mercoledì 25 febbraio 2009

L'alba delle banche viventi (?)

Ieri in un discorso tenuto davanti al comitato bancario del senato USA, a cui doveva riferire i suoi progetti per il settore bancario, il vecchio Ben ha detto:

Il tesoro comprerà azioni privilegiate delle 19 maggiori banche USA se gli stress test determineranno che esse hanno bisogno di maggiori capitali per affrontare una recessione che si è rivelata peggiore delle previsioni, ha detto Bernanke ai politici di Washington oggi. Le azioni privilegiate saranno convertite in azioni normali solo se delle perdite straordinarie si materializzeranno, ha detto.

"Non vedo nessuna ragione di distruggere il valore di un istituto o di produrre le grandi incertezze legali che farebbero seguito alla nazionalizzazione formale di una banca quando questo non è necessario" ha detto Bernanke ad una seduta del Comitato Bancario del senato.

Le azioni privilegiate sono una specie di ibrido tra obbligazioni e azioni comuni. Generalmente non garantisco poteri di voto, ma prevedono il pagamento di un dividendo prefissato, concordato tra l'azienda e chi ne compra le azioni in questione (simile al rendimento delle obbligazioni per intenderci) ed in caso di liquidazione della società chi possiede questo tipo di azioni ha la precedenza nei pagamenti rispetto agli azionisti comuni (ma viene dopo gli obbligazionisti).

Per queste ragioni molti governi utilizzano questo strumento quando devono ricapitalizzare le banche. Gli istituti formalmente rimangono sotto controllo privato, inoltre il valore delle azioni comuni non ne risulta diluito (per la gioia degli azionisti). Allo stesso tempo lo stato può raccontare in giro di non aver semplicemente regalato del denaro senza ottenere nulla in cambio (dato che gli viene pagato un dividendo) ed in caso di necessità, previo accordo tra le parti, le azioni privilegiate possono essere convertite in azioni comuni.

Potrei dire molte cose sulle dichiarazioni di Bernanke e nessuna particolarmente carina, ma in questo caso preferisco lasciar parlare il premio Nobel Paul Krugman che ha riassunto bene in un articolo intitolato mysterious plans, l'impressione che i programmi di Ben hanno lasciato a molti (me compreso):

Sto cercando di essere aperto nei confronti dei vari piani, o voci di piani per aiutare le banche; ma continuo a non essere in grado di capire o quali siano i piani o perché si pensi che essi possano funzionare. E non credo che sia colpa mia.

A quanto pare, l'ultimo prevede la conversione delle azioni privilegiate in mano al governo in azioni comuni, forse. James Kwak ha una buona spiegazione di tutta questa faccenda. E non è chiaro che cosa si riuscirà ad ottenere seguendo questa via...

... Quello che il tesoro ora sembra proporre è di convertire alcune delle azioni verdi in azioni blu (si riferisce a uno schema presente nel suo articolo ndr) - convertire le privilegiate in comuni. E' vero che le azioni privilegiate hanno alcune qualità tipiche del debito - richiedono il pagamento di dividendi, ecc.. Ma davvero qualcuno pensa che la ragione per cui le banche sono malandate è che si trovano le mani legate dagli obblighi nei confronti degli azionisti privilegiati, piuttosto che dall'avere semplicemente troppo debito?

Davvero non capisco. La sconfortante sensazione che il piano dell'amministrazione sia quello di far continuare l'orchestra a suonare e sperare che nel frattempo l'iceberg si sciolga da solo, diventa sempre più forte.

Quello di cui parla Krugman non può far a meno di evocare le richieste avanzate dall'AIG negli ultimi giorni. Lunedì l'ex gigante mondiale delle assicurazioni, per l'80% in mano al governo USA, ha annunciato una perdita trimestrale di 60 miliardi di dollari. La più grande in un solo quarto, della storia della Stati Uniti. Questo dopo che l'AIG aveva ciucciato 150 miliardi di dollari al contribuente americano sotto varie forme. Dove siano andati a finire questi 60 miliardi non è dato sapere. Alcuni chiamano in causa perdite su prodotti che dipendono dal mercato immobiliare non residenziale, Bloomberg (prima di togliere quella parte dall'articolo) parlava di 18,7 miliardi in swap la cui quota più consistente sarebbe stata pagata a Societe Generale SA, Goldman Sachs Group Inc, Deutsche Bank AG, Calyon Securities e Merrill Lynch & Co.

Dovunque siano finiti i soldi, l'AIG, inarrestabile come ogni zombie che si rispetti, è tornata affamata di denaro dal governo americano. La promessa che fece a settembre di vendere pezzi dell'azienda per ripagare lo stato dei soldi ricevuti è stata a quanto pare dimenticata. Non che siano in molti a sorprendersi di ciò. L'unica cosa sorprendente sono le attuali richieste dell'AIG. Questa vorrebbe cortesemente che lo stato acconsentisse alla conversione delle sue quote privilegiate in azioni comuni. Si parla di 40 miliardi di dollari.

Il tesoro degli Stati Uniti si trova quindi, in un'antipatica situazione. Non può aumentare la sua quota di azioni comuni, perché oltrepasserebbe quel limite dell'80% di proprietà che si è autoimposto per mantenere in piedi la farsa della non nazionalizzazione. Contemporaneamente, per qualche misteriosa ragione - probabilmente legata alla massa di cds che l'AIG ha emesso negli ultimi anni - il governo USA sembra essere intenzionato a fare di tutto perché la moribonda azienda non fallisca. Tra AIG, governo e agenzie di rating sono in corso fitte discussioni per trovare una soluzione che le permetta di rimanere in vita senza subire un ulteriore taglio del rating - evento che la costringerebbe a recuperare altri capitali a garanzia della propria solvibilità.

A quanto pare, la vicenda dell'AIG ha fornito a Bernanke l'infelice idea che acquistare azioni privilegiate - in quantità indefinita - sia lo strumento migliore per ricapitalizzare il settore bancario. Devo concludere che Ben sia un grande fan di Romero visto che sta cercando in tutti i modi di creare un esercito di zombie. Cosa si aspetti di ottenere continuando a fornire denaro alle banche, senza fare chiarezza una volta per tutte sulla loro condizione e senza che ne vengano efficacemente ripuliti i bilanci, mi sfugge. E' come se stesse gridando a pieni polmoni: "lost decade, arriviamo!".

Non dobbiamo preoccuparci però. Il capo della FED ieri ha anche lanciato alcune rassicurazioni al mercato:

Però, ha detto (Bernanke ndr), presumendo che gli interventi economici prendano piede "c'è la ragionevole prospettiva che l'attuale recessione finirà nel 2009 e che il 2010 sarà l'anno della ripresa."

Questo detto dallo stesso individuo che più di un anno fa andava in giro a raccontare:

"In questo momento . . .l'impatto sull'economia in generale e sui mercati finanziari dei problemi nel mercato dei subprime sembra, probabilmente, essere contenuto"

Ora si che mi sento più tranquillo.

A onor del vero, Bernanke ha anche aggiunto che la ripresa del 2010 sarà limitata e che prima di 2-3 anni l'economia non ripartirà in maniera sostenuta.

Wall Street a quanto pare sembra ancora credere al capo della FED. In seguito al suo discorso, ieri gli indici sono saliti in maniera netta, guadagnando tra il 3% ed il 4%. Agli azionisti fa di certo piacere sapere che le banche non verranno nazionalizzate e che il governo continuerà ad elargire aiuti senza che questo implichi per loro la perdita delle proprie prerogative. Chi invece aveva delle scommesse al ribasso, aperte nei confronti dei maggiori istituti bancari, si è trovato costretto ad acquistare azioni per chiudere la propria posizione (un classico short squeeze), nel timore che le dichiarazioni di Ben producessero un aumento dei valori azionari.

In un sol colpo il vecchio Ben è riuscito a far ignorare al mercato i dati sul valore degli immobili, sceso a dicembre del -18,7% rispetto allo scorso anno, un minimo storico ed il dato sulla fiducia dei consumatori, anch'esso sceso ai minimi storici, assestandosi a 25 punti mentre gli analisti si attendevano un livello di 35. Sotto potete vedere in forma grafica l'andamento di entrambi gli indici:






Ha quasi del paradossale che la proposta di Bernanke, di zombificare a tempo indefinito l'intero settore bancario, sembri essere accolta da tanta euforia. Spero si tratti di un semplice rimbalzo tecnico. Se qualcuno ritiene davvero che percorrere la via giapponese sia una buona idea, non so che dire. Verrebbe quasi voglia di bere per dimenticare. In Italia almeno, dove ancora sembra essere di moda. Negli USA invece, il consumo di alcool ha subito un crollo senza precedenti - come si può notare osservando la linea rossa nel grafico riportato sotto:



Forse gli americani han deciso di ricorrere direttamente a qualcosa di più forte. O forse preferiscono tenersi lucidi, caso mai venissero assaliti da un banchiere zombificato alla vorace ricerca di denaro. In casi simili bisogna avere i riflessi pronti: usare come esca il proprio portafoglio, lanciarlo lontano e mentre il banchiere ci si avventa sopra, scappare in tutta fretta cercando di portarsi dietro più risparmi possibile.

Oggi dovrebbe parlare Geithner e vedremo che altri grandi sorprese ci riserverà. Anche Bernake dovrebbe tornare alla sbarra, ma da quel che ha detto ieri, il capo della FED sembra essere intenzionato a regalarci un film dell'orrore. Qualcosa che non potrà essere definito recessione o depressione. Qualcosa che i giapponesi conoscono bene e che in passato ho definito come: "una lunga e agonizzante Decessione".

Spero abbiate tutti molta pazienza. Questo film pare destinato a durare ancora a lungo.

lunedì 23 febbraio 2009

Caos calmo

L'attenzione del mondo economico USA la scorsa settimana è stata monopolizzata da due avvenimenti di natura differente.

Il primo è stato lo sfogo in diretta televisiva di Rick Santelli sulla CNBC, che molti hanno già ribattezzato come: "lo sfogo dell'anno". Santelli dalla borsa di Chicago, si è lanciato in una serie di vivaci analisi sul piano preannunciato dall'amministrazione Obama, volto ad aiutare i mutuatari in difficoltà, mettendo in risalto come esso si riduca in definitiva, ad un prelievo forzoso di denaro dalle tasche di persone responsabili, che non si sono lanciate in arditi investimenti duranti gli anni della bolla immobiliare, per consegnarli nelle mani di individui che non si sono dimostrati altrettanto prudenti e giudiziosi.

Alla fine del suo sfogo Santelli, ha annunciato l'intenzione di organizzare un "tea party" a Chicago durante l'estate. Un incitamento esplicito alla ribellione contro il governo.

Quando un americano parla di "tea party", non si riferisce a una qualche sagra paesana con degustazione di té inclusa, ma al Boston Tea Party del 1773, durante il quale, come atto estremo di ribellione nei confronti della corona Inglese, la popolazione esasperata dette l'assalto alle navi della compagnie delle Indie, scaricando in mare il carico di té che trasportavano.

L'esplosione in diretta di Santelli ha fatto il giro di blog e social network, entrando con prepotenza anche nel circuito mediatico tradizionale. Tanto è stato l'eco che essa ha prodotto, da costringere addirittura il portavoce della casa bianca Robert Gibbs a controbattere a riguardo. Gibbs lo ha fatto, screditando Santelli: consigliandogli di bersi un buon decaffeinato e affermando come risultasse evidente, dalle frasi da esso pronunciate la sua ignoranza riguardo alla legge in questione.

In realtà Santelli ha perfettamente ragione. Anche se qualcuno può ritenere una misura indispensabile aiutare con denaro pubblico quelli che hanno sottoscritto mutui che non riescono più a pagare, la natura dell'operazione non cambia. Si tratta di una gigantesca redistribuzione di denaro prelevato a gente giudiziosa - che andrebbe invece ricompensata per la sua accortezza - e regalato a quelle cicale che hanno preferito rischiare, spesso mentendo sulla propria condizione finanziaria, per comperare case al di là della loro portata.

L'altro evento di una certa rilevanza è stata la vicenda che ha coinvolto Allen Stanford, un miliardario Texano appassionato di cricket accusato dalla SEC di aver organizzato un gigantesco schema di Ponzi da 8 miliardi di dollari. Stanford la scorsa settimana è letteralmente scomparso, costringendo gli ufficiali giudiziari a girare su e giù per il territorio Statunitense per riuscire a notificargli le accuse. Alla fine è stato beccato in Virginia, ma tutto si è risolto senza alcun arresto, fatto che ha lasciato perplessa diversa gente. Ad infittire il mistero, si è aggiunta una voce che attribuirebbe a Stanford contatti diretti con i signori della droga messicani e la scoperta che le autorità finanziarie tenessero sott'occhio da diverso tempo il miliardario Texano, ma che al momento di intervenire siano state bloccate da un altra agenzia governativa USA.

Dennis Kuchinich, parlamentare USA e candidato alle scorse primarie per i democratici, ha deciso di andare a fondo sulla vicenda, chiedendo esplicitamente alla SEC di rivelare il nome dell'agenzia che si sarebbe frapposta tra lei e Stanford. Tutta la vicenda sembra assumere sfumature cinematografiche: un miliardario, un gigantesco schema di Ponzi, signori della droga messicani, agenzie governative (CIA? FBI?) che agiscono con degli evidenti secondi fini. Non sarei sorpreso di leggere una mattina sui quotidiani che Stanford è stato trovato a penzolare da una corda, sotto il ponte dei frati neri.

Questi due avvenimenti, mediaticamente molto gustosi, hanno fatto passare in secondo piano il conflitto in atto tra Stati Uniti e Svizzera, che vede come oggetto del contendere l'UBS. Quest'ultima mercoledì scorso, aveva scelto di assecondare le richieste dell'IRS (l'agenzia delle entrate USA), richieste che prevedono il pagamento, da parte dell'UBS, di 780 milioni di dollari di multa e la consegna alle autorità competenti dei nomi di 250 clienti di nazionalità americana, accusati di aver utilizzato la banca elvetica per evadere le tasse. A mettere i bastoni tra le ruote a quest'accordo sono intervenute le autorità Svizzere, preoccupate per le ripercussioni che la violazione del segreto bancario potrebbe avere sulla principale industria del paese. L'UBS si trova ora in una terribile situazione. Può decidere di infrangere la legge USA rifiutandosi di consegnare i nomi richiesti all'IRS e rischiando così, il ritiro della licenza per operare sul territorio americano o può decidere di violare le leggi Svizzere accentandone le inevitabili ripercussioni.

I rappresentanti del colosso bancario sono arrivati a minacciare/supplicare le autorità americane dicendo: se insistete su questa linea saremo costretti a chiudere i battenti.

Nel frattempo il partito di maggioranza Svizzero, l'SVP ha già minacciato una serie di ritorsioni nei confronti degli USA, in caso rifiutino di bloccare la loro crociata anti evasori. Alcune delle proposte prevedono: il ritiro delle riserve auree depositate in america, il blocco di ogni fondo proveniente dagli USA, il rifiuto di rappresentare gli Stati Uniti in quelle nazioni in cui essi non hanno una sede diplomatica al contrario della Svizzera (come accade a volte).

Personalmente spero che la spunti l'IRS ed i nomi vengano resi pubblici. Del resto, la pretesa Svizzera di proteggere gli evas... pardon, i propri clienti, non si inquadra particolarmente bene neppure con le dichiarazioni uscite a Berlino, dalla riunione preparatoria del G20 ed in particolar modo con quelle del ministro delle finanze inglese Allister Darling:

Il ministro delle Finanze britannico Alistair Darling, ha attaccato il segreto bancario degli istituti svizzeri, sottolineando che non si può più tollerare l'evasione fiscale, in un intervento pubblicato oggi dall'edizione domenicale di The Observer.

Darling ha sottolineato che le autorità elvetiche dovrebbero riformare le leggi fiscali e bancarie del paese per allinearsi a quelle in vigore in Europa. "Penso sia importante che ci sia la trasparenza. Nessuno sa cosa accade. Non va bene, infatti la metà dei problemi derivano dal fatto che non si sa cosa succede", ha dichiarato il ministro, citato dal quotidiano.

"E' una delle cose che la Svizzera deve regolamentare. Se intende fare parte della comunità internazionale, dovrà essere aperta", ha proseguito. "Il segreto che premette alle persone di proteggere la loro fortuna senza pagare tasse come dovrebbero, non si può più tollerare", ha insistito Darling.


I Leader del G20 se la sono anche presa con gli Hedge Funds ed i paradisi fiscali affermando di avere allo studio delle proposte per la loro regolamentazione.

Sarebbe anche ora.

Sono curioso di vedere come la prenderanno gli inglesi, che han fatto della city di Londra il veicolo preferenziale di certe entità (come gli Hedge Funds), anche grazie ad una serie di paradisi fiscali che ricadono sotto il controllo della corona (Cayman ed Isole Vergini ad esempio).

Un argomento che a Berlino non è stato affrontato neppure superficialmente - se si esclude un generico appello a raddoppiare i fondi a disposizione dell'FMI - rimane la situazione dell'est Europa. Il governo della Lettonia è appena crollato come diretta conseguenza della precaria situazione finanziaria del paese. La moneta polacca ha dato qualche segno di ripresa dopo che la banca centrale del paese ha comunicato di essere intenzionata ad intervenire sul tasso di interesse (mercoledì probabilmente). La Goldman Sachs ha dichiarato di aver chiuso le posizioni ribassiste sulla moneta polacca e ceca, in un annuncio che tradotto suona come: "Ci aspettiamo che la situazione dell'est Europa continuerà a peggiorare, ma gli interventi attuali e futuri, scombineranno le carte in gioco. Dato che scommettere al ribasso non è più come sparare ad un cadavere, ce ne chiamiamo fuori".

Grande volatilità quindi, ma pochi vedono all'orizzonte una vera stabilizzazione del blocco est.

In tutto questo casino, la BCE sembra letteralmente non sapere che pesci prendere. Trinchet ha fatto capire in diverse maniere di non essere intenzionato ad agire ulteriormente sui tassi. Serie misure di "quantitative easing" allo stesso tempo, non sono facili da adottare in ambito Europeo. Come ha detto Yves Mersch, membro del consiglio della BCE alla fine di Gennaio, la banca centrale Europea potrebbe anche pensare di comperare bond dei singoli stati: "ma di quali esattamente?". Un altro membro del consiglio, George Provopoulos, il 16 Febbraio ha rivelato come nessuno all'interno della BCE avesse, a quella data, discusso della possibilità di acquistare i bond sul mercato secondario (quindi non direttamente dagli stati), cosa che secondo molti sarebbe nelle piene facoltà della banca centrale Europea.

Juergen Micheles, capo economista alla Citigroup di Londra ha riassunto bene la situazione alla BCE dicendo: "Il problema è che essi stessi non sanno esattamente cosa dovranno fare in futuro".

A quanto pare, oltre alle autorità politiche anche quelle economiche della UE non sanno bene come comportarsi. Al momento, del resto, gran parte dell'attenzione dei singoli stati rischia di venir pienamente assorbita dai problemi interni. La Germania ha da poco approvato una legge che consente la nazionalizzazione delle banche, il tutto in vista di una probabile nazionalizzazione della Hypo. In Inghilterra Gordon Brown starebbe per tentare il tutto per tutto secondo il Telegraph. Martedì il primo ministro Inglese dovrebbe annunciare l'istituzione di una "bad bank" da 500 miliardi di sterline che si faccia carico della spazzatura in pancia alle banche. Il futuro di Brown e del suo partito sono già compromessi. L'eventuale fallimento di questa ennesima scommessa rischierebbe di essere il colpo di grazia, consacrando la fine di entrambi e lasciando un unica via percorribile all'Inghilterra: la completa nazionalizzazione degli istituti bancari.

Nazionalizzazione che si rivelerebbe estremamente costosa. Alcuni analisti governativi hanno da poco riclassificato la RBS e la Lloyd come corporation pubbliche, facendo di fatto aumentare il debito pubblico del paese di 1,5 trilioni di sterline, portandolo di colpo, al non trascurabile livello del 150% rispetto al PIL. Verrebbe quasi voglia di aspettare i politici inglesi fuori dal parlamento e gridargli battendo la stecca: "chi è il PIGS adesso?". Facili rivalse a parte, risulta chiara la ragione dietro la quasi unanime repulsione che i politici, specialmente quelli anglosassoni, nutrono nei confronti del termine nazionalizzazione mentre ogni economista degno di nota la invoca a gran voce (Krugman, Roubini, Stiglitz, Wolf, Rogoff ecc).

Chi mai, vorrebbe trovarsi costretto a spiegare un improvviso raddoppio del debito pubblico alla popolazione.

Un altro signore che parla esplicitamente di nazionalizzazione è Paul Volcker. Consigliere economico di Obama, Volcker a cui ha fatto eco Soros, ha ventilato la scorsa settimana la possibilità che la crisi attuale si riveli peggiore della Grande Depressione. Una delle misure che Volcker vorrebbe imporre, prevede la separazione delle banche a seconda delle funzioni. In altri termini secondo Volcker, le banche dovrebbero fare le banche: prestare denaro alle aziende, erogare muti, ecc, invece di lanciarsi in speculazioni con misteriosi strumenti finanziari. Se ne avessero nonostante tutto l'intenzione dovrebbero obbligatoriamente spezzarsi in due istituti distinti: uno che faccia la banca commerciale ed un altro in grado di speculare liberamente senza poter contare su un eventuale supporto governativo in caso di problemi. In sostanza Volker invocherebbe la re-istituzione del Glass Steagall act, una legge degli anni 30 che prevedeva misure simili e che fu abolita verso la fine degli anni 90 da un tale Larry Summers (capo del National Economic Council e padrino di Geithner l'attuale ministro del tesoro).

Purtroppo le idee di Volcker risultano essere in minoranza all'interno dell'amministrazione Obama. Geithner e Summers la fanno da padroni e per non smentire il loro passato di banchieri e lobbisti, stanno facendo di tutto per salvare i loro vecchi amichetti e marginalizzare Volcker. Chris Dodd, senatore USA e capo del comitato del senato su banche, edilizia e questioni urbane ha dichiarato qualche giorno fa che la nazionalizzazione di alcune banche potrebbe essere inevitabile per un breve periodo. Il governo USA è dovuto subito correre ai ripari smentendo indirettamente Dodd e affermando che: "mantenere le banche private sia la corretta via da seguire".

A questo proposito vi consiglio di leggere un interessante post di Yves Smith, la quale alla fine di un lungo ragionamento arriva a concludere: la nazionalizzazione delle banche è il minore dei mali. Operazioni come quella della "bad bank" di Gordon Brown sono molto costose, non fanno chiarezza sui bilanci degli istituti e garantisco poco controllo sull'utilizzo che il sistema bancario farà del denaro ricevuto. Anche se in seguito ad una nazionalizzazione, gli stati vedrebbero temporaneamente schizzare alle stelle il proprio debito, tramite essa, si potrebbero ripulire i bilanci velocemente, gettare luce sulla condizione delle varie banche ed avere la garanzia che il denaro pubblico non finisca completamente risucchiato dai quei giganteschi buchi neri che alcune di esse sono diventate .

Rapidità di azione e chiarezza è quello di cui il mercato avrebbe bisogno.

Invece continuiamo a mantenere in vita degli zombie senza intervenire con decisione sul problema. Un ottimo esempio è la Citi. A quanto pare il moribondo colosso, sta discutendo con i politici, riguardo la possibilità che il governo, in un disperato tentativo di ricapitalizzare l'istituto, arrivi a farsi carico del 40% delle sue quote azionarie. Il tutto dovrebbe avvenire attraverso la conversione delle azioni privilegiate in azioni normali, in concomitanza con un aumento di capitale da parte di Citi, attraverso un offerta pubblica di azioni, fermo restando una quota pari al 40% in mano del governo. Si tratterebbe quindi di una semi nazionalizzazione, un ennesima farsa che spero verrà rigettata da Obama.

Che le nazionalizzassero una volta per tutte e la facessero finita.

Mentre i politici tentennano incerti sul da farsi, l'economia non sta certo ferma ad aspettarli.

Mario Draghi ha lanciato un suo personale avvertimento:

Le ripercussioni sull'occupazione non si sono ancora pienamente manifestate; gli indicatori disponibili per i mesi più recenti prefigureranno un netto deterioramento". "La caduta della domanda può colpire con particolare intensità le fasce deboli e meno protette, i lavoratori precari, i giovani, le famiglie a basso reddito".

Sull'allarme del numero uno di Bankitalia arriva a distanza la replica di Tremonti. Che in una conferenza all'Aspen dice che "il governo ha da tempo gestito nei termini che poteva e doveva problema: pochi giorni fa abbiamo siglato con le Regioni un importante accordo sugli ammortizzatori sociali, siamo convinti di aver visto per tempo i fenomeni e di averli gestiti nel modo migliore".

Anche Draghi se ne è accorto finalmente. Come dicevo nelle previsioni di inizio anno, a settembre ed ottobre cominceremo a renderci conto veramente di quanto sia pesante la crisi. Tremonti dal canto suo ostenta sicurezza, forte anche dell'approvazione da parte della commissione Europea dei suoi "Tremonti bond". Si tratta di 10 miliardi di euro che lo stato è disposto a concedere alle banche italiane, ricevendone in cambio dei bond il cui rendimento varierebbe a secondo della durata di questi ultimi. Gli indiziati principali allo sfruttamento di questa opzione sono ovviamente Unicredit ed Intesa. Specialmente la prima, vista l'alta esposizione che vanta nei confronti dei paesi dell'est Europa. Interrogato a riguardo, Alessandro Profumo il capo dell'Unicredit, ha detto:

I 'Tremonti bond' "sono un'opportunità". Ad affermarlo, all'indomani del via libera della Commissione Europea, è l'amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo. "Per il governo è un bell'investimento. Per noi - ha commentato Profumo, a margine del Forex - sono un'assicurazione. Non vanno però visti come un'attività 'salvabanche' ma servono a dare capitali per far crescere gli impieghi".

Alla domanda se Unicredit intenda utilizzare questi strumenti, Profumo ha replicato: "Dobbiamo guardare alla composizione del nostro gruppo. Abbiamo una parte significativa dei rischi di gruppo su Bank Austria. Dobbiamo valutare l'intervento dell'Austria e poi dove c'è un rischio percepito...".

Tanti giri di parole, ma salvo miracoli, l'Unicredit finirà col ricorrere a questi bond.

Tornando infine agli Stati Uniti, Hilary Clinton, nuovo ministro degli esteri ha effettuato la scorsa settimana la sua prima visita di stato, scegliendo come meta la Cina. Dopo una lunga chiacchierata con i politici del paese, interrogata da un giornalista riguardo all'acquisto da parte del paese asiatico dei buoni del tesoro americani, la Clinton è arrivata quasi a supplicare i Cinesi di continuare a farne incetta. I politici del paese avevano già detto pubblicamente di non aver intenzione di modificare la propria politica a riguardo, ma è proprio essa ad essere diventata un problema per gli USA. La Cina negli ultimi tempi sembra avere un solo obiettivo per quel che riguarda i suoi investimenti in pezzi di carta: la sicurezza. Il paese asiatico ha progressivamente snobbato tutti i prodotti percepiti come rischiosi, per concentrarsi sul debito a breve scadenza degli Stati Uniti. A farne le spese è stato il debito USA a lungo termine e le securities delle due GSEs: Fannie Mae e Freddie Mac. Queste ultime in particolare soffrirebbero per una fuga di massa degli investitori.

Come ha detto Hideo Shimomura, capo degli investimenti a Tokyo per la Mitsubishi UFJ Asset Management Co, il rischio che si correrebbe investendo nelle GSEs, sarebbe troppo grande senza un esplicita garanzia del governo americano. In sostanza il mercato, a partire dalla Cina, sta premendo per una nazionalizzazione chiara delle GSEs. Non si fiderebbe più delle mezze misure. Vedremo come reagiranno gli USA. Nel caso si verificasse formalmente (informalmente lo sono già) la nazionalizzazione di Fannie e Freddie, si tratterebbe del più grande evento di questo genere mai verificatosi dal dopoguerra in avanti (per quel che ne so almeno).

Per il momento quindi, la Cina resterebbe intenzionata a sostenere il debito pubblico USA e del resto come ebbe a dire un economista cinese ad un conferenza negli Stati Uniti: vi odiamo, ma non abbiamo altra scelta. Il cambio nella composizione degli acquisti però, evidenzia una netta mancanza di fiducia da parte cinese sul futuro dell'economia americana.

Oltre ad evitare prodotti rischiosi, la Cina sta anche cercando di garantirsi una fornitura costante di materie prime per il prossimo futuro. La Chinalco, il colosso dell'alluminio Cinese, ha acquistato l'australiana Rio Tinto, terza compagnia mineraria mondiale e sembra che la China Investment Corporation e la China Shenhua Energy vogliano fare la stesso con un altra azienda mineraria del paese, la Fortescue Metals. Questa aggressività nelle acquisizioni ha suscitato diverse proteste tra la popolazione australiana, ma di fronte al crollo della domanda mondiale di materie prime, le aziende in questione, sembrano avere poche opzioni a disposizione oltre quella di vendersi al maggiore offerente.

Il colpo grosso però, il paese orientale lo ha fatto sottoscrivendo con la Russia un accordo da 25 miliardi di dollari in cambio di una costante fornitura di petrolio. Un matrimonio quasi inevitabile per ragioni economiche e di vicinanza geografica. Come ha scritto il financial times: "La Cina ha quello che la Russia vuole: masse di dollari. La Russia ha quello che la Cina vuole: l'energia". Un accordo simile per 10 miliardi di dollari è stato sottoscritto anche con la brasiliana Petrobras.

In definitiva, i cinesi stanno facendo shopping a basso costo in giro per il pianeta, mentre gli Usa sono impegnati a regalare denaro a quegli zombie dei propri istituti, supplicando contemporaneamente - tramite un politico che porta lo stesso cognome di un tizio che con la Cina faceva la voce grossa - il paese orientale perché continui ad acquistare buoni del tesoro statunitensi.

"Karma is a bitch!" direbbero in inglese.

Non che la Cina stia bene, per carità. Tutt'altro, ma i cinesi almeno hanno a disposizione del denaro vero e lo stanno usando con un minimo di giudizio.

Intanto negli ultimi giorni, alcuni analisti sembrano aver tratto conforto dal fatto che l'est Europa non sia ancora collassato e dal dato positivo sull'inflazione americana - +0,4% nell'ultimo mese - che di positivo non ha nulla in realtà (i dati sulle materie prime e sui semilavorati indicano deflazione. In sostanza le aziende stanno aumentando il prezzo finale dei prodotti nel tentativo di incrementare i propri margini, l'esatto contrario di quel che succedeva la scorsa estate mentre l'inflazione galoppava), come se ritenessero che l'assenza di un significativo collasso sia la dimostrazione della resistenza del sistema economico e dell'efficacia di certi interventi governativi.

A me sembra invece, che le cose si stiano muovendo e molto più rapidamente di quanto non appaia a prima vista. Gli eventi delle ultime settimane assomigliano a tante "piccole" scosse telluriche e dubito siano di assestamento. L'impressione è di un grande caos. Calmo in superficie, perché privo di un evento traumatico in grado di catalizzarlo, ma che sotto sotto cova qualcosa di poco simpatico. In mezzo ad esso si muovono politici ed economisti che sembrano non comprendere, quanto questa apparente calma possa essere ingannevole e fuorviante.

Si danno appuntamento per decidere il da farsi con comodo, ad Aprile durante il G20, con il rischio che finisca come l'ultimo G20 che venne ribattezzato: "la riunione che stabilì un'altra riunione". Quando agiscono invece, adottano delle misure che non posso che definire insufficienti, come la "bad bank" di Gordon Brown.

Mi auguro seriamente che questo caos sia molto più calmo di quel che penso e che tutto il tempo che sembrano perdere i suddetti politici porti loro consiglio.

In caso contrario...beh, meglio non pensarci.

mercoledì 18 febbraio 2009

Un piccolo indizio

La discussione sul futuro dell'Europa sta cominciando a monopolizzare l'attenzione di un numero crescente di analisti e commentatori. Come si è già detto più volte in questo blog, il tutto nasce dalla traballante condizione del sistema bancario Europeo e dalla sua esposizione nei confronti delle repubbliche dell'ex unione sovietica.

Ieri i due principali listini Russi sono stati sospesi per eccesso di ribasso. L'evento si è verificato in seguito al repentino crollo del prezzo del greggio (il crude è sceso sotto quota 35 dollari al barile) e al peggioramento delle previsioni sul futuro economico del paese. Sempre ieri il governo polacco ha annunciato finalmente l'intenzione di intervenire a supporto della moneta locale. La cosa era nell'aria da tempo. A preoccupare le autorità polacche è l'indebitamento che il settore privato del paese negli ultimi anni ha contratto in valuta estera. Non tanto quello delle famiglie, le quali sebbene risultino esposte in questo senso, nel loro piccolo sono riuscite a conservare una qualche moderazione nel prendere denaro in prestito, quanto quello del comparto corporate. Le aziende polacche non sono state altrettanto prudenti è diverse sono a rischio di fallimento in caso di un ulteriore indebolimento dello zloty, la moneta polacca, che ieri è arrivata a toccare il minimo da 5 anni a questa parte nei confronti dell'euro.

Ciò che però, ha spaventato gli investitori di mezzo mondo ed ha prodotto il crollo delle borse Europee, colpendo con particolare violenza quella Austriaca (-8,62% ieri), è stato il rilascio da parte di Moody's (e successivamente di uno simile della Standard & Poor's) di un rapporto che annunciava un probabile futuro downgrading di quegli istituti bancari Europei che vantano un alta esposizione verso i malmessi paesi del blocco est. L'avvertimento di Moody's ha scatenato il panico, facendo fuggire gli investitori dalle borse del vecchio continente e dall'euro che è calato dell'1,5% nei confronti del dollaro.

La compromessa situazione Europea si sta riflettendo anche sul valore dell'oro. Martedì esso ha infranto più volte i massimi nei confronti dell'euro. Le ragioni di questi aumenti sono ben diverse da quelle che portarono il metallo giallo a toccare i 1030 dollari l'oncia durante la scorsa estate. Se all'epoca il suo valore salì di pari passo a quello delle altre materie prime, ora esso sembra essersi completamente sganciato conducendo una corsa tutta sua. In sostanza, la caccia all'oro non nascerebbe da bolle, speculazioni o dalla domanda di soggetti che davvero necessitano del metallo pregiato (gioiellieri o altro). Gli aumenti sarebbero il prodotto di un ondata di acquisti effettuati da investitori alla ricerca di un rifugio sicuro in un momento di grande incertezza economica, in cui la solidità dell'Europa e dell'euro, valuta che molti ritenevano essere un valida alternativa al dollaro, vengono messe seriamente in discussione. Essi di starebbero aggrappando all'oro come tanti naufraghi ad un salvagente.

Nel frattempo i politici dei paesi Europei che versano in condizioni peggiori stanno tentando di calmare gli animi in ogni maniera. Il ministro delle finanze Irlandese ha messo in guarda gli investitori dal trarre conclusione affrettate sulla solidità del paese in base al valore dei cds (il cui valore ha toccato i 386 punti base martedì, il più alto in Europa). Quello Spagnolo ha negato con veemenza che esista una qualunque possibilità che il suo paese dichiari default mentre il ministro del tesoro Greco ha affermato seccato, alcuni giorni fa, che gli ultimi aumenti richiesti dal mercato sul tasso di interesse pagato dai buoni del tesoro della Grecia sarebbero completamente ingiustificati.

Dichiarazioni che sembrano convincere pochi. La situazione pare essere abbastanza preoccupante da aver spinto finalmente un politico di grande importanza, come il ministro delle finanze tedesco Peer Steinbrueck a discuterne. Steinbrueck ha riconosciuto le difficoltà che attraversano alcuni dei 16 paesi dell'area Euro ed in particolar modo quelle dell'Irlanda che secondo lui "si troverebbe in una situazione molto difficile". Rompendo un tabù che nasce dallo stesso Trattato di Maastricht secondo il quale sarebbe proibito, come non manca mai di ricordare la BCE, ogni ipotesi di salvataggio di uno stato da parte del resto dell'unione, il ministro tedesco ha dichiarato che "nella realtà gli altri stati dovranno correre in soccorso di quelli che si troveranno ad incontrare delle difficoltà".

Anche per la maggior parte degli economisti l'eventualità di uno sfaldamento dell'area euro non sembra sia neppure da prendere in considerazione. Dall'articolo di Bloomberg:

"Ci sarà necessariamente qualche tipo di pacchetto di supporto per alcune delle economie minori per evitare tensioni e speculazioni su un possibile smembramento" ha detto Ken Wattret, economista di vecchio corso alla BNP Paribas SA di Londra. "I grandi governi nazionali diranno: questo non è un nostro problema. Ma quando i nodi verranno al pettine dovranno fornire un qualche tipo di supporto finanziario"

Secondo Juergen Michels, un economista al Citigroup Inc. di Londra "Gli stati membri stanno lavorando duramente ad un preventivo "salvataggio di fatto" per cercare di evitare di testare la regola del "nessun salvataggio" imposta da Maastricht.

Le dichiarazioni di Steinbrueck sembrano andare in questa direzione e rappresentano il primo piccolo indizio sulla strada che la Germania ha intenzione di imboccare, per affrontare la spinosa questione di un eventuale salvataggio degli stati che in Europa, versano in gravi condizioni finanziarie. I tedeschi parrebbero quindi manifestare la disponibilità a pagare un certo prezzo per il mantenimento della stabilità dell'intera Unione ed alcune timide indicazioni in questo senso starebbero cominciando a provenire anche dalla Francia.

Intenzioni a parte, molte domande rimangono senza risposta. Quanto il salvataggio dell'est Europa e di stati come Irlanda, Spagna, Grecia arriveranno a costare? E quanto Francia e Germania potranno realisticamente permettersi di sborsare a questo scopo?

Tutte domande a cui probabilmente verrà data risposta molto presto, se la situazione non migliorerà in maniera significativa.

lunedì 16 febbraio 2009

In buone mani (italian version)

L'aria di Davos gioca brutti scherzi. Dalla ridente città svizzera in cui ogni anno si svolge l'attesissimo summit di pezzi grossi della politica e dell'economia mondiale, Pritchard, il giornalista finanziario di punta del Telegraph, scrisse una decina di giorni fa, un articolo insolitamente ottimista che sembrava ventilare una possibile ripresa, intitolato: "glimmers of hope" (barlumi di speranza). I suoi abituali lettori non riconoscendolo più, si scatenarono, e pretesero a gran voce di sapere cosa gli avessero fatto fumare (o bere) a Davos. Pritchard dovette giustificarsi e lo fece rivelando come il tono positivo del suo articolo non riflettesse una sua opinione, ma che per l'occasione fosse stato costretto ad indossare il suo "cappello da cronista" e si sentì di rassicurare i propri lettori: "nessuna speranza di ripresa economica è all'orizzonte".

Gli ultimi articoli che ha scritto, illustrano brutalmente questa sua visione.

Pritchard non è mai stato un amante o un sostenitore dell'Europa. La cosa traspare chiaramente dai suoi scritti. Eppure, considerando quanto i suoi articoli abbiano letto in maniera precisa lo svilupparsi degli eventi sul panorama dell'economia globale, non prestare attenzione a ciò che scrive sarebbe poco saggio. Nel suo ultimo pezzo, il giornalista del Telegraph, torna sulla questione Europea. Il titolo è emblematico: "fallire nel salvare l'est Europa produrrà il collasso mondiale".

Ho scritto diverse volte di quanto la situazione dei paesi dell'est Europa sia fondamentale per il futuro dell'Unione stessa e dell'area Euro in particolare.

La scorsa settimana il ministro delle finanze Austriaco cercò freneticamente di mettere insieme un pacchetto di aiuto economico da 150 miliardi di euro, per i paesi dell'est . L'obbiettivo dichiarato non era tanto il salvataggio di quei paesi, quanto la sopravvivenza dell'Austria stessa, dato che le banche del paese hanno investito nell'est Europa una cifra compresa tra il 70% e l'80% del PIL Austriaco, pari a circa 290 miliardi di euro e rischierebbero seriamente la bancarotta in caso di fallimento delle repubbliche ex sovietiche. Si parla dei maggiori istituti della nazione. La Erste Bank, la Raiffeisen ed anche la più grande banca in assoluto: l'Unicredit.

L'Austria nell'ultimo quarto, a causa di un calo delle esportazioni, ha incassato la prima contrazione del PIL da 8 anni a questa parte. Per il momento, si stima che il PIL del paese subirà una contrazione di un modesto 0,5% nel corso del 2009, ma sono pronto a scommettere che le previsioni verranno riviste al ribasso, considerando il boom delle esportazioni che ha investito il paese nel biennio 2006-2007: esportazioni dirette per un terzo in Germania e per un altro 20% nei paesi emergenti dell'est Europa. Ora la Germania ha ridotto drammaticamente sia produzione che importazioni mentre i paesi dell'est stanno semplicemente collassando.

I politici Austriaci per cercare di tamponare le falle del comparto finanziario, negli ultimi mesi, hanno più volte annunciato l'intenzione di garantire fino a 100 miliardi di euro di obblighi degli istituti bancari. Un accordo definitivo però, non è stato mai raggiunto a causa della schizzinosità delle banche stesse che vorrebbero imporre condizioni irrealistiche al governo Austriaco. La situazione in Austria sta diventando sempre più tesa. Qualunque forma di assistenza al settore bancario andrà ad incidere pesantemente sull'indebitamento del paese. Secondo un rapporto del comitato governativo sul debito, il salvataggio delle banche arriverebbe a costare all'Austria quella tripla A di rating che le ha consentito nell'ultima decade, di finanziare il proprio debito pagando una cifra in linea con quella sborsata dallo stato tedesco.

La cosa buffa è che gli austriaci sembrano sicuri che la Germania correrà finanziariamente in loro aiuto, visto lo stretto legame storico ed economico che unisce i due paesi. I tedeschi dal canto loro si sorprendono che gli austriaci nutrano questa convinzione. Non sembra peraltro, essere solo l'Austria ad attendere che la grande Germania arrivi svolacchiando in soccorso, con addosso una ridicola calzamaglia blu e una mantellina rossa. Un articolo del Times Online getta ombre cupe sulla situazione Irlandese. I prestiti rilasciati dalle banche Irlandesi ammontano a 11 volte la dimensione dell'economia del paese. Il costo dei cds a 5 anni, uno strumento finanziario che fornisce un indicazione sul rischio paese, è triplicato nell'ultima settimana arrivando a toccare i 350 punti base venerdì scorso (il valore più alto in Europa). Il mercato insomma, vede come sempre più probabile un futuro default dell'Irlanda ed anche in questo caso, il Times, invoca come salvatore della situazione, la Germania. Essa si dovrebbe far carico secondo il quotidiano inglese, di parte dell'indebitamento Irlandese, acquistandone i buoni del tesoro, attraverso un apposto fondo (attualmente allo studio) messo in piedi dalla BCE.

A quanto pare nel vecchio continente tutti sembrano aspettarsi che i tedeschi salvino l'intera Unione.

A questo proposito l'articolo del Telegraph dice:

L'Europa è già in problemi più gravi di quanto la BCE o i leadears dell'UE avessero previsto. L'economia tedesca si è contratta ad un tasso annuale dell'8,4% nel quarto quarto.

Se la Deutsche Bank ha ragione l'economia si ridurrà di circa il 9% prima della fine di quest'anno. Il genere di livello in grado di infiammare la rivolta popolare.
Le implicazioni sono ovvie. Berlino non salverà l'Irlanda, la Spagna, la Grecia e il Portogallo mentre il collasso della bolla creditizia conduce ad un esplosione dei defaults, o l'Italia accettando i piani dell'EU per dei "bond dell'unione" se il mercato del debito dovesse prendere la spaventosa traiettoria crescente del debito pubblico italiano (che toccherà il 112% del PIL il prossimo anno, secondo le ultime previsioni, in salita dal 101% - una enorme variazione) e non salverà l'Austria dal suo avventurismo Asburgico.

In sostanza, saranno con tutta probabilità (come è giusto che sia), cavolacci nostri.

L'est Europa sta implodendo.

In Ucraina si prevede che il PIL crollerà del 12% nel corso dell'anno, l'economia lettone è stata dichiarata clinicamente morta dal governatore della banca centrale dopo una contrazione del 10,5%, ufficialmente il governo Ungherese prevede una contrazione del PIL dell'1% per l'anno in corso, ma diversi analisti ritengono più probabile che essa si assesti tra un -2%/-5% e in generale sull'intero blocco est grava quella spada di Damocle dell'indebitamento contratto in valuta straniera. Il 60% della popolazione polacca, ad esempio, si è indebitato in franchi svizzeri. Ogni traumatico indebolimento delle valute locali, produrrà un aumento in termini reali dell'entità del debito ed un aggravarsi delle condizioni economiche generali.

Dato che l'Italia è particolarmente esposta ad un tracollo dell'est Europa, tramite il suo settore bancario - si parla in particolar modo dell'Unicredit - sarebbe molto interessante conoscere la linea di azione che il governo intenda adottare in caso di possibili problemi.

Questo genere di questione è stata posta a Davos, da un giornalista inglese al nostro ministro delle finanze. Un video che ha fatto il giro della rete mostra un Tremonti che per tutta risposta, prende su e se ne va via stizzito senza pronunciare neppure una parola, lasciando il giornalista della BBC completamente attonito con il microfono a mezz'aria. Il poverino non era abituato ai politici italiani. Dal suo sguardo traspare lo stupore per un comportamento che evidentemente all'estero verrebbe considerato incredibile (se per caso non lo avete già fatto guardatevi Il video).

Nessuno può costringere un altra persona a rispondere a una domanda, ma c'è modo e modo di comportarsi. Sarebbe bastato dire: "preferisco non affrontare l'argomento" o schivare la questione dicendo "abbiamo pronte delle misure adeguate, ma preferisco non discuterne perché bla bla bla". La domanda era assolutamente legittima e penso che sarebbe carino se Tremonti facesse sapere anche a noi poveri cittadini, come intende comportarsi in caso di significativi problemi bancari.

Se il blocco est crolla e l'Unicredit viene a batter cassa da mamma stato che si fa?

Gli regaliamo dei soldi sull'esempio americano? Nazionalizziamo l'istituto? Lo semi-nazionalizziamo come han fatto gli inglesi con la Royal Bank of Scotland?

Immagino che la risposta rimarrà una sorpresa per quando l'evento dovesse verificarsi, ma la reazione seccata di Tremonti fa temere che un vero piano di azione semplicemente non esista.

La vera perla però, il nostro ministro a Davos l'aveva già fatta nel 2006 e nei confronti di una vecchia conoscenza di questo blog: Nuriel Roubini.

Entrambi erano erano stati invitati ad un pubblico dibattito riguardo al futuro dell'Europa. Gli argomenti da affrontare erano numerosi: il rischio che la crisi attuale potesse spezzare l'Unione, quali paesi fossero i candidati più probabili ad una uscita dalla EU, le conseguenze di una sua eventuale dissoluzione, ecc. Dopo un po' di divagazioni sui temi in questione, da parte dei politici presenti alla discussione, Roubini prende la parola e comincia, nel suo stile accademico, a fare una panoramica della situazione nei paesi del vecchio continente, finché non giunge a descrivere quella italiana, paragonando la china che il "bel paese" ha imboccato a quella che ha caratterizzato il tracollo Argentino.

Un paragone che ritengo, dovrebbe balzare agli occhi di ogni persona semi sensata che conosca un minimo gli avvenimenti che hanno condotto l'Argentina al fallimento.

A quel punto tra la costernazione generale, Tremonti interruppe le considerazioni di Roubini ribattendo con un incontrovertibile: "tornatene in Turchia!".

Innanzi tutto, bisogna dire che Roubini non ha mai avuto paura di dire quel che pensa, anche quando le sue affermazioni si sono rivelate in contrasto con le previsioni dell'intero establishment economico. In secondo luogo, sebbene sia nato in Turchia, Roubini ha vissuto 20 anni in Italia e si è laureato alla bocconi. Quando parla di questo paese lo fa a ragion veduta.

La risposta di Tremonti riassume bene il classico atteggiamento dei politici italiani, atteggiamento che con una sottile ironia sembra ricordare da vicino quello tenuto dai loro omonimi argentini durante il periodo che precedette il collasso del paese sud americano.

Il non voler rispondere a nessuno, quella presunzione e quell'arroganza nei modi che sembra nascere da un senso di superiorità ed intoccabilità, la completa mancanza di un reale dibattito su certi temi, le continue distrazioni su questioni secondarie, sono tutte indice di un degrado che in questo paese sembra aggravarsi ogni giorno che passa. Gli scenari che Roubini illustrò al dibattito, prevedevano per l'Italia solo due possibili futuri: cambiare velocemente o uscire dall'Unione Europea dichiarando default sul proprio debito (in sostanza il fallimento). L'UE a suo dire sarebbe conveniente, ma solo per i paesi disposti a riformarsi seriamente, non per i paesi intenzionati a mantenere lo status quo.

Osservando l'Italia ancora oggi, non vedo nessuna reale volontà politica di riformare il paese. Il Pd continua a parlare di "grandi riforme" (qualunque esse siano, sarà di certo colpa mia, ma non ho ancora capito bene che cosa intendano) un po' come Linus parlava del "grande cocomero" e come nel caso di Linus, sembra essere intenzionato ad aspettare le suddette riforme in un campo di zucche con il pollice in bocca ed una coperta stretta al petto (in realtà nella versione inglese Linus aspettava "la grande zucca", ma permettetemi la battuta).

La maggioranza sembra invece occuparsi di tutt'altro. Ogni tanto Berlusconi spara una cifra, su un qualche possibile intervento economico, cifra che sembra cambiare di volta in volta quasi ad assecondare considerazioni a noi ignote come variazioni dell'umidità atmosferica. Per ora, a parte fregnacce come la social card, e gli aiuti per comperarsi la lavatrice o un altra auto non si è visto nulla di significativo. Se hanno intenzione di intervenire in qualche maniera per mitigare l'impatto della crisi, sarà anche il caso che comincino a farlo seriamente e che ci facciano anche sapere cosa intendano fare. Se preferiscono non intervenire allo stesso modo sarebbe carino saperlo. Dire tutto ed il contrario di tutto non aiuta certo a costruire la fiducia.

La mia sensazione è che la politica italiana abbia rinunciato da tempo a cercare di sistemare questa nazione (se mai ci abbia seriamente provato) e che si occupi semplicemente di amministrare lo status quo, cercando nel frattempo di estrarre più ricchezza possibile dal sistema. Un film già visto e dal pessimo finale.

Le riforme di cui parla Roubini sarebbero ben altre e bene o male le conosciamo tutti. Ridurre l'eccessivo peso economico della politica e della burocrazia, aprire l'accesso e creare una vera concorrenza in certe professioni, arrivare a premiare le persone in base ai loro meriti e non alle conoscenze che possono vantare, riformare la giustizia (riformarla davvero, non legarle le mani per paura che i propri crimini vengano scoperti, il costo economico di una giustizia che non funziona è altissimo), riconvertire la base industriale del paese su un altro tipo di produzioni (tradotto: non metterti a fare concorrenza alla cina su produzioni di basso livello) ecc ecc.

Banalità se vogliamo, che sentiamo ripetere da...beh, da che mi ricordo francamente, ma che non ho mai visto affrontare seriamente. Ed il tempo, grazie anche a questa crisi sta per scadere.

In una bella intervista rilasciata alla PBS, il canale pubblico americano, l'ex capo economista dell'FMI, Simon Johnson, paragona sconfortato la situazione USA a quella che ha potuto osservare in certi paesi del terzo mondo durante il verificarsi di crisi economiche. Vede la nazione in mano ad un gruppo di oligarchi che in combutta con ambienti governativi preferiscono adottare misure che vadano a loro esclusivo vantaggio invece che a vantaggio dell'intero paese (in parte è sempre stato così negli Stati Uniti, semplicemente la crisi ha reso il problema visibile anche agli occhi degli osservatori più distratti).

La situazione italiana sembra simile a quella descritta da Johnson solo 20 volte peggiore.

Molti probabilmente riterranno la sparata che fece Tremonti nei confronti di Roubini una sciocchezza senza importanza. Del resto se ne sentono tante ogni giorno. Eppure mi pare emblematica di una deriva che avvolge l'intera nazione e che si riflette nei modi e nel linguaggio della politica e quando si scontra con il resto del mondo si rivela nella sua drammaticità. A volte una semplice frase o un atteggiamento nel contesto giusto (o sbagliato se preferite), riesce ad essere più chiarificatrice di mille parole. Quello che le uscite a Davos, di Tremonti, sembrano mettere in luce, è una politica in completa negazione della realtà, priva di una concreta strategia per il futuro e totalmente refrattaria ad ogni serio dibattito su di esso.

Se in passato ho definito gli statunitensi in cattive mani, per descrivere la situazione italiana mi trovo francamente a corto di aggettivi.

giovedì 12 febbraio 2009

Turbolenta Unione

Martedì, mentre attendevo pieno di curiosità che il ministro del tesoro americano sorprendesse il mondo, tirando fuori dal cilindro un efficace piano per il salvataggio delle banche statunitensi, un altra notizia ha fatto irruzione sul palcoscenico economico internazionale facendo tremare le ginocchia a più di un analista.

Un quotidiano giapponese, il Nikkei, ha riportato le clamorose dichiarazioni di Anatoly Aksakov il capo della Russian Association of Regional Banks. Anatoly avrebbe affermato che le banche russe sarebbero in trattativa con i creditori internazionali per la ristrutturazione di 400 miliardi di dollari di debiti. Leggendo l'articolo del Nikkei sembrava che addirittura lo stesso stato Russo potesse essere a rischio di Default. Rapida come un fulmine è arrivata la smentita dal cremlino:

Il Governo russo ha infatti negato di stare considerando un piano di ristrutturazione del debito relativo al settore privato e di stare trattando questo tema con le banche estere. Indiscrezione che questa mattina ha messo sotto pressione l'euro.

"Il Governo della Federazione russa non prevede di considerare il tema della ristrutturazione del debito corporate delle banche e delle aziende russe", ha assicurato oggi il ministro delle Finanze, Alexei Kudrin. "Non ci sono piani del Governo di questo tipo. Le notizie su trattative con le banche estere su un piano di ristrutturazione (del debito) non riflettono la realtà", aveva detto poco prima il portavoce Dmitry Peskov.

Anche l'Association of Regional Banks ha smentito di aver chiesto al Governo russo di rinegoziare il debito da 400 miliardi di dollari con le banche internazionali. Peraltro la situazione del sistema finanziario russo rimane molto incerta. Le banche hanno già ottenuto 50 miliardi di dollari di aiuti dal governo attraverso la Veb (la banca per lo sviluppo russa) per rifinanziare il debito in scadenza nel 2008.

La Russia nonostante le smentite ufficiali rimane un osservato speciale. Molti dei creditori internazionali sembrano intenzionati a premere affinché sia il governo stesso a farsi garante per i debiti delle banche russe. La Russia sta attraversando un difficile periodo a causa della crisi internazionale e del crollo del prezzo del petrolio che ha privato il paese della sua fonte primaria di entrate. Il deficit per il 2009 è stato rivisto al rialzo e si stima arriverà a toccare il 9% del PIL. La fuga di capitali ha nel frattempo dissanguato l'economia facendo precipitare il valore del rublo. Inizialmente i politici del paese, dall'alto delle terze riserve monetarie del pianeta (600 miliardi di dollari), non si sono preoccupati più di tanto di quel che stava avvenendo, ritenendo di avere sufficiente potenza di fuoco a disposizione per fronteggiare la situazione. Dopo aver consumato un terzo delle riserve disponibili nel vano tentativo di sostenere il rublo, si sono dovuti arrendere. Hanno deciso di consentire la svalutazione della valuta russa fino ad un massimo del 10%, valore limite oltre il quale il governo e le banche del paese si sono impegnate ad intervenire.

In seguito alla notizia diffusa dal Nikkei l'euro è crollato rispetto alle altre valute. Il problema nasce come al solito dalla pesante esposizione che le banche dell'area Euro hanno nei confronti della Russia e di tutto il blocco est. Nel grafico sotto si può vedere quanto le banche di ogni nazione Europea si siano impelagate con i paesi del est:


Austria, Italia, Germania, Francia, Belgio sono gli stati maggiormente esposti. Ogni scossone del blocco est si rifletterà inevitabilmente su di essi ed impatterà sul valore della moneta unica. Non sono un grande fan dell'Europa (per come è stata costituita almeno), ma mi rendo conto come nella situazione odierna sia indispensabile mantenere la compattezza dell'intera Unione. Gli screzi invece sembrano moltiplicarsi. Dopo le proteste degli operai Inglesi nei confronti di quelli Italiani e Portoghesi assunti dalla Total in seguito alla vittoria, da parte di quest'ultima, di un appalto per una raffineria in territorio inglese, ci si è messo anche Sarkozy ad alimentare le tensioni con una serie di attacchi ad alcuni paesi dell'est:

A Praga non hanno proprio mandato giù le ultime esternazioni di Nicolas Sarkozy per cui le industrie francesi che producono auto in Repubbica Ceca per poi rivenderle in Francia dovrebbero essere “rilocalizzate”. Costruire fabbriche in India per venderle agli indiani, ha detto Sarkozy, sarebbe “giustificato, ma impiantarle in Repubblica Ceca per venderle in Francia” molto meno. Da Praga hanno risposto piccati, bollando l’ultima uscita del presidente francese come un nemmeno tanto velato tentativo di varare misure protezionistiche.

Il primo ministro Topolanek, nella difficile posizione diplomatica di dover guidare l’Unione europea fino alla fine di giugno, si è detto “stupito” delle parole di Sarkozy, tirando anche in ballo Lisbona. “Se qualcuno voleva rallentare il processo di ratifica non avrebbe potuto scegliere un momento e un’occasione migliori”. Il riferimento è al processo di ratifica del trattato, al momento fermo al Parlamento ceco che, dopo numerosi ritardi, dovrebbe esprimersi con un voto il 17 febbraio.


E' interessante notare come per Sarkozy sia meglio delocalizzare in India invece di farlo all'interno dell'Unione Europea (come se le auto costruite in India non potessero essere poi esportate in Europa). La ragione delle sparate del presidente francese va ricercata nel prossimo pacchetto di aiuti che la Francia varerà per sostenere le proprie aziende automobilistiche, Renault e Peugeot:

Il pacchetto francese di sostegno al settore auto è finito sotto la lente dell'Antitrust europeo, suscitando le veementi critiche del premier ceco, e presidente di turno dell’Ue, Mirek Topolanek. La Commissione europea ha scritto alla Francia per chiedere “chiarimenti” sul piano di aiuti da 6,5 miliardi destinato a Renault e Peugeot-Citroen. Lo ha reso noto il portavoce dell’Antitrust Ue Jonathan Todd. “Se le misure francesi non sono compatibili con le norme sugli aiuti, allora violerebbero le norme Ue”, ha aggiunto. In particolare Todd ha ricordato che “l’obbligo dei beneficiari degli aiuti di investire soltanto in Francia o di acquistare componenti dai fornitori in Francia non è compatibile” con le norme europee.

Comunque “non abbiamo ancora raggiunto alcuna conclusione sulle misure francesi. Siamo preoccupati per quello che abbiamo letto sulla stampa”. Un punto sul quale ha insistito il presidente di turno dell’Unione europea Mirek Topolanek, che ha accusato l’esecutivo di Sarkozy di “tradire il progetto dell’euro” e di violare “le regole comunitarie nelle loro dichiarazioni e nelle loro azioni pratiche”. Addirittura il presidente di turno dell’Ue ha messo in dubbio la futura esistenza dell’euro: “Se gli stati membri - ha detto - continueranno a preferire una condotta individualistica e improntata al protezionismo, continuando a violare i principi fissati dal ‘Patto di stabilità e sviluppo’, esiste il grande pericolo che tutto il progetto della moneta unica europea possa affondare”.

Il premier Ceco, se non sbaglio, è arrivato addirittura a minacciare il rigetto da parte del suo paese del trattato di Lisbona. Una minaccia vuota, naturalmente, che è subito rientrata non appena gli animi si sono calmati. Ora Topolanek, si dice convinto di avere dalla sua il pieno appoggio del collega Sarkozy.

Se all'interno della stessa Europa le spinte protezioniste e anti immigrazione sembrano accuirsi, sul versante puramente finanziario dei buoni del tesoro sta succedendo una cosa strana. Ieri un asta di bund tedeschi con scadenza a 10 anni, per un ammontare di 6 miliardi di euro, non ha incontrato abbastanza domanda: il 20% dei buoni offerti è rimasto invenduto. E' la seconda volta di fila che si verifica un evento del genere, non si tratta quindi di un caso isolato. La prima volta che successe, il mese scorso, i bund a 10 anni offrivano un 3% di rendimento, ieri un 3,28%.

Per contrasto la Grecia, uno dei paesi finanziariamente più malandati dell'UE, lunedì ha piazzato senza problemi 7 miliardi di buoni del tesoro, i Paesi Bassi martedi hanno venduto 6,5 miliardi in buoni a 10 anni e l'Italia di recente, ha spacciato senza problemi 12 miliardi in debito a breve termine.

Gli investitori insomma, starebbero snobbando i sicuri bund tedeschi alla ricerca di rendimenti più alti, senza curarsi di un eventuale fallimento degli stati Europei più malconci. Evidentemente ritengono estremamente improbabile che un paese all'interno dell'area Euro possa fallire veramente. Tutta questa sicurezza potrebbe nascere dalla convinzione che il resto dell'Europa, Germania in primis, interverrebbe in caso di necessità fornendo assistenza economica agli stati in difficoltà.

In un articolo sul Telegraph del 9 Febbraio, il solito Pritchard rivela un retroscena interessante:

I ministri delle finanze dell'UE discuteranno, in una colazione a Bruxelles, della proposta di creare una qualche forma di "agenzia del debito" o di un meccanismo per l'emissione di bond a livello UE, una mossa vista da diversi diplomatici come un tentativo di imboscata nei confronti della Germania, per costringerla a condividere una parte della responsabilità sul debito dei paesi dell'Unione - un vero anatema per Berlino.

Se la Germania dovesse essere, in modo o nell'altro, chiamata in causa anche per quel che riguarda l'indebitamento Irlandese, Spagnolo, Greco o Italiano diventerebbe perfettamente sensato, investire in quei buoni del tesoro che a livello Europeo offrono un rendimento maggiore rispetto ai bund tedeschi. La Merkel ha sempre cercato di scongiurare questa eventualità. Non vuole pagare il conto anche per gli altri stati dell'Unione. Vedremo quanto sarà in grado di resistere, specialmente quando all'orizzonte si riaffaccia lo spettro dell'insolvenza per il comparto bancario europeo.

Ieri il Telegraph, ha rivelato l'esistenza di un rapporto confidenziale della commissione Europea che riguarderebbe gli asset tossici presenti nei bilanci delle banche del vecchio continente. L'articolo fino a ieri dava delle cifre, ma evidentemente qualcuno ha deciso di modificarlo per ragioni che non conosco. Potrebbero esser state sbagliate le cifre o qualcuno potrebbe aver ritenuto essere più saggio non darne di precise. L'articolo prima della modifica diceva che il totale di assets tossici in pancia alle banche Europee ammonterebbe a 16,3 trilioni di sterline (si non avete letto male). Più del PIL Europeo che nel 2008 si è aggirato intorno ai 15 trilioni di dollari. A bilancio le banche dell'Unione terrebbero complessivamente 41,2 trilioni di euro di assets (36,9 trilioni di sterline).

In sostanza quasi la metà degli assets in loro possesso risulterebbe tossica. Quante perdite si annidino realmente in questi assets non è dato sapere, ma si parla potenzialmente di centinaia di miliardi. A riguardo l'articolo del telegraph si limita a dire:

"La stima delle perdite totali su questi assets, suggerisce che le spese di budget - attuali e contingenti - per il sostegno alle banche, potrebbero essere molto elevate in termini assoluti in relazione al PIL degli stati membri" avverte il documento della commmissione Europa, visionato dal The Daily Telegraph.

L'articolo aggiunge:

Lo scenario descritto dalla commissione è significativo a causa del ruolo che gli ufficiali della UE giocheranno nel disegnare le regole per valutare gli assets "tossici" in possesso delle banche, verso la fine di questo mese. Nuove manovre per salvare le banche saranno discusse ad un summit di emergenza alla fine di Febbraio. L'UE è profondamente preoccupata dall'aumentare dello spread sui bonds venduti dai differenti paesi Europei.


Anche se non si parla (ancora) o non si vuole parlare di cifre, tutto fa pensare che la festa in Europa sia appena cominciata.

Spero siate tutti pronti per i "festeggiamenti" futuri.


PS: Di seguito riporto i passi salienti (quelli con le cifre per intenderci) presenti nell'articolo del Telegraph prima che esso fosse modificato. Prendeteli dal verso che preferite:

European Commission officials have estimated that “impaired assets” may amount to 44pc of EU bank balance sheets. The Commission estimates that so-called financial instruments in the ‘trading book’ total £12.3 trillion (13.7 trillion euros), equivalent to about 33pc of EU bank balance sheets.

In addition, so-called 'available for sale instruments' worth £4trillion (4.5 trillion euros), or 11pc of balance sheets, are also added by the Commission to arrive at the headline figure of £16.3 trillion.

Banks account for their assets in different ways. Assets put into the “trading book” have to be marked to current market values, while those in the “banking book” are loans and other assets which the institution believes it can hold to maturity. Other assets are classified as “available for sale”, which are also marked to market values.

martedì 10 febbraio 2009

In buone mani (again)

Ogni persona aspetta qualcosa. C'è chi attende da anni che 6 numeri escano al super enalotto, chi aspetta con il naso incollato alla finestra che finalmente smetta di piovere, chi non vede l'ora che qualcuno gli si sieda accanto su una panchina per raccontargli la storia della propria vita.

L'unico evento significativo che io attendevo per oggi era lo svelamento da parte di Timoty Geithner, il ministro del tesoro USA, dei dettagli sul piano di intervento economico volto al salvataggio del settore bancario statunitense. Alle 11 di mattina, ora americana, come promesso Geithner è salito sul pulpito, ha aperto la bocca davanti a una lunga sfilza di microfoni e nei pochi minuti successivi è riuscito a rilasciare nell'etere una gigantesca nuvola di nulla. Tutto quello che ha detto si sapeva già. Ne aveva parlato ad esempio il New York Times in un articolo successivamente ripreso e commentato da svariati bloggers economici. Vi segnalo giusto i post di Mish e di Yves a questo riguardo. Proprio quest'ultima in chiusura del suo articolo citava una e-mail di Rober Radano.

In questa mail, Radano avanza una sua personale convinzione: non esisterebbe alcun piano.

Lunedì sera dei rappresentanti del tesoro si sono presentati davanti al comitato bancario del senato per illustrare il supposto piano, lo stesso che Geithner avrebbero dovuto poi svelare martedì, all'intero pianeta. Al comitato del senato non è stata mostrata nessuna bozza, proposta scritta o documento di qualsivoglia genere. Solo le stesse belle chiacchiere che il mondo ha potuto godersi oggi. Radano ne ha tratto le dovute conclusioni: "o per ragioni sconosciute non volevano informare il comitato delle loro intenzioni o un vero piano non esiste".

Le borse non sembrano aver apprezzato particolarmente il contenuto(?) del discorso di Geithner. Mentre scrivo Wall Street sta perdendo oltre il 4%.

Vediamo cosa ha detto esattamente Geithner:

Banche con oltre 100 miliardi di dollari in asset saranno obbligate a sottoporsi ad un "completo stress test" per verificarne la capacità di continuare ad erogare prestiti durante una fase di severo rallentamento. Il governo fornirà "capitale di supporto per gli istituti che ne hanno necessità". Geithner ha detto che gli investimenti del governo sono studiati per essere un "ponte verso i capitali privati", e ha aggiunto che le iniezioni governative (di capitali ndr) porteranno ad un maggior flusso di prestiti bancari di quanti non ve ne sarebbero in assenza di esse. Gli investimenti governativi operati tramite questo programma saranno posti in un entità separata - il Financial Stability Trust - che verrà creata per amministrare gli investimenti del governo negli istituti finanziari degli Stati Uniti.

Intanto, sarebbe molto interessante conoscere i dettagli su come gli "stress test" evocati da Geithner saranno eseguiti. Se una banca di grandi dimensioni fallisse il test e dovesse richiedere una cifra oltraggiosa di capitali che si fa? Le verrebbero regalati senza nulla chiedere in cambio come sembra essere intenzione di Geithner, si rispolvererebbero i giochini fatti con Citigroup e Bank of America inventandosi un ennesima garanzia statale su eventuali perdite future o semplicemente si lascerebbe perdere? Purtroppo, al momento "dettagli" sembra essere diventata una paraloccia o comunque un particolare di secondaria importanza. Dovremmo quindi attendere pazientemente che il ministero del tesoro USA decida cosa vuole fare (perché dubito che abbia preso una decisione definitiva) prima di poterci fare un idea più precisa. Al di là di questo, se dovessimo attenerci all'annuncio di oggi, l'intenzione sembra essere quella di ritornare alle infusioni di capitale senza nulla chiedere od ottenere in cambio.

Pratica che ha funzionato egregiamente in passato (ironia).

Come Geithner pensi di poter indurre le banche a erogare nuovamente del credito mentre l'economia continua a precipitare, mi sfugge completamente. Gli si regala del denaro e poi si spera come abbiamo fatto negli ultimi 18 mesi che gli istituti, per una qualche forma di riconoscenza accettino di correre rischi elargendo credito a destra e a manca?

Un altro caposaldo del piano di Geithner riguarda gli assets tossici:

Il governo, tramite FDIC e la Federal Reserve, in partnership con il settore privato, cercherà di far ripartire un mercato per i pericolanti assets legati al mercato immobiliare che al momento pesano sui bilanci delle banche. Geithner ha detto che il fondo misto, pubblico-privato, che userebbe fondi governativi per garantire del leverage al capitale privato, si occuperebbe di comperare inizialmente 500 miliardi in assets tossici, e potrebbe aumentare la sua spesa portandola a 1 trilione di dollari.

"Fornendo i finanziamenti che i mercati non sono ora in grado di assicurare, aiuteremo a far partire un mercato per gli assets basati sull'immobiliare che sono il centro della crisi attuale" ha detto Geithner. "Il nostro obbiettivo è di usare capitali privati e managers privati, per cercare di fornire al mercato un meccanismo per la valutazione degli assets." Ha aggiunto che la struttura di questo programma e ancora allo studio.

Esiste un termine per definire una persona che continua ad adottare la stessa strategia, volta dopo volta, sperando che prima o poi essa porti a un esito differente da quello ottenuto nei vari tentativi precedenti. Sono di buon umore, quindi eviterò di scrivere esplicitamente la definizione in questione. Quello che sembra voler adottare Geithner è lo stesso approccio che tanto a cuore stava al vecchio Paulson. L'ex ministro del tesoro Hank Paulson provò più di una volta a far comperare a qualcuno la spazzatura in pancia alle banche americane. Ci provò prima con l'MLEC un fondo che doveva essere creato con capitali propri dai maggiori istituti bancari USA. In esso le varie banche avrebbero potuto scaricare con comodo tutti i titoli tossici, cambiandogli nome, per poi attendere speranzose che gli investitori privati, obnubilati dalla fumosità dell'operazione e dimentichi della reale natura di questi assest, si accalcassero numerosi davanti alle porte dell' MLEC con l'intenzione di acquistarne grandi quantità.

L'idea risultò talmente ridicola agli occhi stessi delle banche che l'MLEC non vide mai la luce. Paulson ci riprovò quasi un anno dopo con il TARP. Se risultava ridicolo pensare che i privati potessero comperare degli assets tossici, perché non lasciare che ci pensasse lo stato? Lo scoglio su cui si infransero le belle speranze di Paulson fu il prezzo. Quando denaro avrebbe dovuto scucire il governo USA per questi assets tossici? Se si fosse trattato di poco denaro le banche non ne avrebbero tratto sufficiente giovamento, se fosse stato troppo, la spesa sarebbe apparsa agli occhi dell'opinione pubblica e del mondo politico come ingiustificabile. Alla fine, non riuscendo a districare questo nodo, Paulson si dovette rassegnare, limitandosi a regalare più di 350 miliardi al settore bancario.

Ora Geithner ci riprova. Siamo all'MLEC 3.0 come lo chiama qualcuno. Il problema come al solito è che le banche non vogliono vendere gli assets tossici a prezzi di mercato perché ci perderebbero troppi soldi (e molte sono già sostanzialmente insolventi). I privati ovviamente non li vogliono acquistare a prezzi superiori a quelli di mercato. La conclusione che il mondo politico (quantomeno Geithner e Paulson) ne ha tratto è stata: "il mercato sbaglia nel valutare questi assets". E per convincerlo del suo errore, Geithner vorrebbe concedere tramite soldi pubblici ad alcuni selezionati privati, abbastanza leverage per speculare su questi assets tossici, nella relativa certezza che eventuali perdite se le ingoierebbe lo stato.

Nella mente di Geithner, di fronte ai lauti guadagni che questi selezionati soggetti incasserebbero, il resto del mercato, dopo essersi rosicchiato le mani, si lancerebbe anch'esso nell'acquisto dei suddetti asset, facendone lievitare istantaneamente il valore. Si compirebbe quindi il miracolo. A fronte di una limitata spesa e garanzia da parte dello stato si verrebbe a creare un mercato per la spazzatura. Tutto ad uso e consumo delle banche che finalmente potrebbero fare le pulizie di primavera liberando i propri bilanci.

Se buona parte della responsabilità nella creazione della crisi attuale è attribuibile all'eccessivo leverage utilizzato per speculare su assets dal dubbio valore, davvero può essere sensato proporre altro leverage e altra speculazione?

Francamente, penso che Geithner avrebbe bisogno di un analista e non del genere finanziario. Aspetto ardentemente che finisca di studiare la struttura di questo nuovo programma. Ci sarà da divertirsi, sempre che non si arrenda come ha fatto Paulson prima di lui e sui medesimi ostacoli.

L'ultimo sostanziale intervento che Geithner ha annunciato riguarda il credito al consumo:


Il governo userà all'incirca 1 trilione di dollari per supportare i prestiti ai consumatori e alle piccole imprese attraverso un espansione del Term Asset-Backed Securities Loan Facility (TALF). Ci sarà un aumento nella porzione di prestiti garantiti dallo Small Business Administration e una contemporanea velocizzazione del processo di approvazione (dei prestiti ndr).

Se il fatto che il governo estenda prestiti alle piccole imprese è discutile, l'idea di estendere credito ai consumatori non ha semplicemente senso. Con l'economia che sta tubando con il termine Depressione vogliamo veramente che la gente continui a indebitarsi per consumare? Che ne dite di cominciare a spendere soldi realmente disponibili invece di continuare a vampirizzare il futuro a forza di debiti? Magari Geithner troverebbe il concetto bizzarro, ma un tentativo in questo direzione sarebbe anche ora di farlo.

Il ministro del tesoro USA ha anche accennato alla questione dei mutui:


Geithner ha anche promesso un "esaustivo piano" che affronti la crisi dei mutui abbassando l'entità delle rate ed il tasso di interesse. Ha detto che i dettagli su questo progetto verranno sviluppati nelle prossime settimane.

Anche qua nulla di nuovo e nulla di particolarmente preciso. I tentativi fatti dalla precedente amministrazione per consentire alla gente di rinegoziare i mutui o di abbassarne gli importi non si sono rivelati particolarmente efficaci. O le banche non accettavano la rinegoziazione o i richiedenti non possedevano i requisiti necessari per ottenerne una con o senza il supporto statale. Solo una piccola parte dei bisognosi è stata in grado di giovarsi dell'assistenza statale su questo versante. Non abbastanza da incidere significativamente sul problema.

I tassi di interesse sarebbero in teoria campo d'azione della banca centrale, ma ormai dovrebbe essere chiaro che non esiste più nessuna indipendenza tra essa ed il governo. Negli ultimi tempi i tassi di interesse a lungo termine, ai quali sono legati buona parte dei mutui, sono aumentanti in maniera netta. Bernanke ha minacciato più volte negli ultimi mesi, di acquistare buoni a lunga scadenza, senza però mai farlo concretamente. Il tentativo era di riuscire a mantenere i tassi bassi a forza di chiacchiere. Ultimamente sembra che il mercato abbia fiutato il bluff. Non vuole più storielle, vuole azioni. Se la Fed non comincerà, ed in fretta, ad acquistare dei buoni a lungo termine, i tassi di interesse saranno destinati inevitabilmente a salire, impattando sul costo dei nuovi mutui.

Tutto considerato, mi sento di poter definire lo pseudo piano di Geithner, una colossale porcheria. In un vecchio film Tom Hanks ripeteva sempre: "la vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti può capitare". Qualunque sia la confezione di cioccolatini da cui vengono estratti i ministri del tesoro USA, la mia impressione è che essa sia scaduta ormai da parecchio tempo.

Sarebbe forse ora di cambiarla.