Il 2008 è finalmente terminato, lasciandosi alle spalle un cumulo di macerie finanziarie ed un numero crescente di cadaveri: diversi illustri personaggi non sopportando il peso del proprio fallimento economico, hanno scelto di farla finita togliendosi la vita (l'ultimo caso è quello dell'ex miliardario tedesco Adolf Merckle ).
Come ogni inizio d'anno due cose sono d'obbligo: i buoni propositi e le previsioni per l'anno appena cominciato.
Nel 2009 mi riprometto, oltre che cercare di arrivare vivo al 2010, di aggiornare il blog con maggiore regolarità. Negli ultimi tempi ho avuto difficoltà a farlo e sebbene sia per me irrealistico arrivare a scrivere un articolo al giorno, 3 alla settimana sono perfettamente alla mia portata.
Per quel che riguarda le previsioni invece, questo sarà ricordato come l'anno del terrore.
Il 2007 è stato l'anno della negazione. Quelli come me, che hanno assistito con orrore per anni alla scientifica costruzione della crisi attuale, quando nell'estate del 2007 videro i due fondi della Bear Sterns fallire e le banche che avevano prestato loro miliardi, dibattersi impotenti, non riuscendo a rivendere i cdo ricevuti come garanzia, capirono immediatamente che era finita. Il giocattolo attorno al quale l'economia di mezzo mondo aveva girato per 4 anni diventandone irreparabilmente dipendente, si era rotto.
I banchieri centrali e gli economisti mainstream impiegarono diverso tempo prima di rendersi pienamente conto di quanto fosse grave la situazione. Abbiamo passato mesi a sentire Bernanke, Paulson ed amici, ripetere frasi come: "non preoccupatevi, i problemi sono contenuti" , "la crisi dei subprime non infetterà il resto dell'economia". Peccato che la crisi non riguardasse semplicemente i subprime, ma coinvolgesse l'intero spettro della finanza. I subprime erano solo l'anello più debole e pertanto furono i primi a cedere. Tutto il resto seguì a breve distanza.
Il 2008 è stato l'anno del riconoscimento.
Un periodo durante il quale, perfino gli economisti più ottusamente ottimisti hanno dovuto rassegnarsi, riconoscere che una crisi esisteva e che essa coinvolgeva l'intera economia. Ad inizio 2008 gli analisti ancora vaneggiavano di una probabile ripresa del mercato nella seconda metà dell'anno. Poi arrivò il fallimento della Bear Sterns a smorzare gli entusiasmi e la nazionalizzazione della Fannie Mae e della Freddie Mac a gelare le aspettative. Il colpo di grazia fu inferto dal fallimento della Lehman. Il 10 Ottobre scorso ci ritrovammo letteralmente a qualche giorno di distanza dal collasso dell'intero sistema finanziario internazionale.
Il terrore avvolse i mercati. I banchieri centrali ed i governi intervennero arrivando progressivamente a farsi garanti dell'intero sistema finanziario. Gli stenti delle borse però, dovevano ancora riversarsi sull'economia reale. Il travaso è cominciato da appena qualche mese, ma già la paura si sta facendo strada mentre i settori industriale, quello pubblico e dei servizi entrano in sofferenza.
Il 2009 sarà l'anno del terrore.
Il pieno impatto della crisi colpirà l'economia reale. Le grandi aziende ridurranno drasticamente gli investimenti e licenzieranno personale, mentre un gran numero di piccole e medie aziende falliranno seguite a ruota dai grandi magazzini e dalle catene di distribuzione. Quella che per ora può essere classificata come una sensazione di paura serpeggiante si trasformerà in un ondata di puro terrore che avvolgerà gran parte della popolazione. Anche i soliti analisti che sperano in un accenno di ripresa nella seconda metà dell'anno (tanto per cambiare) dovranno arrendersi all'evidenza e rassegnarsi di fronte ad un fondo che sembrerà non arrivare mai.
Il 2010 con tutta probabilità sarà l'anno della rabbia.
Una rabbia partorita dal terrore e dalla sensazione di impotenza che dilagherà quest'anno. A seconda di come gli stati decideranno di gestire questa rabbia e la frustrazione della popolazione, il finale del 2010 potrà alternativamente offrire uno spiraglio di speranza o un biglietto di sola andata per un caos le cui ultime conseguenze, al momento, sono difficilmente prevedibili.
Non è il caso però, di spingersi troppo in là con la sfera di cristallo. Per ora mi limiterò a illustrare cosa potrebbe riservare il 2009 ai principali attori della scena economica internazionale, cominciando dal protagonista indiscusso.
Stati Uniti
Obama ha pre annunciato spese folli per il 2009. Il piano di intervento economico che il neo presidente varerà a breve è di puro stampo Keynesiano: prevede ingenti spese in infrastrutture, investimenti per lo sviluppo delle energie rinnovabili, aiuti economici ai singoli stati, sgravi fiscali di 500 dollari ad individuo e di 1000 dollari per famiglia. Il tutto per il modico importo di 775 miliardi di dollari, con l'esplicita speranza da parte della nuova amministrazione di arrivare a creare 3 milioni di posti di lavoro.
Nessuno sembra mettere in discussione la correttezza di questa linea di azione. Se la gente non è più in grado di indebitarsi per tenere in piedi la baracca che lo faccia lo stato, dicono gli economisti. Quasi tutti almeno. Uno dei pochi economisti mainstream che ha criticato apertamente la strategia di Obama è Willem Buiter. Ex membro della banca centrale inglese, attualmente docente alla London School of Economics, Buiter in un recente articolo ha detto che gli Stati Uniti non si possono più permettere certe spese e che dovrebbero andarci piano con i pacchetti di stimolo finanziati a suon di debito.
Buiter prevede che il deficit USA nel 2009 e nel 2010 si avvicinerà ai 2 trilioni di dollari (l'anno) ed afferma che quella che può apparire come l'unica soluzione nel breve termine, potrebbe avere conseguenze terribili nel lungo termine. Con lungo intende un massimo di 5 anni, il limite di tempo entro il quale Buiter prevede che quegli stati che storicamente hanno sempre sostenuto l'America comprandone il debito, si daranno alla macchia scaricando asset denominati in dollari sul mercato.
Buiter descrive la linea di pensiero che sembra imperare dicendo:
I giapponesi più di dieci anni fa, percorsero la stessa strada che gli USA sembrano intenzionati ad imboccare, senza ricavarne particolari benefici. Il governo giapponese riempì il paese di cattedrali nel deserto, cementando il cementabile, mentre contemporaneamente la banca centrale abbassava il tasso di interesse a zero e si lanciava in misure di quantitative easing. Non servì a nulla. Il paese del Sol Levante si trovò impantanato in una deflazione decennale con l'aggravante di trasformarsi, nel giro di pochi anni, da uno degli stati creditori per eccellenza in uno degli stati con il più elevato rapporto debito/pil al mondo (quasi il 180%).
Un articolo del Wall Street Journal riassume per tappe gli infruttuosi tentativi giapponesi di rimettere in moto un economia dal motore rotto, durante tutti gli anni 90. Chiunque provasse a mostrare agli economisti mainstream il caso giapponese come dimostrazione della natura fallimentare di un certo tipo di interventi si sentirebbe rispondere: "I giapponesi non sono intervenuti tempestivamente e quando finalmente si sono decisi non lo hanno fatto in maniera sufficientemente massiccia". Non fu quindi la medicina ad essere sbagliata, bensì la dose somministrata. Un argomentazione che non mai trovato convincente.
Ciò che salvò il paese del Sol Levante da un destino ben peggiore fu l'alto tasso di risparmio dei suoi cittadini che permise a questi ultimi di continuare a mantenere un livello accettabile di consumi. Gli USA purtroppo, non hanno la stessa fortuna. I cittadini americani sono in mutande è si vedono costretti a limitare le proprie spese. L'emblema di questa situazione è rappresentato dal mercato dell'auto uno dei settori maggiormente colpiti dal calo dei consumi.
Il filmato qua sotto anche se non comprendete l'inglese, mostra brutalmente quanto sia aumentato l'invenduto nel settore automobilistico. Si parla di mercedes, bmw e toyota. Auto di fascia alta o tecnologicamente all'avanguardia.
Non potendo contare sui risparmi interni da parte dello stato o dei privati e neppure su una bilancia commerciale in attivo a chi si rivolgeranno gli USA alla ricerca di denaro?
Lo spiega Brad Setser in un recente articolo: gli Stati Uniti per finanziare i propri interventi dovranno rivolgersi alle banche centrali degli altri paesi, in particolare quella cinese, quella giapponese e quelle degli stati del golfo.
Vi chiederete dove sia la novità.
La novità sta nella conclusione a cui giunge Setser dopo aver analizzato l'andamento dei capitali in entrata ed in uscita dagli USA. Nel grafico sotto si può notare che essi hanno un andamento pressoché identico.
Come ogni inizio d'anno due cose sono d'obbligo: i buoni propositi e le previsioni per l'anno appena cominciato.
Nel 2009 mi riprometto, oltre che cercare di arrivare vivo al 2010, di aggiornare il blog con maggiore regolarità. Negli ultimi tempi ho avuto difficoltà a farlo e sebbene sia per me irrealistico arrivare a scrivere un articolo al giorno, 3 alla settimana sono perfettamente alla mia portata.
Per quel che riguarda le previsioni invece, questo sarà ricordato come l'anno del terrore.
Il 2007 è stato l'anno della negazione. Quelli come me, che hanno assistito con orrore per anni alla scientifica costruzione della crisi attuale, quando nell'estate del 2007 videro i due fondi della Bear Sterns fallire e le banche che avevano prestato loro miliardi, dibattersi impotenti, non riuscendo a rivendere i cdo ricevuti come garanzia, capirono immediatamente che era finita. Il giocattolo attorno al quale l'economia di mezzo mondo aveva girato per 4 anni diventandone irreparabilmente dipendente, si era rotto.
I banchieri centrali e gli economisti mainstream impiegarono diverso tempo prima di rendersi pienamente conto di quanto fosse grave la situazione. Abbiamo passato mesi a sentire Bernanke, Paulson ed amici, ripetere frasi come: "non preoccupatevi, i problemi sono contenuti" , "la crisi dei subprime non infetterà il resto dell'economia". Peccato che la crisi non riguardasse semplicemente i subprime, ma coinvolgesse l'intero spettro della finanza. I subprime erano solo l'anello più debole e pertanto furono i primi a cedere. Tutto il resto seguì a breve distanza.
Il 2008 è stato l'anno del riconoscimento.
Un periodo durante il quale, perfino gli economisti più ottusamente ottimisti hanno dovuto rassegnarsi, riconoscere che una crisi esisteva e che essa coinvolgeva l'intera economia. Ad inizio 2008 gli analisti ancora vaneggiavano di una probabile ripresa del mercato nella seconda metà dell'anno. Poi arrivò il fallimento della Bear Sterns a smorzare gli entusiasmi e la nazionalizzazione della Fannie Mae e della Freddie Mac a gelare le aspettative. Il colpo di grazia fu inferto dal fallimento della Lehman. Il 10 Ottobre scorso ci ritrovammo letteralmente a qualche giorno di distanza dal collasso dell'intero sistema finanziario internazionale.
Il terrore avvolse i mercati. I banchieri centrali ed i governi intervennero arrivando progressivamente a farsi garanti dell'intero sistema finanziario. Gli stenti delle borse però, dovevano ancora riversarsi sull'economia reale. Il travaso è cominciato da appena qualche mese, ma già la paura si sta facendo strada mentre i settori industriale, quello pubblico e dei servizi entrano in sofferenza.
Il 2009 sarà l'anno del terrore.
Il pieno impatto della crisi colpirà l'economia reale. Le grandi aziende ridurranno drasticamente gli investimenti e licenzieranno personale, mentre un gran numero di piccole e medie aziende falliranno seguite a ruota dai grandi magazzini e dalle catene di distribuzione. Quella che per ora può essere classificata come una sensazione di paura serpeggiante si trasformerà in un ondata di puro terrore che avvolgerà gran parte della popolazione. Anche i soliti analisti che sperano in un accenno di ripresa nella seconda metà dell'anno (tanto per cambiare) dovranno arrendersi all'evidenza e rassegnarsi di fronte ad un fondo che sembrerà non arrivare mai.
Il 2010 con tutta probabilità sarà l'anno della rabbia.
Una rabbia partorita dal terrore e dalla sensazione di impotenza che dilagherà quest'anno. A seconda di come gli stati decideranno di gestire questa rabbia e la frustrazione della popolazione, il finale del 2010 potrà alternativamente offrire uno spiraglio di speranza o un biglietto di sola andata per un caos le cui ultime conseguenze, al momento, sono difficilmente prevedibili.
Non è il caso però, di spingersi troppo in là con la sfera di cristallo. Per ora mi limiterò a illustrare cosa potrebbe riservare il 2009 ai principali attori della scena economica internazionale, cominciando dal protagonista indiscusso.
Stati Uniti
Obama ha pre annunciato spese folli per il 2009. Il piano di intervento economico che il neo presidente varerà a breve è di puro stampo Keynesiano: prevede ingenti spese in infrastrutture, investimenti per lo sviluppo delle energie rinnovabili, aiuti economici ai singoli stati, sgravi fiscali di 500 dollari ad individuo e di 1000 dollari per famiglia. Il tutto per il modico importo di 775 miliardi di dollari, con l'esplicita speranza da parte della nuova amministrazione di arrivare a creare 3 milioni di posti di lavoro.
Nessuno sembra mettere in discussione la correttezza di questa linea di azione. Se la gente non è più in grado di indebitarsi per tenere in piedi la baracca che lo faccia lo stato, dicono gli economisti. Quasi tutti almeno. Uno dei pochi economisti mainstream che ha criticato apertamente la strategia di Obama è Willem Buiter. Ex membro della banca centrale inglese, attualmente docente alla London School of Economics, Buiter in un recente articolo ha detto che gli Stati Uniti non si possono più permettere certe spese e che dovrebbero andarci piano con i pacchetti di stimolo finanziati a suon di debito.
Buiter prevede che il deficit USA nel 2009 e nel 2010 si avvicinerà ai 2 trilioni di dollari (l'anno) ed afferma che quella che può apparire come l'unica soluzione nel breve termine, potrebbe avere conseguenze terribili nel lungo termine. Con lungo intende un massimo di 5 anni, il limite di tempo entro il quale Buiter prevede che quegli stati che storicamente hanno sempre sostenuto l'America comprandone il debito, si daranno alla macchia scaricando asset denominati in dollari sul mercato.
Buiter descrive la linea di pensiero che sembra imperare dicendo:
Molti cattivi consigli riguardo la politica da adottare derivano dalla non comprensione dell'impatto a breve termine e lungo termine degli eventi e delle scelte politiche. Troppo spesso ho sentito varianti della seguente questa frase: "Il lungo termine è solo una sequenza di brevi termini, quindi se ci assicuriamo che le cose abbiano sempre senso nel breve termine, il lungo termine si occuperà da solo di se stesso". Questa fallacia, che io, ingiustamente, etichetterò come fallacia Keynesiana, combina tre errori.Buiter si lancia poi ad illustrare i tre errori in questione. Il primo dovrebbe essere ovvio. Non abbiamo nessuna prova che sistemando le cose a breve termine anche il lungo termine si sistemi. Anzi, è quasi dimostrabile il contrario (se per sistemare le cose a breve termine si intende: "indebitarsi fino alla radice dei capelli", nel lungo termine arriverà il momento in cui questo debito dovrà essere ripagato con gli interessi). Il secondo errore è l'incapacità dei modelli economici esistenti, a cui politici ed economisti si affidano, di prevedere con accuratezza le conseguenze future che gli interventi attuali potrebbero produrre. Il terzo problema nasce dal fatto che molti dei soggetti che operano ed investono sul mercato lo fanno in base a personali valutazioni sul futuro andamento del mercato stesso. Per essi il lungo termine è ora e chi ha il compito di decidere della politica economica di interi paesi dovrebbe tenerne conto.
I giapponesi più di dieci anni fa, percorsero la stessa strada che gli USA sembrano intenzionati ad imboccare, senza ricavarne particolari benefici. Il governo giapponese riempì il paese di cattedrali nel deserto, cementando il cementabile, mentre contemporaneamente la banca centrale abbassava il tasso di interesse a zero e si lanciava in misure di quantitative easing. Non servì a nulla. Il paese del Sol Levante si trovò impantanato in una deflazione decennale con l'aggravante di trasformarsi, nel giro di pochi anni, da uno degli stati creditori per eccellenza in uno degli stati con il più elevato rapporto debito/pil al mondo (quasi il 180%).
Un articolo del Wall Street Journal riassume per tappe gli infruttuosi tentativi giapponesi di rimettere in moto un economia dal motore rotto, durante tutti gli anni 90. Chiunque provasse a mostrare agli economisti mainstream il caso giapponese come dimostrazione della natura fallimentare di un certo tipo di interventi si sentirebbe rispondere: "I giapponesi non sono intervenuti tempestivamente e quando finalmente si sono decisi non lo hanno fatto in maniera sufficientemente massiccia". Non fu quindi la medicina ad essere sbagliata, bensì la dose somministrata. Un argomentazione che non mai trovato convincente.
Ciò che salvò il paese del Sol Levante da un destino ben peggiore fu l'alto tasso di risparmio dei suoi cittadini che permise a questi ultimi di continuare a mantenere un livello accettabile di consumi. Gli USA purtroppo, non hanno la stessa fortuna. I cittadini americani sono in mutande è si vedono costretti a limitare le proprie spese. L'emblema di questa situazione è rappresentato dal mercato dell'auto uno dei settori maggiormente colpiti dal calo dei consumi.
Il filmato qua sotto anche se non comprendete l'inglese, mostra brutalmente quanto sia aumentato l'invenduto nel settore automobilistico. Si parla di mercedes, bmw e toyota. Auto di fascia alta o tecnologicamente all'avanguardia.
Non potendo contare sui risparmi interni da parte dello stato o dei privati e neppure su una bilancia commerciale in attivo a chi si rivolgeranno gli USA alla ricerca di denaro?
Lo spiega Brad Setser in un recente articolo: gli Stati Uniti per finanziare i propri interventi dovranno rivolgersi alle banche centrali degli altri paesi, in particolare quella cinese, quella giapponese e quelle degli stati del golfo.
Vi chiederete dove sia la novità.
La novità sta nella conclusione a cui giunge Setser dopo aver analizzato l'andamento dei capitali in entrata ed in uscita dagli USA. Nel grafico sotto si può notare che essi hanno un andamento pressoché identico.
Dice Setser:
Setser conclude la sua analisi (che vi consiglio di leggere interamente) dicendo:
In sostanza il finanziamento che le banche centrali del mondo concedono agli USA acquistando buoni del tesoro non sarebbe semplicemente fondamentale. Sarebbe TUTTO.
Questo rende qualsiasi previsione sul futuro imprescindibilmente dipendente da considerazioni di natura politica. Fino a quando Cina, Giappone e stati del Golfo decideranno di continuare a sostenere gli Stati Uniti la baracca starà in piedi. Se anche uno dei maggiori finanziatori del deficit USA dovesse dileguarsi non esisterebbe nessun capitale privato in grado di prenderne il posto.
Giappone e stati del Golfo sono legati con il cordone ombelicale alle sorti degli Stati Uniti e difficilmente cambieranno la propria politica economica. Per la Cina si tratta invece di un matrimonio di puro interesse. Non appena le si dovesse presentare un occasione vantaggiosa per dileguarsi lo farà.
La Cina e gli Stati Uniti, sono i due paesi che reggono tra le mani il destino dell'intera economia mondiale.
Il titolo di un intervista a Gao Xiqing, un signore che gestisce 200 dei 2000 miliardi di dollari in mano al governo cinese sintetizza bene la posizione cinese: "Siate carini con i paesi che vi hanno prestato denaro". Gao racconta come i cittadini cinesi odino il fatto che il loro governo investa un enorme quantità di denaro in securities ed asset statunitensi invece di utilizzarlo internamente a beneficio della popolazione.
Dice Gao:
Sono sempre stato scettico sull'eventualità di una seconda Bretton Woods. A chi invoca un evento del genere mi sembra sfugga il contesto in cui gli accordi di Bretton Woods furono siglati. La seconda guerra mondiale stava terminando. L'Europa era un cumulo di macerie. La vecchia potenza imperiale, l'Inghilterra, pur non avendo perso la sua rilevanza non poteva vantare alcun primato e si ritrovava con una sfera di influenza ridotta all'osso. Gli Stati Uniti invece uscivano dal conflitto come la nuova super potenza, sia dal punto di vista militare che economico. Questo realtà non era in discussione e non era contrattabile, come dimostrò il fatto che tra i due piani presentati a Bretton Woods: quello inglese di Keynes teso ad avvantaggiare le nazioni debitrici e quello di Barry White che avvantaggiava principalmente gli USA, allora il maggiore creditore mondiale, venne "imposto" quest'ultimo.
Oggi è tutto più torbido e confuso. Gli USA non sono ancora ridotti così male da dovere accettare di scendere a patti sottoscrivendo pesanti concessioni, tra cui la più ovvia, sarebbe l'istituzione di un paniere di valute di riferimento mondiale, togliendo al dollaro la sua posizione di privilegio. Ne d'altra parte, la Cina può vantare quella posizione di impareggiabile potenza nella quale si ritrovarono gli USA nel 1944. Pur essendo essa il maggiore creditore mondiale, si trova a dipendere eccessivamente dalle esportazioni in un momento in cui la domanda mondiale di merci si sta azzerando.
Una seconda e credibile Bretton Woods si potrà verificare solo quando i maggiori paesi del mondo si ritroveranno con le spalle al muro o in seguito ad un evento traumatico (una guerra mondiale ad esempio). Ora è ancora presto.
Anche quest'anno, ritengo che la Cina continuerà a sostenere le spese degli USA acquistandone costantemente il debito. Contemporaneamente sperimenterà soluzioni alternative per sfuggire alla crisi, come la creazione di un area di scambio asiatico e cercherà diplomaticamente di contenere gli interventi economici di Obama (dato che non si traducono in maggiore domanda per merci cinesi).
Gli USA riusciranno quindi a finanziare il proprio deficit nel 2009. Il pacchetto di stimolo economico da quasi 800 miliardi di dollari non otterrà però i risultati sperati. L'economia Statunitense continuerà a deteriorarsi. Il mercato immobiliare commerciale crollerà replicando l'andamento tenuto nell'ultimo anno da quello residenziale. Anche la condizione di quest'ultimo continueranno ad aggravarsi, arriverà l'ondata di reset tra gli option arms (mutui esotici) portandone alle stelle le rate mensili.
I consumi non si riprenderanno. La gente aumenterà il proprio tasso di risparmio e continuerà a diminuire le spese. Anche quelli che potrebbero ottenere del credito dopo aver assistito alle conseguenze a cui può portare un eccessivo indebitamento saranno molto prudenti nelle loro scelte finanziarie. Continuerà quel processo di modifica generazionale nell'attitudine con cui la gente si avvicina al consumo/risparmio. Un cambiamento che rimarrà con noi a lungo. Le manovre della FED per iniettare liquidità nel sistema falliranno miseramente. Questo perché ancora una volta il problema non è di liquidità, ma di insolvenza. Insolvenza sia a livello di sistema finanziario sia a livello individuale, causata dal peso dell'indebitamento. La FED sta combattendo la battaglia sbagliata.
Assisteremo ad un aumento spaventoso dei default nel mercato dei corporate bond, pur offrendo dei rendimenti stellari pochissimi correranno il rischio di acquistarli. Delle tre grandi case automobilistiche americane ne rimarrà con tutta probabilità una sola. Il tasso di disoccupazione salirà fino a raggiungere la doppia cifra. Si moltiplicheranno le richieste per la creazione di barriere commerciali nei confronti dei grandi paesi esportatori e le proteste nei confronti dell'outsourcing, della delocalizzazione e dell'ingresso di stranieri nel territorio americano grazie a permessi di lavoro. Il PIL USA continuerà a calare per l'intero anno.
La borsa dopo una breve cavalcata al rialzo nei primi mesi dell'anno precipiterà nell'abisso. Nuovi sostegni degli indici verranno testati e via, via infranti. La volatilità regnerà sovrana e da più parti verranno invocati interventi diretti del governo a sostegno dei listini. A fine anno lo S&P e il Dow potrebbero tranquillamente arrivare a valere un 40- 50% in meno rispetto al valore odierno. Gli Hedge Fund continueranno a percorrere la strada del suicidio collettivo impedendo ai loro partecipanti di ritirare il denaro investito. I fondi che il prossimo dicembre potranno vantare risultati positivi si conteranno sulle dita della mani (addirittura quelli ancora in circolazione potrebbero finire col contarsi sulle dita di una mano).
Diversi stati e città rischieranno la bancarotta. Il Center on Budget and Policy Priorities ha illustrato in un suo rapporto come 44 degli stati americani abbiano seri problemi di finanziamento. Essi chiuderanno l'anno fiscale del 2009 (si chiude il primo luglio del 2009) con un pesante deficit, defict che si trascinerà aggravandosi nel 2010-2011, arrivando a superare i 350 miliardi di dollari complessivi. L'emblema di questa situazione rimane la California che nel disperato tentativo di ridurre il proprio deficit, oltre a studiare il taglio di vari servizi, a forzare i dipendenti statali a stare a casa alcuni giorni al mese (non retribuiti ovviamente), a pensare di diminuire di 5 i giorni di scuola (per risparmiare 1,1 miliardi di dollari) sta valutando la possibilità di pagare i rimborsi fiscali con delle cambiali.
Alla fine, come sempre, dovrà intervenire il governo federale a salvare i singoli stati.
Prestate però molta attenzione a quel che accade in California, perché secondo il mio modesto parere, quel che sta succedendo in quello stato che per inciso è anche quello che maggiormente contribuisce al PIL USA, ci fornirà una visione sul futuro che attende gli Stati Uniti nel loro complesso.
Il dollaro nel 2009 probabilmente non crollerà. Nonostante la disastrosa situazione americana, il resto del mondo non è certamente in migliore salute. Negli ultimi anni le economie degli altri grandi paesi sono andate tutte sbilanciandosi in un determinato settore: chi nell'export di prodotti industriali come Cina e Giappone, chi in quello della materie prime come Russia e numerosi paesi emergenti e chi come l'Inghilterra nel settore finanziario. Tutte dipendevano dai continui consumi dei cittadini USA che si trattasse di consumi di beni o di credito e tutte attraverseranno un anno terribile.
Sul mercato valutario quindi, penso che il dollaro e lo yen resisteranno, mentre la sterlina e l'euro caleranno ulteriormente.
In definitiva, anche se un qualche equilibrio tra i diversi attori della scena economica mondiale verrà mantenuto, si tratterà di un equilibrio precario dettato dalla paura e dall'incertezza. Un "equilibrio del terrore" se così vogliamo dire. Di questo terrore si avvantaggeranno ancora una volta gli Stati Uniti, sebbene anch'essi vadano incontro ad anno terribile.
PS:
Nei prossimi articoli proverò a fare qualche previsione per i paesi del BRIC (Brasile,Russia,India,Cina), per l'Europa e per l'Asia.
Notate come i totali dei flussi in entrata ed in uscita si muovano insieme nel grafico - a parte le entrate che furono attratte dagli alti tassi di interesse USA negli anni ottanta e nel periodo di fine anni novanta quando gli investitori esteri si accalcavano per comprare azioni americane. La maggior parte dell'aumento del flusso totale riflette un aumento dei flussi a breve termine ed i flussi bancari a breve termine tra diverse nazioni, spesso sembrano compensarsi tra loro. O per metterla in altro modo, il deficit USA non è stato finanziato tramite indebitamento a breve termine nei confronti delle banche private del mondo.
Immaginate il processo in questo maniera. Supponete che una banca USA presti un miliardo di dollari ad una banca londinese e che questa presti a sua volta quel denaro ad un Hedge Fund domiciliato nei Caraibi il quale lo usi infine per acquistare un miliardo in securities americane. Questa catena comporta un flusso in uscita e uno in entrata, ma quello in uscita ha finanziato quello in entrata - esso non contribuisce a finanziare il deficit corrente. Come contrasto, l'acquisto da parte della Cina di securities del Tesoro (buoni del tesoro ndr) o delle Agenzie (titoli delle GSEs ndr) riflettono in gran parte il surplus finanziario cinese - non si tratta di banche cinesi che si indebitano con banche americane. Questo certamente aiuta a finanziare il debito corrente USA.
Setser conclude la sua analisi (che vi consiglio di leggere interamente) dicendo:
Le banche centrali sono state per tutto il tempo, la principale fonte di finanziamento per il deficit USA. Mettendo da parte il Giappone, le nazioni con grandi surplus finanziari stavano costruendo le proprie riserve ufficiali ed i propri fondi sovrani - ed entrambi sono stati il vettore chiave nel fornire finanziamenti alle nazioni con dei deficit.
E quando la domanda (netta) da parte dei privati per assets USA è crollata essa è stata rimpiazzata da quella delle entità ufficiali (banche centrali ndr).
In sostanza il finanziamento che le banche centrali del mondo concedono agli USA acquistando buoni del tesoro non sarebbe semplicemente fondamentale. Sarebbe TUTTO.
Questo rende qualsiasi previsione sul futuro imprescindibilmente dipendente da considerazioni di natura politica. Fino a quando Cina, Giappone e stati del Golfo decideranno di continuare a sostenere gli Stati Uniti la baracca starà in piedi. Se anche uno dei maggiori finanziatori del deficit USA dovesse dileguarsi non esisterebbe nessun capitale privato in grado di prenderne il posto.
Giappone e stati del Golfo sono legati con il cordone ombelicale alle sorti degli Stati Uniti e difficilmente cambieranno la propria politica economica. Per la Cina si tratta invece di un matrimonio di puro interesse. Non appena le si dovesse presentare un occasione vantaggiosa per dileguarsi lo farà.
La Cina e gli Stati Uniti, sono i due paesi che reggono tra le mani il destino dell'intera economia mondiale.
Il titolo di un intervista a Gao Xiqing, un signore che gestisce 200 dei 2000 miliardi di dollari in mano al governo cinese sintetizza bene la posizione cinese: "Siate carini con i paesi che vi hanno prestato denaro". Gao racconta come i cittadini cinesi odino il fatto che il loro governo investa un enorme quantità di denaro in securities ed asset statunitensi invece di utilizzarlo internamente a beneficio della popolazione.
Dice Gao:
Ma penso che in definitiva, il governo americano debba parlare con la gente e dire: "Perché non ci riuniamo insieme e non ragioniamo sulla situazione? Se la Cina ha 2 trilioni, il Giappone ha quasi 2 trilioni, e la Russia ne ha diverse (riserve monetarie ndr), e tutti gli altri, poi - gettiamo via le differenze ideologiche e pensiamo a cosa sia meglio per tutti quanti." Possiamo riunire insieme tutte le persone rilevanti e pensare a un sistema, quello che la gente chiama una seconda Bretton Woods che faccia quello fece la prima Bretton Woods.
Sono sempre stato scettico sull'eventualità di una seconda Bretton Woods. A chi invoca un evento del genere mi sembra sfugga il contesto in cui gli accordi di Bretton Woods furono siglati. La seconda guerra mondiale stava terminando. L'Europa era un cumulo di macerie. La vecchia potenza imperiale, l'Inghilterra, pur non avendo perso la sua rilevanza non poteva vantare alcun primato e si ritrovava con una sfera di influenza ridotta all'osso. Gli Stati Uniti invece uscivano dal conflitto come la nuova super potenza, sia dal punto di vista militare che economico. Questo realtà non era in discussione e non era contrattabile, come dimostrò il fatto che tra i due piani presentati a Bretton Woods: quello inglese di Keynes teso ad avvantaggiare le nazioni debitrici e quello di Barry White che avvantaggiava principalmente gli USA, allora il maggiore creditore mondiale, venne "imposto" quest'ultimo.
Oggi è tutto più torbido e confuso. Gli USA non sono ancora ridotti così male da dovere accettare di scendere a patti sottoscrivendo pesanti concessioni, tra cui la più ovvia, sarebbe l'istituzione di un paniere di valute di riferimento mondiale, togliendo al dollaro la sua posizione di privilegio. Ne d'altra parte, la Cina può vantare quella posizione di impareggiabile potenza nella quale si ritrovarono gli USA nel 1944. Pur essendo essa il maggiore creditore mondiale, si trova a dipendere eccessivamente dalle esportazioni in un momento in cui la domanda mondiale di merci si sta azzerando.
Una seconda e credibile Bretton Woods si potrà verificare solo quando i maggiori paesi del mondo si ritroveranno con le spalle al muro o in seguito ad un evento traumatico (una guerra mondiale ad esempio). Ora è ancora presto.
Anche quest'anno, ritengo che la Cina continuerà a sostenere le spese degli USA acquistandone costantemente il debito. Contemporaneamente sperimenterà soluzioni alternative per sfuggire alla crisi, come la creazione di un area di scambio asiatico e cercherà diplomaticamente di contenere gli interventi economici di Obama (dato che non si traducono in maggiore domanda per merci cinesi).
Gli USA riusciranno quindi a finanziare il proprio deficit nel 2009. Il pacchetto di stimolo economico da quasi 800 miliardi di dollari non otterrà però i risultati sperati. L'economia Statunitense continuerà a deteriorarsi. Il mercato immobiliare commerciale crollerà replicando l'andamento tenuto nell'ultimo anno da quello residenziale. Anche la condizione di quest'ultimo continueranno ad aggravarsi, arriverà l'ondata di reset tra gli option arms (mutui esotici) portandone alle stelle le rate mensili.
I consumi non si riprenderanno. La gente aumenterà il proprio tasso di risparmio e continuerà a diminuire le spese. Anche quelli che potrebbero ottenere del credito dopo aver assistito alle conseguenze a cui può portare un eccessivo indebitamento saranno molto prudenti nelle loro scelte finanziarie. Continuerà quel processo di modifica generazionale nell'attitudine con cui la gente si avvicina al consumo/risparmio. Un cambiamento che rimarrà con noi a lungo. Le manovre della FED per iniettare liquidità nel sistema falliranno miseramente. Questo perché ancora una volta il problema non è di liquidità, ma di insolvenza. Insolvenza sia a livello di sistema finanziario sia a livello individuale, causata dal peso dell'indebitamento. La FED sta combattendo la battaglia sbagliata.
Assisteremo ad un aumento spaventoso dei default nel mercato dei corporate bond, pur offrendo dei rendimenti stellari pochissimi correranno il rischio di acquistarli. Delle tre grandi case automobilistiche americane ne rimarrà con tutta probabilità una sola. Il tasso di disoccupazione salirà fino a raggiungere la doppia cifra. Si moltiplicheranno le richieste per la creazione di barriere commerciali nei confronti dei grandi paesi esportatori e le proteste nei confronti dell'outsourcing, della delocalizzazione e dell'ingresso di stranieri nel territorio americano grazie a permessi di lavoro. Il PIL USA continuerà a calare per l'intero anno.
La borsa dopo una breve cavalcata al rialzo nei primi mesi dell'anno precipiterà nell'abisso. Nuovi sostegni degli indici verranno testati e via, via infranti. La volatilità regnerà sovrana e da più parti verranno invocati interventi diretti del governo a sostegno dei listini. A fine anno lo S&P e il Dow potrebbero tranquillamente arrivare a valere un 40- 50% in meno rispetto al valore odierno. Gli Hedge Fund continueranno a percorrere la strada del suicidio collettivo impedendo ai loro partecipanti di ritirare il denaro investito. I fondi che il prossimo dicembre potranno vantare risultati positivi si conteranno sulle dita della mani (addirittura quelli ancora in circolazione potrebbero finire col contarsi sulle dita di una mano).
Diversi stati e città rischieranno la bancarotta. Il Center on Budget and Policy Priorities ha illustrato in un suo rapporto come 44 degli stati americani abbiano seri problemi di finanziamento. Essi chiuderanno l'anno fiscale del 2009 (si chiude il primo luglio del 2009) con un pesante deficit, defict che si trascinerà aggravandosi nel 2010-2011, arrivando a superare i 350 miliardi di dollari complessivi. L'emblema di questa situazione rimane la California che nel disperato tentativo di ridurre il proprio deficit, oltre a studiare il taglio di vari servizi, a forzare i dipendenti statali a stare a casa alcuni giorni al mese (non retribuiti ovviamente), a pensare di diminuire di 5 i giorni di scuola (per risparmiare 1,1 miliardi di dollari) sta valutando la possibilità di pagare i rimborsi fiscali con delle cambiali.
Alla fine, come sempre, dovrà intervenire il governo federale a salvare i singoli stati.
Prestate però molta attenzione a quel che accade in California, perché secondo il mio modesto parere, quel che sta succedendo in quello stato che per inciso è anche quello che maggiormente contribuisce al PIL USA, ci fornirà una visione sul futuro che attende gli Stati Uniti nel loro complesso.
Il dollaro nel 2009 probabilmente non crollerà. Nonostante la disastrosa situazione americana, il resto del mondo non è certamente in migliore salute. Negli ultimi anni le economie degli altri grandi paesi sono andate tutte sbilanciandosi in un determinato settore: chi nell'export di prodotti industriali come Cina e Giappone, chi in quello della materie prime come Russia e numerosi paesi emergenti e chi come l'Inghilterra nel settore finanziario. Tutte dipendevano dai continui consumi dei cittadini USA che si trattasse di consumi di beni o di credito e tutte attraverseranno un anno terribile.
Sul mercato valutario quindi, penso che il dollaro e lo yen resisteranno, mentre la sterlina e l'euro caleranno ulteriormente.
In definitiva, anche se un qualche equilibrio tra i diversi attori della scena economica mondiale verrà mantenuto, si tratterà di un equilibrio precario dettato dalla paura e dall'incertezza. Un "equilibrio del terrore" se così vogliamo dire. Di questo terrore si avvantaggeranno ancora una volta gli Stati Uniti, sebbene anch'essi vadano incontro ad anno terribile.
PS:
Nei prossimi articoli proverò a fare qualche previsione per i paesi del BRIC (Brasile,Russia,India,Cina), per l'Europa e per l'Asia.
9 commenti:
Eccellente articolo.
La traiettoria che descrivi è quasi esattamente identica al mio scenario di base.
Immagino che tu segua anche Karl Denninger di Market Ticker che ha pubblicato le previsioni 2009 migliori che ho visto in giro (e molto simili alle tue).
Ciao Alessandro,
Seguo il blog di Karl da parecchio tempo ormai e mi trovo sostanzialmente daccordo con la sua analisi generale (chi è interessato la può trovare riassunta in questo ottimo post) , anche se ogni tanto Karl è un po' troppo repubblicano tutto d'un pezzo.
Le previsioni di Karl che hai linkato sono tra le più esaurienti e dettagliate che abbia visto anchio, tanto che quando lessi quell'articolo valutai la possibilità di pubblicare semplicemente un link ad esso e risparmiarmi la fatica di scriverne uno io o semplicemente quotare la parte delle previsioni come ad esempio ha fatto Nate sul suo blog (un altro blog interessante).
Alla fine per pigrizia (non avevo voglia di tradurre qualcosa di così lungo) e perché mi dava comunque l'occasione di parlare di un'altro paio di cose ho preferito semplicemente scriverne uno io.
La cosa che non mi convince completamente dell'analisi di Karl è la sua convinzione che la conseguenza di un eventuale fuga di qualche grosso paese dagli asset USA possa essere un rafforzarsi del dollaro, invece che un suo indebolimento come prevede Buiter.
Da un lato un evento del genere farebbe salire alle stelle i rendimenti da pagare per riuscire a vendere buoni del tesoro e di conseguenza i corporate bond che ad esso sono in qualche maniera agganciati costringendo moltissimi soggetti privati a dare la caccia al dollaro per poter saldare i propri debiti (un po' come è successo negli ultimi tempi).
Dall'altro lo scaricamento degli asset denominati in dollari, produrrebbe inevitabilmente una fuga dal mercato USA.
Non sono così sicuro di quale potrebbe essere la spinta predominante sul breve periodo. Nel lungo penso prevarebbe la seconda.
Stand,
...infatti, da subito, pensai al "Karl Denninger italiano"!!!
Una curiosità...ma perchè nei tuoi posts scrivevi sempre "Trinchet" invece di "Trichet"?????!
Ciao Mar
Scrivevo Trinchet perché sono dislessico (si fa per dire) per quel che riguarda i nomi XD. Ogni tanto mi si pianta in testa il nome di qualcuno nella maniera sbagliata e quando mi metto a scrivere lo riporto automaticamente male. Quando poi rileggo quello che ho scritto la mia mente tende a passare sopra ai nomi senza accorgersi dell'errore.
Rileggendo vecchi articoli a volte ho trovato scritto William Buiter invece che Willem e Bred Seteser invece Brad. Poi di certo, nel caso di Trichet, non aiuta il fatto tra i miei pochi amici che si interessano di economia esso sia conosciuto come il "Trinchetto" (dal personaggio di braccio di ferro).
Grazie Stand, risolto l'arcano!
Sul biennio 2009/2010 dopo Denninger e il "nostro"... la pietra tombale ce la fornisce Satyajit Das, *quasi* con le stesse parole di Stand:
"...2008 was the year of "shock and awe". 2009 may well prove to be a year of grim and brutal trench warfare..."
(http://www.eurointelligence.com/article.581+M52d24b0008b.0.html)
Comincio a preoccuparmi.
Saluti
@Stand
la posizione di Karl Denninger sulla forza del dollaro è molto semplice e si riassume bene nella frase che ripete spesso riferendosi all'Europa, ai Paesi Emergenti e ai Paesi esportatori: "Noi siamo fottuti, ma loro sono fotutti peggio".
O come dice Roubini in maniera più delicata: "Quando gli USA starnutinscono, il resto del mondo si prende il raffreddore. E questa volta gli USA hanno la polmonite..."
Ad esempio in Europa le nostre banche hanno più leva di quelle americane, le nostre economie sono più sclerotiche, il nostro debito pubblico più alto, le nostre tasse più alte e i nostri politici più corrotti (anche se qui la gara è veramente dura).
La mia opinione è che il debito a lungo termine americano sia spazzatura. Un semplice schema di Ponzi. Ma qualsiasi altra forma di debito è più spazzatura di quello pubblico americano e altrettanto uno schema di Ponzi, ma più debole e che rischia di schiantare prima.
In un mondo in cui "investire" significa scegliere uno schema di Ponzi a cui partecipare l'ideale è parteciapre a quello che verosimilmente schianterà per ultimo. Ossia il dollaro e i debito americano.
Ciao Alessandro,
Il discorso di Karl che hai riassunto è perfettamente chiaro e mi ha sempre trovato sostanzialmente concorde. Non tutti i paesi sono messi peggio degli Stati Uniti (anche se quelli messi meglio sono molto pochi), ma senz'altro, per ora, nessun'altra nazione ha la capacità di sostituire gli USA come punto di riferimento dell'economia mondiale.
Fin qui il discorso non fa una piega. Diventa meno chiaro il caso in cui un paese rilevante, come ad esempio la solita Cina, decida di scaricare in massa assets denominati in dollari. Questo evento produrrebbe quella dislocazione sul mercato dei buoni del tesoro che Karl sta "aspettando" da ormai un anno, facendo salire alle stelle i rendimenti dei bot americani e anche quello dei corporate bond.
Di conseguenza dice Karl, moltissimi soggetti si ritroverebbero nell'impossibilità di rinnovare le proprie obbligazioni (troppo costoso) e si scatenerebbe da parte di essi, una caccia al dollaro. Tutti cercherebbero contemporaneamente di ripagare i debiti precedentemente contratti sul mercato internazionale.
Il risultato sarebbe quindi, a causa dell'aumento improvviso della domanda, un rafforzarsi del dollaro.
Però, questa catena di avvenimenti, nascerebbe dalla fuga cinese dal mercato USA, scelta che potrebbe ragionevolmente scatenare il panico anche negli altri acquirenti di assets denominati in dollari spingendoli a seguire l'esempio del paese orientale.
L'effetto nei confronti della valuta statunitense sarebbe depressivo come afferma Buiter.
La mia opinione è che nel breve termine il dollaro salirebbe per poi precipitare non appena divenisse chiaro come per troppi soggetti sia impossibile evitare il fallimento.
A quel punto il valore del dollaro crollerebbe. Non andrebbe probabilmente meglio nelle altre nazioni. Difficilmente un investitore che eviti come la peste il debito americano potrebbe accettare di fidarsi di quello di altri stati. In sostanza gli investitori si troverebbero privati di qualunque nascondiglio, senza più un posto in cui rifugiarsi.
Resterebbe forse l'oro, anche se francamente non riesco ad immaginare un ritorno ad una qualche forma di gold standard ufficiale o meno che sia.
Penso che più probabilmente si verificherebbe una caotica frammentazione sul mercato valutario, la cui conseguenza finale sarebbe la perdita da parte del dollaro del suo ruolo di moneta unica di riferimento.
illuminante.
certo ,sul pratico...cosa fa un investitore...supponiamo italiano?
neanche l'oro dici...
si dice per es. che piccolo è bello.
qualche obbligazione di credito cooperativo non particolarmente esposto, potrebbe almeno garantire la garanzia del capitale ?.
lo so che tu analizi situazioni a piu ampio raggio,
ma potresti darmi il tuo parere .
sai io sono un po egoista .
penso al mio orticello.
OT: Stand, vedo che hai trovato il tempo di mettere il blogroll e il link alla pagina di facebook. Sono molto onorato di essere l'unico blog in italiano che segnali (almeno per ora).
Posta un commento