di credito toglieva lo stigma di apparire povero agli occhi degli altri.

In Italia mi sembra si piagnucoli troppo sulla forma che assume questo aiuto o almeno lo si fa per le ragioni sbagliate. Visto che la maggior parte degli aventi diritto alla social card, riceve comunque altre forme di assistenza o la pensione, avrebbe di certo avuto più senso, economicamente parlando, accreditare i 40 euro direttamente lì, invece di spendere altro denaro per stampare dei pezzi di plastica.

Se si è decisa quella determinata forma con l'intenzione di costringere la gente a spendere i 40 euro in alimentari, mi si dovrebbe spiegare quanto potrà funzionare se solo il 5% degli esercizi commerciali accetta la social card. Inoltre chiunque abbia diritto alla carta, ha un reditto così basso da essere per forza obbligato a spendere il denaro che riceverà (o da essere un evasore).

Un altro intervento annunciato, quello che andava a scontare una minima parte degli anticipi sulle tasse è stato effettivamente approvato (anche se non mi sembra di vederlo conteggiato nella tabella riassuntiva). Il provvedimento è stato tempestivamente pubblicato in gazzetta ufficiale di sabato, due giorni prima del pagamento degli anticipi stessi. Quasi nessuno ha potuto beneficiarne.

Teoricamente gli aventi diritto che abbiano già pagato gli anticipi possono dietro richiesta, con modalità da definire, farselo scalare dal pagamento di altre imposte. Considerando però i tempi tecnici italiani ed il fatto che quel che viene scontato andrà poi corrisposto tra 6 mesi, tutta l'operazione sembra un grosso cumulo di nulla. Oltre tutto l'intervento vale solo per l'IRES, una tassa pagata dalle società di capitali. Artigiani, professionisti e ditte individuali restano tagliati fuori.

Il pagamento dell'IVA alla cassa è stato approvato anche se la cifra riportata in tabella sembra irrisoria. La modifica che consente il pagamento dell'IVA alla riscossione, dovrebbe durare fino al 2011. Anche in questo caso le modalità devono ancora essere chiarite. Il ministero del tesoro però, si è già riservato l'opzione di poter porre un tetto all'importo fatturabile in questa maniera.

Penserò male, ma anche in questo caso sento puzza di fregatura.

Le grandi opere per ora sembrano sparite. Fortunatamente aggiungo. Sono molto costose, muovono grandi macchinari, ma poco lavoro umano e fatto più grave, anche considerando il caso migliore, dal momento dell'approvazione di un opera all'inizio dei lavori trascorrono mediamente 2 anni.

Facciamo in tempo a fallire o ad uscire sulle nostre gambe dall'attuale crisi economica, prima ancora che una singola pietra venga posta.

Un articolo su Repubblica di Andrea Boitiani riassume bene alcuni dei maggiori problemi che comporta l'adottare come strategia di sostegno economico, lo sviluppo di grandi opere infrastrutturali.

Il tanto decantato pacchetto anticrisi nel complesso si rivela una grandissima presa in giro. Il governo ha fatto molto rumore, sparso cifre mirabolanti e pubblicizzato in maniera esagerata interventi dall'impatto reale limitato come la social card.

La strategia sembra ricalcare molte delle operazioni fatte in passato dal governo Berlusconi. Utilizzare le risorse mediatiche a propria disposizione come cassa di risonanza, per dare all'opinione pubblica l'impressione di aver fatto concretamente qualcosa, quando in realtà gli interventi pratici risultano irrisori.

Ultimamente, per difendersi da questo tipo di accuse esponenti della maggioranza sono andati in giro a dire: "Almeno non abbiamo aumentato il deficit". La verità è che non possiamo permetterci di aumentarlo.

Non è una questione di volontà.

Di certo però, si potrebbe cominciare ad intervenire con riforme a costo zero come quella degli ammortizzatori sociali. Oltre a costare poco o nulla sarebbe anche sacrosanta. Non è possibile in un paese moderno che una parte della popolazione sia protetta con strumenti come la cassa integrazione ed un altra specialmente i più giovani, non abbia nessuna forma di tutela.

Ci sarebbero poi diversi capitoli di spesa da tagliare, per recuperare risorse da re-investire, primo tra tutti il costo intollerabile ed inutile della politica.

Quel che mi preoccupa maggiormente, è costantare che i politici italiani non sembrino mostrare nessuna seria consapevolezza riguardo la gravità della nostra situazione economica. Non è più possibile continuare come si è sempre fatto. Sperperare denaro a destra e a manca, facendo regali a furbetti e compagni di merende o gettarli via in interventi inutili.

Non se si vuole, quanto meno, provare a sopravvivere all'uragano finanziario che sta investendo l'intero pianeta.

mercoledì 10 dicembre 2008

Quantitative easing (seconda parte)


Immaginate un mondo perfetto.

Un mondo in cui il valore di ogni bene salga, alla fine dell'arcobaleno risplendano pentoloni pieni d'oro e in cui i politici dicano solo la verità.

Qualcuno potrà pensare che un mondo del genere non sia mai esistito. I politici sembrano tutt'ora i patologici bugiardi che son sempre stati mentre la questione delle pentole e gli arcobaleni non è mai stata chiarita completamente.

Un mondo in cui il valore di ogni bene non fa altro che salire, invece, è esistito realmente dal 2003 al 2007.

Indebitarsi fino al collo in un mondo del genere è la strategia più conveniente. Se il ritorno medio di un investimento è il 10%, per ogni 100 euro investiti il guadagno finale sarà di 10 euro. Se tutto sale ed i rischi sono ridotti più denaro si ha a disposizione per investire e maggiore sarà il guadagno. In un mondo del genere sarebbe davvero fastidioso avere solo 100 euro sottomano.

Fortunatamente però, il valore di certi beni, in un mondo simile, continua ad aumentare per una precisa ragione. Qualcuno, spaparanzato su una comoda poltrona in una stanzetta remota, ha deciso che tagliare il costo del denaro ai minimi storici sia la strategia migliore per stimolare la crescita dell'economia.

Quando contrarre un debito costa l'uno o il due per cento e un investimento medio rende il 10%, tanto vale indebitarsi fino alla radice dei capelli ed investire 30, 40 volte il denaro di cui si potrebbe normalmente disporre.

Le prime ad adottare questa lucrosa strategia furono le banche.

La funzione di una banca moderna è sempre stata quella di indebitarsi a breve termine ed investire a lungo termine (un qualunque prestito per la banca non rappresenta che un investimento). Un ambiente in cui il denaro costi pochissimo e gli investimenti rendano molto è sempre stato il sogno bagnato del sistema bancario. Nel periodo 2003-2007 un unico ostacolo si frapponeva tra gli istituti di credito e questo sogno. Quell'antipatica cosa chiamata: "garanzia". Per ottenere un prestito il richiedente doveva ancora offrire in pegno un bene che avesse un valore consono all'importo che chiedeva.

Ovviamente, nessuno aveva realmente garanzie sufficienti per ottenere prestiti pari a 30, 40 volte il denaro che possedeva effettivamente. Tutto però saliva e i profitti erano là, invitanti e maturi, chiedevano solo di essere colti. Pur di non lasciarsi scappare questa occasione le banche decisero di accettare come garanzie valide gli stessi titoli in cui finivano con l'investire quelli a cui i prestiti venivano erogati. I debiti contratti da questi soggetti venivano poi impacchettati e rivenduti. In questo modo le banche si illusero di essersi liberate di ogni rischio.

Alla fine dei giochi ci siamo ritrovati con banche come la Deutsche Bank o la Barclays che poterono vantare livelli di leverage finanziario di 50:1, 60:1.

Il leverage finanziario è normalmente calcolato facendo il rapporto tra gli assets totali ed il valore azionario complessivo di un soggetto economico e serve a misurare quanto esso si stia finanziando con i debiti e quanto con i soldi messi dagli azionisti (cioè i proprietari dell'azienda in questione). Se il rapporto supera il valore di 1 significa che il finanziamento deriva principalmente dai debiti.

Ovviamente nessuno si preoccupò particolarmente davanti a livelli di leverage così elevati da parte di istituti bancari, quando livelli storicamente accettabili di esposizione han sempre ondeggiato attorno al 12:1.

Tanto tutto saliva.

Quando hanno iniziato a spuntare come funghi, Hedge Funds anche loro con leverage di 30, 40 volte, tutto bene. A chi si lamentava di quello che considerava essere un livello eccessivo di indebitamento gli economisti rispondevano tranquilli, che era il Mercato (quello con la M maiuscola) a decidere. I ritorni favolosi di questi fondi dimostravano la giustezza della loro strategia e giustificavano l'alto indebitamento.

"Absolute return" era quello che promettevano gli Hedge Funds. "Vi faremo fare soldi, sia che il mercato salga sia che il mercato scenda, grazie alle nostre strategie di hedging (copertura del rischio)". Questa era l'assicurazione.

Ora che il mercato è crollato a parte qualche isolato caso, gli Hedge Funds stanno perdendo miliardi su miliardi e chi aveva affidato loro i propri risparmi sta cercando disperatamente di ritirali. Sta cercando, perché quando uno aderisce a questi fondi accetta anche di sottostare ad una clausolina che permette a chi li gestisce di congelare i ritiri degli investimenti. I soldi possono essere ritirati a scadenze prefissate, solitamente trimestrali e stranamente molti non sembrano gradire di dover assistere impotenti per tre lunghi mesi alla graduale scomparsa dei propri risparmi.

Si sta diffondendo sempre più l'opinione che questa esperienza non verrà dimenticata tanto presto e che il futuro degli Hedge Funds sia ormai segnato.

Il piccolo problema ovviamente, è stato l'alto indebitamento. Finché tutto sale sono soldi a palate, quando il mercato comincia a scendere il leverage ti si rivolta contro. Il costo dei debiti contratti comincia a salire e allo stesso tempo gli investimenti accumulano perdite su perdite. Il risultato è stata una fuga verso l'uscita, una corsa frenetica a cercare di ridurre il proprio debito. Per recuperare denaro e cercare di saldare i debiti pregressi tutti si misero a vendere deprimendo ulteriormente i valori azionari.

Per giustificare questa situazione gli economisti chiamarono in causa l'irrazionalità del mercato (quello con la m minuscola) che stava producendo senza ragione il crollo del valore di titoli a loro dire solidissimi.

E' affascinante notare come un ambiente in cui fare debiti costi pochissimo perché un gruppo di omini seduti attorno a un grande tavolo da conferenze ha deciso che così sia, venga definito libero (Mercato).

Alla gente conveniva indebitarsi, alle aziende conveniva indebitarsi, ai fondi di qualunque tipo conveniva indebitarsi, alle banche conveniva indebitarsi ed indebitare tutti, ma chiamiamola pure "libera" scelta.

Tutti i debiti furono contratti sulla base del valore di alcuni beni. Valori il cui apprezzarsi continuo non era che il frutto ultimo dell'inflazione prodotta dalla politica espansiva stabilita dai banchieri centrali.

Ora, come è naturale che sia, quei valori stanno tornando rapidamente a livelli più aderenti alla realtà.

Peccato che tutto il debito sia rimasto e vada in qualche modo cancellato: pagandolo o dichiarando default.

La prima strada non è percorribile. Non essendoci stata una reale e sostenibile crescita negli ultimi anni, ma unicamente una gigantesca bolla inflattiva che della crescita dava solo l'illusione, i soldi per pagare il debito esistente non ci sono materialmente.

E se un debito non può essere pagato .... beh, semplicemente non lo sarà.

Dopo aver cercato di nascondere per mesi la gravità della situazione, le banche hanno dovuto arrendersi ed incassare perdite su perdite. Per non finire a gambe all'aria hanno provato a vendere partecipazioni in aziende solide, a chiudere sedi e licenziare gente per abbassare i costi, ad indebitarsi coi fondi sovrani ad emettere nuove azioni.

Non è bastato. Il grafico sotto riporta le "non borrowed reserve" le riserve non prese a prestito del sistema bancario statunitense.




Quella linea che precipita nell'abisso sta ad indicare che preso nel suo complesso il sistema bancario americano è insolvente.

Dato che la solidità di una banca e la sua capacità di prestare denaro dipendono fortemente dalle sue riserve (come scrissi nello scorso post), era diventato imperativo per la FED ripristinarle in qualche maniera.

Si dice che una banca centrale possa risolvere un problema di liquidità delle banche, ma non un problema di insolvenza. Questo significa che può prestare denaro a volontà alle banche stesse, ma non può creare denaro dal nulla e regalarglielo per tappare le perdite.

Una banca centrale crea denaro comprando in cambio buoni del tesoro o prestandolo alle banche in cambio di solide garanzie (normalmente i soliti buoni del tesoro).

Ovviamente nessuno impedisce realmente allo stato di emettere tutti i buoni del tesoro che vuole, venderli alla banca centrale e con i soldi ottenuti in cambio coprire le perdite del sistema bancario. L'unico problema è come questo tipo di operazione verrebbe interpretata dal resto del mondo. Essa equivarrebbe a dichiarare: "Sapete che c'è? Io stato, sono in mutande. Non riesco a vendere i miei buoni del tesoro all'estero ed ai privati, quindi mi sono ridotto a stampare direttamente denaro e a regalarlo alle banche del mio paese che sono in mutande come me".

Il mondo semplicemente risponderebbe: "Bene. Se sei in mutande, perché mai dovrei continuare a comprare i tuoi buoni del tesoro correndo il rischio che non mi vengano pagati? E' stato bello finché è durato, addio e grazie per tutto il pesce".

Quando ha dovuto trovare il denaro per ricapitalizzare direttamente gli istituti bancari tramite il TARP, il governo USA ha emesso dei buoni del tesoro, ma ha lasciato che li comprassero privati o le banche centrali di altri paesi.

Bernanke dal canto suo ha inizialmente cercato di ricapitalizzare le banche prestando loro denaro a basso costo, un costo inferiore a quello che avrebbe normalmente chiesto. Le banche che guadagnano dalla differenza sull'interesse che pagano alla banca centrale e quello che chiedono agli utenti finali in questa maniera avrebbero guadagnato di più. Il problema di questa strategia è che essa richiede molto tempo per dare risultati concreti. Inizialmente Bernanke la adottò quando ancora sperava che i problemi del comparto bancario fossero limitati e che tutto si sarebbe aggiustato se solo le banche avessero avuto un po' di tempo a disposizione.

Quando si accorse che ciò non si sarebbe verificato, si arrese e nel tentativo di ricapitalizzare le banche la FED cominciò a pagare un interesse sulle riserve in eccesso.

Le banche commerciali tengono le proprie riserve in conti depositati presso la banca centrale. Nessuno vieta alle singole banche di tenere in riserva somme superiori ai minimi richiesti per legge. Questo di solito accade raramente perché le banche preferiscono usare tutto il denaro che hanno a disposizione per gli investimenti. Da Ottobre la FED ha deciso di pagare un interesse sulle riserve obbligatorie e su quelle in eccesso. All'inizio la FED pagava cifre inferiori rispetto al tasso di interesse nominale, poi dal 5 Novembre tutto cambiò e cominciò a pagare un interesse pari a quello nominale, cioè l'obbiettivo che la FED fissa e che attualmente è pari all'1%.

Controllando i dati giornalieri (se lo preferite qui trovate un grafico comparativo) si nota come stranamente la FED sbagli sempre nell'influenzare il tasso reale di interesse. Esso risulta ogni volta significativamente più basso di quello nominale.

In sostanza se il tasso nominale è dell'1% e quello reale dell'0,30% le banche possono prendere denaro in prestito, attraverso le GSE ad esempio, pagando lo 0,35% e depositarlo nei loro conti alla FED incassando l'1%. Un bel guadagno pulito e senza rischi dello 0,65%.

Un modo indiretto e poco noto, tramite il quale la FED può ripristinare, a spese del contribuente, le moribonde riserve bancarie.

Dando un occhiata al grafico sotto che mostra l'andamento delle riserve in eccesso depositate presso la FED, non ci vuole un genio a capire quand'è che la banca centrale americana ha iniziato a pagare un interesse su di esse.




Se investire in questo momento risulta estremamente rischioso e la banca centrale offre denaro gratis, perché mai le banche dovrebbero prendersi il disturbo di farlo? Perché dovrebbero prestare soldi ai privati quando possono semplicemente depositarli presso la FED e guadagnare un discreto interesse senza muovere un dito?

Questa non sembra certo una strategia che incentivi la circolazione del credito.

Non è chiaro come mai le banche non prendano in prestito qualche gazillione di dollari e non lo depositino presso la FED guadagnando così gazillioni in interessi. Non riesce a spiegarselo ad esempio il professore Hamilton sul suo blog, cosa che ho trovato francamente rassicurante: almeno non sono il solo (e lui è senz'altro molto più in gamba di me). Cosa meno rassicurante non riesce a spiegarselo lo stesso Bernanke.

Dal suo discorso tenuto ad Austin:

Riguardo la politica sul tasso di interesse, sebbene ulteriori riduzioni dell'attuale tasso di interesse target pari all'1% siano senz'altro possibili, a questo punto l'utilità di usare una convenzionale politica sul tasso di interesse per supportare l'economia è ovviamente limitata. Infatti, il tasso di interesse reale nelle recenti settimane è stato consistentemente sotto a quell'1% stabilito dal Comitato, riflettendo la grande quantità di riserve che la nostra attività in materia di prestiti, ha immesso nel sistema.

In linea di principio, la nostra abilità nel pagare interessi sulle riserve in eccesso ad un tasso pari al tasso di interesse target, come abbiamo fatto, dovrebbero mantenere il tasso reale vicino al target, perché le banche non dovrebbero avere nessun incentivo a prestare fondi nottetempo, ad un tasso di interesse minore rispetto a quello che ricevono dalla Federal Reserve. In pratica, invece, diversi fattori hanno contribuito a deprimere il tasso di mercato facendolo scendere sotto al target. Uno di questi fattori è la presenza sul mercato di grandi fornitori di fondi, principalmente le government sponsored entity (GSEs) Fannie Mae e Freddie Mac, le quali non hanno diritto a ricevere un interesse sulle riserve e quindi sono disposte a prestare fondi nottetempo ad un interesse inferiore al target dell'1%.

Nelle note al suo discorso aggiunge Bernanke:
Le banche hanno un incentivo a prendere denaro in prestito dalle GSEs e poi ri-depositare i fondi alla Federal Reserve; come risultato, le banche ricavano un profitto sicuro pari alla differenza tra il tasso pagato alle GSEs e il tasso che ricevono sulle riserve in eccesso. Fino ad ora, però, questo tipo di arbitraggio non si è verificato su una scala sufficiente, forse perché le banche non hanno ancora adeguato le loro procedure di gestione delle riserve per trarre vantaggio da questa opportunità.
Ben esce allo scoperto lamentandosi del fatto che le banche non sfruttino abbastanza il giochino da lui stesso messo a loro disposizione in modo che possano ricostituire le proprie riserve e ricapitalizzarsi a spese altrui.

Questo si chiama tenere i piedi in due staffe. Da un lato Ben lamenta, almeno pubblicamente, che le banche non prestino denaro alle aziende e dall'altro fa in modo che non sia per loro conveniente farlo.

Un altro fatto che trapela dal discorso del capo della FED e che ormai la prima arma della banca centrale, la manipolazione del tasso di interesse, sia completamente scarica. La FED influenza il tasso di interesse comprando e vendendo buoni del tesoro a breve termine. A causa in parte degli interventi della FED e in parte della paura folle che ha attanagliato i mercati, il rendimento dei buoni a breve scadenza si è azzerato.

Il rendimento dei buoni del tesoro e il loro prezzo si modifica in maniera inversa. Se tutti comprano buoni del tesoro il loro prezzo, a causa della grande richiesta, salirà ed essi potranno promettere rendimenti limitati. Se la domanda è scarsa sarà il loro prezzo a calare e per attirare investitori dovranno promettere alti rendimenti.

I buoni a breve termine sono la cosa più vicina al denaro liquido e sono il rifugio a cui si rivolge chi non sa come investire in tempi di incertezza. Sono percepiti come sicuri, sono estremamente liquidi, cioè vendibili e in ogni caso dopo un breve periodo scadono e vengono pagati.

Quando però il rendimento dei buoni a breve termine si azzera succede una cosa strana. Essi diventano, dal punto di vista finanziario, perfettamente interscambiabili con il denaro liquido. Se la banca centrale influenza il tasso di interesse comprando e vendendo buoni del tesoro a breve scadenza in cambio di denaro liquido, quando il rendimento dei buoni si azzera si trova a tutti gli effetti a scambiare denaro in cambio di denaro. L'effetto finale risulta nullo.

Cosa cambia se comprate 100 euro con 100 euro?

Questa viene chiamata "trappola di liquidità" e ci proietta direttamente alla soluzione finale, quello che viene definito "quantitative easing".

Il neo premio nobel all'economia Paul Krugman disse a settembre:

Si vede ancor gente dire, in sostanza "non preoccupatevi di un tasso di interesse zero, perché non ci limitiamo a stampare denaro?". A dire il vero, la Banca centrale Giapponese provò questa strada, sotto il nome di "quantitative easing"; in pratica il denaro si accumulò semplicemente nelle casseforti delle banche. Per capire come mai, pensatela in questo modo: una volta che le T-bills (buoni del tesoro a breve scadenza ndr) hanno un tasso di interesse vicino allo zero, il denaro liquido diventa una riserva di valore competitiva, sebbene non abbia nessun altro vantaggio. Come risultato, la base monetaria (il denaro liquido presente nel sistema ndr) e le T-bills - le due parti del bilancio della FED - diventano perfetti sostituti. In questo caso, se la FED espande il suo bilancio (cioè se compra securities, normalmente buoni del tesoro ndr), sta praticamente ritirando con una mano e dando con l'altra: più base monetaria è in circolazione, ma anche meno debito a breve termine, e dato che essi sono perfetti sostituti ciò non produce nessun impatto sul mercato. Per questa ragione la trappola di liquidità rende la convenzionale politica monetaria impotente.

Nelle aste che si sono tenute gli scorsi giorni negli USA i buoni del tesoro sono arrivati a toccare un rendimento ormai indisinguibile dallo zero. Questo uccide qualunque possibilità di politica monetaria classica o anche di classico "quantitative easing".

A questo proposito sempre durante il discorso di Austin ha detto Bernanke:

Sebbene una politica convenzionale sul tasso di interesse è limitata dal fatto che il tasso nominale non può scendere sotto lo zero, la seconda freccia nella faretra della Federal Reserve --la fornitura di liquidità-- rimane effettiva. Davvero, esistono diversi modi attraverso i quali la FED può influenzare le condizioni finanziarie attraverso l'utilizzo del suo bilancio, oltre l'espansione dei nostri prestiti agli istituti finanziari. Primo, la FED può acquistare buoni del tesoro a lungo termine o securities di varie agenzie in sostanziali quantità. Questo approccio può influenzare il rendimento di queste securities, aiutando la domanda aggregata. In effetti, la scorsa settimana la FED ha annunciato piani per comperare 100 miliardi di dollari in debiti delle GSE e fino a 500 miliardi in securities basate sui mutui in possesso delle GSE, nel corso dei prossimi quarti. E' incoraggiante che l'annuncio di questo intervento sia stato accolto da un calo nel tasso di interesse dei mutui.

Bernanke in questo passaggio, annuncia la possibilità di stampare denaro ed usarlo in maniera poco ortodossa, per comperare sostanziali quantità di debito a lungo termine dello stato e titoli basati sui mutui dal valore discutibile in pancia a diversi istituti. Questa è un altra forma di "quantitative easing", una forma che Krugman definisce "Bernanke Twist".

Venerdì scorso Wall street ha cavalcato al rialzo incurante dei terribili dati sulla disoccupazione americana, proprio perché la FED ha compiuto il primo acquisto di titoli delle due GSEs Fannie e Freddie per il modesto ammontare di 5 miliardi.

Alla FED si è unità la BCE con il suo capo Trinchet che ha dato ad intendere di valutare l'adozione di certe forme di quantitative easing:

"Stiamo fornendo liquidità in maniera illimitata. Continueremo ad osservare con grande attenzione la situazione del mercato e se necessario prenderemo nuove decisioni" ha detto (Trinchet ndr), in risposta a domande su misure di QE.

Julia Callow, economista per l'Europa alla Barclays Capital, ha detto che la BCE è stata presa di sorpresa quando la crisi ha acquistato velocità all'inizio dell'anno, ma ora sta cominciando a riprendersi. "Sono ancora troppo esitanti data la gravità di quel che sta accadendo. Nonostante ciò, sembra che ora si stiano preparando per il quantitative easing e senza dubbio hanno altri trucchi nascosti nelle maniche" ha detto.

Il trattato di Maastricht proibisce alla BCE di iniettare stimoli acquistando debito dei governi dei quindici paesi dell'euro zona - un metodo conosciuto come "monetizzare il deficit", o più rudemente come "stampare denaro".


Dato che per la BCE è molto complesso decidere se e come eventualmente comperare debito dei vari stati (salvo deroghe ai trattati esistenti) alcuni stanno suggerendo che possa acquistare titoli basati sui mutui come la FED o direttamente debito delle aziende. Anche in Inghilterra si moltiplicano gli appelli perché si ricorra al QE.

Per capire come mai è così pericoloso ricorre al QE facciamo un breve riassunto, che chi ha letto gli ultimi due articoli troverà abbastanza noioso.

Il debito complessivo presente nel sistema risulta sempre maggiore del denaro esistente. In sostanza esso non può essere materialmente ripagato. Per poterlo fare è necessario creare altro denaro. Dato però che anche questo nuovo denaro viene creato attraverso il sistema bancario facendo un debito, il debito complessivo stesso finisce a sua volta con l'aumentare. Il che richiede la creazione di nuovo denaro, che genera nuovo debito, che richiede nuovo denaro ecc.

Il denaro viene creato quando esiste una crescita economica e finché questa crescita e quindi la creazione di denaro corre, in maniera sostenibile, di pari passo con il debito, la baracca bene o male sta in piedi.

Ad un certo punto però la crescita cominciò a stagnare non consentendo la creazione di abbastanza denaro, mentre il debito inesorabile non faceva che aumentare a suon di scatti dell'interesse.

Qualcuno in una stanza pensò: "Se la crescita non ci permette di creare abbastanza denaro, possiamo sempre abbassare il tasso di interesse a sufficienza da invogliare la gente ad indebitarsi. Questa gente poi investirà questo denaro e lo farà circolare stimolando quindi il sorgere di attività ed il commercio. In sostanza possiamo essere noi a creare la crescita per via monetaria".

Se tutto questo denaro creato grazie ai bassi tassi si scarica su un sistema in cui nonostante tutto, le premesse per la crescita non esistono, finisce con lo sbattere contro un muro. Alla disperata ricerca di una sfogo generalmente si riversa su un qualche determinato bene facendolo salire di valore in modo folle. Questo aumento inflazionario di valore viene spesso erroneamente scambiato con una reale crescita economica.

La prima volta che ciò successe il denaro trovò uno sfogo in quella che venne chiamata new economy. Il problema fu, che seppure si trattasse di una rivoluzione tecnologica reale su di essa si riversò troppo denaro facendo salire in maniera insensata il valore dei titoli delle compagnie tecnologiche ed informatiche. Questo valore fittizio scomparve quando la bolla della new economy scoppiò riallineandosi in tutta fretta con la realtà e con un livello di crescita sostenibile.

Purtroppo però, come sempre accade in questi casi il debito rimase.

Dato che tutti consideravano come "denaro" i valori inflazionati dalla bolla, quando questi scomparvero, l'effetto equivalse alla scomparsa di una grande quantità di denaro. Non ne rimaneva a sufficienza per pagare quella parte del debito necessaria a sostenere il sistema. Il rischio era quello di un tracollo e di una pesantissima recessione.

Ancora una volta qualcuno pensò:"Se è il denaro che manca possiamo sempre crearlo noi. Abbassiamo ancora di più il tasso di interesse, talmente tanto da rendere così sconveniente risparmiare e così conveniente indebitarsi ed investire, da obbligare quasi la gente a farlo. Potremmo in questa maniera, far si che giri sufficiente denaro da ripagare i debiti lasciati dallo scoppio della new economy".

Tutto funzionò. Per un po' almeno.

Questa volta il denaro creato si schiantò contro il famoso muro, non trovando un qualche sfogo convincente e finì col riversarsi massicciamente sul mercato immobiliare, producendo la più grande bolla mai vista. Nella politica dei tassi bassi, oltre alla FED si erano imbarcate anche le banche centrali di mezzo mondo e grazie alla globalizzazione la bolla immobiliare in una forma o nell'altra, si estese su quasi tutto il pianeta.

Da oltre un anno come sappiamo bene tutti essa è scoppiata. I valori dei beni inflazionati, immobili e titoli di vario genere basati su di essi, sono tornati sul pianeta terra mentre ancora una volta Il debito è rimasto. Più opprimente di quanto non fosse dopo lo scoppio della new economy.

Ovviamente, non esiste neppure lontanamente abbastanza denaro per tenere in piedi il sistema. Non è una questione di volontà, cattiveria o altro.

E di nuovo, i soliti omini, stanno cercando in maniera coordinata e su scala planetaria di abbassare il tasso di interesse portandolo vicino allo zero, in modo che abbastanza denaro venga creato.

Questa volta non sta funzionando.

La gente è già troppo indebitata per poter pensare di contrarre ulteriori debiti ed anche se qualcuno ne avesse l'intenzione sono ormai le banche stesse che non potendo più rivendere i debiti concessi, come facevano ancora solo un anno fa, si rifiutano categoricamente di erogare prestiti.

Inoltre alcune banche centrali come la FED a forza di tagliare il tasso di interesse e di acquistare buoni del tesoro a breve termine, si ritrovano imprigionate in una trappola di liquidità.

La prima e più potente arma a disposizione dei banchieri centrali, la capacità di influenzare il tasso di interesse, risulta inefficace o inapplicabile.

La seconda arma che i banchieri centrali avrebbero a disposizione per aumentare il denaro in circolazione in teoria potrebbe essere quella di ridurre i vincoli di riserva obbligatoria per le banche (come abbiamo visto nello scorso post). La cosa sarebbe semplicemente folle. Una parte del problema sono proprio le striminzite riserve bancarie che non mettono le banche in condizione di sostenere significative perdite. Come dimostra la decisione presa dalla FED, di pagare gli interesse sulle riserve bancarie, le banche centrali non penserebbero mai in un contesto del genere di allentare i vincoli di riserva.

Ne per altro servirebbe veramente a qualcosa farlo. Le banche stesse sono le prime ad essere consapevoli della loro condizione e le prime a voler ripristinare la propria situazione finanziaria senza correre eccessivi rischi, specialmente con prospettive così nere per il futuro. Anche allentare i limiti non produrrebbe nessuna crescita del denaro circolante.

Ai banchieri centrali rimane l'ultima arma.

Le OMO, le open market operation che si dividono in temporanee (TOMO) e permanenti (POMO).

Il quantitative easing è una forma di permanent open market operation in cui la banca centrale acquista delle securities e se le tiene a bilancio. In questa maniera la BC mette in circolazione del denaro in modo sostanzialmente permanente. Se nel caso dei buoni del tesoro a breve quel denaro è teoricamente sterilizzabile (richiamabile a piacere), nel caso di altri tipi di securities non è così semplice.

Prendiamo il caso degli mbs (mortage backed securities) ad esempio. Una volta tutti facevano finta che essi valessero 100. Poi anche chi se li teneva in pancia ha dovuto ammettere che valevano solo 60. La banca centrale può decidere di comprarli, di solito lo fa ad un prezzo inferiore ad esempio 45. Offre un prezzo più basso, proprio perché mette in conto la possibilità che esse col tempo caleranno ulteriormente di valore. Se un giorno le acque si calmassero e la BC decidesse di ritirare il denaro speso per queste securities, l'unica cosa che potrebbe fare sarebbe rivenderle. Se riuscisse a venderle per 45 o più, la banca centrale vincerebbe la sua scommessa e sarebbe in grado di ritirare una somma pari o superiore a quella creata. Se invece queste securities arrivassero a valere 10, come è più realistico pensare, la banca centrale avrebbe stampato ed immesso nel sistema in maniera permanente 35.

Quei 35, qualunque cosa siano (euro dollari ecc), si trasformerebbero in pura e quasi ineliminabile inflazione.

Questo è vero anche per i buoni del tesoro. Se la banca centrale continua a comprare buoni a lungo termine spingendo il prezzo in alto non è detto che quando avrà necessità di rivenderli essi varranno lo stesso prezzo che essa ha pagato. La differenza è tutta inflazione. La BC può sempre aspettare la scadenza dei buoni e incassarli insieme al rendimento, ma non è detto che la politica monetaria che intende adottare glielo possa consentire. Ad esempio se ritenesse di aver stampato troppo denaro e volesse combattere l'inflazione rivendendo un po' di buoni del tesoro e ritirando liquidità prima della loro scadenza.

In sostanza l'alternativa al permettere la cancellazione tramite il fallimento della gente è la monetizzazione.

Il debito è 100 e il denaro presente in circolazione 50?

Basta stampare altre 50 e distribuirli in giro in modo che tutti possano ripagare il proprio debito.

Funziona.

Solo che dopo dovremmo andare tutti in giro con un camioncino al posto del portafogli.

L'inflazione ci ucciderebbe.

Se tutti i beni al mondo fossero 10 mele e tutto il denaro 10 euro, ogni mela costerebbe 1 euro. Se raddoppiassi il denaro in circolazione e le mele restassero 10, non diventeremmo tutti più ricchi: le mele arriverebbero semplicemente a costare 2 euro. Se invece anche le mele raddoppiassero, cioè si verificasse una reale crescita, ogni mela continuerebbe a costare 1 euro, ma ne avremmo 10 in più da mangiare.

Questa è la banale ragione per cui gli economisti avvertono sempre di stare attenti ad aumentare gli stipendi della gente in mancanza di una effettiva crescita economica.

Non serve.

Stampare denaro cancellerebbe il debito, ma assieme ad esso farebbe sparire anche le nostre economie ed in maniera più efficace di quanto non potrebbe fare una catena deflattiva di fallimenti.

Quello che stanno cercando di fare i banchieri centrali è sostanzialmente una via di mezzo. Intanto che il debito viene cancellato attraverso i fallimenti, stanno iniziando a stampare denaro aumentandone la quantità in circolazione. Sperano che l'aumento di denaro e la riduzione del debito si incontrino a metà strada in un qualche punto di equilibrio.

Se stampano troppo il rischio è che una volta risolta la crisi deflazionaria ci ritroveremo immersi in una inflazionaria, ancora più difficile da gestire. Se stampano poco non risolvono i problemi attuali e rischiano di aver compromesso le rispettive valute, forse in maniera permanente, senza aver ottenuto significativi vantaggi.

E' una scommessa estremamente pericolosa.

Non sappiamo neanche se esista uno "stampano il giusto", perché in una situazione simile non ci siamo mai trovati.

Cosa succede quando una bolla economica a livello planetario scoppia?

Cosa succede quando gran parte del mondo porta il tasso di interesse vicino allo 0%?

Cosa succede quando gran parte del mondo decide di adottare misure di quantitative easing?

A parte la prima domanda, alla quale stiamo avendo una risposta poco alla volta, se poneste le altre due a 10 economisti diversi vi darebbero 10 risposte diverse.

Robert Mundell premio nobel per l'economia ritiene che le attuali manovre della FED ci porteranno alla rovina. Probabilmente legherebbe volentieri Bernanke ad una pietra e lo getterebbe in fondo al mare.

Personaggi come Marc Faber e Peter Schiff concordano con Mundell.

Roubini per quanto sia pessimista, approva le politiche monetarie espansive della FED ed è favorevole ad ingenti interventi di stimolo economico da parte dei governi.

Martin Wolf del Financial Times, afferma che le nazioni che si lanceranno in pacchetti di stimolo indebitandosi se ne pentiranno.

Pritchard critica la FED per le azioni passate, poi ne approva le ultime manovre come il QE, ma critica i pacchetti di stimolo.

La verità è che nessuno ha la più pallida idea di come andrà a finire e che conseguenze potranno avere queste manovre poco ortodosse. Il quantitative easing viene anche definita "l'opzione nucleare". Non solo per la sua potenza, ma sopratutto per la sua pericolosità.

Tom Fitzpatrick capo analista strategico alla Citibank intervistato da Pritchard dice:

"Il mondo non tornerà alla normalità dopo la magnitudine di quello che hanno fatto. Quando la polvere si depositerà questo potrà o funzionare, ed il denaro che hanno spinto nel sistema si ciberà di esso attraverso un shock inflattivo.

Oppure non funzionerà perché troppo danno è già stato fatto e continueremo ad assistere ad un deterioramento finanziario, che causerà un ulteriore deterioramento economico, con il rischio di un ciclo auto-sostenuto. Noi non pensiamo che questo sarà il più probabile esito, ma con il passare delle settimane e dei mesi, aumenta il rischio di un circolo vizioso, man mano che la fiducia viene erosa" ha detto.

"Questo produrrà instabilità politica. Abbiamo già visto paesi alla periferia dell'Europa sotto severo stress. Alcuni leaders si trovano ora a livelli di impopolarità record. C'è il rischio di rivolte, a partire da degli scioperi perché la gente si sente abbandonata"

"Cosa succede se si verifica il fallimento in un paese come il Pakistan, che è anche un potenza nucleare. La gente reagisce quando si trova con le spalle al muro. Abbiamo già visto emergere dubbi sul debito sovrano di nazioni sviluppate con un rating AAA, questo è qualcosa che non può essere ignorato" ha detto.

Quello che penso l'ho detto più volte. Tutta questa storia non finirà bene.

Resta solo da vedere quanto male possa finire.

Nel caso peggiore in assoluto ci beccheremo una terza guerra mondiale (cosa che reputo improbabile). Nel caso migliore una crescita anemica e stagnante di 5-10 anni, come accadde al Giappone durante quello che venne poi chiamato "il decennio perso".

Nel mezzo può accadere di tutto.

Tenete presente però, che quello che passa sotto il nome di "quantitative easing" è l'ultima strategia a disposizione dei banchieri centrali. Neppure loro sanno bene se possa funzionare ne quali conseguenze produrrà. Pregano ogni notte prima di addormentarsi (se ancora ci riescono) perché tutto possa risolversi per il meglio.

Pregano anche che tutti i partecipanti alla partita stiano al gioco e non decidano di andare ognuno per la propria strada.

Se anche solo uno dei giocatori principali decidesse di condurre il proprio gioco, la strategia dei banchieri centrali rischierebbe di fallire ancora prima di venire messa alla prova. Siamo vicini ad una classica situazione da dilemma del prigioniero.

La scorsa settimana è corsa voce che la Cina fosse sul punto di svalutare la sua moneta nel tentativo di sostenere le proprie esportazioni. La possibilità ha fatto rispolverare il termine beggar thy neighbour ("chiedi la carità al tuo vicino"), termine che descrive quella politica di svalutazioni competitive e di dazi incrociati che caratterizzò gli anni 30 ed a cui molti imputano parte della responsabilità nello scoppio del successivo conflitto globale.

Ora le voci sembrano rientrare e pare che i politici cinesi stiano studiando altre mosse per cercare di sostenere l'economia.

Forse nessuno è ancora pronto a lasciare il gruppo ed a cercare di fregare gli altri, ma di sicuro non mancheranno le occasioni nel prossimo futuro.

Tutto quello che possiamo fare noi singoli, purtroppo, è tenere gli occhi aperti, incrociare le dita e pregare che una volta tanto i banchieri centrali abbiano ragione.