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venerdì 5 giugno 2009

Sul rapporto Debito/PIL (prima parte)

La conseguenza peggiore di non aggiornare il blog con una certa frequenza è l'accumularsi di avvenimenti significativi che meriterebbero un articolo di approfondimento tutto per loro: l'impennata nei rendimenti dei buoni del tesoro americani che tanto sta facendo preoccupare il governo cinese, l'anomala ondata di acquisiti durante l'ultimo minuto di contrattazione a wall street due venerdì fa che ha fatto gridare alla "manipolazione" della borsa, la nuova ondata speculativa sul prezzo del petrolio, il fallimento della GM ed il caso Fiat-Opel sono solo alcuni esempi.

Nonostante questo susseguirsi di eventi preferisco dedicare l'articolo di oggi ad un argomento che era stato toccato in maniera superficiale nei commenti allo scorso post, cercando di sviscerarlo un minimo: quello del rapporto tra Debito pubblico e PIL (abbreviato D/P).

Il dibattito su questo fondamentale indicatore della sostenibilità a lungo termine dell'economia di un paese sta prendendo piede anche in altri stati. I numerosi interventi finanziari imbastiti dalle nazioni di mezzo mondo per salvaguardare la stabilità economica globale, sono stati finanziati per la maggior parte grazie ad un aumento dell'indebitamento pubblico. L'andamento del rapporto D/P sta registrando una netta crescita nei paesi ad economia avanzate scatenando le ansie delle frange politiche più conservatrici in Giappone come in Inghilterra o negli USA.

Prima di addentrami oltre nel discorso però, è bene dare occhiata alla tabella sotto, nella quale viene riportato l'andamento del rapporto Debito/PIL nei principali paesi secondo le stime dell'FMI (cliccate per ingrandire l'immagine):


Prendendo in esame il caso Italiano si può notare come il rapporto D/P stia stagnando dai primi anni del 2000, dopo aver subito un significativo calo dalla metà degli anni 90 in avanti. Esso toccò il suo massimo nel 1995 arrivando ad un valore del 123,2% per poi calare progressivamente negli anni successivi fino al crollo - tra il 1999 ed il 2000 - che lo portò dal 115,1% al 110,5%. Dal 2003 ad oggi ha continuato ad ondeggiare tra il 103% ed il 105%, mentre nel prossimo futuro l'FMI prevede un netto innalzamento che lo porterà nel 2009, a toccare il 115% e nel 2010 il 121% (per chi non conosce l'inglese, nella tabella sopra il dato a cui fare riferimento è quello del "Gross Debt").

Un aumento dovuto principalmente alla crisi economica in atto, crisi che - oltre a generare un calo del Pil - produrrà sia una diminuzione delle entrate fiscali che un inevitabile aumento della spesa pubblica a sostegno dell'economia in difficoltà. A trovarsi sotto attacco quindi, sono entrambi i fattori del rapporto D/P.

Horace "Woody" Brock in un articolo su "business insider" afferma che non siano tanto aumenti improvvisi del rapporto tra il Debito ed il Pil - dovuti magari ad una momentanea crisi - a contare, quanto la traiettoria del rapporto stesso. In altri termini se esso abbia un andamento che proiettato nel futuro sia in discesa, in salita o rimanga costante. Brock cita un recente libro di Alan Beattie "False Economy: A Surprising Economic History of the World" che mostrerebbe, grazie all'analisi di numerosi casi, come esista una precisa correlazione tra il successo di una nazione e l'adozione da parte sua di politiche volte a deprimere il rapporto D/P.

In particolar modo, un alto e prolungato nel tempo rapporto D/P, è sintomo di un economia poco dinamica che necessita di profonde riforme. Riforme che in Italia sono invocate ad ogni piè sospinto, ma raramente vengono portate a termine. La ragione principale di questo incapacità riformatrice è sotto gli occhi di tutti e dovrebbe risultare ovvia. La illustra Brock, citando un altro libro "The Rise and Decline of Nations: Economic Growth, Stagflation, and Social Rigidities" di Mancur Olson, in cui viene spiegato come spesso uno Stato finisca col diventare prigioniero di un gruppo ristretto di personaggi che per difendere i loro interessi speciali finisce con l'affossare l'intera nazione.

O, detto usando le parole di Brock:

La logica che adotta Olson richiama la teoria dei giochi: Egli mostra che gruppi speciali di interessi finiscono col diventare i principali giocatori in un generalizzato scenario da "dilemma del prigioniero", dove le razionali strategie individuali di ciascun gruppo portano collettivamente ad un risultato irrazionale fatto di: calo della crescita, ridimensionamento dei propri sogni, aumento del disordine sociale fino a giungere infine alla rovina dello stato.

Stabilito che l'entità del D/P va diminuita le strade per farlo sono ovviamente due: o si riduce il valore del numeratore o si aumenta quello del denominatore. In altri termini o si diminuisce il debito pubblico o si aumenta il PIL. Tra le due strade possibili quella più conveniente da percorre è la seconda. Un aumento del PIL influirebbe positivamente anche sul debito pubblico dato che produrrebbe un aumento delle entrate fiscali, diminuendo la necessità di uno stato di ricorrere all'indebitamento per sostenere la propria spesa pubblica.

Questa è una delle ragioni principali per cui viene sempre invocato l'aumento del PIL e della crescita, quasi si trattasse di un balsamo in grado di guarire da ogni male e sempre questo, è il motivo che spinge molti economisti a suggerire un aumento della spesa pubblica durante un periodo di crisi economica. Meglio aumentare il debito per sostenere il PIL - quindi peggiorando lo stato di uno solo dei fattori del rapporto D/P - che far crollare quest'ultimo andando ad influenzare negativamente entrambi i fattori.

Nello scorso post, maat aveva accennato come a giudicare dai valori del D/P sembrasse che alcune nazioni avanzate, in particolar modo il Giappone, potessero trovarsi in una situazione più critica di quella italiana. Nel paese del Sol Levante, come si può vedere dai dati dell'FMI, si prevede che il rapporto D/P arriverà a toccare il 217% nel 2009 ed il 227% nel 2010. Una cifra che a prima vista sembra spaventosa. Se si considera la cifra relativa al debito netto ("Net Debt" in inglese, sempre nella tabella precedente) rispetto al PIL però, il rapporto crolla al 103% per il 2009 e 114% per il 2010.

Il debito netto, non è altro che il debito lordo a cui viene sottratto il valore degli asset nelle mani dello stato. Per la maggior parte degli stati ad economia avanzata non c'è una drammatica differenza tra il valore del debito lordo e quello del debito netto. Il Giappone è un caso a parte, perché tra gli assets in suo possesso conteggia anche quelli del sistema pensionistico statale. Si tratta per la maggior parte di buoni del tesoro del governo Giapponese. In sostanza lo stato Giapponese emette bot conteggiandoli come debito e li ricompra poi tramite il sistema pensionistico conteggiandoli come assets.

Il dato sul debito netto Giapponese è quindi falsato o volendo essere generosi, da prendere con le pinze. Ci rivela però, una realtà che l'Italia non può vantare. Sebbene lo stato giapponese abbia un D/P molto elevato, quindi un eccessivo debito, esso ha contratto gran parte di quel debito con la propria popolazione. Il debito estero Giapponese risulta essere relativamente basso.

Per curiosità ho cercato a quanto ammontasse il debito estero dello stato Italiano - inteso come debito pubblico con l'estero - ma si tratta di un dato che l'FMI considera facoltativo. Solo alcune nazioni, nelle quali lo stato viene considerato la figura predominante dell'economia sono tenute a presentare documentazione a riguardo (qua potete trovare la tabella interattiva dell'FMI per gli stati in questione). Generalmente è il debito lordo complessivo che interessa. Esso è dato dalla somma del debito delle pubbliche amministrazioni, delle autorità monetarie (banca centrale), altre istituzioni finanziarie monetarie (banche), altri settori (aziende non finanziarie, famiglie, ecc) e investimenti diretti (qui trovate l'ultimo pdf della banca d'Italia sul debito estero del paese e qui, se siete estremamente curiosi, potete trovare il manuale dell'FMI su come calcolare il debito estero lordo e i dettagli sulle voci che lo compongono).

Si potrebbe di certo calcolare il debito estero delle pubbliche amministrazioni rispetto al debito pubblico totale - nel caso italiano il 47% contro il 17% di quello Giapponese - ma esso rischierebbe di rivelarsi un dato elusivo. Il debito estero dell'intero settore pubblico secondo l'FMI, deve conteggiare oltre alle pubbliche amministrazioni anche gli obblighi ed i debiti di eventuali aziende possedute o garantite dallo stato. Quel 47% e 17% potrebbero quindi, subire significative variazioni al rialzo.

Un indicatore che viene tenuto in grande considerazione è invece quello del rapporto tra il debito estero lordo di uno stato (il suo debito estero complessivo: pubblico, privato ecc) ed il suo PIL. L'Italia ha un rapporto di circa il 100% - elevato ma c'è ben di peggio - mentre il Giappone si aggira attorno al 55% (vedi nota in fondo).

Secondo l'FMI e la Banca mondiale "si può dire che una nazione abbia raggiunto la sostenibilità del suo debito estero se è in grado di servire (pagare la quota dell'interesse ndr) in pieno il suo debito estero presente e futuro, senza dover ricorrere all'emissione di nuovo debito, accumulare arretrati o compromettere la crescita". Sempre secondo queste due istituzioni internazionali la sostenibilità del debito estero può essere raggiunta "portando il valore netto presente del debito pubblico estero (si intende il debito pubblico estero complessivo - debito estero pubblico + debito estero pubblicamente garantito - quel dato che l'FMI richiede solo a certe nazioni ndr) al 150% del valore delle esportazioni della nazione o al 280% del valore delle sue entrate fiscali" (se vi interessa l'argomento qui trovate un interessante studio sulla questione).

Dando un occhiata alla tabella sotto si può notare in questo senso, una grande differenza tra l'andamento delle esportazioni Giapponesi e quelle Italiane:


Il Giappone, come la Germania, è una vera e propria potenza dell'export, mentre le esportazioni italiane sono a dir poco stagnanti. Anche su questo fronte usciamo sconfitti dal confronto con il Giappone.

In definitiva per il paese del sol levante il problema dell'indebitamento si risolverà probabilmente con un regolamento di conti interno. Da un lato avendo la possibilità di emettere la propria moneta sarà in grado di ricorrere alla svalutazione e da un altro continuerà ad incentivare l'export con ogni mezzo. Difficilmente basterà. Non penso che il Giappone possa sperare di cavarsela senza metter mano al portafoglio, operando quindi una stretta fiscale in futuro e senza riformare sostanzialmente il suo sistema.

Noi, oltre ad avere un export stagnante e a dover gran parte del nostro debito all'estero, non possiamo neppure svalutare.

Queste solo alcune delle ragioni che mi spingono ad affermare che l'Italia sia in condizioni economiche peggiori rispetto al Giappone, sebbene sulla carta possa vantare un rapporto D/P largamente inferiore. Un altro paese di cui sarebbe interessante discutere sono gli Stati Uniti, il cui rapporto D/P nel 2010 toccherà il 97,5%. Si tratta però di un caso molto particolare che meriterebbe un articolo tutto per se, ragion per cui lo tralascerò per ora. Del caso Inglese invece si è occupato nel suo ultimo articolo, Willem Buiter, professore alla London School of Economics.

Preoccupato dal raddoppio che il D/P del paese anglosassone rischia di subire nei prossimi anni, Buiter butta li una formula del terrore per descrivere la sostenibilità del rapporto D/P:

p + s ≥ (r - g)b

La formula in realtà è meno complicata di quel che sembra. La parte a sinistra conteggia gli incassi di uno stato. Con p si intende l'avanzo primario permanente (con permanente Buiter intende la media degli avanzi primari futuri sul lungo termine) rispetto al PIL, con s il reddito da signoraggio della banca centrale - il guadagno che essa incassa in virtù della sua capacità di emettere moneta - che nel caso Inglese vengono girati alle finanze pubbliche. Nel caso Italiano non so quanto possa essere la s, cioè se una parte del reddito da signoraggio della BCE venga girata ai singoli stati membri dell'unione europea. Si tratterebbe comunque di cifre molto basse. Possiamo semplicemente considerare quella s come inesistente.


La parte destra è leggermente più complicata. La b rappresenta la quota del debito pubblico rispetto al PIL (in sostanza il D/P non espresso in termini percentuali, nel caso italiano 1,15 per il 2009 e 1,21 per il 2010). La parte fondamentale della formula è quell' (r-g). La r rappresenta il tasso di interesse reale a lungo termine. Buiter utilizza quello sul debito dello stato a scadenza ventennale per i suoi calcoli. La g rappresenta il tasso di crescita a lungo termine del PIL reale. Con tasso di interesse reale e PIL reale si intendono i valori nominali (quelli che trovate in giro di solito) depurati dall'inflazione.

In sostanza come dice Buiter, fino a che la g, il tasso di crescita del PIL, è superiore a r, il tasso di interesse reale a lungo termine, uno stato vive in Ponzi land. Può continuare a finanziare se stesso semplicemente emettendo nuovo debito senza dover aver degli avanzi primari. Il problema è quello che potrebbe accadere in futuro sia al tasso di crescita del PIL che al tasso reale di interesse. Dice Buiter:

Certo, nell'attuale recessione, la crescita del PIL è negativa così l'attuale tasso di interesse reale sul debito pubblico rt supera il tasso di crescita del PIL reale, gt ma la solvibilità non è una semplice questione di relazioni legate al ciclo attuale tra tasso di crescita, tasso di interesse, avanzo primario e ricavi da signoraggio, ma dipende dai loro valori sul lungo termine. Fino a che r è minore di g ogni valore del rapporto Debito/PIL è consistente la solvibilità dello stato in una condizione non inflattiva.

Quindi, per preoccuparsi circa la solvibilità dello stato Inglese, o delle implicazioni inflative dell'attuale e futuro deficit del budget, si dovrebbe credere che il valore corrente dei rendimenti reali registrati sul debito governativo index-linked (agganciato all'inflazione ndr) a lungo termine sottostima il tasso di interesse reale che il governo dovrà pagare in futuro, e/o che il tasso di crescita del PIL reale in futuro sarà più basso rispetto a quello delle ultime due decadi.


Ora come ora il tasso di interesse reale è basso in quasi tutto il mondo, ma se in futuro il tasso di interesse reale aumentasse superando in maniera significativa il tasso di crescita del PIL, un elevato rapporto D/P come quello del nostro paese si farebbe sentire rendendo necessario un avanzo primario positivo di una certa consistenza. Buiter facendo dei conti per il caso Inglese arriva a concludere che nei prossimi anni l'Inghilterra avrà realisticamente bisogno di un avanzo primario che sommato al reddito da signoraggio superi l'1,75% del PIL (considerando solo l'avanzo primario esso dovrebbe raggiungere almeno l'1,5% PIL).

Un livello che ritiene sarà difficile da ottenere considerando il deficit fiscale in cui lo stato è incorso per cercare di sostenere l'economia. L'avanzo primario è definito come "la differenza fra le entrate e le spese pubbliche, senza considerare gli interessi da pagare sul debito". In sostanza per aumentare l'avanzo primario si possono alzare le tasse o tagliare le spese, imponendo quindi una rigorosa disciplina fiscale.

L'unica serie storica sull'andamento dell'avanzo primario rispetto al PIL dell'Italia - il dato con accanto la variazione percentuale - l'ho trovata su questo sito. Non potendo verificare se i dati corrispondano a quelli ufficiali prendeteli con le dovute cautele (sebbene corrispondano a ciò che ricordo):

1994: 2,1
1995: 3,9; + 85,7
1996: 4,4; + 12,8
1997: 6,7; + 52,3
1998: 5,2; - 22,4
1999: 5,0; - 3,8
2000: 4,5; - 10,0
2001: 3,2; - 28,9
2002: 2,7; - 15,6
2003: 1,7; - 37,0
2004: 1,3; -23,5
2005: 0,5; - 61,5
2006: 0,4; -20,0 (questo dato l'ho aggiunto io)

Osservando la traiettoria che ha seguito l'avanzo primario nel corso degli anni si nota un progressivo calo, iniziato negli anni del governo D'alema 97-98, calo che è andato via via accentuandosi negli anni di Berlusconi fino quasi ad azzerare l'avanzo primario. Nel 2006 tornò Prodi sottoponendo il paese ad una cura da cavallo tanto che la manovra di allora fu ribattezzata "tutte tasse", ripianando le finanze dello stato e risollevando l'avanzo primario fino a portarlo al 2,7% del PIL nel 2007 e al 2,5% l'anno successivo (2008). Pensatela politicamente come vi pare, ma in questo paese Prodi ci ha sempre salvato finanziariamente il fondoschiena.

Se per l'Inghilterra Buiter prevede difficoltà a raggiungere un avanzo primario dell'1,5% potete scommettere che per noi sarà ancora peggio. Normalmente la crescita del PIL italiano è inferiore a quella degli altri paesi europei, mentre gli interessi che paghiamo sul nostro debito sono tra i più alti a causa del basso rating assegnato al nostro paese e come se non bastasse il nostro rapporto D/P è il più elevato in assoluto in Europa.

Per assicurare la sostenibilità dell'economia Italiana non si può agire unicamente dal lato del rigore fiscale.

Il fattore più importante da incentivare, come suggerisce Brock, dovrebbe essere la crescita del PIL, crescita che andrebbe ad impattare positivamente anche sulle entrate fiscali e quindi sull'avanzo primario.

Cercare semplicemente di far cassa intervenendo dal lato dell'indebitamento è una strategia che alla lunga si rivela fallimentare. Per evitare il rischio di fallimento che si affacciò nei primi anni 90 l'Italia ha agito pesantemente sul lato delle finanze pubbliche. Ha venduto le aziende controllate dallo stato, ha riformato il sistema pensionistico, alzato la tassazione, bloccato il turn over, cartolarizzato il patrimonio immobiliare, tagliato ricerca ed istruzione ad ogni pie sospinto ecc. Ha cercato insomma di far cassa come poteva e di limitare le spese. Di certo l'Italia avrebbe ancora diversi capitoli di spesa inutile da tagliare. Purtroppo molti di essi solo legati a doppio filo agli interessi di gruppi speciali e difficilmente verranno toccati, mentre dal versante fiscale dubito si possa aumentare ulteriormente il carico tributario senza strangolare i poveracci che sostengono la nostra intera economia (specialmente nel bel mezzo di questa crisi).

Esistono diverse strategie che se applicate potrebbero, a costi nulli o comunque molto contenuti, impattare favorevolmente sulla crescita del prodotto interno lordo.

Nella seconda parte di questo articolo proverò ad illustrare alcune di esse.



Nota: Se osservate i dati sul rapporto tra il debito estero di uno stato ed il relativo PIL riportati dalla classifica presente sulla pagina della Wikipedia noterete dei valori differenti da quelli che ho indicato io, sia per il Giappone che per l'Italia. I dati della Wikipedia sono sbagliati per quei due paesi. Se volete farvi il conto (alla fine è una semplice divisione) qua trovate il dato sul debito estero per le varie nazioni. Nel caso del dato italiano è evidente che chi ha fatto i conti ha erroneamente considerato per il calcolo del rapporto, il valore del debito estero per la sola voce relativa alle pubbliche amministrazioni e non il dato complessivo. Nel caso Giapponese non so proprio da dove sia spuntato il dato per il debito estero lordo che hanno usato, ma esso non centra nulla con quello indicato dall'FMI.

martedì 19 maggio 2009

Vaporware

In quelli che vengono definiti Main Stream Media è ormai raro vedere trapelare un barlume di verità. Quando per qualche ragione ciò accade, l'evento finisce col rimbalzare da un lato all'altro della rete, descritto e presentato con un certo stupore, quasi si trattasse del ritrovamento del santo Graal.

In un recente post su zerohedge viene linkato un filmato tratto da Fox Business News nel quale si sente Dan Shaffer, capo della Shaffer Asset Management pronunciare la seguente frase e rivelatrice frase:

"Qualcosa di strano è successo durante le ultime 7 o 8 settimane. Doreen, probabilmente sarai d'accordo su questo -- vi è stato un potere al di sotto del mercato che ha continuato a sostenerlo operando sui futures. Osservo i futures ogni giorno e ogni istante, e un tremendo quantitativo di volume è giunto in diversi momenti durante le ultime settimane, quando il mercato era sul punto di spezzarsi riportandolo di nuovo in alto. Di solito verso la fine della giornata - è successo una settimana fa di Venerdì, a 7 minuti alle 4, quasi 100000 contrati su S&P futures sono stati scambiati, e poi negli ultimi 5 minuti, prima delle 4, altri 100000 contratti sono stati scambiati, sostenendo il DOW e portandolo da una perdita di 18 punti a salire di 44 o 50 punti in 7 minuti. Sono necessari dai 10 ai 20 miliardi di dollari per essere in grado di spostare il mercato in questa maniera. Chi ha la quantità di denaro necessaria a muovere questo mercato?

Inoltre, il mercato è risalito durante il periodo di incertezza degli stress test facendo aumentare il valore delle azioni del settore bancario, e le banche hanno emesso nuove azioni - hanno recuperato capitale durante questo rally. E' stata una manovra da manuale di controllo dei mercati - ora che le azioni sono state emesse..."

E' confortante constatare che un minimo di verità trapeli ogni tanto anche dai canali della FOX. Gli altri ospiti della trasmissione si sono uniti alle preoccupazioni avanzate da Shaffer: Doreen lamentando il basso volumi degli scambi che ha caratterizzato il mercato in questa fase di rialzo, Richard Suttmeier annunciando la fine del recente rally a causa dei pessimi fondamentali.

Indipendentemente da quanto ancora manchi alla fine di questa fase positiva dei listini una cosa è certa: i poteri che hanno impegnato anima e corpo nel tentativo di sostenere i mercati e distruggere chiunque scommettesse al ribasso non hanno munizioni infinite. Le grandi banche USA sono riuscite a recuperare capitali sul mercato senza dover svendere le proprie azioni. La Goldman, la JP Morgan e la Morgan Stanley hanno annunciato l'intenzione di ripagare il denaro ricevuto tramite il TARP una cifra complessiva tra le 3 banche di 45 miliardi di dollari.

Citigroup ha aumentato le previsioni sui guadagni futuri della Goldman, quest'ultima ha consigliato ai suoi clienti di acquistare azioni di Bank of America basando le proprie ottimiste previsioni "su un altro solido quarto previsto per il mercato immobiliare e finanziario" come indicherebbero, a suo dire, i livelli di attività osservabili nei primi tre mesi dell'anno. Senza contare la raccomandazione all'acquisto, sempre da parte della Goldman, delle azioni della State Street Corp (una delle grandi banche USA ad aver ricevuto denaro tramite il TARP) quando proprio la Goldman - insieme alla Morgan Stanley - è stata incaricata dalla State Street di gestire una sua emissione azionaria per il valore di 1,5 miliardi di dollari.

L'intero sistema bancario insomma, sembra essere al lavoro per auto-sostenersi cercando di riparare i proprio bilanci fino a quando il mercato debitamente "aiutato" tiene.

La realtà è come sempre, meno rosea di quanto la Goldman o chi per lei vada in giro a raccontare. Il grafico sotto preso da chartoftheday mostra l'andamento dei ricavi per i titoli dello S&P 500:


Un andamento che non promette nulla di buono per il prossimo futuro. Altro dato estremamente interessante lo rivela il TrimTabs Investment Research in un articolo su marketwatch. Secondo TrimTabs che monitorizza le nuove emissioni azionarie, i buyback da parte delle aziende e gli acquisti e le vendite di azioni da parte di managers ed insider di alto livello, le prospettive sarebbero fosche.

La scorsa settimana vi sarebbe stata un offerta di nuove azioni pari a 31,3 miliardi di dollari, il più elevato livello in questa decade. A fronte di ciò non vi sarebbe stato nessun acquisto da parte di insider. Al contrario, essi avrebbero venduto azioni per l'ammontare di 500 milioni di dollari. TimTrabs ne trae la seguente conseguenza:

"Il messaggio che la "casa" sta inviando è chiaro -- gli investitori dovrebbero abbandonare il mercato azionario".

Peter Eliades la cui news letter, Stockmarket Cycles, ha ottenuto il secondo miglior risultato nel 2008 ha recentemente detto:

"Pensiamo che questo mercato sia in pericolo, forse in grande pericolo, ancora una volta. Sappiamo che può sembrare drammatico, ma il fatto che gli indici e i valori medi si siano bloccati dove lo hanno fatto, rende più evidente l'analogia tra il 1930-31 ed il periodo attuale. Fino a quando ed a meno che, nuovi massimi non siano stabiliti, è nostra convinzione che questo mercato sia diretto verso nuovi minimi per l'anno in corso e più rapidamente di quanto molti credano sia possibile".

I dati economici del primo quarto dell'anno sono tutt'altro che confortanti. In Europa l'Eurostat ha rilasciato la variazione del PIL per i paesi dell'area. Una mezza ecatombe (cliccate sulla tabella per un ingrandimento):


Ciò che fa sta facendo sperare politici ed economisti sono i dati sugli ordinativi dell'industria che hanno riscontrato un leggero miglioramento negli ultimi tempi, in particolar modo quelli della Germania la locomotiva d'Europa la cui economia ha sempre fatto un po' da traino al resto dell'Unione. Nel grafico sotto si vede come il precipitare dei nuovi ordini abbia cominciato a rallentare sensibilmente già dai primi mesi dell'anno.



Questi primi segnali di miglioramento si sono riflessi sull'indice di fiducia dei mercati, quel fattore impalpabile che influenza pesantemente l'economia e che sembra essere diventato la principale preoccupazione dei politici di mezzo mondo.



Anche'esso ha subito una chiara inversione di tendenza, la prima da quasi due anni. Purtroppo però, la fiducia dei mercati è un elemento estremamente volubile capace di invertire andamento molto rapidamente nel caso di un nuovo crollo dei mercati.

Quello che sta sostenendo la domanda industriale ed in buona parte l'economia reale, sono gli interventi economici operati dagli stati ed il calare delle scorte delle aziende a seguito di un periodo in cui i nuovi acquisti da parte di esse si erano pressoché azzerati. Sempre meglio che niente, ma non stiamo certo parlando dell'indicazione di una sostanziale ripresa economica. Rimane ad esempio l'inevasa questione su cosa accadrà una volta che gli interventi statali si saranno esauriti. Il rapporto tra debito-PIL degli stati è destinato ad allargarsi in maniera spaventosa da qui a due anni secondo l'FMI. Il paese messo peggio è il Giappone che dovrebbe arrivare nel 2010 ad avere un rapporto del 227%, ma al secondo posto ci siamo noi con rapporto previsto al 2010 del 121%.

Se la memoria non mi inganna quando la lira finì sotto attacco ed uscì dalla SME negli anni 90 portando il paese ad un tiro di schioppo dal default, il rapporto debito-PIL era del 118%. Allora avevamo ancora aziende da "privatizzare" e una classe media da tartassare e tassare. Oggi abbiamo l'Europa e l'euro che agiscono da cuscinetto, ma resta ancora da vedere se saranno sufficienti.

Quando questo rally artificiale si esaurirà definitivamente, scomparendo in uno sbuffo di vapore, tutto quello che ci rimarrà saranno i fondamentali economici. Gli interventi dei vari stati difficilmente riusciranno a compensare il continuo deterioramento del mercato immobiliare, la contrazione dei consumi e del credito. Anche se i fondamentali dovessero assestarsi, lo faranno ad un livello basso non sufficiente a sostenere in maniera stabile l'occupazione. La S&P prevede per i prossimi 12-18 mesi una disoccupazione negli USA che oscilli tra il 9,7% ed l'11,7%.

Questa crisi non finirà tanto presto.

martedì 31 marzo 2009

Il G-nulla

Le previsioni meteo preannunciano un simpatica settimana fatta di pioggia e vento. Una volta si sarebbe liquidato il tutto appellandosi a qualche vecchio detto tipo: "Marzo pazzerello...". Verrebbe quasi da augurarsi che le cose fossero così semplici. Purtroppo, l'andamento climatico attuale sembra indicare qualcosa di più costante di una semplice pazzia transitoria. Se i miei amici dall'Olanda e dalla Finlandia arrivano a sfottermi perché li splende il sole - anche se fa leggermente più freddo – qualche cosa deve essere cambiata.

Ogni peggioramento climatico, in ogni caso, impallidisce di fronte ai cambiamenti avvenuti in ambito economico ed allo stesso modo il mio personale disgusto nei confronti dell'incessante pioggia, sembra sparire se paragonato alla repulsione che nutro verso certe banche e certi banchieri.

L'inchiostro versato per redigere il piano di Geithner non si è ancora asciugato che già Citigroup e Bank of America hanno iniziato a sfruttare uno dei numerosi stratagemmi che esso mette gentilmente a loro disposizione. Entrambe le banche si sono date alla caccia di spazzatura - CDO nello specifico - arrivando a contendersela per cifre superiori al prezzo di mercato, prezzo che attualmente si aggira sui 30 centesimi per ogni dollaro di valore facciale (a prezzi ragionevoli un mercato esiste anche per la spazzatura sebbene Geithner & Co dicano il contrario). La strategia fa perno sulla convinzione che in futuro i due colossi bancari riusciranno a scaricare sulle spalle del contribuente, tramite PPIP (Public-Private Investment Program), la suddetta spazzatura a una cifra superiore rispetto a quella d'acquisto.

Un bel guadagno netto per le banche che servirà magari a ricapitalizzarle in parte, ma non è certamente quello che il ministro del tesoro USA, almeno a parole, intendeva ottenere tramite il suo piano.

Si avvicina inoltre la chiusura del primo quarto. Evento che potrebbe anche riservare alcune sorprese.

I CEO dei principali istituti bancari statunitensi, Jamie Dimon della JP Morgan, Ken Lewis di Bank of America insieme a Vikram Pandit presidente della Citigroup rivelarono poco tempo fa che le banche da essi gestite, durante i primi due mesi dell'anno avevano incassato dei profitti. La notizia aveva fatto intravedere la luce a più di un investitore e aveva rilanciato i valori azionari del settore finanziario. Un ritorno all'attivo poteva essere il segnale che una lenta ripresa dell'economia fosse in atto. Musica per le orecchie di chi investe in borsa.

A gelare le aspettative ci hanno pensato gli stessi 3 individui, dichiarando lo scorso venerdì in maniera sincronizzata (neanche si mettessero d'accordo), che durante il mese di Marzo vi sarebbe stato un aggravamento del mercato, con relativo calo dei ricavi.

Mentre tutti si chiedevano perplessi a che gioco stessero giocando i suddetti CEO, un post sul blog di Zero Hedge ha gettato un po' di luce sulla natura dei profitti incassati da Citi, JP Morgan e BofA durante Gennaio e Febbraio. A quanto pare, essi sarebbero merito esclusivo dell'AIG che chiudendo una serie di posizioni ancora aperte su strumenti derivati (CDS) avrebbe incassato consapevolmente ingenti perdite - facendo affidamento sul supporto statale per tappare eventuali buchi - a favore di una serie di banche che hanno potuto così, favoleggiare in giro su un imprevisto ritorno dei profitti.

Non è certo una sorpresa scoprire che l'AIG venga usata per incanalare denaro verso le banche di mezzo mondo - Goldman Sachs in testa. A tutta la blogsfera del settore economico non è sfuggito il gioco di offuscamento portato avanti dall'amministrazione USA, volto a suscitare l'indignazione della popolazione nei confronti dei 160 milioni di bonus intascati dai manager dell'ex colosso assicurativo e facendo allo stesso tempo, passare sotto silenzio i regali miliardari fatti dal governo USA, attraverso l'AIG stessa alle principali banche. Il fatto che Obama, Geithner e perfino Bernanke, siano un giorno si e uno no in televisione la dice lunga sulla strategia mediatica che l'amministrazione del presidente americano sta adottando.

Sembra quasi cercare di convincere e rassicurare la gente a parole, più che con azioni concrete.

Concretezza di cui si sente forte necessità e che personalmente spero di vedere materializzarsi al G20.

Come si può intuire dal titolo di questo post, le mie speranze e le mie previsioni non coincidono assolutamente. Willem Buiter in un recente articolo intitolato: "G20, non aspettatevi nulla, sperate per il meglio e preparatevi per il peggio" avanza una serie di suggerimenti che il G20 farebbe bene a prendere in esame.

Buiter chiede un impegno deciso al mantenimento di liberi scambi internazionali senza che siano imposte restrizioni di alcun genere, consiglia di aumentare di 10 volte i fondi a disposizione dell'FMI tramite l'emissione di SDRs e sopratutto si augura che venga finalmente riconosciuto da tutti il collasso di quel sistema finanziario globale che è cresciuto in maniera abnorme dal 1980 in avanti. Un sistema che non può essere riparato con dei cerotti applicati in maniera grossolana, ma che avrebbe bisogno di riforme profonde e globali.

Buiter avanza alcune idee sul tipo di riforme da adottare. Tutte abbastanza ragionevoli ed ovvie se vogliamo. Così ovvie che verrebbe da sperare fossero all'ordine del giorno del G20.

Eppure, non sembra essere solo Buiter a sentire una pungente puzza di nulla provenire dalla riunione di Londra (i cui lavori partiranno domani). Anche il presidente francese Sarkozy sembra possedere un olfatto sufficientemente allenato:


Se il G20 sara' di basso profilo, mi alzo e me ne vado". La minaccia arriva dal presidente francese Nicolas Sarkozy che secondo alcuni quotidiani inglesi sarebbe pronto anche a boicottare il G20 che iniziera' domani a Londra se non si raggiungeranno obiettivi precisi.
"La Francia - spiega una fonte vicina all'Eliseo - non accettera' un G20 con tante parole e pochi fatti"

Anche il primo ministro inglese, Gordon Brown, nei giorni scorsi aveva subdorando un vertice inconcludente arrivando a suggerire che venisse messo in agenda un ulteriore incontro del G20 durante l'anno in corso. La sfiducia di Brown, nasce forse dall'aver visto trapelare la sua bozza per il comunicato finale del G20, bozza che Brown stesso, auspicava sarebbe stata successivamente firmata da tutti partecipanti alla chiusura dei lavori. Nel documento in questione è contenuto l'impegno a contribuire al rilancio dell'economia globale tramite uno stimolo fiscale congiunto di 2 trilioni di dollari. Una misura che sembra inquadrarsi pienamente con il proposito, che secondo alcuni nutrirebbe Brown, di annunciare il 22 Aprile un ennesimo pacchetto di stimolo per l'economia Britannica. Stimolo a cui si era in precedenza opposto Mervin King il capo della banca centrale inglese quando affermò che le finanze del paese non consentissero più interventi simili.

Della stessa opinione di King sono sempre state anche Germania e Francia. Entrambi i paesi si sono numerose volte opposti a degli interventi di stimolo coordinati. Non si capisce bene come Brown pensi o pensasse, di riuscire a convincere le due nazioni a contribuire ai sopra citati, 2 trilioni di dollari.

Qualunque strada abbiano in mente di percorrere il leader dei G20 sarà il caso che si sbrighino ad imboccarla.

L'economia non sta certo ad aspettarli e continua il suo inesorabile deterioramento. I dati provenienti dai paesi esportatori sono un incubo. La contrazione delle esportazioni Giapponesi ha toccato un senza precedenti -49% a Febbraio rispetto l'anno precedente, gli ordinativi esteri dell'industria Tedesca son crollati del 37%. Secondo l'OCSE in Italia quest'anno l'export crollerà del 15,9% ed il PIL del 4,3% alla faccia delle nostro governo che solo un mesetto fa si lamentava con confidustria per una previsione sul PIL di -2,5% (poi riveduta qualche giorno fa e portata al -3,5%). La disoccupazione italiana toccherà, secondo le previsioni OCSE, il 9,7% nel 2009 ed i consumi dei privati segneranno un -3%. Il governo Spagnolo ha appena salvato la sua prima banca, la Cassa di Risparmio di Castilla-La Mancha, concedendole un finanziamento di 9 miliardi. Sebbene si tratti di un istituto di dimensioni ridotte il precedente e tutt'altro che rassicurante. Il rating dell'Irlanda ieri è stato tagliato dalla Standard & Poors, scendendo da AAA ad AA+ e si prevede che il PIL dell'ex tigre celtica subirà una contrazione del 6,5% nel corso dell'anno.

Come era prevedibile si stanno verificando le prime rivolte anche all'intero di alcuni dei paesi dell'area euro ritenuti più stabili:


A Grenoble il direttore del personale e altri tre manager della “Caterpillar” sono stati sequestrati e tenuti prigionieri dagli operai dell’azienda. La multinazionale americana vuole licenziare 733 persone su 2.500 addetti, perché le vendite sono calate del 55%. Ovviamente, il licenziamento del personale è la prima e più facile soluzione alla crisi.
I sequestratori non sono delinquenti o terroristi. Benoit Nicolas, delegato sindacale della Cgt, la più grande organizzazione dei lavoratori francesi, equivalente della nostra Cgil, ha dichiarato che li tratterranno finché non si sarà aperta una trattativa.


Oltre ai manager in procinto di “razionalizzare” le attività delle aziende , un altro ambito bersaglio per la popolazione frustata, sembrano essere diventati i banchieri. Fred Goodwin ex capo della Royal Bank of Scotland, posizione che ha lasciato intascandosi una liquidazione milionaria dopo aver condotto l'istituto al fallimento e aver costretto il governo di sua maestà a una nazionalizzazione frettolosa, si è visto assaltare l'abitazione da un gruppo di cittadini inferociti che dopo aver infierito a suon di sassi contro le vetrate dell'edificio hanno terminato il proprio sfogo facendo a pezzi l'automobile di Goodwin. Dopo questo avvenimento ed in vista di eventuali proteste per il G20 è stato suggerito a tutti i dipendenti dell'RBS di recarsi a lavoro in abiti dimessi, in modo che non corressero il rischio di essere scambiati per dei banchieri.

Ai manager delle principali banche svizzere invece è stato imposto di non abbandonare il paese elvetico, neppure per viaggi di lavoro. Il timore è che una volta sbarcati all'estero essi possano essere prelevati dalle autorità locali e interrogati successivamente in merito a possibili evasioni fiscali agevolate dagli istituti per cui lavorano. Il precedente screzio tra USA e UBS e le ripetute minacce lanciate dall'Europa contro i paradisi fiscali stanno lasciando il segno. Tra le mete proibite vi sono USA, Germania e Francia.

Si sente insomma, un vago odore da 1870, anno in cui i banchieri vennero inseguiti e cacciati da una popolazione che ne pretendeva l'impiccagione.

E se troppi stati, non sembrano aver ancora deciso di intervenire in maniera netta in ambito economico, le principali banche centrali si sono dimostrate ben più attive. Alla festa chiamata QE, stanno per unirsi anche due delle ultime superstiti: la banca centrale Europea e quella Canadese.

La BCE preoccupata dagli ultimi dati sull'economia ha fatto capire, tramite il suo vice presidente Lucas Papademos, che potrebbe lanciarsi in misure di quantitative easing arrivando ad acquistare sul mercato secondario bond di diverse società (quali non è dato sapere). Ad essa ha fatto eco la banca centrale canadese ventilando anch'essa il ricorso al QE. Sembra che dopo lo zirp (tasso di interesse 0) globale stiamo finalmente arrivando al quantitative easing globale.

Le banche centrali dunque, si stanno tutte muovendo e nella medesima direzione.

Purtroppo quella odierna non è una crisi che possa essere risolta per via monetaria o indebitando gli stati in modo che l'aumento della spesa pubblica vada a compensare il calo della domanda aggregata.

Durante il G20, le principali nazioni del pianeta hanno la possibilità di gettare le basi per un sistema economico che sia un minimo più ragionevole di quello attuale, abbandonando una volta per tutte l'illusione che la situazione possa in breve tempo tornare ad essere quella di 2 anni fa. Il che significa anche cominciare a ridefinire i ruoli consumatore/produttore degli USA e della Cina.

Un buon primo passo potrebbe essere quello di sistemare una volta per tutte il sistema bancario arrivando a creare banche più piccole e meglio regolamentate in modo che non rappresentino un significativo rischio sistemico. Tornando a separare le funzioni delle banche di investimento da quelle delle banche commerciali. Ricapitalizzando gli istituti in maniera decente, facendo pagare il prezzo a chi se lo merita - azionisti e obbligazionisti. Sistemando una volta per tutte l'infernale mercato dei derivati OTC, in particolar modo quello dei CDS.

Purtroppo non penso che succederà nulla di tutto ciò a Londra. Come Simon Johnson, ex capo economista dell'FMI ha scritto su The Atlantic in uno splendido articolo, gli USA sono prigionieri di un oligarchia composta da banchieri e finanzieri. Ogni intervento del governo andrà a vantaggio di questi ultimi indipendentemente da quale possa essere l'interesse generale. Un film che Johnson ha visto più volte durante la sua permanenza all'FMI. Di solito gli interpreti, erano paesi in via di sviluppo o nazioni con dei deficit democratici come Russia ed Argentina. Durante ognuno di questi casi, gli USA erano lì, a premere perché le oligarchie venissero scavalcate e sacrificate, in modo che si potessero applicare con efficacia quelle riforme necessarie ad una ripresa del paese.

Risulta ironico constatare come siano proprio gli USA ora, a comportarsi come quelle nazioni che hanno passato intere decadi a criticare.

E' evidente che Geithner non voglia danneggiare l'oligarchia bancaria ne rischiare di far pagare il giusto prezzo agli obbligazionisti delle banche, tra cui una miriade di fondi pensione già traballanti. Il ministro del tesoro USA ha recentemente dichiarato che i naked CDS (cds emessi senza che sia dimostrata da parte dell'acquirente la reale intenzione di assicurare un obbligazione) non andrebbero proibiti.

Ad onor del vero, Geithner ha quantomeno ammesso che andrebbe controllata la solvibilità di chi emette CDS, in modo da ridurre il rischio che essi vengano venduti in quantità industriale, da società che non potranno mai pagarli in caso di problemi. L'intenzione di fondo però resta immutata: non essere troppo duri nei confronti dell'establishment finanziario.

Una scelta che trovo scellerata.

Finché non si deciderà che è venuta l'ora che certe oligarchie paghino per le proprie colpe non usciremo veramente dal casino in cui ci troviamo immersi. Quest'ora non sembra essere ancor giunta. Per questa ragione sono pronto a scommettere che il G20 di domani si rivelerà ancora una volta, una riunione fatta di nulla.

domenica 22 marzo 2009

L'ultima cartuccia

Domenica scorsa 60 minutes ha intervistato Ben Bernanke: un evento senza precedenti. Il capo della Federal Reserve aveva sempre declinato ogni invito in tal senso, forse per mantenere quell'aurea di mistero ed imperscrutabilità che da sempre avvolge la banca centrale degli Stati Uniti.

Ma i tempi cambiano. Una crisi economica che non ha precedenti nella storia recente ed il fioccare di proteste contro la scandalosa condotta tenuta dai dirigenti dell'AIG - il colosso assicurativo salvato dal governo USA a suon di 180 miliardi di dollari - che incuranti di tutto il denaro strappato al contribuente, si sono auto-assegnati 160 milioni di dollari in bonus, hanno costretto il vecchio Ben a scendere in campo rivolgendosi direttamente alla nazione.

Il servizio di 60 minutes cerca in ogni maniera di mostrarci il lato umano di Bernanke. La storia della sua famiglia, i suoi studi, come si fosse preparato una vita intera per affrontare una crisi economica come quella odierna. Ad un certo punto, l'intervistatore interroga Ben, in merito ai salvataggi che la FED ha operato nei confronti di una serie di società finanziarie. Bernanke con aria afflitta, risponde di non aver potuto agire altrimenti e annuncia di essere profondamente infuriato nei confronti di queste entità, in particolar modo dell'AIG, la cui vicenda lo avrebbe riempito di una tale rabbia, da spingerlo più volte a sbattere giù la cornetta del telefono mentre ne discuteva. Si tratta forse del momento più toccante di tutta l'intervista. Traspare una sofferenza quasi genuina dalle parole del vecchio Ben.

Mentre seguivo l'intervista e cercavo, assalito dalla commozione, di agguantare un pacco di fazzoletti, Bernanke cambiava totalmente marcia e mi spiazzava dichiarando con fare rassicurante: " Ma abbiamo un piano. Ci stiamo lavorando sopra. E io penso che riusciremo a stabilizzarla (l'economia ndr), e che vedremo terminare la recessione probabilmente quest'anno. Vedremo la ripresa cominciare l'anno prossimo".

Tutto bene quindi.

Ben e la FED stringono saldamente il timone tra le mani ed hanno imboccato una rotta che ci condurrà fuori dal mare in tempesta entro la fine dell'anno.

Giunse poi mercoledì, il giorno della prevista riunione dell'FOMC - il comitato della Federal Reserve che decide della politica monetaria degli Stati Uniti - e tutto cambiò. Generalmente, il comitato si occupa di ritoccare il tasso di interesse, ma con il tasso al minimo storico dello 0,25% era rimasto ormai ben poco da ritoccare.

L'FOMC ha quindi deciso di ricorrere alla soluzione finale adducendo come giustificazione per la decisione presa:

Le informazioni ricevute dal Federal Open Market Committee, dall'incontro di Gennaio a oggi indicano che l'economia continua a contrarsi. Il calo dell'occupazione, il declino della ricchezza e del valore delle abitazioni e una ristrettezza del credito hanno pesato sull'umore dei consumatori e sulla loro propensione alla spesa. Un deteriorarsi delle prospettive di vendita e la difficoltà nell'ottenere credito hanno portato le aziende a tagliare le scorte e gli investimenti fissi. Le esportazioni USA sono crollate dato che un numero sempre maggiore di partner commerciali sono caduti in recessione.

L'FOMC continua per qualche riga ancora, a descrivere una situazione in costante peggioramento che mal si concilia con i discorsi fatti da Ben a 60 minutes su una prossima ripresa. La vera e propria bomba però, arriva poco più sotto nel prosieguo del comunicato:

Per fornite un maggior supporto ai prestiti per mutui e al mercato immobiliare, il comitato ha deciso di aumentare le dimensioni del bilancio della Federal Reserve arrivando ad acquistare fino a 750 miliardi di dollari aggiuntivi in mortgage backed securities dalle agenzie, portando il totale degli acquisti di queste securties ad un massimo di 1,25 trilioni nel corso dell'anno, e di aumentare l'acquisto di debito emesso dalle agenzie di 100 miliardi di dollari portandolo ad un totale di 200 miliardi. Inoltre, per aiutare a migliorare le condizioni del mercato privato del credito, il comitato ha deciso di acquistare fino a 300 miliardi di buoni del tesoro a lunga scadenza nel corso dei prossimi sei mesi.

Di per se solo l'annuncio del raddoppio degli acquisti di mbs (mutui cartolarizzati) in possesso delle due grandi GSEs, Fannie Mae e Freddie Mac è significativo. Fino ad ora, questo sembrava essere l'approccio al "quantitative easing" preferito da Ben, seppure il capo della FED avesse minacciato più volte, da Dicembre in avanti, di lanciarsi nell'acquisto diretto di buoni del tesoro a lungo termine. Un'opzione che però, si era sempre rifiutato di adottare concretamente.

Mercoledì è finalmente giunta la resa.

Non c'è modo di minimizzare la gravità del passo deciso dall'FOMC.

E' l'equivalente economico dell'aver spinto uno di quei bottoni rossi protetti da piccoli schermi di vetro. Quelli che solitamente nei film vengono premuti come ultima risorsa in contemporanea al girare simultaneo di una coppia di chiavi.

Se si è intrapresa una simile azione significa che la situazione sta tutt'altro che migliorando. Altro che ripresa all'inizio del 2010.

Mercoledì pomeriggio, mentre tutti ancora aspettavano il comunicato dell'FOMC e si dicevano, per la maggior parte, certi che non avrebbe contenuto nessun significativo annuncio, in borsa succedeva un casino. Il dollaro crollava, l'oro pure, l'xlf (un indice che raggruppa i titoli finanziari dello S&P 500) galoppava al rialzo e veniva fatta incetta di opzioni di acquisto sui buoni del tesoro a 10 anni da parte di alcuni soggetti. Sembrava che qualcuno sapesse in anticipo cosa stesse per uscire dalle stanze della FED. Ingenuamente, non pensando che Ben sarebbe arrivato davvero ad annunciare l'acquisto diretto di buoni a lungo termine, liquidai certi movimenti estremi come il prodotto di poche limitate manovre speculative.

Analizzando col senno di poi gli avvenimenti, specialmente ciò che è accaduto al prezzo dell'oro, colato a picco poco prima dell'annuncio dell'FOMC e salito alle stelle subito dopo, risulta evidente che in molti sapessero. Se non altro sono in buona compagnia. Rick Santelli ha dichiarato ironicamente alla CNBC, di essersi sentito estremamente stupido, quando un ora prima che fossero rese pubbliche le decisioni del comitato della Federal Reserve, si scatenò la caccia ai buoni del tesoro. Santelli dice di non averne capito le ragioni sul momento, dato che dal suo punto di vista non era affatto scontato ritenere che Ben e soci si sarebbero lanciato in certe misure di "quantitative easing". Non parla esplicitamente di insider trading, ma il ghigno sarcastico che gli illumina il volto mentre commenta è più che sufficiente a far capire come la pensa (qui potete vedere il filmato con Santelli).

L'ennesima dimostrazione che ogni illusione di legalità e trasparenza del mercato sia andata a farsi benedire da parecchio tempo.

Manipolazioni a parte, da mercoledì economisti e commentatori si sono lanciati nell'analisi delle possibili conseguenze della scelta operata dall'FOMC.

Innanzitutto è interessante notare come la Federal Reserve abbia deciso di stampare brutalmente denaro per acquistare quei titoli che gli investitori esteri, specialmente banche centrali, hanno smesso di comperare da alcuni mesi: mbs e debiti delle GSE e buoni del tesoro a lungo termine.

Brad Setser in un recente articolo ha illustrato come il trend degli acquisti dei buoni a lunga scadenza sollevi più di una preoccupazione. Nel grafico sotto si può notare come sia crollata la domanda estera su di essi e sui titoli delle agenzie:



Il grafico si ferma a Dicembre, ma anche durante il mese di Gennaio il calo è proseguito. I grandi investitori esteri preferiscono concentrarsi sui buoni del tesoro a breve termine, quelli a scadenza trimestrale, per non correre il rischio di rimanere intrappolati negli eventuali problemi futuri degli Stati Uniti.

Conclude Setser il suo articolo:

E se - come sembra probabile - la domanda da parte straniera per buoni del tesoro svanirà prima del deficit fiscale USA, il tesoro USA dovrà vendere una grandissima quantità di buoni del tesoro agli investitori americani. Per alcuni anni ho argomentato che fosse impossibile esagerare l'impatto che la domanda delle banche centrali estere ha sul mercato dei buoni del tesoro USA.

Essa potrebbe non esserci più guardando al futuro.

Il mondo sta cambiando. Le riserve globali non stanno crescendo. L'eco dei picchi passati che osserviamo nei dati sui buoni del tesoro svanirà.


Dato che il giochino di indebitarsi per acquistare beni prodotti dai paesi emergenti - Cina ed India in primis, ma anche altre realtà minori - si è rotto, i fondi a disposizione delle banche centrali estere da riciclare in buoni americani, scarseggiano.

La FED ha quindi deciso di intervenire, facendosi carico direttamente dei buoni del tesoro a lungo termine. La più classica forma di monetizzazione del debito.

I 300 miliardi che Ben si è impegnato a stampare a questo scopo, rappresentano circa il 5% del mercato - il mercato dei buoni del tesoro USA ammonta a 5800 miliardi - e, come ha riportato David Rosenberg della Merril Lynch in un recente rapporto, l'annunciata espansione del bilancio della FED di ulteriori 1,15 trilioni complessivi è poca cosa di fronte a un rapporto tra credito privato e PIL che eccede di 8 trilioni i livelli storicamente sostenibili e che dovrà necessariamente contrarsi nel prossimo futuro (il grafico sotto riporta l'andamento nel tempo del debito privato USA - aziende più famiglie - in rapporto al PIL).




A causa di questo squilibrio, Rosenberg non vede reali cambiamenti di trend nel mercato e liquida i recenti rialzi come dei rally all'interno di un mercato in discesa.

La principale preoccupazione di Ben & Co, sembra riguardare l'impatto che la fuga degli investitori esteri potrebbe avere sui rendimenti dei buoni a lungo termine. Bernake vuole evitare che essi aumentino, aggravando la situazione di tutti quei debitori che pagano degli interessi, il cui tasso sia agganciato ai suddetti rendimenti. Come si poteva dedurre, anche leggendo tra le righe del comunicato rilasciato dall'FOMC, il problema sarebbero dunque i debitori privati, primi fra tutti i proprietari di casa (ma anche le aziende) e proprio a loro è rivolta l'ultima misura della FED.

La più diretta conseguenza di un "quantitative easing" operato comprando buoni del tesoro a lungo termine sarà un inevitabile calo dei rendimenti. Assieme ad essi diminuirà anche l'entità degli interessi pretesi sui mutui. Chi ha già contratto un mutuo avrà la possibilità di rifinanziarlo ad un interesse più basso, chi invece ha intenzione di acquistare casa per la prima volta potrà ottenere mutui a condizioni più favorevoli.

Questo almeno in teoria. Nella pratica l'entità dell'interesse chiesto dalle banche dipende da molteplici fattori, tra cui le aspettative sull'andamento dell'economia. Quando la situazione generale viene percepita come pericolosa, le banche pretendono in ogni caso uno spread elevato sugli interessi, come protezione dal rischio che i prestiti erogati non vengano restituiti.

La strategia annunciata mercoledì dall'FOMC si può quindi riassumere come un ennesimo ed indiretto incentivo al mercato immobiliare. Se fino ad ora gli USA avevano sempre agito indebitando lo stato o adottando misure soft di "quantitative easing", come l'acquisto di mbs dalle agenzie, adesso la FED ha deciso di procedere dritta come un ariete ed usare la forza bruta.

Il pericolo principale in un approccio del genere è che la FED col tempo si trovi ad essere l'unico acquirente di buoni del tesoro a lungo termine. In Inghilterra, quando la BOE (la banca centrale inglese) ha imboccato la strada del "quantitative easing", poche settimana fa, si è trovata ad avere, durante le operazioni di acquisto, un "bid to cover" di 7,35. In sostanza per ogni buono del tesoro che la BOE era disposta a comprare il mercato ne offriva 7,35. Gli investitori - e gli speculatori che ne avevano fatto incetta prevedendo in anticipo le mosse della BOE - hanno scaricato in massa i buoni del tesoro inglesi. Nulla di drammatico per il momento, ma se questo trend dovesse continuare, la BOE si troverebbe presto impantanata in una situazione estremamente scivolosa. Altra conseguenza negativa del "quantitative easing" è stata il drastico calo della domanda per tutti quei buoni del tesoro che non rientrano tra i tagli acquistabili dalla banca centrale inglese. I buoni del tesoro inglesi che scadono a Marzo del 2014 ad esempio, hanno avuto un bid to cover di 1,45, il minimo dal 2005.

Il deficit fiscale USA, previsto per questo anno, ammonterà a circa 2 trilioni di dollari. Facendo una semplice divisione, gli Stati Uniti saranno obbligati a vendere 160 miliardi di dollari in buoni a varie scadenze ogni singolo mese. 300 miliardi rischiano di essere una cifra insufficiente se la fuga degli investitori esteri dai buoni a lungo termine dovesse continuare. Se così fosse, Ben sarà inevitabilmente costretto ad aumentare l'impegno economico della FED, dato che un suo eventuale ritiro - quindi la scomparsa dell'acquirente di ultima istanza - rischierebbe di produrre una dislocazione sul mercato dei buoni del tesoro, in grado di far schizzare alle stelle i rendimenti e gli interessi sui debiti collegati.

Un mezzo Armageddon finanziario.

Anche nell'eventualità di un aumento progressivo degli acquisti da parte della FED che superi il limite annunciato di 300 miliardi, se la pressione prodotta dalla fuga degli acquirenti esteri superasse una soglia critica, non vi sarebbe stampar di moneta da parte della Federal Reserve, in grado di evitare una dislocazione.

Questo è lo scenario da fine dei tempi che toglie il sonno, da un paio di anni a questa parte, a Karl Denninger (trovate il suo blog nel mio blog roll).

Una possibilità che personalmente reputo remota allo stato attuale, ma tutt'altro che impossibile.

Altri osservatori invece, sono preoccupati da una possibilità quasi opposta: che tutta questa creazione di denaro possa produrre nel tempo una galoppante inflazione che culminerà in una devastante e terminale iper inflazione.

Sono molto scettico a riguardo. E' vero che la capacità di inflazionare il mercato di una banca centrale è teoricamente infinita. Essa ha il potere di creare tutto il denaro che vuole e sparpagliarlo in giro in 1000 modi differenti. Nella realtà però, esistono dei limiti varcati i quali, un economia come quella americana si auto-distruggerebbe ben prima che una reale iper inflazione possa prendere piede.

Intanto, in casi come questo non si tratta mai di sistemi chiusi. Anche volendo inflazionare l'economia, quanta di questa inflazione si riverserebbe negli stipendi della gente? In altri termini, se la maggior parte dei beni di consumo vengono prodotti dai paesi emergenti, quanta dell'inflazione prodotta dalla FED si riverserebbe negli stipendi degli americani e quanta confluirebbe all'estero?

Del resto, da quasi 20 anni a questa parte l'intero sistema si è basato sull'esportazione dell'inflazione USA in Cina e nei paesi emergenti. Dato che la produzione avveniva in quei luoghi anche il denaro vi confluiva invece di infilarsi nelle tasche degli americani andando ad incentivare la produzione industriale locale e la creazione di ricchezza negli Stati Uniti. La crisi attuale non ha ancora cambiato questa situazione. Le industrie non sono state rilocalizzate negli USA e neppure sono comparse (ancora) sostanziali barriere commerciali nei confronti della Cina. Considerando quanto gli USA dipendano da essa come acquirente di buoni del tesoro, non è neppure detto che ne vedremo entro breve. Nel caso accadesse, ciò equivarrebbe ad una vera e propria dichiarazione di guerra commerciale, una misura possibile, ma che puzzerrebe tanto di ultima spiaggia.

Se il resto del mondo seguisse l'esempio di Bernanke con il "quantitative easing", forse l'andamento ricorderebbe più da vicino quello di un sistema chiuso, ma sebbene alcuni dei principali stati si siano lanciati a stampare denaro, all'appello mancano ancora fondamentali soggetti come la UE e la Cina. Inoltre, anche stampare qualche trilione qua è la, non può bastare a compensare una distruzione globale di capitalizzazione pari a 35 trilioni di dollari e la poderosa contrazione del credito a cui stiamo assistendo.

A questo va aggiunto l'effetto che l'aumento della disoccupazione, il pessimo andamento generale dell'economia e la distruzione dei valori di borsa sta avendo sull'atteggiamento della popolazione. La propensione a spendere è in costante declino mentre quella a risparmiare è in aumento. Purtroppo propensione a parte - come illustra Mish in uno dei suoi ultimi post - da una recente ricerca risulta che il 50% dei cittadini USA si trovi a due stipendi di distanza dal collasso economico (negli Stati Uniti si tratta di un mese) mentre il 28% non riuscirebbe a tirare avanti per più di 2 settimane senza salario. Il 57% degli intervistati inoltre, afferma che spenderà meno rispetto al passato nel corso di quest'anno e nessuno di quelli contattati si dice intenzionato ad aumentare le proprie spese.

Per riuscire a spremere una popolazione indebitata e completamente restia a consumare ed esporsi ulteriormente, Ben dovrebbe far correre l'inflazione così velocemente, da produrre, ben prima di aver ottenuto il risultato sperato, la resa dell'intera economia. Se in futuro vi saranno significativi effetti inflattivi saranno schizofrenici e localizzati. Alcuni beni aumenteranno di prezzo, ma senza che questo produca delle ricadute sostanziali sull'inflazione generale o segnali una reale ripresa dell'economia.

L'oro probabilmente continuerà a rafforzarsi considerato quanto gradisca lo stampar di moneta. I rendimenti sui buoni USA sono destinati a diminuire. Alcuni si dicono certi che la FED non si limiterà ad acquistare il lungo termine, ma comprerà buoni a tutte le scadenze. Staremo a vedere. Il dollaro probabilmente continuerà a dare segni di debolezza ed il petrolio potrebbe realisticamente apprezzarsi, anche se esso nella situazione odierna non svolge più quella funziona di "hedge" contro l'inflazione a cui assolveva la scorsa estate. Per esso tutto dipenderà dall'economia reale. Nuovi cali di borsa che segnalino un perdurare delle difficoltà e una diminuzione della domanda industriale, affosseranno il valore dell'oro nero.

Proprio dal punto di vista dei listini, la decisione presa dalla FED non avrà probabilmente un impatto così significativo. Il Giappone può fornirci una lezione a riguardo, come fa presente Rosenberg nel suo rapporto. Quando la banca centrale Giapponese cominciò con il "quantitative easing" a Marzo del 2001, il Nikkei stava a 12190. L'indice salì di un buon 20% nel corso dei due mesi successivi, arrivando a toccare un massimo di 14529 il 7 Maggio del 2001. Nel giro di altri quattro mesi il Nikkei tornò a quota 12000. La sua discesa prosegui nel 2002-03 fino a arrivare, a metà del 2003, a quota 8900, 30% sotto il livello a cui stava quando venne introdotto il QE.

La contrazione del PIL ed il crollo dei guadagni delle aziende - pari al un 30% anno su anno nel 2001 - ebbero la meglio sul transitorio effetto positivo, prodotto dal "quantitative easing" della banca centrale giapponese.

Vi è un detto tra chi gioca in borsa che suona più o meno come: "non metterti contro la FED". In sostanza, non va mai sottovalutata la capacità di un entità come la Federal Reserve di influenzare il mercato, in particolar modo nel breve periodo, ma sul medio-lungo termine c'è poco che la Fed possa fare se i fondamentali dell'economia giocano contro. Ed ora come ora, i fondamentali non preannunciano nulla di buono.

La decisione presa mercoledì da Ben Bernanke e i signori dell'FOMC, rappresenta l'ultima cartuccia a disposizione della FED (a parte stampare denaro per acquistare direttamente azioni) e sembra indicare, la precisa volontà di trasformare la Federal Reserve in ciò che la BOJ (bank of Japan) fu durante il periodo definito "il decennio perso". Qui non si tratta più di prendere tempo, perché il tempo di solito è necessario quando si vuole ponderare con calma una possibile strategia risolutiva.

Prender tempo sperando in un miracolo è la strategia ora come ora, così come lo fu per il Giappone allora.

Alcuni affermano che Ben abbia caricato quest'ultima cartuccia e si sia infilato la canna della pistola in bocca. Altri che la canna sia rivolta alla tempia di una popolazione super indebitata e che esprima la muta minaccia: "spendete, consumate, indebitatevi ancora e per carità non pensate assolutamente di risparmiare".

Resta ancora una volta, l'impressione di essere in mano ad un armata brancaleone, impegnata a sparare colpi nel buio nella speranza che uno di essi centri il bersaglio giusto.

Ma se la FED, con l'ultima manovra avesse veramente esaurito le munizioni a sua disposizione, cosa si potrà mai inventare in futuro il vecchio Ben per stupirci?


PS:
Obama ha promesso che domani, i dettagli del piano di Geithner per la gestione degli assets tossici in pancia alle banche, verrano finalmente rivelati al mondo. Abbastanza è già trapelato da scatenare reazioni disgustate da parte di diversi economisti (potete leggere qua cosa ne pensa Krugman e qua l'opinione di Yves Smith). A riguardo ho già detto abbastanza. Mi limiterò ad aspettare la spiegazione di Obama (o Geithner se Obama ha ancora il fegato di farlo parlare in pubblico) con un pacchetto di popcorn in mano.

mercoledì 25 febbraio 2009

L'alba delle banche viventi (?)

Ieri in un discorso tenuto davanti al comitato bancario del senato USA, a cui doveva riferire i suoi progetti per il settore bancario, il vecchio Ben ha detto:

Il tesoro comprerà azioni privilegiate delle 19 maggiori banche USA se gli stress test determineranno che esse hanno bisogno di maggiori capitali per affrontare una recessione che si è rivelata peggiore delle previsioni, ha detto Bernanke ai politici di Washington oggi. Le azioni privilegiate saranno convertite in azioni normali solo se delle perdite straordinarie si materializzeranno, ha detto.

"Non vedo nessuna ragione di distruggere il valore di un istituto o di produrre le grandi incertezze legali che farebbero seguito alla nazionalizzazione formale di una banca quando questo non è necessario" ha detto Bernanke ad una seduta del Comitato Bancario del senato.

Le azioni privilegiate sono una specie di ibrido tra obbligazioni e azioni comuni. Generalmente non garantisco poteri di voto, ma prevedono il pagamento di un dividendo prefissato, concordato tra l'azienda e chi ne compra le azioni in questione (simile al rendimento delle obbligazioni per intenderci) ed in caso di liquidazione della società chi possiede questo tipo di azioni ha la precedenza nei pagamenti rispetto agli azionisti comuni (ma viene dopo gli obbligazionisti).

Per queste ragioni molti governi utilizzano questo strumento quando devono ricapitalizzare le banche. Gli istituti formalmente rimangono sotto controllo privato, inoltre il valore delle azioni comuni non ne risulta diluito (per la gioia degli azionisti). Allo stesso tempo lo stato può raccontare in giro di non aver semplicemente regalato del denaro senza ottenere nulla in cambio (dato che gli viene pagato un dividendo) ed in caso di necessità, previo accordo tra le parti, le azioni privilegiate possono essere convertite in azioni comuni.

Potrei dire molte cose sulle dichiarazioni di Bernanke e nessuna particolarmente carina, ma in questo caso preferisco lasciar parlare il premio Nobel Paul Krugman che ha riassunto bene in un articolo intitolato mysterious plans, l'impressione che i programmi di Ben hanno lasciato a molti (me compreso):

Sto cercando di essere aperto nei confronti dei vari piani, o voci di piani per aiutare le banche; ma continuo a non essere in grado di capire o quali siano i piani o perché si pensi che essi possano funzionare. E non credo che sia colpa mia.

A quanto pare, l'ultimo prevede la conversione delle azioni privilegiate in mano al governo in azioni comuni, forse. James Kwak ha una buona spiegazione di tutta questa faccenda. E non è chiaro che cosa si riuscirà ad ottenere seguendo questa via...

... Quello che il tesoro ora sembra proporre è di convertire alcune delle azioni verdi in azioni blu (si riferisce a uno schema presente nel suo articolo ndr) - convertire le privilegiate in comuni. E' vero che le azioni privilegiate hanno alcune qualità tipiche del debito - richiedono il pagamento di dividendi, ecc.. Ma davvero qualcuno pensa che la ragione per cui le banche sono malandate è che si trovano le mani legate dagli obblighi nei confronti degli azionisti privilegiati, piuttosto che dall'avere semplicemente troppo debito?

Davvero non capisco. La sconfortante sensazione che il piano dell'amministrazione sia quello di far continuare l'orchestra a suonare e sperare che nel frattempo l'iceberg si sciolga da solo, diventa sempre più forte.

Quello di cui parla Krugman non può far a meno di evocare le richieste avanzate dall'AIG negli ultimi giorni. Lunedì l'ex gigante mondiale delle assicurazioni, per l'80% in mano al governo USA, ha annunciato una perdita trimestrale di 60 miliardi di dollari. La più grande in un solo quarto, della storia della Stati Uniti. Questo dopo che l'AIG aveva ciucciato 150 miliardi di dollari al contribuente americano sotto varie forme. Dove siano andati a finire questi 60 miliardi non è dato sapere. Alcuni chiamano in causa perdite su prodotti che dipendono dal mercato immobiliare non residenziale, Bloomberg (prima di togliere quella parte dall'articolo) parlava di 18,7 miliardi in swap la cui quota più consistente sarebbe stata pagata a Societe Generale SA, Goldman Sachs Group Inc, Deutsche Bank AG, Calyon Securities e Merrill Lynch & Co.

Dovunque siano finiti i soldi, l'AIG, inarrestabile come ogni zombie che si rispetti, è tornata affamata di denaro dal governo americano. La promessa che fece a settembre di vendere pezzi dell'azienda per ripagare lo stato dei soldi ricevuti è stata a quanto pare dimenticata. Non che siano in molti a sorprendersi di ciò. L'unica cosa sorprendente sono le attuali richieste dell'AIG. Questa vorrebbe cortesemente che lo stato acconsentisse alla conversione delle sue quote privilegiate in azioni comuni. Si parla di 40 miliardi di dollari.

Il tesoro degli Stati Uniti si trova quindi, in un'antipatica situazione. Non può aumentare la sua quota di azioni comuni, perché oltrepasserebbe quel limite dell'80% di proprietà che si è autoimposto per mantenere in piedi la farsa della non nazionalizzazione. Contemporaneamente, per qualche misteriosa ragione - probabilmente legata alla massa di cds che l'AIG ha emesso negli ultimi anni - il governo USA sembra essere intenzionato a fare di tutto perché la moribonda azienda non fallisca. Tra AIG, governo e agenzie di rating sono in corso fitte discussioni per trovare una soluzione che le permetta di rimanere in vita senza subire un ulteriore taglio del rating - evento che la costringerebbe a recuperare altri capitali a garanzia della propria solvibilità.

A quanto pare, la vicenda dell'AIG ha fornito a Bernanke l'infelice idea che acquistare azioni privilegiate - in quantità indefinita - sia lo strumento migliore per ricapitalizzare il settore bancario. Devo concludere che Ben sia un grande fan di Romero visto che sta cercando in tutti i modi di creare un esercito di zombie. Cosa si aspetti di ottenere continuando a fornire denaro alle banche, senza fare chiarezza una volta per tutte sulla loro condizione e senza che ne vengano efficacemente ripuliti i bilanci, mi sfugge. E' come se stesse gridando a pieni polmoni: "lost decade, arriviamo!".

Non dobbiamo preoccuparci però. Il capo della FED ieri ha anche lanciato alcune rassicurazioni al mercato:

Però, ha detto (Bernanke ndr), presumendo che gli interventi economici prendano piede "c'è la ragionevole prospettiva che l'attuale recessione finirà nel 2009 e che il 2010 sarà l'anno della ripresa."

Questo detto dallo stesso individuo che più di un anno fa andava in giro a raccontare:

"In questo momento . . .l'impatto sull'economia in generale e sui mercati finanziari dei problemi nel mercato dei subprime sembra, probabilmente, essere contenuto"

Ora si che mi sento più tranquillo.

A onor del vero, Bernanke ha anche aggiunto che la ripresa del 2010 sarà limitata e che prima di 2-3 anni l'economia non ripartirà in maniera sostenuta.

Wall Street a quanto pare sembra ancora credere al capo della FED. In seguito al suo discorso, ieri gli indici sono saliti in maniera netta, guadagnando tra il 3% ed il 4%. Agli azionisti fa di certo piacere sapere che le banche non verranno nazionalizzate e che il governo continuerà ad elargire aiuti senza che questo implichi per loro la perdita delle proprie prerogative. Chi invece aveva delle scommesse al ribasso, aperte nei confronti dei maggiori istituti bancari, si è trovato costretto ad acquistare azioni per chiudere la propria posizione (un classico short squeeze), nel timore che le dichiarazioni di Ben producessero un aumento dei valori azionari.

In un sol colpo il vecchio Ben è riuscito a far ignorare al mercato i dati sul valore degli immobili, sceso a dicembre del -18,7% rispetto allo scorso anno, un minimo storico ed il dato sulla fiducia dei consumatori, anch'esso sceso ai minimi storici, assestandosi a 25 punti mentre gli analisti si attendevano un livello di 35. Sotto potete vedere in forma grafica l'andamento di entrambi gli indici:






Ha quasi del paradossale che la proposta di Bernanke, di zombificare a tempo indefinito l'intero settore bancario, sembri essere accolta da tanta euforia. Spero si tratti di un semplice rimbalzo tecnico. Se qualcuno ritiene davvero che percorrere la via giapponese sia una buona idea, non so che dire. Verrebbe quasi voglia di bere per dimenticare. In Italia almeno, dove ancora sembra essere di moda. Negli USA invece, il consumo di alcool ha subito un crollo senza precedenti - come si può notare osservando la linea rossa nel grafico riportato sotto:



Forse gli americani han deciso di ricorrere direttamente a qualcosa di più forte. O forse preferiscono tenersi lucidi, caso mai venissero assaliti da un banchiere zombificato alla vorace ricerca di denaro. In casi simili bisogna avere i riflessi pronti: usare come esca il proprio portafoglio, lanciarlo lontano e mentre il banchiere ci si avventa sopra, scappare in tutta fretta cercando di portarsi dietro più risparmi possibile.

Oggi dovrebbe parlare Geithner e vedremo che altri grandi sorprese ci riserverà. Anche Bernake dovrebbe tornare alla sbarra, ma da quel che ha detto ieri, il capo della FED sembra essere intenzionato a regalarci un film dell'orrore. Qualcosa che non potrà essere definito recessione o depressione. Qualcosa che i giapponesi conoscono bene e che in passato ho definito come: "una lunga e agonizzante Decessione".

Spero abbiate tutti molta pazienza. Questo film pare destinato a durare ancora a lungo.