La presentazione del piano di salvataggio per il settore bancario statunitense, che mezzo mondo attendeva con il fiato sospeso per oggi, è stata prontamente rimandata di un giorno da Timoty Geithner. Secondo l'attuale ministro del tesoro USA, l'attenzione dell'amministrazione Obama sarebbe completamente assorbita dall'approvazione del pacchetto di stimolo all'economia, tanto da non lasciare ad essa, alcuno spazio per occuparsi di altro.
Quel poco che è trapelato la scorsa settimana sulle ipotesi di intervento, sembra configurare però, un ridimensionamento rispetto a quanto annunciato dallo stesso ministro negli ultimi tempi. L'approccio di tipo "bad bank" verrebbe messo da parte o adottato solo in misura limitata. Ad esso sarebbe preferita un' estensione delle garanzie governative, che investa tutti gli assets tossici in possesso delle banche, sulla falsa riga delle misure adottate nei confronti di Citigroup e di Bank of America.
Per quel che riguarda il settore bancario conviene quindi aspettare un giorno prima di commentare, per non correre il rischio di discutere del nulla. Sul prossimo pacchetto di stimolo invece, si conoscono abbastanza dettagli da poter già trarre qualche conclusione.
Il Washington Post si è divertito a tracciare un paio di schemi da mal di testa su come gli 819 miliardi di dollari di aiuti all'economia verranno allocati. La cosa che balza immediatamente agli occhi è l'estrema frammentazione degli interventi. Un fatto che ha riaperto il dibattito su quanto un certo tipo di spesa pubblica contribuisca realmente ad aiutare l'economia. Il New York Times in un interessante articolo di Martin Fackler ripercorre l'esperienza giapponese degli anni 90.
Un argomento più volte trattato su questo blog.
I giapponesi ad iniziare dal 1991, per sfuggire alla deflazione (e a un eventuale depressione), causata dalla scoppio della bolla immobiliare di fine anni 80, arrivarono a spendere in opere pubbliche (al settembre dello scorso anno), la strabiliante somma di 6,3 trilioni di dollari portando il rapporto debito/pil del paese al 180% (il secondo al mondo dopo quello libanese se non ricordo male). L'effetto di questi interventi sull'economia del paese orientale fu limitato e non salvò il Giappone da quasi 15 anni di stagnazione economica. L'esperienza giapponese ha prodotto due scuole di pensiero: chi ritiene, come Geithner, che il Giappone non sia intervenuto in maniera sufficientemente massiccia e tempestiva, diluendo la spesa pubblica nell'arco di un periodo eccessivamente lungo e chi invece pensa che questo genere di intervento risulti semplicemente inutile.
La conclusione finale dell'articolo del NYT sembra essere: "se proprio bisogna intervenire col denaro pubblico facciamolo almeno in quei settori che possano garantire sviluppo e un livello continuo di occupazione nel prossimo futuro".
In questo senso costruire cattedrali nel deserto la cui utilità pratica risulti discutibile e che una volta completate esauriscano qualunque impatto sul versante occupazionale, non sarebbe una grande strategia. Il denaro andrebbe investito in comparti innovativi in grado di creare sviluppo ed occupazione futura. Il che ci riporta al vecchio discorso su quanto uno stato, la cui azione è spesso basata su considerazioni di carattere politico, sia in grado di individuare correttamente i settori in questione.
Obama ed il pacchetto di intervento stilato dalla sua amministrazione non fanno neppure finta di individuare dei settori preferenziali. Il denaro sembra essere sparso a pioggia nella speranza che magicamente possa arrivare a creare uno sviluppo duraturo e sostenibile. Si tratta inoltre, di una quantità di denaro insufficiente a soddisfare gli interventisti più convinti. Paul Krugman, sempre dalle pagine del NYT, lancia un accorato avvertimento: l'entità del pacchetto di stimolo sarebbe troppo limitata. Secondo Krugman dovrebbe essere almeno il 50% più elevata per poter ottenere qualche significativo effetto. Il noto economista inoltre, accusa il senato statunitense di aver imposto dei limiti irragionevoli agli aiuti concessi ai singoli stati nel nome di una logica centrista, lasciando così scoperto uno dei nervi più sensibili dell'economia statunitense.
Il tutto secondo Krugman, si tradurrebbe in almeno 600000 disoccupati in più nel giro dei prossimi due anni.
Quello del deficit dei singoli stati è davvero una bella gatta da pelare, ma penso che Krugman su questo versante possa tranquillizzarsi. Anche se il governo USA non interverrà oggi, sarà obbligato a farlo domani. L'alternativa sarebbe quella di accettare il fallimento di un numero imprecisato di stati, una via non percorribile politicamente.
Un altro personaggio che classificherei come interventista, Nuriel Roubini, ultimamente sembra prendere le distanze dalle manovre dell'amministrazione americana e rievocando l'esempio giapponese dice:
Roubini mette, in maniera acuta, il dito nella piaga. Se non si risolve nettamente il problema dell'insolvenza bancaria e dell'eccesso di debito privato, ogni altro tipo di intervento rischierà di essere vano. Inoltre, anche volendo puntare sugli investimenti statali, gli 819 miliardi di interventi decisi dal team di Obama sono troppo pochi perché possano ottenere un significativo risultato e vengono sparsi in tanti rivoli sull'intero spettro dell'economia. Difficilmente si tradurranno in una crescita costante e auto sostenibile.
Quelli che speravano che la venuta di Obama avrebbe rappresentato un radicalmente cambiamento hanno dovuto ricredersi. Dopo aver constatato la composizione del suo team economico ogni speranza si è affievolita gradualmente. Il blocco che prende veramente le decisioni sulle materie economiche - costituito da Geithner, Rubin, Summers ecc - appartiene fino alla punta dei capelli ad un estabilishment composto da banchieri e lobbisti, mentre quei pochi consiglieri vecchio stampo che avrebbero potuto avanzare presso Obama delle politiche più ragionevoli e meno prone ai voleri di Wall Street, come Paul Volcker, sono stati marginalizzati.
Domani sapremo che vuole fare Geithner, ma come ho già previsto in passato, difficilmente si tratterà di qualcosa di positivo o di realmente risolutivo. Per quel che riguarda le questioni economiche non mi pare che i cittadini statunitensi possano dirsi in buone mani.
Quel poco che è trapelato la scorsa settimana sulle ipotesi di intervento, sembra configurare però, un ridimensionamento rispetto a quanto annunciato dallo stesso ministro negli ultimi tempi. L'approccio di tipo "bad bank" verrebbe messo da parte o adottato solo in misura limitata. Ad esso sarebbe preferita un' estensione delle garanzie governative, che investa tutti gli assets tossici in possesso delle banche, sulla falsa riga delle misure adottate nei confronti di Citigroup e di Bank of America.
Per quel che riguarda il settore bancario conviene quindi aspettare un giorno prima di commentare, per non correre il rischio di discutere del nulla. Sul prossimo pacchetto di stimolo invece, si conoscono abbastanza dettagli da poter già trarre qualche conclusione.
Il Washington Post si è divertito a tracciare un paio di schemi da mal di testa su come gli 819 miliardi di dollari di aiuti all'economia verranno allocati. La cosa che balza immediatamente agli occhi è l'estrema frammentazione degli interventi. Un fatto che ha riaperto il dibattito su quanto un certo tipo di spesa pubblica contribuisca realmente ad aiutare l'economia. Il New York Times in un interessante articolo di Martin Fackler ripercorre l'esperienza giapponese degli anni 90.
Un argomento più volte trattato su questo blog.
I giapponesi ad iniziare dal 1991, per sfuggire alla deflazione (e a un eventuale depressione), causata dalla scoppio della bolla immobiliare di fine anni 80, arrivarono a spendere in opere pubbliche (al settembre dello scorso anno), la strabiliante somma di 6,3 trilioni di dollari portando il rapporto debito/pil del paese al 180% (il secondo al mondo dopo quello libanese se non ricordo male). L'effetto di questi interventi sull'economia del paese orientale fu limitato e non salvò il Giappone da quasi 15 anni di stagnazione economica. L'esperienza giapponese ha prodotto due scuole di pensiero: chi ritiene, come Geithner, che il Giappone non sia intervenuto in maniera sufficientemente massiccia e tempestiva, diluendo la spesa pubblica nell'arco di un periodo eccessivamente lungo e chi invece pensa che questo genere di intervento risulti semplicemente inutile.
La conclusione finale dell'articolo del NYT sembra essere: "se proprio bisogna intervenire col denaro pubblico facciamolo almeno in quei settori che possano garantire sviluppo e un livello continuo di occupazione nel prossimo futuro".
In questo senso costruire cattedrali nel deserto la cui utilità pratica risulti discutibile e che una volta completate esauriscano qualunque impatto sul versante occupazionale, non sarebbe una grande strategia. Il denaro andrebbe investito in comparti innovativi in grado di creare sviluppo ed occupazione futura. Il che ci riporta al vecchio discorso su quanto uno stato, la cui azione è spesso basata su considerazioni di carattere politico, sia in grado di individuare correttamente i settori in questione.
Obama ed il pacchetto di intervento stilato dalla sua amministrazione non fanno neppure finta di individuare dei settori preferenziali. Il denaro sembra essere sparso a pioggia nella speranza che magicamente possa arrivare a creare uno sviluppo duraturo e sostenibile. Si tratta inoltre, di una quantità di denaro insufficiente a soddisfare gli interventisti più convinti. Paul Krugman, sempre dalle pagine del NYT, lancia un accorato avvertimento: l'entità del pacchetto di stimolo sarebbe troppo limitata. Secondo Krugman dovrebbe essere almeno il 50% più elevata per poter ottenere qualche significativo effetto. Il noto economista inoltre, accusa il senato statunitense di aver imposto dei limiti irragionevoli agli aiuti concessi ai singoli stati nel nome di una logica centrista, lasciando così scoperto uno dei nervi più sensibili dell'economia statunitense.
Il tutto secondo Krugman, si tradurrebbe in almeno 600000 disoccupati in più nel giro dei prossimi due anni.
Quello del deficit dei singoli stati è davvero una bella gatta da pelare, ma penso che Krugman su questo versante possa tranquillizzarsi. Anche se il governo USA non interverrà oggi, sarà obbligato a farlo domani. L'alternativa sarebbe quella di accettare il fallimento di un numero imprecisato di stati, una via non percorribile politicamente.
Un altro personaggio che classificherei come interventista, Nuriel Roubini, ultimamente sembra prendere le distanze dalle manovre dell'amministrazione americana e rievocando l'esempio giapponese dice:
...E gli Usa potrebbero compiere alcuni degli stessi errori del Giappone e soffrire di simili ristrettezze a livello di macro politica in grado di limitarne la capacità di risolvere la crisi finanziaria in una maniera più rapida. Primo, la politica monetaria - per quanto aggressiva - si traduce nello spingere una stringa quando si ha un blocco a causa di una diffusa insolvenza sul mercato del credito, piuttosto che un semplice problema di liquidità. Secondo, la politica fiscale ha i suoi limiti in un mondo dove sei già il più grande debitore netto, il soggetto che al netto ha bisogno di maggiori prestiti e che necessiterà di indebitarsi, al netto, per 2 trilioni di dollari (2,5 trilioni di dollari lordi) nel corso di quest'anno, per finanziare il proprio deficit fiscale mentre tutte le altre nazioni (compresi i tuoi tradizionali creditori), allo stesso modo, stanno mantenendo alti livelli di deficit fiscale con il rischio che si verifichi un improvviso aumento dei tassi di interesse a lungo termine, una volta che lo tsunami di nuovi buoni del tesoro USA colpirà il mercato (vedi ad esempio l'aumento nel redimendo dei buoni negli ultimi 10 giorni e lo spaventoso segnale che esso ha mandato su una possibile prossima dislocazione nel mercato dei buoni del tesoro USA). Terzo, gli USA stanno tenendo un approccio alla pulizia e ricapitalizzazione del comparto bancario che ricorda il Giappone (sistemi di incanalamento e ritardo di una vera pulizia per evitare/ritardare ad azionisti e creditori non assicurati, una necessaria sofferenza) piuttosto che il funzionante processo Svedese di totale rilevazione/nazionalizzazione. Quarto, l'approccio caso per caso, adottato per assecondare le richieste del mercato, alla necessaria riduzione del debito di soggetti non-finanziari insolventi (corportate per il Giappone, proprietari di case per gli USA), sarà troppo lento dato che operando sul debito di un proprietario alla volta, lo smaltimento del debito di 15 milioni di proprietari insolventi richiederà molti anni, mentre un sistemico eccesso di debito richiederebbe una riduzione ad ampio spettro (come in Messico ed in Argentina) che non è politicamente accettabile - in questo momento - negli USA.
Roubini mette, in maniera acuta, il dito nella piaga. Se non si risolve nettamente il problema dell'insolvenza bancaria e dell'eccesso di debito privato, ogni altro tipo di intervento rischierà di essere vano. Inoltre, anche volendo puntare sugli investimenti statali, gli 819 miliardi di interventi decisi dal team di Obama sono troppo pochi perché possano ottenere un significativo risultato e vengono sparsi in tanti rivoli sull'intero spettro dell'economia. Difficilmente si tradurranno in una crescita costante e auto sostenibile.
Quelli che speravano che la venuta di Obama avrebbe rappresentato un radicalmente cambiamento hanno dovuto ricredersi. Dopo aver constatato la composizione del suo team economico ogni speranza si è affievolita gradualmente. Il blocco che prende veramente le decisioni sulle materie economiche - costituito da Geithner, Rubin, Summers ecc - appartiene fino alla punta dei capelli ad un estabilishment composto da banchieri e lobbisti, mentre quei pochi consiglieri vecchio stampo che avrebbero potuto avanzare presso Obama delle politiche più ragionevoli e meno prone ai voleri di Wall Street, come Paul Volcker, sono stati marginalizzati.
Domani sapremo che vuole fare Geithner, ma come ho già previsto in passato, difficilmente si tratterà di qualcosa di positivo o di realmente risolutivo. Per quel che riguarda le questioni economiche non mi pare che i cittadini statunitensi possano dirsi in buone mani.
2 commenti:
deflazione quasi certa,...ma da diverse fonti si parla anche di probabile iperinflazione.
in giappone però non si è mai verificata
anche se il governo è arrivato perfino a comprare azioni direttamente dal mercato
non so ancora cosa ha detto Geithner, ma direi che Wall street non abbia gradito, visto che è colata a picco come un piombo
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