mercoledì 28 maggio 2008

Il costo del fallimento

Negli ultimi giorni si è scatenata la discussione su cosa produca i continui rincari del prezzo del petrolio. Negli ultimi 5 anni e mezzo esso è salito in Europa di 50 euro arrivando a toccare i 75 euro a barile, il che rappresenta un aumento di circa 3 volte. Nello stesso periodo in dollari è salito di circa 5 volte arrivando oltre i 130 dollari al barile. Ovviamente questa differenza tra le due valute è dovuta alla terribile svalutazione subita dal dollaro nei confronti della moneta Europea. La Goldman Sachs che si è rivelata profetica in passato paventa in un suo rapporto di un prezzo del petrolio destinato a toccare i 200 dollari nel breve periodo. Molti di quelli che hanno riportato la notizia si sono dimenticati però di aggiungere che lo stesso rapporto prevede che nel 2012 il prezzo si verrebbe a stabilizzare intorno ai 75 dollari al barile.

Se dovessi basarci sui dati economici disponibili essi indicano con forza un rallentamento dell'economia mondiale. L'FMI ha rivisto al ribasso le sue stime di crescita per quest'anno portandole dal 4,1% al 3,1%. L'economia rallenta, la gente sta smettendo di spendere e di guidare dato l'alto prezzo di benzina e gasolio, ma il petrolio continua ad aumentare.

Che cavolo succede quindi?

Quella vecchia volpe di Soros, uno dei maggiori gestori di fondi di investimento per chi non lo sapesse (quel simpatico economista che attaccò la lira e la sterlina negli anni 90 facendo saltare lo sme e riducendoci in mutande) in un articolo sul Telegraph individua i responsabili negli speculatori che giocano in borsa sul valore delle materie prime. Fa presente che l'indebolimento delle valute, la diminuzione della produzione in medio oriente e l'aumento dei consumi in cina hanno la loro parte di responsabilità, ma non giustificano l'aumento iperbolico degli ultimi mesi e dichiara candidamente che ci troviamo nel mezzo dell'ennesima fottuta bolla speculativa.

Niente di nuovo mi viene da dire. Sono solo 15 anni che passiamo da una bolla all'altra e ogni bolla che si è succeduta si è rivelata peggiore di quella che l'ha preceduta. Considerando che mostro è stata la bolla immobiliare scoppiata l'anno scorso devo ammettere che mi assale una certa inquietudine quando provo a contemplare il significato che potrebbe avere quella sulle materie prime.

Paul Krugman sul New York Times si dice scettico sull'esistenza di una bolla sul prezzo del petrolio. Questo perchè a suo dire la faccenda non è molto complicata. Le cose che possono succedere rispetto al petrolio è che esso venga consumato oppure stoccato da qualche parte. Se il suo prezzo sale troppo i consumi, anche considerata la bassa elasticità, dovrebbero diminuire. In quel caso per sostenere il valore del petrolio esso dovrebbe venire immagazzinato invece che venduto o consumato, ma i dati disponibili dell' OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) a riguardo non rilevano nessun aumento negli stoccaggi.

Che Diavolo sta succedendo ce lo fa sapere Michael W. Masters della Masters Capital Management, LLC in un resoconto fatto di fronte il Committee on Homeland Security and Governmental Affairs.

Quello che si sta verificando sul mercato è un fortissimo choc della domanda dovuto ad una nuova categoria di partecipanti nel mercato dei futures sulle materie prime: gli investitori istituzionali.

Per quelli che non lo sanno, un contratto future non è altro che un tipo di contratto derivato che un investitore può comprare sul mercato. Esso gli garantisce la facoltà di acquistare (o di vendere) un determinato bene, petrolio nel caso attuale per esempio, ad una determinata data per un prezzo prefissato. Per esempio io per un prezzo di 10 dollari mi garantisco il diritto di comprare tra due mesi una determinata quantità di petrolio al prezzo di 100 dollari al barile. Questo qualunque cosa faccia il prezzo del petrolio, anche se esso arriva a 130 dollari al barile. E' chiaro come questo tipo di contratto abbia una importante funzione assicurativa. Chiunque può usarli per assicurarsi contro improvvise fluttuazioni future del prezzo del petrolio.

Torniamo dunque agli investitori istituzionali. Il termine sta ad indicare un nutrito gruppo formato dai Fondi Pensione governativi e privati, i Fondi Sovrani d'investimento, Fondi di Investimento Universitari. Si tratta quindi di grandi soggetti. Insieme essi controllano attualmente, una quantità di contratti future superiore ad ogni altro soggetto sul mercato. Micheal Master li definisce collettivamente speculatori di indici. Essi agiscono in maniera differente dai tradizionali speculatori che sono sempre esistiti. Allocano una parte fissa del loro capitale e la distribuiscono su tutto lo spettro dei futute delle 25 principali materie prima secondo i maggiori indici (Standard & Poors - Goldman Sachs Commodity Index , Dow Jones - AIG Commodity Index).

Gli speculatori di indici stanno riversando miliardi di dollari nel mercato dei future scommettendo che il prezzo delle materie prime salirà. Il grafico sotto mostra come il denaro investito sugli indici delle materie prime è salito da 13 miliardi nel 2003 a 260 miliardi nel Marzo del 2008 e in quegli stessi anni il prezzo delle 25 materie prime fondamentali è salito del 183% in media.

La tabella successiva mostra le materie prime comprate dagli speculatori di indici attraverso il mercato dei future. Nella stampa generalmente la spiegazione che viene data più frequentemente riguardo all'aumento del prezzo del petrolio è l'aumento della domanda in Cina. Secondo il DOE la domanda di petrolio in Cina è aumentata negli ultimi 5 anni da 1,88 miliardi di barili a 2,8 miliardi un aumento di 920 milioni di barili. Negli stessi 5 anni la domandi di future sul petroli da parte degli speculatori sugli indici è aumentata di 848 milioni di barili. L'aumento di domanda degli speculatori sugli indici uguaglia quasi quella della Cina.


Gli speculatori sugli indici hanno ormai accumulato 1,1 miliardi di barili di petrolio attraverso i future aggiungendo alle loro riserve otto volte più petrolio di quanto gli Stati Uniti abbiano aggiunto alle loro riserve strategiche negli ultimi 5 anni.

La domanda di contratti future può avere solo due origini. Speculatori e i poveracci che vogliono materialmente comprare le materie prime in questione. Gli speculatori sono sempre esistiti e anche gli speculatori sugli indici, ma essi fino a 5 anni fa constituivano una piccola frazione della speculazione. Oggi sono la principale forza sul mercato e la loro crescita è passata quasi inosservata agli economisti tradizionali che non prestano grande attenzione alla domanda sul mercato dei future.

Gli speculatori sugli indici come già detto agiscono diversamente dagli speculatori tradizionali. Essi allocano una parte del loro portafogio diciamo il 2% d ainvestire in future sulle materie prime. A loro non interessa il prezzo unitario dei future, quando arrivano sul mercato comprano tutti i future che possono comprare con il 2% che avevano messo da parte in modo da mettere in movimento tutto il capitale. Questo genere di comportamento ha un effetto dirompente sul mercato.
Ovviamente quando questa massa monetaria si riversa sul mercato succedono contemporaneamente due cose: il mercato si espande ed i prezzi aumentano (come si vede bene dal grafico sopra). La cosa perversa è che la domanda di questi speculatori di indici aumenta ad aumentare del prezzo delle materie prime e questo spiega la progressiva accelerazione nel prezzo dei futures. I prezzi in aumento attirano altri speculatori che allocano parti sempre maggiori del loro portafoglio in future sulle materie prime.

Nel grafico sopra si può notare come l'aumento più drammatico nei prezzi è avvenuto nel primo quarto del 2008. Si calcola che gli speculatori sugli indici abbiano invaso il mercato con 55 milardi nei primi 52 giorni del 2008. Un aumento nel valore totale dei future di un miliardo al giorno. Una tale quantità di denaro è sufficiente a giustificare gran parte degli aumenti nel prezzo del petrolio (e di altre materie prime) negli ultimi mesi.

Un altra differenza tra speculatori tradizionali e quelli sugli indici sta nel fatto che i primi garantiscono liquidità al mercato dato che comprano e vendono future a secondo di come prevedono sarà l'andamento del mercato, mentre i secondi comprano future e rinnovano la loro posizione di volta in volta comprando dei calendar spreads (comprano e contemporaneamente vendono future per lo stesso prezzo della materia prima in questione, ma a differente scadenza e guadagnando sulla differenza di valore che i due future assumono nel tempo.... Chi non ci ha capito nulla dalla mia breve spiegazione e sa l'inglese può farsi del male qua) senza vendere mai veramente. Quindi consumano solo liquidità senza fornire nessun beneficio al mercato dei future.

Esisterebbe in teoria, anche un organismo di controllo sul mercato dei future il CFTC (Commodity Futures Trading Commission) e sarebbe nata nel 1936 per impedire che gli speculatori arrivassero a dominare l'intero mercato dei future. In realtà ha fatto esattamente il contrario. Essa ha concesso alle banche di Wall street di superare i limiti imposti agli speculatori quando esse investivano sui future per garantirsi dal rischio di swap OTC (cioè contratti scambiati tra 2 parti privatamente e non sul mercato) che riguardano materie prime.

In altri termini se un fondo speculativo volesse investire 500 milioni di dollari in grano, cifra che supera i limiti speculativi, non deve far altro che aprire una posizione in swap con una banca e poi essa comprerà per conto del fondo 500 milioni in future.

Geniale!

Tra l'altro chiunque compri future attraverso delle swap, viene classificato come commerciale invece che speculativo distorcendo i dati sulla quantità di speculazione realmente esistente nel mercato.

Dulcis in fundo la CTFC ha recentemente proposto di esonerare dai limiti tutti gli speculatori sugli indici spalancando loro le porte ed è arrivata ultimamente a pubblicizzare uno studio commissionato da essa stessa che dimostra quanto siano buoni come investimento i future sulle materie prime e consigliandone l'aggiunta al portafoglio di ogni investitore.

Chi fa benzina e deve mangiare ringrazia sentitamente.

Per chi crede che ci sia una scarsità attuale di petrolio sul Financial Times Eugen Weinberg uno specialista in materie prime fa presente che secondo l'OECD l'attuale scorta di petrolio ammonta a 3,5 miliardi di barili (la cina non viene contata) il che significa che se anche l'Arabia Saudita fermasse le sue esportazioni di petrolio il mondo potrebbe proseguire i consumi all'attuale tasso per un anno e mezzo senza che sia necessario un aumento di produzione da parte di altre nazioni.

Il congresso degli Stati Uniti dopo aver minacciato ridicole sanzioni ai produttori di petrolio accusati di tenere alti i prezzi sta inziando a capire come funzionano le cose nel mondo e sta valutando come fare a limitare la speculazione.
Micheal master da alcuni consigli. Intanto proibire ad alcuni investitori istituzionali come i fondi pensione di speculare. Bloccare il giochino di triangolazione con le swap usato per aggirare i limiti imposti agli speculatori e costringere il CFTC a riclassificare gli investitori commerciali per restringere i soggetti in grado di superare certi limiti.

Aggiungerò che se la FED non avesse inquinato il valore dei titoli di stato americano "regalandoli" alle banche in cambio di cartaccia in modo che queste tappassero i loro buchi costringendo in pratica il governo a farsi carico delle loro perdite gli investitori si sarebbero rifugiati li invece che nelle materie prime. Invece tutti sono scappati a gambe levate e da ogni pezzo di carta il cui valore si è azzerato in seguito allo scoppio della bolla immobiliare per andare a nascondersi nelle materie prime, roba vera di cui incidentalmente abbiamo tutti quanto bisogno per campare ed il cui prezzo è salito alle stelle.

In pratica quando facciamo il pieno alla pompa o usiamo l'elettricità in casa stiamo pagando le perdite dei banchieri internazionali.

mercoledì 21 maggio 2008

Continuate a Sognare

Sembra incredibile, ma negli Stati Uniti ancora si discute se siamo o non siamo in una recessione, compiendo salti carpiati semantici nel tentativo di non dire chiaramente come sta la situazione. Il PIL americano e composto al 70% dai consumi interni della sua popolazione. Questi famosi consumi sono in picchiata a causa del deteriorarsi dell'economia e della facilità d'accesso al credito. I centri commerciali stanno registrando marcati cali nelle vendite.


L'unica cosa che per il momento salva i loro bilanci ,sono i maggiori introiti dovuti all'aumento del costo del cibo e dei beni di prima necessità. Il resto, quello che viene definito “discretionary spending” (spese non necessarie) langue. La vendita di proprietà commerciali registra un calo del 71% dallo scorso anno mentre il loro valore da Gennaio a Febbraio è calato del 1,03% il calo più marcato dal 1993. Tutto ciò è in perfetta linea con i dati storici che prevedono una differenza di 12-18 mesi tra il calo di valore tra gli immobili residenziali e quelli adibiti ad attività commerciali. Questo haovviamente reso necessario posporre almeno di un anno i nuovi progetti di edilizia commerciale quando non li ha bloccati del tutto. Intanto la quantità di invenduto nel settore aumenta. Solo quest'anno si prevede che chiuderanno 6500 negozi in America secondo il Council of Shopping Centers.


Un altro segnale interessante riguardo all'annosa questione: recessione si o recessione no, ci viene dato dal valore del del PPI (Producer Price Index). La tabella sottostante (presa da http://globaleconomicanalysis.blogspot.com) mostra che il PPI (l'indice dei prezzi alla produzione) per i prodotti finiti è aumentato dello 0,2% nel mese di Aprile dopo aver registrato un aumento del 1,1% a Marzo e dello 0,3 a Febbraio. All'estrema destra nella tabella invece vengono indicati i valori delle materie prime che sono cresciute nello stesso periodo del 3,2% in Aprile e dell'8% in Marzo.


Questo significa che gli aumenti di prezzo alla produzione non vengono passati al consumatore se non in misura limitata. Ciò è un chiaro segnale del calo di consumi da parte della popolazione Statunitense e di un crescente assottigliamento dei margini di guadagno per le aziende. Il grafico sotto rende visivamente molto chiara la gravità della situazione


L'incapacità delle aziende di scaricare gli aumenti dei costi al consumatore significa una diminuzione dei guadagni. Una diminuzione dei guadagni significa un calo nel valore delle azioni. Questo per tutti quelli che credono ancora alla favola di una ripresa poderosa del mercato nella seconda metà dell'anno. Ovviamente aziende in difficoltà vuol dire anche aumento della disoccupazione e riduzione delle ore di lavoro effettivo (l'unica cosa che fino ad ora, insieme alle frodi statistiche, è riuscita e calmierare i dati sulla disoccupazione) quindi meno soldi in mano ai consumatori, ed i consumi ricordo rappresentano il 70% del PIL americano.


Il tutto si traduce in una morsa a tenaglia sull'economia che ha già prodotto una recessione o meglio una decessione come la chiama qualcuno (qualcosa che sta a metà strada tra la recessione e la depressione) che non sparirà in breve tempo.
La pensa cosi Meredith Whitney che ho già citato altre volte e che dice:

"Just as strained liquidity pushed so many small and mid-sized specialty finance companies to beyond the brink, we believe it will do the same with the U.S. consumer.''

"Esattamente come è capitato a molte medie e piccole compagnie specializzate in prodotti finanziari, la ridotta liquidità spingerà anche il consumatore americano oltre il bordo del precipizio"



La Whitney assieme ad altri 2 economisti hanno visto al ribasso le stime per le banche nei prossimi anni stimando che le perdite potrebbero toccare gli 88 miliardi nel 2008 e 96 nel 2009. Finora esse hanno incassato 380 miliardi di perdite dichiarate anche se giusto qualche giorno fa è saltato fuori che si erano "scordate" di rivelare 35 miliardi in perdite aggiuntive come mostra la tabella sottostante


A pensare che ci sarà da soffrire a lungo si è aggiunto anche il capo della BCE Trinchet che in un articolo sul Telegraph afferma che il peggio della crisi sul mercato del credito deve ancora arrivare, ed ha paragonato l'aumento del prezzo dell'energia e del cibo al periodo di terribile inflazione degli anni 70, aggiungendo che non ci sarebbero stati tagli ai tassi di interesse nel breve futuro.


Incredibilmente una volta tanto mi trovo daccordo con un banchiere.

lunedì 19 maggio 2008

Viva la produttività!

I politici e gli economisti ci ripetono continuamente che bisogna aumentare la produttività delle aziende, che in sostanza significa far fare più roba a meno gente risparmiando così denaro e risultando più copetitivi.

Un articolo su hereisthecity un sito di britannico di news economiche, illustra brutalmente quanto siano produttivi i dipendenti delle varie banche coinvolte nello sconquasso sul mercato del credito, mettendo le perdite in relazione agli occupati in ogni singola banca.
Visto in prospettiva il quadro è sconcertante.

1. Mizuho Financial Group - $5.5bn (bn=miliardi) in perdite totali, 2,000 dipendenti complessivi, perdite per dipendente $2,750,000 .

2. Wachovia - $7bn, 3,900, perdite per dipendente $1,794,872

3. UBS - $37bn, 22,000, perdite per dipendente $1,681,818

4. Citi - $40.9bn, 30,000, perdite per dipendente $1,363,333

5. Bank of America - $14.8bn, 20,000, perdite per dipendente $740,000

6. Merrill Lynch - $31.7bn, 48,100, perdite per dipendente $659,044

7. Dresdner Kleinwort - $3.3bn, 6,000, perdite per dipendente $550,000

8. Credit Agricole - $6.9bn, 13,000, perdite per dipendente $530,769

9. Barclays Bank / Barclays Capital - $7.7bn, 16,200, perdite per dipendente $475,309

10. JPMorgan Chase - $9.8bn, 25,000, perdite per dipendente $392,000

11. Deutsche Bank - $7.6bn, 20,000, perdite per dipendente $380,000

12. SG Corporate & Investment Banking - $3.9bn, 10,500, perdite per dipendente $371,429

13. Morgan Stanley - $12.6bn, 38,050, perdite per dipendente $331,143

14. Credit Suisse - $6.3bn, 20,000, perdite per dipendente $315,000

15. Lehman Brothers - $6.6bn, 30,000, perdite per dipendente $220,000

16. Goldman Sachs - $4.1bn, 30,000, perdite per dipendente $133,667

17. BNP Paribas - $1.7bn, 13,000, perdite per dipendente $130,769

Mi pare sarebbe ora di aumentare la produttività di certi CEO e di certi CFO.

domenica 18 maggio 2008

GSE con le spalle al muro

Ho già parlato diverse volte delle GSE (Government sponsored enterprise). Esse sono agenzie semi governative create dal congresso degli Stati Uniti. Il loro compito dovrebbe essere quello di garantire un flusso di denaro costante ed a costi ragionevoli in determinati settori dell'economia. Le più famose sono Fannie Mae e Freddie Mac. Il loro compito originale doveva essere quello di garantire dei mutui a prezzi abbordabili. Nel tempo di fatto sono diventate un posto in cui le banche possono scaricare i mutui che han fatto sottoscrivere ai loro clienti.


Anche se privatamente controllate, dato che sono quotate in borsa, avendo un mandato governativo le GSE han sempre dovuto sottostare a requisiti piuttosto rigidi riguardo ai mutui che avevano la possibilità di ricomprare. Nello specifico potevano acquistare quasi esclusivamente prime, cioè i mutui più solidi quelli concessi a individui solventi che hanno portato piena documentazione riguardo la loro condizione economica e i mutui sotto i 400000 dollari quindi erano esclusi i famosi jumbo (i mutui al di sopra di quella cifra). La Countrywide era il primo sottoscrittore di mutui americano, prima di dichiarare fallimento ed essere acquisita da Bank of America (BAC). In questi giorni è venuto fuori che i termini dell'accordo caldeggiato dalla Fed garantiscono la possibilità da parte di BAC di non accollarsi i debiti, le perdite e gli impegni di Countrywide gettando nello scompiglio parecchi investitori come rileva Bloomberg


Countrywide è affondata a causa delle perdite nel mercato dei CDO e dei vari derivati sul credito. Un articolo del Wall Street Journal rivela che Countrywide ha impacchettato e spacciato come prime dell'emerita robaccia. Spazzatura che è poi stata rivenduta alle GSE come mutui di prima qualità. L'FBI sta indagando su questa faccenda per cercare di capire quando le truffe sono state compiute. In caso si truffa accertata i mutui dovrebbero ritornare alla Countrywide (CFC) ed essa risarcire le GSE delle eventuali perdite. Essendo CFC fallita di fatto resteranno nelle mani di Fannie e Freddie. Mi aspetto che in caso di problemi la JP Morgan faccia lo stesso con la Bear Stearn, che si è comprata per un tozzo di pane, scaricandone i debiti sul governo.


Ovviamente come la CFC anche altri istituti si sono lanciati nello stesso tipo di frode. A quanto ammontano veramente le perdite delle GSE su questo versante?


Solo il tempo ci potrà rispondere. Quello che si sa con certezza e che esse sono sotto capitalizzate. Le riserve di denaro che hanno a disposizione rappresentano un insignificante frazione della loro esposizione complessiva. Tanto per migliorare la situazione mesi fa il congresso consenti di abbassare la quota di capitale richiesta alle GSE dal 30% al 20% e incluse i mutui jumbo (quelli per un importo superiore ai 400000 dollari) tra quelli comprabili dalle 2 agenzie.


Oltre ai famosi subprime e ai prime esistono anche una categoria di mutui intermedia definiti ATL-A. Sono i mutui in cui si sono concentrati la maggior parte di truffe e bugie. Mentre i subprime erano implicitamente concessi a gente con poche o nessuna garanzia economica gli ALT-A prevedevano una qualche forma di verifica del redditto e della situazione finanziaria del richiedente. Peccato si trattasse in pratica di autocertificazioni, che le banche non si scomodavano a controllare veramente. Di fatto tutti mentivano e i banchieri facevano finta di nulla, tanto se non li rivendevano sotto forma di CDO ci pensavano le GSE e beccarseli.


Solo la Fannie Mae dichiara di avere in portafoglio l'11,2 % di ALT-A il che significa circa 200 miliardi. Considerando l'attuale tasso di fallimento in America è ragionevole pensare che perderanno tra i 15 e i 20 miliardi su quella cifra. Il che per chi avesse dei dubbi sarebbe sufficiente a farla andare in rosso. Nei primi 3 mesi dell'anno Fannie ha riportato perdite per 2,2 miliardi e prevede di raggranellarne 6 attraverso aumenti di capitale. Tutto bene quindi, nessun problema. Sei miliardi contro 15-20 di perdite possibili solo sugli ALT-A, lasciando perdere i prime, e questo ovviamente presumendo che la situazione nel comparto immobiliare non peggiori.


Qualche giorno fa anche Freddie è uscita fuori dichiarando un bel po di perdite dall'inizio dell'anno (151 milioni). Il titolo in borsa dopo quest'annuncio e salito del 9%. Non sembreranno molti 151 milioni, ma l'unica ragione per cui le perdite sono state così limitate e che hanno abbassato i vincoli di capitale dal 20 % al 10%. Hanno preso un 10% del capitale e lo hanno usato per tamponare le perdite. Si chiama manipolazione dei bilanci, ma evidentemente questa è ormai diventata una pratica frequente e accettata. Inoltre si sono attaccate anche le GSE al “fair value”. Quella pratica per cui puoi decidere tu il valore di un pezzo di carta in base alle tue necessità dato che il mercato irrazionale (ma non era infallibile?) non lo valuta più in una maniera che tu medesimo ritieni giusta.


Alla fine del 2007 il capitale combinato di entrambe la GSE ammontava a 83 miliardi. Questo prima di tutte le riduzioni. Con essi controllano 5 trilioni di dollari (5000 miliardi) cioè l'80% dei mutui sottoscritti negli Stati Uniti.


Buona parte di questi mutui vengono spacciati come solidi perché i pezzi di carta che li rappresentano sono stati assicurati, cioè sono stati acquistati dei CDS (delle swap) su di essi. Chi segue il mio blog sa quanto valgano queste swap. E' una cifra che si aggira attorno ad un gigantesco 0. Come detto prima solo Fannie rischia 15-20 miliardi di perdita. Le agenzie principali assicuratrici che emettono CDS: MBI, Radiant, AMBAC messe assieme hanno un capitale di 4 miliardi. Sembrerebbe quasi una barzelletta se non fosse drammaticamente vero. L'unica ragione per cui i titoli di queste 2 agenzie salgono nonostante la loro precaria situazione dipende dalla convinzione degli investitori che qualunque cosa succederà in futuro interverrà il Governo degli Stati Uniti a salvare le GSE. Si stima che esso sarebbe costretto a sborsare un trilione di dollari per questo salvataggio


Un articolo del New York Times non fa mistero di questa convinzione:


“Both these companies are clearly going to be insolvent by the end of the year, but everyone knows that Congress will do anything to keep them afloat, because if Fannie and Freddie go under, the entire global financial system will melt down,” said Christopher Whalen, a founder of Institutional Risk Analytics, an independent research firm. “These companies’ earnings don’t matter. Their accounting hardly matters. People buy the stock because they believe the federal government will bail them both out if things get really bad.”


“Entrambe queste compagnie saranno chiaramente insolventi entro la fine dell'anno, ma tutti sanno che il Congresso farà di tutto per mantenerle a galla, perché se Fannie e Freddie andassero a fondo, l'intero sistema finanziario internazionale si squaglierebbe” dice Christopher Whalen, il fondatore dell'Institutional Risk Analytics, una agenzia di ricerca indipendente. “i guadagni di queste compagnie non contano. I loro bilanci hanno poca importanza. La gente compra le loro azioni perché crede che il governo federale le salverà entrambe se le cose dovessero andare male”.


Chi crede che le GSE verranno salvate ha senz'altro ragione. E' stata salvata la Bear Sterns che al confronto era un pulce. Mi pare però, che non venga tenuto conto di alcuni fatti. Le GSE hanno mandato governativo, ma non sono di proprietà del governo. Possono e se si rivelasse necessario verranno nazionalizzate, ma in quel caso le azioni come normalmente succede in questi casi verranno azzerate. Gli azionisti rischiano di ritrovarsi con niente in mano. Il governo invece si accollerà se tutto va bene un trilione di perdite.


Questo va ad aggiungersi a tutta la spazzatura di cui si è fatto carico in questi mesi per salvare le banche. Aggiungeteci un economia agonizzate in cui l'inflazione è alle stelle, le città dichiarano bancarotta perché le entrate fiscali derivanti dalle tasse sugli immobili e sulla vendita di prodotti sono precipitate, il dollaro è debole come un pulcino appena nato ed ecco cucinata una bella crisi economica di quelle epocali.


Immagino, quanto i miei pochi lettori trovino rassicurante pensare che la situazione delle GSE, che sembra astrusa e lontana, ha più rilevanza sulla nostra esistenza che qualsiasi trovata economica l'attuale governo possa inventarsi.


Sono convinto che a dicembre di quest'anno guarderemo indietro con nostalgia e rimpianto a questo idilliaco periodo, e lo ricorderemo come un momento di stabilità e tranquillità.

giovedì 15 maggio 2008

Il re è nudo

Per usare il termine a cui è ricorsa l'analista Meredith Whitney la Citigroup, quella che una volta era considerato la più grande banca del mondo, è cosi dentro ad un buco nero che non basterebbe Stephen Hawking a salvare la compagnia. La dichiarazione della Whitney fa seguito al piano illustrato dal CEO della Citigroup per cercare di salvare la situazione del gruppo. Esso prevede che la banca venda o meglio svenda asset per un ammontare di 500 miliardi di dollari riducendo il totale degli asset che possiede da 2,2 trilioni a 1,7.

Non avete letto male le cifre, si parla di 500 miliardi. Solo qualche settimana fa l'FMI parlò di perdite totali dovuti alla crisi scatenata sul mercato dei derivati dallo scoppio della bolla immobiliare americana intorno al trilione di dollari. Ora solo la Citi dice di dover ragranellare 500 miliardi. Questo dopo essersi fatta prestare decine di miliardi dai fondi sovrani di investimento e dopo aver emesso nuove azioni per cercare di tamponare le perdite che dallo scorso luglio ammontano a circa 40 miliardi. Il piano prevede anche il licenziamento di 13200 dipendenti. Grazie a queste azioni combinate e ad una supposta crescita del mercato in alcuni settori bancari come quello delle transazioni finanziarie prevede che le sue azioni renderanno tra il 16% e il 18% nei prossimi 3 anni.


La cosa non convince molti. Oltre alla Whitney tra gli scettici Mike Mayo un analista della Deutsche Bank che prevede che Citigroup debba trovare a breve almeno altri 5 miliardi in riserve e che probabilmente dovrà vendere pezzi importanti del suo impero come la Banamex una banca messicana acquisita da Citi nel 2001, prima della fine dell'anno.


Come nota personale era un po' che dicevo che Citigroup era cotta. Anche peggio stanno altre banche come la Lehman che ha potuto millantare un bilancio positivo solo usando trucchetti di contabilità come il “fair value”, cioè ha preso tutti i derivati che avevano perduto valore e se li è messi a pieno valore nel bilancio potendo andare in giro a raccontare di aver avuto un risultato positivo.


La Citi sembra essere una delle prime banche ad aver preso seriamente le minacce della SEC e del piano di Draghi. Entrambi pressavano le banche perché ammettessero finalmente tutte le perdite terminando il patetico e dannoso gioco a rimpiattino, a cui da un anno assistiamo, in cui si cerca di nascondere tutta la polvere sotto il tappeto.


Benvenuta verità! Ci sei mancata!


Speriamo solo che tu non vada via subito

mercoledì 14 maggio 2008

Le Banche sono fatte...

...Nel senso che riescono a stare in piedi solo grazie a continue dosi di cocaina. Il pusher lo conoscono tutti quanti e si chiama Federal Reserve. Prima di proseguire su questo argomento vorrei che deste un occhiata al grafico riportato qua sotto, solo assicuratevi di essere seduti prima di farlo.


Esso riporta il livello delle riserve del comparto bancario non prese in prestito. In altri termini riporta quello che viene chiamato “hard money”, denaro che rappresenti depositi e capitale vero delle banche. Tutto l'universo bancario può essere visto come un unica entità. Se una persona preleva dei soldi dal suo conto, diciamo 1000 euro, si presume che li spenderà per comprare qualcosa e che quei soldi finiranno in un altra banca. La prima banca ha “perso” 1000 euro ,la seconda ne ha “guadagnati” 1000.


La prima vedendosi diminuite le riserve di conseguenza, si rivolgerà alla banca centrale o al mercato interbancario notturno( nel quale le banche con degli attivi monetari prestano denaro alle banche con dei passivi) per farsi prestare i suddetti 1000 euro. Di fatto il sistema dovrebbe restare pressoché in equilibrio, anzi la quantità totale di riserve dovrebbe aumentare nel corso degli anni, come si evince dal grafico. Almeno così è stato fino ai primi anni 90 in cui iniziarono le varie innovazioni finanziarie.


E' interessante notare come da allora in poi le riserve non derivanti da prestiti siano andate a calare e siano risalite brevemente durante la recessione dei primi anni del 2000. Questo ci dimostra chiaramente che l'espansione è stata generata da un aumento di denaro preso in prestito dalle banche e creato dalla Fed.

Presumo che la prima cosa che tutti abbiano subito notato dando un occhiata al grafico, sia quella linea alla fine di esso, che precipita in verticale verso gli abissi infernali. Essa indica chiaramente che il comparto bancario preso nel complesso è in mutande. In altri termini in cassa ha pochissimo “hard money”. L'unica cosa che lo mantiene in vita è la continua iniezione di cocai... emmhh di denaro garantito dalla Fed attraverso le varie facility. Qualche settimana fa il TAF è stato aumentato del 50% portando la cifra dell'asta a 75 miliardi ogni 2 settimane. Le richieste delle banche hanno raggiunto i 96 miliardi lasciandone diverse a secco.


Gli economisti non si preoccupano dicendo che non esiste un problema di liquidità. Hanno perfettamente ragione, il problema è una cronica insolvenza delle banche. In altri termini i famosi 1000 euro che si spostano da una banca all'altra sono evaporati, spariti in speculazioni o svalutazioni immobiliari. Normalmente la prima banca del suddetto esempio dovrebbe vendere alcuni asset o emettere nuove azioni per ragranellare del capitale (cosa che stanno facendo diverse banche). Se anche questo non bastasse la banca finirebbe col dichiarare fallimento. Nel caso odierno invece le banche possono rivolgersi alla Fed tramite il TAF e le altre facility e recuperare denaro dando in garanzia derivati ormai invendibili.


Questi sono però dei prestiti. Prima o poi vanno restituiti. Come possono farlo le banche? Semplice chiedendo ancora più soldi in prestito alla Fed tramite il TAF. Qualcuno si è chiesto come mai la quantità dei prestiti del TAF non hanno fatto che aumentare e cosa esattamente indichi quella linea diretta verso il centro della terra?


In sostanza chi sta pagando e mantenendo in vita le banche?


Per saperlo e sufficiente che vi mettiate davanti ad uno specchio.


Le banche centrali creano denaro spingendo un bottoncino su un terminale. Con quel denaro comprano dei buoni del tesoro che usano come riserva per le varie operazioni. A garanzia dei buoni ci sono i soldi e il lavoro dei cittadini del relativo stato.

Di fatto il rischio derivato dalle speculazioni e dalle perdite delle banche grava sulle nostre spalle. Niente di nuovo si potrebbe dire. E' normale che in certi casi le banche falliscano e vengano nazionalizzate o incorporate in altre banche più grandi e solventi.


Quella attuale è purtroppo una nazionalizzazione finta. Manteniamo le banche, ma non le controlliamo e non possiamo imporre loro sacrosante regole che impediscano il ripetersi di certi avvenimenti. Anzi quando negli ultimi tempi qualcuno si è azzardato a parlare di regolamentazioni più rigide è stato un levarsi di scudi da parte dei banchieri.Il grafico sopra oltretutto non riporta le perdite nascoste, quelle parcheggiate fuori bilancio e negli asset di livello 3. Si stima che il totale possa arrivare a un trilione di dollari. Denaro che dovranno garantire i contribuenti americani emettendo nuovo debito o pagando in inflazione (svalutando ancora di più il dollaro).


Ovviamente ciò può durare solo finché gli investitori esteri continueranno a credere che i BOT americani valgano quel che si racconta. Come ebbe a dire un economista il bene maggiormente sopravvalutato al mondo sono i buoni del tesoro americano, affermazione sulla quale mi trovo perfettamente daccordo.


giovedì 1 maggio 2008

The Story so Far... (terza parte)

Le agenzie di rating sono quelle che definisco “il bugiardo più grande”. Il loro compito storicamente è di certificare il livello di rischio che possiede il debito emesso da un azienda o un governo. Non dovrebbe invece essere quello di stabilire la sicurezza di strumenti esotici e innovativi perché generalmente non hanno a disposizione i mezzi per poterlo fare, ma questo evidentemente era un dettaglio a cui nessuno prestava attenzione fino ad un anno fa.

Un altro insignificante particolare che caratterizza le 3 agenzie internazionali (Finch, Moody's, Standar & Poor's) si chiama “conflitto di interessi”. Un elemento che in Italia, grazie all'intera sfera politica, sembra essere ormai di nessuna importanza. Purtroppo invece è un fattore in grado di produrre danni economici su larghissima scala. Il conflitto di interesse è quello che ha permesso alla Parmalat di far sparire 7 miliardi di euro perché la Arthur Andersen, defunta agenzia di revisione, mentì, certificando dei conti falsi non volendo mettere in difficoltà chi le pagava la parcella.


Nel caso delle agenzie di rating il conflitto nasce dall'essere pagate dagli stessi soggetti a cui assegnano il rating.


Io, azienda, pago le agenzie perché esse mi diano un voto.


Questo genera delle ovvie distorsioni. Un azienda con un rating basso, ha un debito meno affidabile e per il quale ci sarà presumibilmente meno richiesta. Cosa impedisce ad una agenzia di aggiustare la sua valutazione su un azienda che si è dimostrata negli anni un ottimo cliente? Quale entità controlla le agenzie?


Nessuna!


Si dovrebbero controllare tra loro in teoria. In pratica questo campo è terra di nessuno.In un recente articolo del New York Times, la persona che durante gli anni 90 fu a capo di Moody's, confessa come fossero le banche in realtà a decidere quale rating assegnare a se stesse. Le agenzie certificavano semplicemente la scelta fatta. La pratica viene definita “rating shopping”.


Una cosa simile si verificò quando le banche si rivolsero alle agenzie perché queste certificassero il livello di solidità del debiti (mutui e debiti delle aziende) che avevano intenzione di cartolarizzare e rivendere. Esse chiesero esplicitamente di ottenere un rating che fosse il massimo possibile (AAA).


In quel momento il confine tra certificatore e produttore di strumenti finanziari scomparve completamente.


Le agenzie si fecero pagare la consulenza dalle banche per spiegare loro come impacchettare i debiti in maniera tale che permettesse loro di assegnargli un rating che fosse “investment grade” come si dice in gergo, cioè di qualità medio-alta. I mutui spezzettati e rimescolati vennero divisi in diverse tranche ognuna con assegnato un rating differente che andava dalle solide Super Senior (AAA) alle rischiose Junior (BBB). Ognuna delle tranche aveva all'incirca la medesima composizione, ciò che cambiava era l'ordine con cui venivano assegnati i profitti.


In altri termini quando arrivavano i pagamenti delle rate del mutuo chi possedeva le Super Senior veniva pagato per primo e con i soldi che avanzavano venivano progressivamente pagati i rendimenti delle altre tranche a scendere, fino ad arrivare infine alle Junior. Le Super Senior generalmente restavano nel portafoglio della banca che si preoccupava di rifilare le altre tranche ai vari investitori.


Un articolo del 28 Aprile su bloomberg ci fa sapere che la S&P ha rivisto al ribasso la sua valutazione sulle tranche dei CDO. Le Super Senior dovrebbero valere 60 centesimi sul dollaro quindi una perdita del 40% (e raccontavano che non c'era modo che le Super Senior perdessero valore), mentre tutte le tranche con un rating dalla singola A in giù varrebbero un gigantesco 0.


Una volta che banche, finanziarie e agenzie di rating finiro di ideare i CDO essi erano diventati qualcosa di così complesso ed oscuro che gli investitori, i gestori di fondi e perfino altre banche non erano più in grado di capire cosa contenevano e come il rischio era distribuito.


Tutti le compravano unicamente perché si fidavano del rating.


Per i più prudenti esistevano poi altri strumenti derivati in grado di assicurare un investitore da un eventuale perdita causata dai CDO: gli ormai tristemente famosi CDS.


Un CDS funziona esattamente come un assicurazione. Mettiamo per fare un esempio, che io possieda obbligazioni parmalat per un milione di euro che scadono tra un anno. Esse mi promettono un rendimento del 6%, ma io non fidandomi tanto della parmalat decido di assicurare il mio investimento dalla possibilità che essa fallisca. Vado da uno degli istituti che emettono CDS e ne compro quanti ne servono per assicurarmi per un milione di euro per la durata di un anno. Ogni mese pago un premio all'assicuratore la cui entità dipende dal rischio di fallimento della parmalat stessa. Diciamo che il mercato tira quindi il rischio è basso e assicurarmi mi costa l'1% di quello che ho investito.


Di fatto se tutto va bene io ho comprato delle obbligazioni che mi rendono il 5% (6 di rendimento meno 1 di assicurazione), se invece la parmalat fallisce mi verranno pagati i CDS che ho comprato per il valore di un milione di euro, salvaguardando almeno il mio capitale.


I CDS presentano però alcuni problemi. Il primo è che non bisogna dimostrare di avere un obbligazione per comprare dei CDS. Si stima che per ogni obbligazione esistente vi siano 10 CDS in circolazione. Cioè esiste un povero fesso che si sta assicurando e altri 9 che speculano sulla solidità o meno di un azienda o il verificarsi di un certo evento (alcuni dei più famosi CDS riguardano l'andamento dei tassi di interesse ad esempio, chi è interessato può guardarsi il servizio di report sui comuni italiani che han speculato con questi strumenti).


Un altro enorme problema deriva dal fatto che alle aziende che emettono CDS non sono stati richiesti seri requisiti di solvibilità. In altri termini non hanno mai avuto capitali sufficienti ad assicurare tutti i CDS che emettevano. L' Ambac una delle aziende Monoline come vengono chiamate in America, aveva un capitale stimato di 5 miliardi di dollari. Con esso ha assicurato l'intero debito della California che presa a se stante rappresenta la sesta potenza economica del pianeta. Pensate che sia realistica una cosa del genere.


Il termine corretto per definirla è: PURA FOLLIA!!!


Le municipalizzate della California emettevano delle obbligazioni. Non tutte avevano un rating stellare, ma che diamine, in un mercato ormai assuefatto a vedere delle triple A non andava più di moda avere dei rating realistici. Così prima di vendere le obbligazioni le assicuravano comprando dei CDS. Una volta fatto questo andavano dalle agenzie di rating e dicevano: “ehi! Agenzia! Tu daresti normalmente solo una A come rating alle mie obbligazioni, ma io le ho assicurate contro un mio possibile fallimento comprando dei CDS da una agenzia che ha un rating AAA. Quindi è logico che tu cambi il rating delle mie obbligazioni e lo trasformi in una AAA”. Ovviamente le agenzie di rating non vedevano nulla di strano in questo ragionamento e lo stesso ogni altro organismo di controllo.


Forti di questi due tipi di derivati (CDO,CDS) le banche, sentendosi al sicuro prestarono i soldi a destra e manca senza più scomodarsi a chiedere garanzie, buste paga o anticipi sul valore complessivo dell'immobile. I mutui che vennero fatti erano per la maggior parte “esotici” o più banalmente da speculatore. Costavano poco nei primi due anni, ma una volta trascorsi il mutuo veniva “resettato” in pratica l'importo della rata raddoppiava. Una tipologia di mutuo adatta a chi vuole comprare e rivendere le case in fretta, ma non a chi ha intenzione di viverci. Passati i primi due anni dal boom dei mutui sottoscritti, arrivò l'ondata di reset.


Molti di quelli colpiti neppure avevano capito che tipo di mutuo avevano sottoscritto o erano stati spudoratamente ingannati dalla banca a sottoscriverne uno esotico a tasso rigorosamente variabile.


La gente improvvisamente smise di pagare i mutui, tra la sorpresa delle banche. Storicamente il mutuo sulla casa è l'ultima cosa che una persona smette di pagare prima di dichiarare fallimento (come si può fare in america). Le banche erano genuinamente sorprese dal fatto che chi non aveva sborsato un soldo di anticipo (come succedeva una volta) su un abitazione e pagasse il mutuo quasi fosse un affitto, non si curasse particolarmente di onorare il suo debito. Preferiva saldare quelli sulla carta di credito diventata uno strumento indispensabile negli ultimi anni per avere un po' di sollievo economico e potere continuare a fare la spesa al supermercato.


Ovviamente tutti i derivati garantiti dai mutui divennero materiale radioattivo. Non li voleva più toccare nessuno neppure con un palo di 10 metri. Persero valore più velocemente che la sinistra arcobaleno voti alle ultime elezioni. Tutti ne erano imbottiti, fondi di investimento, banche (anche esse avevano finito per credere alle loro stesse bugie), fondi pensione ecc.


L'ultima stima delle perdite da parte dell'FMI parla di un trilione di dollari, ma sono pronto a scommettere che si riveleranno di più.


Il giochino dei derivati sul credito aveva così ben funzionato negli anni precedenti che era stato esteso a tutti i debiti. I mutui, i finanziamenti alle aziende, i debiti fatti per comprarsi un auto ecc. Tutti cartolarizzati e rivenduti.


L'infezione dai mutui si estese a tutti gli altri. Le banche dovettero incassare centinaia di miliardi in perdite il che li costrinse a chiedere il pagamento dei prestiti fatti a fondi di investimento e aziende e a tenersi il denaro per rimpinguare i propri bilanci invece che prestarlo. Il rischio era una spirale deflattiva come quella che avvenne nel 29.


La banca centrale Americana corse ai ripari per impedire il completo tracollo dei mercati e un intervento d'emergenza dopo l'altro di fatto si prese in carico una montagna di CDO senza valore a garanzia degli ingenti prestiti che faceva ai vari istituti bancari in modo che la circolazione della moneta non si bloccasse. Contemporaneamente abbassò di 3 punti percentuale il tasso di interesse, facendo precipitare ai minimi storici il valore del dollaro e di conseguenza mandando alle stelle il prezzo del barile di petrolio.


Il messaggio al mondo in pratica fu: “Non ci interessa che fine farà la nostra moneta. Non ci interessa quanto i nostri cittadini (e quelli di tutti i paesi che sono ancorati al dollaro) dovranno pagare in termini di inflazione. Noi proteggeremo gli speculatori, salveremo le banche, faremo in modo che la borsa non crolli, costi quel che costi”.


In altri termini come già spiegato nei precedenti post stanno cercando di monetizzare le perdite. Il prezzo lo paghiamo tutti, anche noi in Europa (anche se in misura limitata grazie all'euro), quando andiamo a far benzina o la spesa al supermercato.


Nel terzo mondo invece stanno direttamente morendo di fame (anche quelli che fino a ieri potevano permettersi del cibo).


Le banche all'inizio della crisi cercarono di prendere tempo non volendo ammettere di aver subito ingenti perdite. Poi cercarono di nascondere tutti i pezzi di carta senza più valore sotto il tappetto mettendoli in scatole vuote create appositamente (SIV e Conduits) sperando che la gente non se ne accorgesse. Infine nonostante l'aiuto della Federal Reserve dovettero venire allo scoperto un pò alla volta dichiarando decine di miliardi di perdite a più riprese.


Fino a giungere al fallimento della Bear Stearns a Marzo acquistata per un tozzo di pane dalla JP Morgan in barba a qualunque legge e regola del mercato e grazie ad un prestito garantito dal contribuente americano. La cosa interessante è che il peggio deve ancora arrivare. Che fine han fatto le famose aziende che emettevano i CDS una volta che i CDO che avevano assicurato hanno cominciato a fallire in massa?


Han fatto BOOOOOOOOOOM!


Tecnicamente esistono ancora, ma il loro rating è stato abbassato dalle famose e riluttanti agenzie.


Questo perché come detto in precedenza non possiedono i capitali necessari a pagare tutti quelli che hanno assicurato. Il problema in questo caso dipende dal fatto che una volta che il rating di chi emette CDS si abbassa, anche il rating delle obbligazioni delle municipalizzate che hanno assicurato viene abbassato di conseguenza. Molti soggetti, come i fondi pensione ad esempio, devono per mandato investire in strumenti certificati AAA (il rating più alto) dato che gestiscono i soldi delle pensioni della gente. Se le obbligazioni delle municipalizzate vengono abbassate di rating i fondi pensioni sono obbligati a venderle.


Tutti si aspettavano la fine del mondo a seguito di un degardamento delle Monoline (le agenzie americane che emettono CDS) e le 3 agenzie di rating han preso tempo per mesi, esitando, spaventate dalla possibilità di scatenare l'Armageddon sulle borse di tutto il mondo.


Quando finalmente l'evento si verificò invece successe un fatto strano. Il mercato dei CDS che si stimava avesse un valore nozionale di 45 trilioni di dollari fino a qualche mese, fece un balzo fino ad arrivare a valere oggi 62 trillioni. Questo perché è diventato più rischioso assicurare le aziende e quindi i CDS si sono fatti più costosi.


Il segnale non è positivo. Indica un mercato spaventato a morte che cerca sicurezza in strumenti pericolanti.


Quella dei CDS viene considerata una bomba nucleare a tempo che potrebbe esplodere in qualsiasi momento. La miccia potrebbe essere un ulteriore tracollo dei CDO o dei CLO (ennesima sigla, ma sono identici ai CDO solo invece che essere mutui rivenduti sono i debiti fatti dalle aziende rivenduti) o un grosso crollo dei mercati. Uno dei motivi per cui la Bear Stearns venne salvata in maniera così rocambolesca si dice fosse proprio per la sua esposizione sul mercato dei CDS, esposizione che avrebbe potuto produrre il paventato Armageddon.


Intanto molti di quelli che si sono rivolti alle Monoline per farsi pagare i CDS hanno scoperto che esse si rifiutano appellandosi ad ogni cavillo. Una delle cose a cui si appellano è la possibilità di frode. Come sono stati fatti i mutui su cui sono basati CDO assicurati? Quante frodi, come false dichiarazioni da parte di chi sottoscriveva un mutuo sui propri guadagni o il proprio lavoro sono avvenute?


In caso di frode chi ha costruito il CDO se lo tiene e si incassa le eventuali perdite senza poter costringere le Monoline a pagare i CDS.


Quindi le banche che han fatto sottoscrivere a frotte di gente insolvente, mutui elevati sulla base di bugie, spesso invitando i clienti a mentire per potere ottenere il mutuo che queste avrebbero successivamente rivenduto, rischiano per finire di dovere ingoiare altri miliardi di dollari in perdite.


Il picco dei reset sui mutui, se non ricordo male dovrebbe avvenire questo mese. Ed oltre al fallimento dei subprime, anche tra i gradini dei mutui superiori cioè gli Alt-A e i Prime si moltiplicano i default. Anche gente che può permettersi di pagare le rate del mutuo si trova spesso ad avere un mutuo il cui valore e molto superiore a quello dell'abitazione. Per fare un esempio, un mutuo di 700000 dollari su una casa che ha perso metà del suo valore, conviene smetterlo di pagare, aspettare che il mercato esaurisca il crollo e comprare poi un altra abitazione magari a 200000 dollari.


La situazione è così compromessa che la Fed ha proposto di poter emettere essa stessa direttamente del debito oppure che il governo emetta Bot in eccesso e ne ceda una parte alla fed per finanziarsi e col denaro raggranellato comprarsi direttamente tutti i CDO e compagnia bella e ripulire così la situazione. Peccato che nel frattempo gli investitori esteri stiano scappando a gambe levate dai Bot Americani. Comprare un pezzo di carta in dollari che ti rende il 3% quando il dollaro perde il 7% non è un gran affare e se stanno iniziando a capirlo pure gli stoici asiatici abitualmente affamati di debito statunitense, la situazione si fa critica per la Fed.


Qualunque sia l'esito finale di tutto questo gigantesco esperimento economico iniziato alla scuola di Chicago, si può ragionevolmente dire che il sistema ha fallito. La deregolamentazione e la mancanza di controlli seri, hanno prodotto solo gioco d'azzardo e speculazione finendo col creare grazie ad una serie di espansioni inflattive, una gigantesca piramide inversa di cambiali scoperte.


L'ortodossia economica attuale è giunta al capolinea. La teoria economica assurta a religione non funziona. Non funzionò con Keynes, e non ha funzionato con Hayek e Friedman. La globalizzazione acritica e demente, tutte le balle sul vantaggio competitivo e il concetto di mondo azienda, le delocalizzazioni di massa e l'andirivieni di capitali non han creato ricchezza (se non per pochi speculatori). Hanno solo abbassato il prezzo di una montagna di carabattole superflue e reso il cibo un bene di lusso.


Quello di cui hanno paura i banchieri e gli speculatori è che finalmente un pò di buon senso ritorni e vengano imposti paletti salutari e necessari.


Il mercato ha bisogno di regole certe.


Il mercato ha bisogno di trasparenza.


Il primato assoluto dell'economia sulla politica non funziona, alla lunga, così come non è salutare il contrario.


Se qualcosa di buono uscirà da tutto quello che si sta verificando spero sia un ripensamento del sistema e la presa di consapevolezza che gli indici di borsa e gli speculatori non possono essere il centro assoluto di mondo mandato avanti da miliardi di persone che lavorano.