C'era un telefilm, trasmesso negli anni ottanta, che verteva su una strana isola in grado di esaudire qualsiasi desiderio. Ogni singolo episodio un gruppo di turisti si recava in questo sperduto luogo di villeggiatura a bordo di un piccolo aeroplano. Una volta sbarcati venivano accolti dal misterioso e distinto Mr Roarke che sfruttando le misteriose caratteristiche dell'isola era in grado di concedere ai suoi ospiti, per il tempo di un episodio, la possibilità di realizzare ogni loro segreta fantasia: potevano diventare quello che avevano sempre desiderato, vivere in qualunque periodo storico ed in qualsiasi luogo, fosse esso realmente esistente o meno.
I villeggianti trascorrevano un breve periodo cullandosi felici all'interno di un esistenza irreale ritagliata su misura. Terminata la vacanza però, la realtà, implacabile tornava a fare capolino, dissolvendo ogni fantasia costringendo i turisti a tornare al mondo reale, portandosi dietro, se erano stati fortunati, qualche importante lezione di vita.
La situazione dell'economia mondiale sembra ricordare perfettamente un episodio di Fantasilandia.
Obama, Berlusconi, Tremonti, Geithner, tanto per fare qualche nome, sono concordi nell'affermare che il peggio sia passato e la ripresa economica sia dietro l'angolo. Il comitato monetario della banca centrale inglese ha recentemente dichiarato di aspettarsi una ripresa a V dell'economia, cioè una risalita che sia altrettanto rapida di quanto sia stato il tracollo e ieri ci si è messo pure il capo della BCE a spargere ottimismo ai quattro venti:
Le motivazioni a supporto di questa presa di posizione sono molteplici primo tra tutti il rialzo delle borse, in particolar modo di quella americana che ha registrato un +40% rispetto ai minimi toccati a Marzo. Un altro fattore che sta facendo sperare sia politici che gli economisti è il recente aumento degli ordinativi dell'industria. Uno per tutti in Europa il dato tedesco:
Sebbene gli ultimi dati sull'economia reale non segnalino nulla di positivo la speranza di aver finalmente oltrepassato la fase di maggiore sofferenza non si è spenta. Una serie di indicatori economici ha mostrato un miglioramento nelle ultime settimane e ha fatto evocare una ripresa che potrebbe partire dagli Stati Uniti, l'epicentro di questa crisi.
Gli ultimi dati del dipartimento del lavoro statunitense hanno rivelato una perdita di posti di lavoro nel mese di Aprile, pari alle 539000 unità, contro un calo di 663000 del mese di Marzo. Un diagramma contenuto nel rapporto dell'ADP di Aprile, che riporta il dato della disoccupazione USA depurato dal settore agricolo (e di altri settori minori come quello delle organizzazioni no profit e dei generici dipendenti governativi) mostra graficamente ed in maniera più chiara questa inversione di tendenza:
I villeggianti trascorrevano un breve periodo cullandosi felici all'interno di un esistenza irreale ritagliata su misura. Terminata la vacanza però, la realtà, implacabile tornava a fare capolino, dissolvendo ogni fantasia costringendo i turisti a tornare al mondo reale, portandosi dietro, se erano stati fortunati, qualche importante lezione di vita.
La situazione dell'economia mondiale sembra ricordare perfettamente un episodio di Fantasilandia.
Obama, Berlusconi, Tremonti, Geithner, tanto per fare qualche nome, sono concordi nell'affermare che il peggio sia passato e la ripresa economica sia dietro l'angolo. Il comitato monetario della banca centrale inglese ha recentemente dichiarato di aspettarsi una ripresa a V dell'economia, cioè una risalita che sia altrettanto rapida di quanto sia stato il tracollo e ieri ci si è messo pure il capo della BCE a spargere ottimismo ai quattro venti:
Ci stiamo avvicinando, per quanto riguarda la crescita, ad un punto di svolta. - ha detto Trichet ,a margine della riunione dei banchieri centrali del G10 presso la sede della banca dei regolamenti internazionali - In ogni caso stiamo osservando una frenata della caduta del Pil, ed in alcuni casi si vede già una ripresa".
Le motivazioni a supporto di questa presa di posizione sono molteplici primo tra tutti il rialzo delle borse, in particolar modo di quella americana che ha registrato un +40% rispetto ai minimi toccati a Marzo. Un altro fattore che sta facendo sperare sia politici che gli economisti è il recente aumento degli ordinativi dell'industria. Uno per tutti in Europa il dato tedesco:
Nel mese di marzo, gli ordinativi dell'industria manifatturiera tedesca sono saliti del 3,3% su base mensile destagionalizzata. Il dato e' sopra il consensus degli economisti (+0,5%). Si tratta anche del primo segno positivo dallo scorso agosto 2008 (+2,6%). Positivi sia gli ordini dal canale domestico (+1,1%) e sia quelli dal canale estero (+5,6%). Lo comunica l'ufficio statistico federale.L'effetto di questo aumento si starebbe facendo sentire anche in Italia, almeno secondo Scajola. Il ministro attività produttive ha affermato che i dati sull'export italiano indicherebbero un aumento degli ordini dall'estero del 3,5% per il mese di Marzo. Diceva il 27 Aprile Scajola:
I provvedimenti del governo sono stati utili. E' il commento del ministro delle Attività' produttive Claudio Scajola a Torino per l'assemblea dell'Api (Associazione piccole industrie locali). ''Gia' i dati di marzo e poi i dati di aprile - ha detto Scajola - stanno facendo notare in maniera chiara che c'e' un'inversione di tendenza. I dati complessivi sul trimestre sono ancora negativi - ha aggiunto - ma quelli sull'auto in modo particolare a marzo e quelli complessivi sull'export e sul comparto industriale danno un segnale di lieve ripresa che fa pensare che i provvedimenti del governo siano stati utili e che la congiuntura negativa internazionale stia volgendo alla fine. E cosi' ci auguriamo''.I dati economici rilasciati ieri invece, rivelano una realtà meno rosea:
Anche l'Istat definisce un "calo eccessivamente elevato" quello registrato dalla produzione industriale, che a marzo è arretrata rispetto al mese precedente del 4,6% e nel primo trimestre 2009 ha perso il 9,8% rispetto al trimestre precedente. Robusto anche il calo tendenziale: rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, rileva infatti l'Istat, la produzione è calata del 23,8% (si tratta di un dato corretto, dato che ci sono stati 22 giorni lavorativi contro i 20 di marzo 2008; -18,2% è invece il dato grezzo).
Come già per il dato di febbraio, il dato tendenziale corretto è ancora il più basso mai toccato nelle serie storiche dell'Istat (dal 1990, con il primo dato annuo a gennaio 1991).
E il prossimo mese, secondo le previsioni di Confindustria, non andrà meglio: il Centro Studi per aprile stima una flessione del 23,1%, in linea con il trend di marzo 2008 (-23,8%). Su base mensile, in aprile, Confindustria calcola un rimbalzo della produzione industriale dell'1,5% su marzo. I dati grezzi indicano una variazione ad aprile del 23,2% su base annua.
Sebbene gli ultimi dati sull'economia reale non segnalino nulla di positivo la speranza di aver finalmente oltrepassato la fase di maggiore sofferenza non si è spenta. Una serie di indicatori economici ha mostrato un miglioramento nelle ultime settimane e ha fatto evocare una ripresa che potrebbe partire dagli Stati Uniti, l'epicentro di questa crisi.
Gli ultimi dati del dipartimento del lavoro statunitense hanno rivelato una perdita di posti di lavoro nel mese di Aprile, pari alle 539000 unità, contro un calo di 663000 del mese di Marzo. Un diagramma contenuto nel rapporto dell'ADP di Aprile, che riporta il dato della disoccupazione USA depurato dal settore agricolo (e di altri settori minori come quello delle organizzazioni no profit e dei generici dipendenti governativi) mostra graficamente ed in maniera più chiara questa inversione di tendenza:
Una perdita di 491000 posti di lavoro ad Aprile contro 741000 del mese precedente secondo i dati dell'ADP, o se si preferisce usare quelli complessivi del BLS di 539000 contro 663000, rappresenta un segnale positivo che è stato accolto con un certo ottimismo. Sebbene la disoccupazione abbia continuato ad aumentare arrivando a toccare l'8,9% ad Aprile, contro l'8,5% di Marzo, il tasso di questo peggioramento mostra un evidente rallentamento, le cui cause vengono individuate da molti in un miglioramento generale dell'economia.
Altri dati vanno nella stessa direzione. Ad esempio quello sui nuovi ordinativi di beni durevoli, calati negli USA dello 0,8% a Marzo, una contrazione inferiore alle aspettative del mercato, secondo le statistiche del dipartimento al Commercio. Anche l'indice di fiducia dei consumatori americani corrobora le dichiarazioni ottimiste di politici e banchieri centrali. Secondo il Conference Board degli Stati Uniti, l'indice è salito ad Aprile a 39,2 punti, 12,3 punti in più rispetto ai 26,9 toccati a Marzo. Gli analisti si aspettavano che si assestasse a 29 punti.
E l'elenco di dati che rivelano un miglioramento generale potrebbe continuare ancora a lungo.
Ciò detto, l'euforia che trapela dalle dichiarazioni dall'establishment economico e politico mondiale mi sembra eccessiva oltre che prematura.
Per quel che riguarda il rialzo dei listini, a partire da quelli USA, nulla mi toglie dalla testa che ci troviamo di fronte ad un classico "sucker rally". Un rialzo temporaneo all'interno di un andamento generale al ribasso, rialzo che di solito attira una frotta di investitori, richiamati dalla prospettiva di facili guadagni i quali generalmente finiscono con l'incassare pesanti perdite non appena il rally si esaurisce.
Le voci che parlano di "sucker rally" sono poche, ma risaltano con forza tra il coro di analisti che grida: "comprate il peggio è passato!" (la CNBC USA è il perfetto esempio di questo atteggiamento). Due che considero tra le più autorevoli sono quella di David Rosenberg e di Ambrose Evans-Pritchard.
Anche Tyler Durden, pseudonimo del gruppo di individui che gestisce il blog zerohedge, ha più volte messo in guardia sulla situazione dei mercati. Qualche giorno fa ha descritto, su seekingalpha, un anomalia che riguarda la borsa Newyorkese. Tyler ha riportato due grafici sul volume del NYSE (New York Stock Exchange) e li ha confrontati: il primo riguarda quel periodo del 2003 che vide l'inizio della scorsa ripresa economica, il secondo il recente rally:
Altri dati vanno nella stessa direzione. Ad esempio quello sui nuovi ordinativi di beni durevoli, calati negli USA dello 0,8% a Marzo, una contrazione inferiore alle aspettative del mercato, secondo le statistiche del dipartimento al Commercio. Anche l'indice di fiducia dei consumatori americani corrobora le dichiarazioni ottimiste di politici e banchieri centrali. Secondo il Conference Board degli Stati Uniti, l'indice è salito ad Aprile a 39,2 punti, 12,3 punti in più rispetto ai 26,9 toccati a Marzo. Gli analisti si aspettavano che si assestasse a 29 punti.
E l'elenco di dati che rivelano un miglioramento generale potrebbe continuare ancora a lungo.
Ciò detto, l'euforia che trapela dalle dichiarazioni dall'establishment economico e politico mondiale mi sembra eccessiva oltre che prematura.
Per quel che riguarda il rialzo dei listini, a partire da quelli USA, nulla mi toglie dalla testa che ci troviamo di fronte ad un classico "sucker rally". Un rialzo temporaneo all'interno di un andamento generale al ribasso, rialzo che di solito attira una frotta di investitori, richiamati dalla prospettiva di facili guadagni i quali generalmente finiscono con l'incassare pesanti perdite non appena il rally si esaurisce.
Le voci che parlano di "sucker rally" sono poche, ma risaltano con forza tra il coro di analisti che grida: "comprate il peggio è passato!" (la CNBC USA è il perfetto esempio di questo atteggiamento). Due che considero tra le più autorevoli sono quella di David Rosenberg e di Ambrose Evans-Pritchard.
Anche Tyler Durden, pseudonimo del gruppo di individui che gestisce il blog zerohedge, ha più volte messo in guardia sulla situazione dei mercati. Qualche giorno fa ha descritto, su seekingalpha, un anomalia che riguarda la borsa Newyorkese. Tyler ha riportato due grafici sul volume del NYSE (New York Stock Exchange) e li ha confrontati: il primo riguarda quel periodo del 2003 che vide l'inizio della scorsa ripresa economica, il secondo il recente rally:
La linea nera, che indica gli alti ed i bassi dell'indice, ha nel primo grafico un andamento fortemente fluttuante, segno di una vivace attività di acquisti e di vendite. Nel secondo grafico invece, siamo di fronte ad una linea che dal 9 Marzo in avanti è pressoché piatta.
Una delle spiegazioni più popolari (anche se non certo mainstream) che si tende a fornire per questo strano andamento è molto semplice: il mercato sarebbe "manipolato".
Pochi grandi soggetti starebbero sostenendo in maniera coordinata il mercato facendo salire le borse. L'impulso lo avrebbero dato i risultati positivi (almeno sulla carta) del comparto finanziario e delle grandi banche, sull'onda della modifica delle regole di "mark to market" e grazie ai vari "aggiustamenti" dei bilanci. Il rialzo delle borse avrebbe scatenato un gigantesco "short squeeze" distruggendo tutti quelli che ancora avevano delle posizioni al ribasso, obbligandoli ad acquistare i titoli necessari a coprire le suddette posizioni (è il caso di Mike Morgan ad esempio, che ha gettato la spugna rinunciando ad operare in borsa per conto terzi accusando il mercato di essersi trasformato da irrazionale a "criminale").
Ricostruzione che si sposa bene con alcuni dati che Pritchard fornisce. I titoli su cui erano aperte le più numerose posizioni short (al ribasso) hanno avuto un rialzo del 70%. Quelli ritenuti maggiormente solidi invece sono saliti solo del 21%. Teun Draaisma della Morgan Stanley, definito guru per quel che riguardo il mercato azionario, si dice convinto che il rialzo degli ultimi mesi sia destinato a terminare presto, facendo notare che nessuno degli indicatori che utilizza per individuare i trend futuri sia tornato in territorio positivo.
Un altro segnale che dovrebbe suscitare diffidenza è l'eccessiva euforia degli analisti. Secondo il Barron's Big Money Poll, un sondaggio condotto due volte l'anno in primavera ed autunno, il 59% dei gestori di investimento intervistati sono "bullish" cioè vede un rialzo futuro del mercato, mentre solo il 13% di essi ha una visione pessimista. Draaisma fa notare come il crollo del mercato immobiliare USA abbia storicamente impiegato 42 mesi per completare il proprio declino, mentre attualmente siamo solo a 26 mesi dall'inizio della crisi del settore.
Anche i fondamentali economici rimangono pessimi. Sebbene vi siano timidi segnali di miglioramento i dati non vanno fraintesi. Un aumento degli ordinativi era prevedibile una volta che buona parte degli inventari delle aziende fosse stato smaltito come è effettivamente avvenuto nei primi mesi di quest'anno. Non ci troviamo necessariamente di fronte ad un significativo segnale di ripresa. Anche se la contrazione di un indicatore economico del 20% (ad esempio) è senz'altro meglio rispetto ad una discesa del 30%, sempre di un calo stiamo parlando. Il tasso di disoccupazione è in aumento da 16 mesi consecutivi, il PIL degli Stati Uniti è sceso del 6,1% nel primo quarto contro il 6,3% del quarto precedente, superando di gran lunga le aspettative degli analisti che prevedevano un -4,7%. Senza una reale ripresa del PIL è difficile immaginare un vera e sostenibile ripresa dei mercati o per dirla con le parole di Rosenberg:
Russell Napier, uno storico esperto dei mercati "bear" ed autore del libro "Anatomy of the Bear", dice su ftalphaville che l'attuale fase di stabilizzazione probabilmente durerà per un paio di anni, dato che il pericolo di deflazione sembra essere ormai scongiurato, ma avverte che il fondo non è ancora stato toccato. Esso verrà raggiunto quando i rendimenti sui buoni del tesoro a 10 anni arriveranno a toccare il 6% valore a cui storicamente tende a collassare il mercato azionario.
Non sono d'accordo con l'analisi delle tempistiche di Napier, ma su una cosa ha perfettamente ragione. Il rendimento dei buoni del tesoro USA e la dinamica degli acquisti diretti eseguiti dalla FED, contrapposti a quelli effettuati dai compratori storici come la Cina, è un fattore da seguire con attenzione. Un 6% di rendimento sarebbe come gridare a pieni polmoni "dislocazione". La banca centrale cinese nel suo ultimo rapporto trimestrale si è lamentata per il rischio di inflazione globale che le coordinate operazioni di "quantitative easing" da parte delle maggiori banche centrali potrebbero scatenare. La preoccupazione dei cinesi è di vedere una progressiva erosione del valore delle proprie riserve. Un vecchio tormentone ormai. Il premier cinese si era già pubblicamente lamentato in Marzo a questo riguardo.
Sono pochi a ritenere che i cinesi possano cominciare a vendere assets denominati in dollari. Quello che preoccupa realmente è il tenore dei futuri acquisti di buoni del tesoro. Ogni mese la Cina accumula 40 miliardi di dollari che in qualche maniera deve essere investita. La strategia del paese asiatico sembra essersi modificata negli ultimi mesi. La Cina si è lanciata con veemenza nell'acquisto dei diritti di accesso ad alcune materie prime: petrolio, metalli, acqua.
Inoltre sul fronte interno, la Cina sta cercando di sostenere in ogni modo la propria crescita economica.
Negli ultimi tempi il comparto manifatturiero cinese si è leggermente ripreso. Gli ultimi dati sul PIL evidenziano un aumento del 6,1% per il primo trimestre dell'anno se paragonato allo stesso trimestre dell'anno precedente. Un dato che sarebbe di per se preoccupate per una nazione che ha sempre dichiarato di necessitare di un 8% almeno di crescita - per assorbire l'offerta di manodopera proveniente dalle campagne e il flusso di neo laureati - seppure non drammatico. Purtroppo la maggior parte degli economisti arriva ad ammettere che circa il 4% di quel dato sia dovuto agli interventi di stimolo economico operati dal governo e che un altro 2-3% sia pressoché inesistente, un esagerazione nata dal desiderio dei burocrati statali di soddisfare le aspettative del governo centrale.
In sostanza, senza considerare gli interventi statali, la crescita cinese sarebbe praticamente azzerata. Interventi che in gran parte si sono materializzati sotto forma di credito alle imprese e di dictat emanati dal governo per impedire alle aziende di licenziare la manodopera in eccesso. Inizialmente la cifra che lo stato cinese promise di estendere alle aziende mediante il sistema bancario (sotto forma di credito) doveva essere per l'anno in corso di 732 miliardi di dollari. Solo nei primi tre mesi di quest'anno le 3 principali banche cinesi hanno concesso prestiti per un ammontare di 670 miliardi di dollari, gran parte dei quali sono stati elargiti a grosse aziende statali, nell'ambito dell'annunciato intervento di stimolo economico di 586 miliardi di dollari.
Resterebbero quindi, meno di 100 miliardi di dollari ancora da concedere. Fatto che ha generato profonda inquietudine tra gli analisti. La recente tenuta dell'economia cinese è in gran parte da attribuire a questa inondazione di credito. Se essa dovesse arrestarsi le conseguenze potrebbero essere profondamente antipatiche. Lo stato cinese è dovuto correre ai ripari ed ha recentemente annunciato l'intenzione di espandere ulteriormente la disponibilità di credito per l'anno in corso. Si dice che il nuovo obiettivo oscilli tra 1,1 e 1,3 trilioni di dollari.
La Cina quindi, come gran parte del pianeta, continua a seguire la politica del prender tempo, sostenendo la domanda aggregata sul fronte interno grazie ad interventi statali ed estendendo credito ad aziende e privati tramite le sue banche, nella speranza che quanto prima l'economia mondiale riparta salvando tutti quanti.
Se ciò non dovesse verificarsi il rischio per le banche cinesi schizzerebbe alle stelle. I prestiti fatti ad aziende non profittevoli, incapaci di licenziare e razionalizzare le proprie operazioni sono prestiti a rischio. Nel caso una significativa quantità di essi non venisse restituita le perdite andrebbero a gravare sulle spalle di uno stato che si ritroverebbe ad aver già impiegato buona parte delle sue risorse. Quante ne avanzerebbero per sostenere gli USA tramite l'acquisto di nuovi buoni del tesoro, resterebbe da vedere.
Gli ultimi dati disponibili sulle vendite di buoni USA, hanno rivelato una significativa perdita di appetito da parte del paese orientale.
Questo fatto sta facendo aumentare la pressione su Bernanke e sulla banca centrale USA costringendo quest'ultima ad aumentare i propri acquisti di buoni del tesoro nel tentativo di contenerne i rendimenti. Nonostante le operazioni di "quantitative easing" portate avanti dalla FED, i rendimenti dei buoni a 10 anni sono saliti di 55 punti dal 15 Aprile (il massimo negli ultimi 6 mesi) sfondando la resistenza al 3%.
Per finire, continuano ad incombere sull'economia i problemi legati al comparto bancario.
Lo stress test a cui sono stati sottoposti i 19 maggiori istituti americani sotto indicazioni del tesoro USA, si è rivelato l'ennesima farsa. Molte delle condizioni economiche considerate nel caso dello scenario più sfavorevole, sono già state superate dalla realtà. Inoltre quando mai si è sentito dire che il risultato di un test decisivo come questo, sia stato oggetto di "contrattazione" con i soggetti sottoposti al test stesso?
D'altro canto, la situazione delle banche Europee, secondo l'FMI sarebbe perfino peggiore rispetto a quella delle loro colleghe americane. Il Fondo stima che le banche dell'area Euro dovranno registrare da qui alla fine del 2010, 750 miliardi di dollari di perdite sugli assets tossici in loro possesso, contro i 550 miliardi di perdite stimati per le banche statunitensi.
Guardandomi intorno insomma, non mi pare che alcun governo abbia, fino ad ora, adottato qualche efficace soluzione che vada realmente ad incidere su quei problemi che sono alla base della crisi economica attuale. Pritchard afferma con gioia, che il taglio globale del tasso di interesse a zero e l'adozione del quantitative easing da parte delle principali banche centrali del pianeta (ha da poco iniziato anche la BCE) ci salverà dal disastro.
Spero che abbia ragione.
La mia impressione purtroppo, è che una serie di politici, economisti e banchieri stia compiendo in maniera coordinata un enorme sforzo volto a dipingere uno scenario da favola, per convincerci dell'effettiva esistenza di un mondo che è un semplice parto della loro fantasia, un luogo in cui la ripresa economica ci aspetta amichevolmente dietro l'angolo con le braccia spalancate. Un illusione che potrà durare poco, lo spazio di una vacanza, prima che Tatoo venga gentilmente a riportarci alla realtà.
Una delle spiegazioni più popolari (anche se non certo mainstream) che si tende a fornire per questo strano andamento è molto semplice: il mercato sarebbe "manipolato".
Pochi grandi soggetti starebbero sostenendo in maniera coordinata il mercato facendo salire le borse. L'impulso lo avrebbero dato i risultati positivi (almeno sulla carta) del comparto finanziario e delle grandi banche, sull'onda della modifica delle regole di "mark to market" e grazie ai vari "aggiustamenti" dei bilanci. Il rialzo delle borse avrebbe scatenato un gigantesco "short squeeze" distruggendo tutti quelli che ancora avevano delle posizioni al ribasso, obbligandoli ad acquistare i titoli necessari a coprire le suddette posizioni (è il caso di Mike Morgan ad esempio, che ha gettato la spugna rinunciando ad operare in borsa per conto terzi accusando il mercato di essersi trasformato da irrazionale a "criminale").
Ricostruzione che si sposa bene con alcuni dati che Pritchard fornisce. I titoli su cui erano aperte le più numerose posizioni short (al ribasso) hanno avuto un rialzo del 70%. Quelli ritenuti maggiormente solidi invece sono saliti solo del 21%. Teun Draaisma della Morgan Stanley, definito guru per quel che riguardo il mercato azionario, si dice convinto che il rialzo degli ultimi mesi sia destinato a terminare presto, facendo notare che nessuno degli indicatori che utilizza per individuare i trend futuri sia tornato in territorio positivo.
Un altro segnale che dovrebbe suscitare diffidenza è l'eccessiva euforia degli analisti. Secondo il Barron's Big Money Poll, un sondaggio condotto due volte l'anno in primavera ed autunno, il 59% dei gestori di investimento intervistati sono "bullish" cioè vede un rialzo futuro del mercato, mentre solo il 13% di essi ha una visione pessimista. Draaisma fa notare come il crollo del mercato immobiliare USA abbia storicamente impiegato 42 mesi per completare il proprio declino, mentre attualmente siamo solo a 26 mesi dall'inizio della crisi del settore.
Anche i fondamentali economici rimangono pessimi. Sebbene vi siano timidi segnali di miglioramento i dati non vanno fraintesi. Un aumento degli ordinativi era prevedibile una volta che buona parte degli inventari delle aziende fosse stato smaltito come è effettivamente avvenuto nei primi mesi di quest'anno. Non ci troviamo necessariamente di fronte ad un significativo segnale di ripresa. Anche se la contrazione di un indicatore economico del 20% (ad esempio) è senz'altro meglio rispetto ad una discesa del 30%, sempre di un calo stiamo parlando. Il tasso di disoccupazione è in aumento da 16 mesi consecutivi, il PIL degli Stati Uniti è sceso del 6,1% nel primo quarto contro il 6,3% del quarto precedente, superando di gran lunga le aspettative degli analisti che prevedevano un -4,7%. Senza una reale ripresa del PIL è difficile immaginare un vera e sostenibile ripresa dei mercati o per dirla con le parole di Rosenberg:
Pensiamo sia ironico che vi sia una pluralità di portfolio managers così "bullish" quando la loro previsione collettiva di crescita, pari al 2%, rappresenterebbe la seconda più debole ripresa mai registrata, metà della quale è tipica di un auto-sostenuto bull market e ben al di sotto del tasso di crescita medio storicamente registrato, pari a circa il 3%.Se come tutto fa presagire, i recenti rialzi di borsa configurano un "sucker rally" i listini nel prossimo futuro subiranno un calo che potrebbe trasformarsi in tracollo dato il contenuto volume degli scambi. Quando un evento del genere possa verificarsi è difficile da dire. Se dovessi buttarmi annusando l'aria (e dico annusando l'aria, perché con tutta la buona volontà in un mercato come quello attuale l'analisi tecnica dei mercati e dei fondamentali può fornire indicazioni fino ad un certo punto) direi a breve, probabilmente verso luglio-agosto, quando la soglia di attenzione della gente tende ad abbassarsi.
Russell Napier, uno storico esperto dei mercati "bear" ed autore del libro "Anatomy of the Bear", dice su ftalphaville che l'attuale fase di stabilizzazione probabilmente durerà per un paio di anni, dato che il pericolo di deflazione sembra essere ormai scongiurato, ma avverte che il fondo non è ancora stato toccato. Esso verrà raggiunto quando i rendimenti sui buoni del tesoro a 10 anni arriveranno a toccare il 6% valore a cui storicamente tende a collassare il mercato azionario.
Non sono d'accordo con l'analisi delle tempistiche di Napier, ma su una cosa ha perfettamente ragione. Il rendimento dei buoni del tesoro USA e la dinamica degli acquisti diretti eseguiti dalla FED, contrapposti a quelli effettuati dai compratori storici come la Cina, è un fattore da seguire con attenzione. Un 6% di rendimento sarebbe come gridare a pieni polmoni "dislocazione". La banca centrale cinese nel suo ultimo rapporto trimestrale si è lamentata per il rischio di inflazione globale che le coordinate operazioni di "quantitative easing" da parte delle maggiori banche centrali potrebbero scatenare. La preoccupazione dei cinesi è di vedere una progressiva erosione del valore delle proprie riserve. Un vecchio tormentone ormai. Il premier cinese si era già pubblicamente lamentato in Marzo a questo riguardo.
Sono pochi a ritenere che i cinesi possano cominciare a vendere assets denominati in dollari. Quello che preoccupa realmente è il tenore dei futuri acquisti di buoni del tesoro. Ogni mese la Cina accumula 40 miliardi di dollari che in qualche maniera deve essere investita. La strategia del paese asiatico sembra essersi modificata negli ultimi mesi. La Cina si è lanciata con veemenza nell'acquisto dei diritti di accesso ad alcune materie prime: petrolio, metalli, acqua.
Inoltre sul fronte interno, la Cina sta cercando di sostenere in ogni modo la propria crescita economica.
Negli ultimi tempi il comparto manifatturiero cinese si è leggermente ripreso. Gli ultimi dati sul PIL evidenziano un aumento del 6,1% per il primo trimestre dell'anno se paragonato allo stesso trimestre dell'anno precedente. Un dato che sarebbe di per se preoccupate per una nazione che ha sempre dichiarato di necessitare di un 8% almeno di crescita - per assorbire l'offerta di manodopera proveniente dalle campagne e il flusso di neo laureati - seppure non drammatico. Purtroppo la maggior parte degli economisti arriva ad ammettere che circa il 4% di quel dato sia dovuto agli interventi di stimolo economico operati dal governo e che un altro 2-3% sia pressoché inesistente, un esagerazione nata dal desiderio dei burocrati statali di soddisfare le aspettative del governo centrale.
In sostanza, senza considerare gli interventi statali, la crescita cinese sarebbe praticamente azzerata. Interventi che in gran parte si sono materializzati sotto forma di credito alle imprese e di dictat emanati dal governo per impedire alle aziende di licenziare la manodopera in eccesso. Inizialmente la cifra che lo stato cinese promise di estendere alle aziende mediante il sistema bancario (sotto forma di credito) doveva essere per l'anno in corso di 732 miliardi di dollari. Solo nei primi tre mesi di quest'anno le 3 principali banche cinesi hanno concesso prestiti per un ammontare di 670 miliardi di dollari, gran parte dei quali sono stati elargiti a grosse aziende statali, nell'ambito dell'annunciato intervento di stimolo economico di 586 miliardi di dollari.
Resterebbero quindi, meno di 100 miliardi di dollari ancora da concedere. Fatto che ha generato profonda inquietudine tra gli analisti. La recente tenuta dell'economia cinese è in gran parte da attribuire a questa inondazione di credito. Se essa dovesse arrestarsi le conseguenze potrebbero essere profondamente antipatiche. Lo stato cinese è dovuto correre ai ripari ed ha recentemente annunciato l'intenzione di espandere ulteriormente la disponibilità di credito per l'anno in corso. Si dice che il nuovo obiettivo oscilli tra 1,1 e 1,3 trilioni di dollari.
La Cina quindi, come gran parte del pianeta, continua a seguire la politica del prender tempo, sostenendo la domanda aggregata sul fronte interno grazie ad interventi statali ed estendendo credito ad aziende e privati tramite le sue banche, nella speranza che quanto prima l'economia mondiale riparta salvando tutti quanti.
Se ciò non dovesse verificarsi il rischio per le banche cinesi schizzerebbe alle stelle. I prestiti fatti ad aziende non profittevoli, incapaci di licenziare e razionalizzare le proprie operazioni sono prestiti a rischio. Nel caso una significativa quantità di essi non venisse restituita le perdite andrebbero a gravare sulle spalle di uno stato che si ritroverebbe ad aver già impiegato buona parte delle sue risorse. Quante ne avanzerebbero per sostenere gli USA tramite l'acquisto di nuovi buoni del tesoro, resterebbe da vedere.
Gli ultimi dati disponibili sulle vendite di buoni USA, hanno rivelato una significativa perdita di appetito da parte del paese orientale.
Questo fatto sta facendo aumentare la pressione su Bernanke e sulla banca centrale USA costringendo quest'ultima ad aumentare i propri acquisti di buoni del tesoro nel tentativo di contenerne i rendimenti. Nonostante le operazioni di "quantitative easing" portate avanti dalla FED, i rendimenti dei buoni a 10 anni sono saliti di 55 punti dal 15 Aprile (il massimo negli ultimi 6 mesi) sfondando la resistenza al 3%.
Per finire, continuano ad incombere sull'economia i problemi legati al comparto bancario.
Lo stress test a cui sono stati sottoposti i 19 maggiori istituti americani sotto indicazioni del tesoro USA, si è rivelato l'ennesima farsa. Molte delle condizioni economiche considerate nel caso dello scenario più sfavorevole, sono già state superate dalla realtà. Inoltre quando mai si è sentito dire che il risultato di un test decisivo come questo, sia stato oggetto di "contrattazione" con i soggetti sottoposti al test stesso?
D'altro canto, la situazione delle banche Europee, secondo l'FMI sarebbe perfino peggiore rispetto a quella delle loro colleghe americane. Il Fondo stima che le banche dell'area Euro dovranno registrare da qui alla fine del 2010, 750 miliardi di dollari di perdite sugli assets tossici in loro possesso, contro i 550 miliardi di perdite stimati per le banche statunitensi.
Guardandomi intorno insomma, non mi pare che alcun governo abbia, fino ad ora, adottato qualche efficace soluzione che vada realmente ad incidere su quei problemi che sono alla base della crisi economica attuale. Pritchard afferma con gioia, che il taglio globale del tasso di interesse a zero e l'adozione del quantitative easing da parte delle principali banche centrali del pianeta (ha da poco iniziato anche la BCE) ci salverà dal disastro.
Spero che abbia ragione.
La mia impressione purtroppo, è che una serie di politici, economisti e banchieri stia compiendo in maniera coordinata un enorme sforzo volto a dipingere uno scenario da favola, per convincerci dell'effettiva esistenza di un mondo che è un semplice parto della loro fantasia, un luogo in cui la ripresa economica ci aspetta amichevolmente dietro l'angolo con le braccia spalancate. Un illusione che potrà durare poco, lo spazio di una vacanza, prima che Tatoo venga gentilmente a riportarci alla realtà.
4 commenti:
E' sempre bellissimo leggerti!
Ti mando un dato: Nel mese di Aprile i consumi di energia elettrica in Cina sono calati del 3,5% rispetto allo stesso mese del 2008. La riduzione del consumo di corrente ad aprile fa seguito a quella del primo trimestre, in discesa del 4% sullo stesso periodo nel 2008. La debolezza nei consumi elettrici crea un piccolo giallo, perché è in contraddizione con l’ottimismo ufficiale. Questi dati sembrano contraddire la diffusa convinzione che la Cina abbia superato il peggio e che la sua ripresa economica sia ormai avviata.
Se cala il consumo di elettricita' cala anche la produzione industriale....
Ciao!
Umberto
grazie per il tempo che dedichi ad aggiornarci.
il tuo modo di scrivere è avvincente come un romanzo d'avventura.
se il valore del denaro, sta solo nella credenza comune che abbia effettivamente un valore, anche il valore di ciò che rappresenta la ricchezza, sta solo nella credenza che li vi sia un valore intrinseco.
mentre invece, tale valore è dato solo dalla contesa legata alla desiderabilità.
penso che la più grossa rivoluzione causata da questa crisi, sia proprio in una forte caduta di desiderabilità di tutto quanto prima veniva fortemente agognato.
un po per moda, un po per riduzione di disponibilità, si desidera meno, si rimanda di più, si riscoprono valori meno legati al prezzo.
il mondo non sarà più lo stesso, pertanto anche il percorso verso questo "nuovo mondo" seguirà una traccia sinora sconosciuta.
deflazione scongiurata....
nn sono daccordo.
se tutto dipende dai consumi americani..
nn vedo come possano aumentare con l'indebitamento ke si ritrovano, adesso con l'aggiunta del debito statale... e con meno possibilità di credito
@umberto:
dove si trovano i dati sui consumi di energia da cui traevi quello della cina??
quel che dici mi sembra sintomatico: in cina da sempre le stime sui pil sono più alte del reale, ed è noto a tutti, il dato "elettrico" disvela bene la cosa.
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