venerdì 23 gennaio 2009

Wind of change

Un altra settimana si apre all'insegna dell'incertezza sui mercati. La scorsa è stata teatro di una vera e propria carneficina nel settore bancario. Nulla di inatteso, almeno per quel che mi riguarda, trovo però preoccupante la rapidità con cui gli eventi stanno precipitando. Pritchard sul Telegraph prova a fare il punto della situazione: gli USA stanno perdendo mezzo milioni di posti di lavoro al mese, in Brasile solo a Dicembre ne sono evaporati 650000 mentre in Cina ammontano a 10 milioni le persone che hanno perso l'impiego dall'inizio dell'attuale crisi. Considerando i dati dell'ultimo quarto l'economia americana si è contratta del 6% l'anno, quella tedesca del 7%, quella giapponese del 12% e quella koreana di uno spaventoso 22%.

Intanto i comparti bancari di mezzo mondo continuano a rigirarsi in un agonia che sembra non avere fine. Se Bank of America e Citigroup si sono rivelati essere il buco nero che molti sospettavano fossero, personalmente, rimango in attesa che anche il verminaio chiamato Wells Fargo ci regali qualche attimo di suspense. Intervistata a Dicembre, prima che i recenti disastri bancari venissero alla luce, Meredith Whitney, una delle migliori analiste riguardo la condizione delle banche, alla domanda posta da una giornalista della CNBC su quale fosse la banca messa peggio rispose senza esitazione: "Wells Fargo".

Nel frattempo, è in corso un acceso dibattito su come utilizzare i rimanenti 350 miliardi del TARP. L'ipotesi di creare una "bad bank" sembra aleggiare insistentemente tra gli scranni del parlamento americano. Paul Krugman neo premio nobel per l'economia, in una delle rare occasioni in cui ne condivido l'opinione, definisce la possibile istituzione di una "bad bank" come una forma di Wall Street voodo. La "bad bank" si occuperebbe di comprare tramite denaro prelevato dal TARP, tutti quegli assets andati a male che le banche si ritrovano in pancia. Si parla di almeno 100 miliardi che grazie ad un leverage di 10 volte garantito dalla Federal Reserve, fornirebbero 1000 miliardi complessivi alla "bad bank" per i suddetti acquisti. Il problema rimane, la valutazione di questi assets tossici. Lo stesso scoglio su cui si infransero, ad Ottobre, i propositi iniziali di Paulson su come utilizzare i fondi del TARP .

Soros riassume il dilemma dell'amministrazione Obama dicendo:

La difficile scelta che sta fronteggiando l'amministrazione Obama è tra una parziale nazionalizzazione delle banche, o il lasciarle in mani private e nazionalizzare solo gli assets tossici. Scegliere la prima opzione infliggerebbe una grande sofferenza su un vasto segmento della popolazione - non solo gli azionisti delle banche, ma anche i beneficiari dei fondi pensione. Però, ripulirebbe l'aria e farebbe ripartire l'economia.

La seconda opzione eviterebbe il riconoscimento ed il venire a patti con la dolorosa realtà economica, ma porrebbe il sistema bancario nella stessa condizione che ha condotto alla rovina delle government sponsored enterprises (GSEs) – Fannie Mae e Freddie Mac. L'interesse pubblico richiederebbe alle banche di riprendere ad erogare prestiti a condizioni vantaggiose. Però, questi prestiti finirebbero col dover essere imposti attraverso un diktat governativo dato che l'interesse personale delle banche le condurrebbe a concentrarsi sul preservamento e la ricostruzione del proprio patrimonio.

Dati i precedenti, mi aspetto che Obama ed i suoi intraprendano la seconda strada, nella convinzione che sia meglio soffrire meno e più a lungo (sempre che sia effettivamente possibile).

Le banche Inglesi dal canto loro, continuano a flirtare con la nazionalizzazione. Il piano di soccorso stilato da Brown, prevede l'estensione del programma di garanzia sui prestiti erogati dalle banche oltre a fornire una garanzia aggiuntiva sui nuovi prestiti pari a 50 miliardi di sterline, assicura che la nazionalizzata Northen Rock estenderà prestiti a clienti che dimostrino di essere meritevoli e promette l'acquisto di assets tossici per l'ammontare di 50 miliardi di sterline. Si tratta in sostanza delle solite mezze misure. Un tentativo di evitare a tutti costi la nazionalizzazione.

Pritchard conclude la sua analisi sulla situazione odierna, rilevando come essa ricordi da vicino quella dei primi mesi del 1931. Una volta tanto però, riesce a scorgere anche un lato positivo: "almeno non è ancora il 1933" dice. Obama secondo lui, si troverebbe ad affrontare una realtà migliore di quella che toccò a Roosevelt nel 33 ed avrebbe quindi, ancora un certo spazio di manovra a disposizione prima che tutto rischi di diventare ingestibile. In questo senso le scelte che il neo presidente compirà in futuro saranno fondamentali. Dovrà agire con decisione e senza commettere errori perchè, con tutta probabilità, non avrà a disposizione una seconda chance per evitare il precipitare degli eventi.

A proposito di eventi che precipitano: un retroscena interessante riguardo agli avvenimenti che coinvolsero il settore finanziario ad Ottobre, emerge da un articolo del daily mail . All'epoca arrivai a suggerire ai lettori di questo blog di fare scorta di cibo. Probabilmente qualcuno avrà pensato che sia stato troppo allarmista. Paul Myners, ministro per la City, ha rivelato che venerdì 10 Ottobre il sistema bancario inglese si trovò ad passo dal completo collasso. Stava per scatenarsi una forsennata corsa alle banche. Il governo andò in stato di emergenza e si preparò ad attuare un blocco totale delle operazioni bancarie che prevedeva: la completa chiusura degli istituti, la sospensione dei ritiri e dei trasferimenti di denaro e una successiva nazionalizzazione dell'intero settore bancario.

Solo frenetiche comunicazioni dietro le quinte riuscirono a scongiurare la corsa alle banche e lo scatenarsi del panico. Inutile dire, che in seguito a queste dichiarazioni, siano arrivati da più parti attacchi a Lord Myners, accusato di incentivare il senso di insicurezza del mercato.

Altre dichiarazioni che hanno fatto molto discutere, sono quelle pronunciate la scorsa settimana da Timothy Geithner. Ricordatevi bene questo nome, perché lo sentirete pronunciare spesso in futuro. Appartiene al ministro designato del tesoro statunitense. Ex presidente della Federal Reserve di New York, Geithner ha ricoperto nella sua carriera diverse posizioni di una certa rilevanza e viene considerato un uomo establishment (qui trovate un diagramma con le sue connessioni). Fu uno dei principali architetti del salvataggio della Bear Sterns, la scorsa primavera. Ricoprì il ruolo di sottosegretario al tesoro nella amministrazione Clinton sotto la supervisione del ministro Robert Rubin e del suo successore Lawrance Summers.

Adesso Rubin, dopo aver trascorso anni nel consiglio di amministrazione della Citigroup senza notare alcun problema nella condotta dell'istituto, si è dimesso "spontaneamente" per andare a ricoprire il ruolo di consigliere di Obama. Summers dal canto suo presiede alla casa bianca, sempre dietro nomina di Obama, il National Economic Council una potente agenzia che ha il compito di supervisionare e dare consigli, in merito alla politica economica dell'amministrazione americana.

Questi personaggi non possono certo essere considerati un grande cambiamento. Sono sicuramente meglio del ministro uscente Paulson e dei suoi amici. Per trovare di peggio, del resto, Obama avrebbe dovuto, probabilmente, cercare nell'averno. Difficilmente però, questi nuovi protagonisti della politica economica USA potranno contrastare in maniera decisa l'establishment economico, essendone stati membri.

E tanto per cominciare con il piede giusto il neo ministro Geithner, la scorsa settimana, in una nota rivolta al comitato finanziario del senato ha attaccato pubblicamente la Cina:

"Il presidente Obama -- supportato dalle conclusioni di un vasta parte degli economisti -- ritiene che la Cina stia manipolando la sua valuta" ha scritto Geithner in risposta a dei quesiti avanzati da alcuni membri del Senate Finance Committee.

"Il presidente Obama si è impegnato come presidente ad usare in maniera aggressiva tutte le vie diplomatiche disponibili nel perseguimento di una modifica nella politica monetaria Cinese" ha detto Geithner.


Dopo aver letto queste dichiarazioni molti si sono messi le mani nei capelli. Willem Buiter in un recente articolo intitolato: "Quando tutto il resto fallisce, dai la colpa alla Cina", critica pesantemente l'aggressività mostrata da Geithner e dall'amministrazione USA. Una delle ragioni per cui Buiter ritiene vi sia speranza che l'attuale recessione globale non si trasformi in una seconda Grande Depressione è l'assenza di quella diffusa politica di dazi e barriere commerciali che fece la sua comparsa durante gli anni 30. Incentivare i conflitti con stupide dichiarazioni, nel mezzo della crisi attuale, sarebbe tutt'altro che costruttivo e potrebbe condurre a scontri dalle antipatiche conseguenze.

Altri soggetti invece, hanno accolto le accuse di Geithner con entusiasmo. E' il caso di un gruppo che rappresenta una parte dell'industria manifatturiera americana, l'U.S. Business and Industry Council, guidato da Kevin Kearns. Kearns ha colto la palla al balzo ed ha invitato il nuovo governo ad erigere delle barriere commerciali all'importazione di merci cinesi. In realtà Obama aveva già annunciato l'intenzione di introdurre una clausola per l'utilizzo di materiali prodotti in america, nella legge che il parlamento approverà a breve e che dovrebbe istituire il preannuciato pacchetto di stimolo all'economia da 825 miliardi di dollari.

Un Keynesiano affermerebbe che l'efficacia di un intervento di stimolo dipenda: dalla propensione al consumo, dal livello della tassazione e dalla propensione all'importazione. In questo senso, uno dei modi più semplici per aumentare l'efficacia di un pacchetto di stimolo è l'adozione di barriere commerciali. Una possibilità che ha scatenato il panico tra gli esportatori USA, preoccupati di possibili ritorsioni commerciali da parte delle altre nazioni. Un gruppo di essi che include Boing, General Elettric e Cateripillar sta correndo ai ripari esercitando forti pressioni volte ad impedire l'approvazione della sudetta clausola.

La Cina, pur infastidita dalle accuse di Geithner ha replicato, per voce del ministro del commercio, definendole delle "critiche senza fondamento" ed ha ribadito di non aver mai manipolato la sua valuta. Secondo analisti cinesi sentiti dalla Reuters, i politici del paese orientale, hanno controllato la propria rabbia nella convinzione che Geithner e Obama stiano solo atteggiandosi per questioni di politica interna. Alcuni commentatori però, cominciano a manifestare preoccupazione riguardo un eventuale diminuizione nell'acquisto di buoni del tesoro USA da parte cinese. Un articolo sul Nikkei riporta l'opinione di Yu Yongding, ex membro della banca centrale Cinese, il quale suggerisce al suo governo di vendere parte dei buoni del tesoro americani in suo possesso e di diversificare gli investimenti aumentando l'acquisto di assets denominati in euro ed in yen. Yu sembra preoccuparsi di un prossimo calo nel valore del buoni del tesoro americani e delle perdite che incasserebbe la Cina nell'eventualità.

Anche Federico Rampini su repubblica, sembra ventilare di una possibile rottura tra Cina e USA:

L´Amministrazione Obama esordisce attaccando la Cina, e in un lampo i mercati sono costretti a porsi una domanda terribile: cosa accadrebbe se Pechino reagisse smettendo di finanziare il debito pubblico americano?
Lo spettro di una frattura nel legame finanziario sino-americano - «Chimerica» come l´ha battezzata lo storico dell´economia Nial Ferguson - ieri ha fatto capolino sul mercato più liquido del pianeta, quello dove si scambiano i Buoni del Tesoro emessi a Washington. I rischi di una tensione commerciale Usa-Cina hanno fatto tremare i Treasury Bonds trentennali, uno dei titoli considerati più sicuri e tradizionalmente un bene-rifugio per gli investitori. I T-Bonds trentennali hanno subìto vendite che hanno portato a un rialzo dei rendimenti, fino a sfiorare il 3,30% proprio giovedì sera, non appena il Senato americano ha diffuso il testo dell´audizione del neosegretario al Tesoro Tim Geithner. Lì figura l´accusa alla Cina di «manipolare la propria valuta».
E´ un´accusa forte, che nessun segretario al Tesoro dell´Amministrazione Bush aveva mai voluto formulare apertamente. Può aprire la strada a ritorsioni commerciali contro il made in China. Quello che ha spaventato i mercati, è l´eventualità che in una escalation protezionista Pechino possa usare l´arma finanziaria, riducendo i suoi acquisti di buoni del Tesoro americani. Con 2.000 miliardi di dollari di riserve ufficiali, la Repubblica Popolare è uno dei più importanti investitori in T-Bonds. L´ultimo decennio di crescita dell´economia mondiale si è retto sulla complementarietà fra Stati Uniti e Repubblica Popolare: all´alto debito dei consumatori americani faceva da corrispettivo l´alto risparmio delle famiglie cinesi; i disavanzi commerciali Usa che andavano a gonfiare le riserve valutarie di Pechino venivano «riciclati» regolarmente dai banchieri cinesi con la sottoscrizione dei titoli pubblici americani.

In realtà non sembra ancora essere all'orizzante una fuga Cinese dal debito sovrano USA (e nel proseguio dell'articolo anche Rampini lo fa notare). Come riporta Brad Setser, a Novembre la Cina ha diminuito l'acquisto di buoni del tesoro americano a lungo termine per l'ammontare di 9,2 miliardi di dollari. In compenso però, ha aumentato i suoi acquisti di debito a breve scadenza per ben 38,2 miliardi. Di fatto la Cina sembra preferire debito a breve termine, probabilmente per difendersi da eventuali fluttuazioni nel valore dei buoni a lungo termine più esposti a repentini cambiamenti. In effetti, i buoni a 10 anni, sono passati da un rendimento minimo il 30 Dicembre del 2,06% al 2,68% della scorsa settimana, evento ritenuto da alcuni, essere il primo segnale dello sgonfiarsi della bolla sui buoni del tesoro americani.

Nonostane alcune frizioni stiano comparendo, continuo a ritenere sia ancora prematuro ipotizzare un reale scontro tra Cina e USA, anche se inevitabilmente aumenteranno le tensioni tra i due paesi nel prossimo futuro.

Alcune tensioni potrebbe sorgere anche tra Giappone e Stati Uniti. Un altra dichiarazione rilasciata da Geithner che ha fatto sollevare più di un sopracciglio è stato l'avvertimento nei confronti del Giappone di non intervenire nel mercato valutario per cercare di contenere l'apprezzarsi dello yen. Il Giappone è uno stato fortemente dipendente dalle esportazioni. Una valuta forte va contro i suoi interessi economici. A Dicembre le esportazioni giapponesi sono crollate di uno spaventoso 35%, dopo un calo del 26,7% il mese precedente. Diverse aziende giapponesi, come honda e toyota, stanno minacciando di spostare la produzione all'estero se lo yen dovesse continuare ad apprezzarsi. La sony ha annunciato perdite pari a 3 miliardi di dollari, 2 miliardi in più rispetto alle attese degli analisti ed ha annunciato licenziamenti per 16000 unità di qui al 2010.

Nonostante gli appelli di Geithner se lo yen dovesse continuare a rivalutarsi il governo del paese del Sol Levante non potrà fare a meno di intervenire sul mercato valutario. La pensa in questa maniera Eisuke Sakakibara, ex vice ministro delle finanze giapponese conosciuto ai più con il soprannome di Mr Yen. In un intervista al Financial Times, Sakakibara ha detto di aspettarsi un intervento da parte del ministero del tesoro, nel caso lo yen dovesse superare quota 85 contro il dollaro. Sakakibara prevede che lo yen si apprezzerà ulteriormente nei confronti del biglietto verde una volta esauritasi "l'Obama euforia".

Non sembra ventilare una qualche reale rottura tra Giappone e Stati Uniti, ma ritiene che le autorità americane saranno costrette a cedere di fronte alle richieste giapponesi e che i due paesi concorderanno insieme un intervento volto al contenere l'aumento della valuta orientale. Secondo il Financial Times, anche Mr Yen sembra predire una "depressione globale" simile a quella degli anni 30, ma come nel caso di Pritchard e Buiter, Sakakibara trova conforto nel fatto che al contrario di allora, oggi, i governi di tutto il mondo sembrino collaborare tra loro.

Auguriamoci che questa forzata collaborazione duri a lungo e che alcuni politici riflettano due volte prima di aprire la bocca.

3 commenti:

mensa andrea ha detto...

forse , meglio che OBAMA, avrebbero puotuto puntare su una DONNA DI COLORE, ma forse qualcuno avrebbe potuto subodorare il trucco.
mostrare un cambiamento epocale, per poi lasciare tutto, o quasi come prima.
e lo staff economico eretto come un recinto di protezione attorno ad obama, mi sembra che rappresenti bene la situazione.
in tanti altri campi, libertà di azione, per convalidare l'impressione del cambiamento, attorno ai soldi, meglio i vecchi sistemi.
io mi stavo domandando quando avrebbe raso al suolo luoghi come montecarlo, le bahamas, le isole cayman e tutti i paradisi fiscali attraverso cui sono finora state perpetrate le piu colossali truffe, ma per stare più vicini mi sarei aspettato che si azzittissero le varie società di rating, tanto brave a sparar giudizi quanto a dichiararsi irresponsabili degli effetti dei loro giudizi, ma da quel lato niente, manco un buffetto di rimprovero, per non parlare della dirigenza della fed, che finora ha bruciato centinaia di miliardi di dollari senza effetto apparente (oltre a quello di continuare a caricare peso sulle spalle dei contribuenti).
se questo è il cambiamento, non mi aspetto veramente molto da tutte queste misure che sembrano più annunci che azioni vere (almeno dai risultati).
del giappone è spettacolare come con un debito pubblico che supera il 170 % del pil, si riesca a veder rivalutare in continuazione lo yen, quasi non fosse la moneta di questo stesso stato sull'orlo del default.
detto questo penso che di cose strane ne vedremo ancora parecchie, per cui risparmiamo aggettivi estremi per il prossimo futuro

Reda EK ha detto...

Giusto un commento veloce per dire che ho scoperto da poco il tuo blog ed e' piacevole leggerlo. Keep up the good work.
Farebbe comodo anche un blogroll piu' lungo ;-)

maat ha detto...

insomma obama ce l'ha con cina e giappone,
e sembra strizzare l'occhiolino all'europa,
ma nn credo ke a noi convenga un alleanza del genere.
in fondo l'america è praticamente fallita ,
è viva soltanto x la considerazione ke si è costruita dal 40 fino adesso.
stiamo assistendo al crollo di un'impero e alla lotta x la sua sostituzione