Tre giorni fa una nota interna redatta dal CEO della Citigroup, Vikram Pandit, è misteriosamente finita nelle mani della stampa, diventando di dominio pubblico. Il documento riportava i dati preliminari per il primo quarto del 2009 evidenziando un netto miglioramento della situazione finanziaria dello storico istituto. Sulla base di essi, Pandit stesso, ha scritto di prevedere per la società, il risultato migliore dal 2007, nel corso dei primi 3 mesi di quest'anno.
La notizia ha infiammato gli investitori, facendo schizzare alle stelle il titolo della Citigroup salito dal 9 Marzo ad oggi di oltre il 60%. I primi a lanciarsi sulle azioni della banca pare siano stati alcuni pezzi grossi dell'istituto stesso, cosa che ha fatto avanzare ipotesi di insider trading. Non è stato però, solo titolo della vecchia C a salire come un razzo. L'intero mercato, quasi aspettasse un qualunque segnale positivo, per quanto labile o transitorio, si è riscosso lanciandosi in una lunga cavalcata al rialzo.
In effetti, era da alcuni giorni che un crescente numero di analisti prevedeva un rialzo delle borse. Quando anche dei rinomati pessimisti come Jeremy Grantham consigliano di acquistare azioni viene il concreto dubbio che il sentimento dei mercati si stia modificando.
Naturalmente risulta molto difficile dire se un fondo, anche solo temporaneo sia stato toccato. Le notizie che continuano ad arrivare da mezzo mondo non si possono certo definire positive, anche se alcuni dati risultano meno negativi di quanto gli analisti si aspettassero ed in tempi come questi, in cui non si butta via nulla, ciò può essere sufficiente a rincuorare gli investitori.
Il rating della General Elettric è stato recentemente declassato da AAA a AA+ dalla Standard's & Poors e sembra che il ramo finanziario del gruppo potrebbe rivedere al ribasso le stime per il quarto in corso. Fitch invece ha tagliato il rating della Berkshire Hathaway da AAA a AA. Ormai restano solo 5 aziende in tutti gli Stati Uniti, non appartenenti al comparto finanziario a mantenere la famigerata tripla A, come rating assegnato dalla S&P e secondo Michael Yoshikami, capo degli investimenti al YCMNet Advisors, entro breve ne resterà soltanto una: "La tripla A in definitiva, probabilmente rimarrà assegnata solo al tesoro USA, quando tutto sarà detto e fatto" ha detto Yoshikami a Bloomberg.
Moody's dal canto suo, quasi a volersi far perdonare anni di sviste sui rating assegnati a svariate aziende e a tutta una serie di prodotti finanziari rivelatisi successivamente tossici, ha aggiornato la sua "lista della morte", un lungo elenco che riporta i nomi di quelle aziende ritenute a rischio di default. Le società aggiunte da Moody's alla lista sono state 126, portando Il totale dei nominativi a quota 238.
I segnali positivi che arrivano dai mercati, per il momento appaiono abbastanza ambigui. Dal lato finanziario alcune banche ostentano sicurezza. Il Chairman della Citi, Richard Parson ha dichiarato in un intervista che il suo gruppo non necessità di altre infusioni di capitali da parte governativa e si è anche detto assolutamente certo che nessuna ipotesi di nazionalizzazione si realizzerà nei confronti della banca. Ken Lewis, CEO di Bank of America, ha fatto eco all'ottimismo di Parson rivelando risultati in attivo a Gennaio e Febbraio e prevedendo per l'istituto, più di 100 miliardi di dollari in ricavi e 50 miliardi di puro profitto, tasse escluse, nel corso del 2009.
Tutte queste dichiarazioni e alcuni dati positivi, come il rallentamento nel declino delle vendite al dettaglio nel mese di Febbraio - meno 0,1% invece del -0,4% atteso - e una ripresa della produzione industriale in Cina nei primi due mesi dell'anno - aumentata dell'11% solo a Febbraio (anche se bisogna considerare l'aumento dei giorni lavorativi rispetto all'anno precedente dovuti a questioni di calendario) - grazie principalmente agli stimoli economici del governo che sono riusciti a controbilanciare il crollo verticale dell'export (-25,7% a Febbraio), hanno rincuorato gli investitori, spingendoli ad acquistare azioni, in particolar modo quelle del comparto finanziario.
La vera bomba però, è esplosa ieri negli USA, durante una seduta del sottocomitato per i servizi finanziari della camera, il cui ordine del giorno verteva sull'ipotesi di sospendere o rilassare la regola di bilancio chiamata "mark to market", con l'obbiettivo di ridare fiato ai conti degli istituti finanziari (qua potete guardarvi l'intera seduta se siete curiosi o siete dei nerd di queste cose come il sottoscritto). I politici del comitato a partire dal presidente Paul E. Kanjorski, hanno ascoltato una serie di rappresentati degli organi regolatori (SEC, FASB, Office of the Comptroller of the Currency) e di varie associazioni, nel tentativo di comporre un quadro più chiaro su come comportarsi nei confronti del "mark to market".
Questo sulla carta almeno. In realtà seguendo la seduta ci si rende conto velocemente, di quanto i politici del comitato sembrino odiare visceralmente il "mark to market" e di come incalzino i regolatori sulla necessità della sua sospensione. Diversi esponenti della SEC avevano in precedenza affermato di non ritenere necessario sospendere il "mark to market". Ieri il comitato della camera è stato brutalmente chiaro a riguardo, arrivando praticamente a minacciare i regolatori: "o vi muovete ed in fretta su questa questione, o vi obbligheremo noi a farlo" hanno intimato i politici.
Il "mark to market" è una regola che fu imposta in seguito al crack della Enron per evitare che altre aziende potessero ricorrere agli stessi trucchi utilizzati dall'ex gigante dell'energia, capace di portare alcune tecniche di aggiustamento dei bilanci, incentrate sull'attribuzione di valori fittizi a tutta una serie di asset, allo stato dell'arte. Sulla carta i conti della Enron sembravano scoppiare di salute mentre nella realtà nascondevano un groviglio di perdite.
"Mai più!" dissero in molti dopo il fallimento della Enron. Venne ritenuto necessario costringere le società a mettere a bilancio certi strumenti sulla base del loro valore di mercato.
Le società si lamentarono poco per il cambiamento imposto. Durante periodi in cui la maggior parte degli assets si apprezza anche il valore di quelli messi a contabilità sale allo stesso modo. Questo contribuisce a gonfiare i guadagni delle società, sulla base dei quali, vengono concessi alla dirigenza bonus e stock option. Tutti felici durante gli anni del boom, quindi: sia i manager che gli azionisti.
Il problema naturalmente, nacque quando il mercato decise di crollare. Insieme ad esso precipitò anche il valore di tutta una serie di pezzi di carta costringendo di fatto, gli istituti a segnare le relative perdite in bilancio. In questo senso il "mark to market" viene definito pro ciclico. Durante le fasi espansive è molto amato e tende a ricompensare chi corre rischi eccessivi giocando spesso con assets di dubbia qualità, quando il mercato si contrae tende a punire tutti, anche quelli che non lo meriterebbero. Uno dei suggerimenti più banali che vengono avanzati per ovviare a questo inconveniente prevede l'adozione insieme al "mark to market" di misure contro cicliche. In sostanza, quando tutto va su, andrebbe messa da parte una certa quota di capitale da utilizzare come cuscinetto in caso di crollo del mercato.
Una banalità che Keynes suggeriva di adottare anche agli stati.
Purtroppo la storia dimostra che quando tutto va bene, tutti o quasi, spendono e spandono investendo in malo modo e quando invece la situazione precipita, ci si reca in massa davanti alla porta degli stati alla ricerca di assistenza. Gli stati d'altro canto, non danno certo il buon esempio. Anch'essi raramente risparmiano limitandosi, quando sopraggiunge una crisi, ad aumentare il proprio indebitamento per finanziare i vari stimoli all'economia (finché trovano gente che continua a prestar loro denaro almeno).
Gran parte degli assets problematici in pancia alle banche, sono poi i vecchi "mark to model". Tutti i mutui re-impacchettati ad esempio appartengono a questa categoria. Strumenti che non venivano scambiati sul mercato, ma in stanzine buie tra due diversi soggetti. Non esistendo per essi, un vero e proprio valore di mercato si ricorreva a dei modelli matematici per stabilirne il prezzo. Modelli che funzionavano più o meno così: "supponendo che i prezzi delle case continueranno ad aumentare, come i dati storici a nostra disposizione suggeriscono, il nostro complicato modello assegnerà a questo bel pezzo di carta costruito sui mutui il valore x".
Quando il mercato immobiliare venne giù nessuno volle più recarsi nelle stanzette buie per comprare certi pezzi di carta. Chi li aveva creati e ne aveva ancora tonnellate da smaltire, cercò quindi di venderli sul mercato rendendoli automaticamente "mark to market". Il mercato assegnò loro un valore compreso tra x/20 e x/3 (tra i 5 e i 30 centesimi il dollaro). Il panico. Si gridò: "fermi tutti! non vendete più quella roba".
Il valore di mercato venne considerato troppo basso, da svendita. Nessuno voleva mettere a bilancio gli assets a quei prezzi. Si decise quindi di far finta di nulla, si presero gran parte degli asset, li si trasformò da assets di livello due ("mark to model") in assets di livello 3, altrimenti detti "mark to fantasy" e li si mise a bilancio a un valore stabilito "sulla base di elementi non osservabili". In sostanza ognuno si inventava il prezzo che preferiva.
I problemi con gli asset di livello 3 nascono quando degli elementi osservabili fanno la loro comparsa. In altri termini quando qualcuno vende un certo tipo di assets sul mercato, rendendo palese quanto (poco) esso valga. Per poter mantenere la finzione di non aver incassato perdite a causa di questi assets, va quindi impedito che essi vengano valutati in base al "mark to market". Si sta insomma, cercando di bloccare in ogni maniera il "price discovery", una delle funzioni fondamentali del mercato perché "il price non sarebbe giusto".
Alcuni argomentano affermando che il "price discovery" non funzioni più, perché attualmente un vero mercato per certi assets non esisterebbe e come prova indicano i prezzi da liquidazione a cui essi sono passati di mano in passato (le poche volte che sono stati venduti). Argomentazione che ho sempre trovato poco convincente.
Il guaio in definitiva, è che banche, Hedge Funds e simili, sono imbottiti di cartaccia che non possono e soprattutto non vogliono valutare a prezzo di mercato e stanno cercando da mesi di ottenere una sospensione del "mark to market".
Osservando il dibattito tenuto ieri alla camera degli Stati Uniti, ho avuto l'impressione che i politici americani stiano progettando l'omicidio premeditato del "mark to market" (non che abbiano fatto molto per nasconderlo). Nella forma probabilmente rimarrà, ma sarà consentito alle società di ignorarlo ogni qual volta ritengano che il prezzo indicato dal mercato sia troppo basso. Una sottile legalizzazione del falso in bilancio.
Anche se si parla da diverso tempo di sospendere il "mark to market", fino ad ora l'ipotesi non aveva mai avuto veramente seguito. Questa volta però, i legislatori sembrano agguerriti, decisi ad agire in prima persona se i regolatori si rifiuteranno di farlo. L'intenzione pare essere, di arrivare ad una riscrittura delle regole in tempo per la chiusura del primo quarto (a fine mese), in modo da consentire a tutte le società finanziarie di "aggiustare" i bilanci e riportare risultati migliori delle aspettative.
Una manovra che sembra inserirsi perfettamente nella strategia della casa bianca di rimandare ogni intervento risolutivo il più a lungo possibile, nella speranza che nel frattempo si verifichi un miracolo in grado di salvarci tutti. Un colpo di mano che potrebbe portare i listini ed i titoli finanziari a toccare nuove vette.
Il problema però rimane. La realtà non si cambia con un tratto di penna, scrivendo 100 dove andrebbe scritto 20 e con la realtà, prima o poi, andranno fatti i conti una volta per tutte.
La notizia ha infiammato gli investitori, facendo schizzare alle stelle il titolo della Citigroup salito dal 9 Marzo ad oggi di oltre il 60%. I primi a lanciarsi sulle azioni della banca pare siano stati alcuni pezzi grossi dell'istituto stesso, cosa che ha fatto avanzare ipotesi di insider trading. Non è stato però, solo titolo della vecchia C a salire come un razzo. L'intero mercato, quasi aspettasse un qualunque segnale positivo, per quanto labile o transitorio, si è riscosso lanciandosi in una lunga cavalcata al rialzo.
In effetti, era da alcuni giorni che un crescente numero di analisti prevedeva un rialzo delle borse. Quando anche dei rinomati pessimisti come Jeremy Grantham consigliano di acquistare azioni viene il concreto dubbio che il sentimento dei mercati si stia modificando.
Naturalmente risulta molto difficile dire se un fondo, anche solo temporaneo sia stato toccato. Le notizie che continuano ad arrivare da mezzo mondo non si possono certo definire positive, anche se alcuni dati risultano meno negativi di quanto gli analisti si aspettassero ed in tempi come questi, in cui non si butta via nulla, ciò può essere sufficiente a rincuorare gli investitori.
Il rating della General Elettric è stato recentemente declassato da AAA a AA+ dalla Standard's & Poors e sembra che il ramo finanziario del gruppo potrebbe rivedere al ribasso le stime per il quarto in corso. Fitch invece ha tagliato il rating della Berkshire Hathaway da AAA a AA. Ormai restano solo 5 aziende in tutti gli Stati Uniti, non appartenenti al comparto finanziario a mantenere la famigerata tripla A, come rating assegnato dalla S&P e secondo Michael Yoshikami, capo degli investimenti al YCMNet Advisors, entro breve ne resterà soltanto una: "La tripla A in definitiva, probabilmente rimarrà assegnata solo al tesoro USA, quando tutto sarà detto e fatto" ha detto Yoshikami a Bloomberg.
Moody's dal canto suo, quasi a volersi far perdonare anni di sviste sui rating assegnati a svariate aziende e a tutta una serie di prodotti finanziari rivelatisi successivamente tossici, ha aggiornato la sua "lista della morte", un lungo elenco che riporta i nomi di quelle aziende ritenute a rischio di default. Le società aggiunte da Moody's alla lista sono state 126, portando Il totale dei nominativi a quota 238.
I segnali positivi che arrivano dai mercati, per il momento appaiono abbastanza ambigui. Dal lato finanziario alcune banche ostentano sicurezza. Il Chairman della Citi, Richard Parson ha dichiarato in un intervista che il suo gruppo non necessità di altre infusioni di capitali da parte governativa e si è anche detto assolutamente certo che nessuna ipotesi di nazionalizzazione si realizzerà nei confronti della banca. Ken Lewis, CEO di Bank of America, ha fatto eco all'ottimismo di Parson rivelando risultati in attivo a Gennaio e Febbraio e prevedendo per l'istituto, più di 100 miliardi di dollari in ricavi e 50 miliardi di puro profitto, tasse escluse, nel corso del 2009.
Tutte queste dichiarazioni e alcuni dati positivi, come il rallentamento nel declino delle vendite al dettaglio nel mese di Febbraio - meno 0,1% invece del -0,4% atteso - e una ripresa della produzione industriale in Cina nei primi due mesi dell'anno - aumentata dell'11% solo a Febbraio (anche se bisogna considerare l'aumento dei giorni lavorativi rispetto all'anno precedente dovuti a questioni di calendario) - grazie principalmente agli stimoli economici del governo che sono riusciti a controbilanciare il crollo verticale dell'export (-25,7% a Febbraio), hanno rincuorato gli investitori, spingendoli ad acquistare azioni, in particolar modo quelle del comparto finanziario.
La vera bomba però, è esplosa ieri negli USA, durante una seduta del sottocomitato per i servizi finanziari della camera, il cui ordine del giorno verteva sull'ipotesi di sospendere o rilassare la regola di bilancio chiamata "mark to market", con l'obbiettivo di ridare fiato ai conti degli istituti finanziari (qua potete guardarvi l'intera seduta se siete curiosi o siete dei nerd di queste cose come il sottoscritto). I politici del comitato a partire dal presidente Paul E. Kanjorski, hanno ascoltato una serie di rappresentati degli organi regolatori (SEC, FASB, Office of the Comptroller of the Currency) e di varie associazioni, nel tentativo di comporre un quadro più chiaro su come comportarsi nei confronti del "mark to market".
Questo sulla carta almeno. In realtà seguendo la seduta ci si rende conto velocemente, di quanto i politici del comitato sembrino odiare visceralmente il "mark to market" e di come incalzino i regolatori sulla necessità della sua sospensione. Diversi esponenti della SEC avevano in precedenza affermato di non ritenere necessario sospendere il "mark to market". Ieri il comitato della camera è stato brutalmente chiaro a riguardo, arrivando praticamente a minacciare i regolatori: "o vi muovete ed in fretta su questa questione, o vi obbligheremo noi a farlo" hanno intimato i politici.
Il "mark to market" è una regola che fu imposta in seguito al crack della Enron per evitare che altre aziende potessero ricorrere agli stessi trucchi utilizzati dall'ex gigante dell'energia, capace di portare alcune tecniche di aggiustamento dei bilanci, incentrate sull'attribuzione di valori fittizi a tutta una serie di asset, allo stato dell'arte. Sulla carta i conti della Enron sembravano scoppiare di salute mentre nella realtà nascondevano un groviglio di perdite.
"Mai più!" dissero in molti dopo il fallimento della Enron. Venne ritenuto necessario costringere le società a mettere a bilancio certi strumenti sulla base del loro valore di mercato.
Le società si lamentarono poco per il cambiamento imposto. Durante periodi in cui la maggior parte degli assets si apprezza anche il valore di quelli messi a contabilità sale allo stesso modo. Questo contribuisce a gonfiare i guadagni delle società, sulla base dei quali, vengono concessi alla dirigenza bonus e stock option. Tutti felici durante gli anni del boom, quindi: sia i manager che gli azionisti.
Il problema naturalmente, nacque quando il mercato decise di crollare. Insieme ad esso precipitò anche il valore di tutta una serie di pezzi di carta costringendo di fatto, gli istituti a segnare le relative perdite in bilancio. In questo senso il "mark to market" viene definito pro ciclico. Durante le fasi espansive è molto amato e tende a ricompensare chi corre rischi eccessivi giocando spesso con assets di dubbia qualità, quando il mercato si contrae tende a punire tutti, anche quelli che non lo meriterebbero. Uno dei suggerimenti più banali che vengono avanzati per ovviare a questo inconveniente prevede l'adozione insieme al "mark to market" di misure contro cicliche. In sostanza, quando tutto va su, andrebbe messa da parte una certa quota di capitale da utilizzare come cuscinetto in caso di crollo del mercato.
Una banalità che Keynes suggeriva di adottare anche agli stati.
Purtroppo la storia dimostra che quando tutto va bene, tutti o quasi, spendono e spandono investendo in malo modo e quando invece la situazione precipita, ci si reca in massa davanti alla porta degli stati alla ricerca di assistenza. Gli stati d'altro canto, non danno certo il buon esempio. Anch'essi raramente risparmiano limitandosi, quando sopraggiunge una crisi, ad aumentare il proprio indebitamento per finanziare i vari stimoli all'economia (finché trovano gente che continua a prestar loro denaro almeno).
Gran parte degli assets problematici in pancia alle banche, sono poi i vecchi "mark to model". Tutti i mutui re-impacchettati ad esempio appartengono a questa categoria. Strumenti che non venivano scambiati sul mercato, ma in stanzine buie tra due diversi soggetti. Non esistendo per essi, un vero e proprio valore di mercato si ricorreva a dei modelli matematici per stabilirne il prezzo. Modelli che funzionavano più o meno così: "supponendo che i prezzi delle case continueranno ad aumentare, come i dati storici a nostra disposizione suggeriscono, il nostro complicato modello assegnerà a questo bel pezzo di carta costruito sui mutui il valore x".
Quando il mercato immobiliare venne giù nessuno volle più recarsi nelle stanzette buie per comprare certi pezzi di carta. Chi li aveva creati e ne aveva ancora tonnellate da smaltire, cercò quindi di venderli sul mercato rendendoli automaticamente "mark to market". Il mercato assegnò loro un valore compreso tra x/20 e x/3 (tra i 5 e i 30 centesimi il dollaro). Il panico. Si gridò: "fermi tutti! non vendete più quella roba".
Il valore di mercato venne considerato troppo basso, da svendita. Nessuno voleva mettere a bilancio gli assets a quei prezzi. Si decise quindi di far finta di nulla, si presero gran parte degli asset, li si trasformò da assets di livello due ("mark to model") in assets di livello 3, altrimenti detti "mark to fantasy" e li si mise a bilancio a un valore stabilito "sulla base di elementi non osservabili". In sostanza ognuno si inventava il prezzo che preferiva.
I problemi con gli asset di livello 3 nascono quando degli elementi osservabili fanno la loro comparsa. In altri termini quando qualcuno vende un certo tipo di assets sul mercato, rendendo palese quanto (poco) esso valga. Per poter mantenere la finzione di non aver incassato perdite a causa di questi assets, va quindi impedito che essi vengano valutati in base al "mark to market". Si sta insomma, cercando di bloccare in ogni maniera il "price discovery", una delle funzioni fondamentali del mercato perché "il price non sarebbe giusto".
Alcuni argomentano affermando che il "price discovery" non funzioni più, perché attualmente un vero mercato per certi assets non esisterebbe e come prova indicano i prezzi da liquidazione a cui essi sono passati di mano in passato (le poche volte che sono stati venduti). Argomentazione che ho sempre trovato poco convincente.
Il guaio in definitiva, è che banche, Hedge Funds e simili, sono imbottiti di cartaccia che non possono e soprattutto non vogliono valutare a prezzo di mercato e stanno cercando da mesi di ottenere una sospensione del "mark to market".
Osservando il dibattito tenuto ieri alla camera degli Stati Uniti, ho avuto l'impressione che i politici americani stiano progettando l'omicidio premeditato del "mark to market" (non che abbiano fatto molto per nasconderlo). Nella forma probabilmente rimarrà, ma sarà consentito alle società di ignorarlo ogni qual volta ritengano che il prezzo indicato dal mercato sia troppo basso. Una sottile legalizzazione del falso in bilancio.
Anche se si parla da diverso tempo di sospendere il "mark to market", fino ad ora l'ipotesi non aveva mai avuto veramente seguito. Questa volta però, i legislatori sembrano agguerriti, decisi ad agire in prima persona se i regolatori si rifiuteranno di farlo. L'intenzione pare essere, di arrivare ad una riscrittura delle regole in tempo per la chiusura del primo quarto (a fine mese), in modo da consentire a tutte le società finanziarie di "aggiustare" i bilanci e riportare risultati migliori delle aspettative.
Una manovra che sembra inserirsi perfettamente nella strategia della casa bianca di rimandare ogni intervento risolutivo il più a lungo possibile, nella speranza che nel frattempo si verifichi un miracolo in grado di salvarci tutti. Un colpo di mano che potrebbe portare i listini ed i titoli finanziari a toccare nuove vette.
Il problema però rimane. La realtà non si cambia con un tratto di penna, scrivendo 100 dove andrebbe scritto 20 e con la realtà, prima o poi, andranno fatti i conti una volta per tutte.
3 commenti:
grazie Stand per questo nuovo riassunto chiaro ed efficace.
c'era qualcuno, se ricordo bene, che voleva bombardare GM, beh, una piccola deviazione sul congresso non guasterebbe.
sono però impressionato dall'insolenza e inconsistenza di questi politici venduti.
invece di cercare di imbrigliare di più i mostri finanziari, questi li premiano, anzi li incoraggiano.
ma non basta.
il riconoscimento che questo "sistema" generi crisi sempre più gravi e sempre più a carico di quei pochi che restano a generare ricchezza reale col loro lavoro, si stà annacquando, confondendo, dimenticando.l'importante che tutto riparta, meglio se come prima, perchè di quel mondo sappiamo già i difetti e ci guardiamo bene dal cercare di correggerli.
che tutto riparta, verso dove non importa, ma che si muova.... che schifo ragazzi, questo mi sembra proprio l'apice dell'idiozia.
ho fatto un intervento sul "castelli di carte" di Alessandro, dove ho esplicitato la ragione per cui credo i governi ricattati dal sistema bancario, obbligati quindi a concedere quanto esso chieda.
e credo che anche questo nuovo insulto al buon senso ne faccia parte.
Non sono un esperto di economia dico solo una mia opinione. Ma qui stiamo andando via di senno. Finchè i politici (e noi tutti) non capiamo che questo rospo lo dobbiamo ingoiare non ne usciamo.
PS: Secondo me il mark-to-market andava fatto minimo minimo 15-20 anni fà. Perchè mi sa che i problemini non ce li aveva solo la Ennron ma 3/4 delle compagnie in america e nel mondo. Oppure crediamo che la Enron, Leman Brothers sono solo mosche bianche? Quando è stato introdotto il mark-to-market mi sa che i buoi non è che erano scappati non si vedevano manco più dietro la collina. Chiedere ad ogni "recinto" di chiudere lo steccato e scrivere quanti buoi son rimasti dentro (mah!!) non è che di per sè risolve la situazione. Ora per riprendere tutti sti buoi occorre sudare con i cavalli ed i lazzi ed andare a riprenderli tutti. Lo steccato lo puoi aprire, chiudere, puoi scrivere o non scrivere quanti buoi hai ma se non chiami tutti i tuoi "contadini" che con i loro cavalli/lazzi cercano di riprendere più buoi che possono non ne usciamo. Il giochino lasciamo aperto lo steccato ed andiamo avanti con i buoi all'aperto come abbiamo fatto finora funziona solo fintantochè i contadini che han mantenuto lo steccato chiuso con i suoi buoi dentro e si spaccano la schiena per pulirli, dargli da mangiare, etc.. macellarli e darli a tutti non decidono di andare avanti solo con i suoi di buoi. E questo mi sa che è quello che è successo e detto fra me e voi sti contadini con gli occhi a mandorla han fatto pure bene.
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