martedì 3 febbraio 2009

Con i piedi per terra

La scorsa settimana, come capita da diversi anni, ho partecipato al Festival sul cinema di animazione e gli effetti speciali che si tiene a Bologna ogni Gennaio. Ho rivisto qualche vecchio amico, ho mangiato troppa cioccolata (la perugina sponsorizzava l'evento) e mi sono addormentato a numerose proiezioni. Per qualche giorno mi è parso che la crisi economica ed i suoi effetti appartenessero ad un mondo distante che poco aveva a che fare con i film proiettati in sala. L'illusione si è infranta bruscamente durante un convegno sulla stereoscopia - l'ultima trovata tecnologica a cui le case di distribuzione cinematografica sembrano affidarsi per cercare di riportare la gente dentro ai cinema - quando il rappresentante della MGM ha lamentato il fallimento del "trust fund" che la celebre casa di produzione utilizza(va) per finanziare i propri film.

Non esiste un settore dell'economia che non sia stato toccato dalla crisi e del resto non potrebbe essere altrimenti. Si tratta di un antipatica realtà che sembra essere finalmente pervenuta anche ai più testardi ottimisti (bugiardi sarebbe forse un temine più corretto). Anche se non sono stato in grado di aggiornare il blog negli scorsi giorni, le mie sortite notturne (rientravo mediamente alle due del mattino) tra le news economiche hanno rivelato con chiarezza una presa di coscienza generale in questo senso. Nessuno sembra più sventolare l'illusione di una possibile ripresa nella seconda metà dell'anno, anzi sembrano tutti impegnati in uno strano gioco al ribasso riguardo le prospettive future.

Ha cominciato l'FMI rivedendo le stime per la crescita del PIL mondiale. Ad Ottobre Strauss-Kah (direttore dell'FMI) se andava in giro lanciando avvertimenti ai capi delle grandi nazioni, invitandoli ad intervenire in maniera coordinata per evitare una recessione globale ed una crescita che a suo dire rischiava di bloccarsi al 2,2% (sotto il 3% di crescita si parla di recessione). Ora l'FMI prevede per il 2009 una crescita quasi nulla pari allo 0,5%. In Europa la crescita arretrerebbe del 2%, in Giappone del 2,6%, in Inghilterra del 2,8% e negli USA dell'1,6%.

L'FMI, nel World Economic Outlook Update, riconosce la necessità di un intervento pubblico a supporto degli istituti bancari. Lo considera un evento improrogabile per arrivare ad una stabilizzazione dei mercati finanziari:

"Simili politiche dovrebbero essere supportate da misure volte a risolvere la situazione della banche insolventi istituendo pubbliche agenzie che si facciano carico dei cattivi debiti possibilmente attraverso un approccio di tipo "bad bank" e salvaguardando nel contempo le risorse pubbliche."

Anche l'FMI sembra quindi caldeggiare l'ipotesi di una "bad bank" pubblica che acquisti dalle altre banche tutti i titoli tossici facendosene carico. Una possibilità che Krugman ha osteggiato definendola Wall Street Vodoo, invitando Obama a rigettarla e a nazionalizzare direttamente gli istituti insolventi. Un altro premio nobel ad aver attaccato questo tipo di approccio, definendolo "denaro in cambio di spazzatura", è Joseph Stiglitz. Anche Stiglitz, sembra suggerire la via della nazionalizzazione, come hanno fatto di recente, oltre a Krugman, Nassim Taleb e Nuriel Roubini.

Lo stesso Roubini ha dovuto ribadire la correttezza delle stime che rilasciò la scorsa settimana e che individuano in 3,6 trilioni di dollari le perdite totali che il settore bancario USA potrebbe incassare. Qualche giorno dopo, in seguito allo scalpore suscitato dalle stime di Roubini, la Goldman Sachs fece loro eco rilanciandole e dichiarando che un intervento di salvataggio che prevedesse l'istituzione di una "bad bank" arriverebbe a costare 4 trilioni di dollari.

Una cifra da capogiro. Anche se più di una persona ha messo in dubbio le nerissime previsioni della Goldman la cifra "4000 miliardi" sembra essersi piantata nella testa di numerosi politici americani. Molti membri del parlamento USA stanno già mettendo le mani avanti, in attesa che Geithner, il nuovo ministro del tesoro, illustri al mondo i dettagli del piano stilato dall'amministrazione Obama per il salvataggio del comparto bancario. Geithner ha già detto che il piano verrà reso pubblico la prossima settimana. Obama dal canto suo ha provato a calmare le inquietudini di politici ed economisti affermando: "non spenderemo mai 4 trilioni di denaro dei contribuenti".

Belle parole. Eppure l'opzione "bad bank" resta sul piatto. Anzi, nonostante la pioggia di critiche, al momento essa sembra essere quella più probabile. L'amministrazione Obama pare preoccuparsi troppo di salvare gli azionisti delle banche per valutare seriamente una qualunque strada, come ad esempio la nazionalizzazione, che preveda l'azzeramento dei valori azionari. Il ministro del tesoro sembra impegnato in una personale missione volta a salvare i banchieri, le loro stock option e tutte quelle entità, a partire dai fondi pensione che hanno investito in titoli bancari o che indirettamente risentirebbero di un loro crollo.

Qualunque sia il piano che Geithner tirerà fuori esso si rivelerà, con tutta probabilità, inefficace se non completamente controproducente. Sarò il solito pessimista, ma quello che ho visto uscire fino ad ora dalla nuova amministrazione USA non mi ispira nessuna fiducia.

Un altro luogo da cui è trasudata la sfiducia nei confronti degli Stati Uniti è stato il meeting di Davos. Come ogni anno i maggiori esponenti del mondo economico e politico si sono ritrovati nella cittadina Svizzera per discutere di dove diavolo stia andando il mondo e presumibilmente, di quanto sia sbagliata la direzione imboccata da esso. Il tema ufficiale della riunione in effetti era: "dare forma ad un mondo post crisi". Un obiettivo senz'altro ambizioso che ben presto è passato in secondo piano rispetto ad una più gratificante ricerca del capro espiatorio.

Hanno aperto le danze Cina e Russia.

Il premier cinese Wen Jiabao durante la giornata di apertura del meeting, ha imputato le cause della crisi economica a:

"Politiche macroeconomiche inappropriate di alcune economie ed il loro insostenibile modello di sviluppo caratterizzato da un prolungato basso tasso di risparmio, alti consumi e un eccessiva espansione degli istituti finanziari nel cieco perseguimento del profitto"


Non è particolarmente difficile capire a quali nazioni si riferisse il premier cinese. Wen ha inoltre messo in guardia contro la tentazione di attivare misure di tipo protezionista, affermando che esse risulterebbero controproducenti per tutti e riferendosi alle relazioni tra USA e Cina ha aggiunto:

"Delle pacifiche ed armoniose relazioni bilaterali renderanno sia la Cina che gli USA dei vincitori mentre un confronto le renderebbe entrambe perdenti. Dobbiamo irrobustire la nostra cooperazione nell'affrontare la crisi finanziaria. Questo è il mio messaggio al governo USA".

In sostanza si tratta di un suggerimento molto gentile lanciato ad Obama che potremmo tradurre come: "non provare ad affrontare la Cina sul piano economico".

Anche Putin non è riuscito a resistere alla tentazione di castigare gli Stati Uniti per "il basso livello del managment" delle banche USA e per aver prodotto, a causa di una piramide di irrealistiche aspettative, la situazione attuale. "Solo un anno fa i delegati americani parlando da questo scranno hanno enfatizzato la solidità dell'economia americana e le sue luminose prospettive future" ha accusato Putin salvo poi concludere il suo discorso usando toni leggermente più concilianti.

In definitiva, al di là di delle numerose frecciate lanciate nei confronti degli Stati Uniti, dell'abbandono senza precedenti da parte del primo ministro turco Erdogan di una conferenza sull'ultimo conflitto a Gaza e di una depressione che sembrava aleggiare sopra l'intero meeting quasi a imitare quella che avvolge l'economia mondiale, la riunione di Davos non sembra aver prodotto nessun reale risultato.

A parte forse, rivelare ancora una volta all'intero pianeta l'arroganza dei banchieri (o banksters come vengono amichevolmente chiamati). La maggior parte di essi ha saggiamente deciso di non presenziare al meeting di Davos del quale fino allo scorso anno, erano tra i più assidui frequentatori. Forse la constatazione di essere ben accetti in un numero di luoghi che va via via riducendosi mano man che il tempo passa, ha influito sulla loro scelta. Jamie Dimon, il CEO della JP Morgan, invece non si è fatto scoraggiare ed ha deciso di presenziare. Incalzato sulle colpe del comparto bancario durante un dibattito, ha dovuto cedere ammettendone una parte, finendo però con lo scaricare il grosso delle responsabilità sui regolatori:

"Dio sa che le banche americane e le banche di investimento hanno fatto alcune cose davvero stupide". "Ai politici io chiedo: Dove diavolo eravate?"

Immagino che i politici fossero troppo impegnati a farsi corrompere e comprare da banchieri e lobbisti. Gli stessi banchieri che se ne andavano giro affermando con incrollabile certezza che fosse necessario togliere ogni controllo e regolamento in modo che le banche e chi le controllava potessero fare quello che volevano. Solo così il sistema finanziario sarebbe diventato più solido e profittevole per tutti quanti, a loro dire. Che adesso se ne escano lamentandosi per un assenza di controlli, suona come una gigantesca presa per il culo.

Le dichiarazioni di Dimon sono state accolte con una certa ostilità dalla platea, tanto che quando qualcuno ha proposto di limitare i bonus percepiti dai banchieri si sono levati numerosi applausi.

A conti fatti, il bilancio del meeting può essere riassunto in: tante chiacchiere (alcune molto interessanti come un dibattito sulla cnbc su futuri interventi possibili) e poca sostanza. Il tutto condito da un pessimismo di fondo che ha portato Kenneth Rogoff, ex capo dell'FMI ed attuale consigliere di Obama, ha definire l'evento come "il più deprimente Davos che si sia mai visto".

Se il pessimismo dilagante a Davos sembra finalmente aver riportato coi piedi per terra quelli che ancora svolacchiavano a mezz'aria, un signore che per un attimo deve aver intravisto la luce è il commissario Ue agli Affari economici Joaquin Almunia. Un articolo su repubblica ne riporta le affermazioni fatte durante un pranzo del "Foro Abc" a Madrid:

Inoltre Almunia teme un intervento permanente dei governi sui mercati finanziari e tassi d'interesse troppi bassi, decisi troppo presto per avere dei risultati positivi. "Non possiamo passare da una bolla finanziaria all'altra" dice il commissario.

Wow, qualcuno deve aver spiegato un paio di cose ad Almunia e sembra che Almunia le abbia anche comprese. Stavo quasi cominciando a sperare che la sanità mentale avesse trovato la via che porta al cervello di un politico di alto livello, quando Almunia se ne esce dicendo:

Almunia ha anche annunciato che Gran Bretagna, Germania e Olanda stanno considerando la possibilità di creare delle "bad bank" per assorbire i titoli tossici degli istituti finanziari. "Inglesi, tedeschi e olandesi - dice il commissario Ue - ne stanno discutendo e probabilmente tutti finiremo per discuterne, a livello di Commissione europea, affinché non si creino distorsioni".

Almunia è dell'idea che si potranno usare i soldi dei contribuenti per creare delle "bad bank", ma che occorre essere sicuri che saranno gestite bene. "I contribuenti - dice - hanno già messo troppi soldi sul tavolo, per chiedergli altri finanziamenti senza trasparenza e senza precise regole sui prezzi e sul management".

Insomma, mezzo mondo starebbe seriamente valutando l'adozione di una strategia che ogni economista semi decente (o che almeno io considero tale) non esita a definire un enorme cazzata. Almunia invece approva l'idea, invocando trasparenza sui prezzi e management. La trasparenza sui prezzi non è possibile. Non ha senso far acquistare ad una "bad bank" i titoli tossici ad un prezzo che sia minimamente vicino a quello di mercato. Se così fosse le banche potrebbero vendere già ora i suddetti titoli sul mercato, senza doverli scaricare sulle spalle degli stati. Riguardo al management invece, mi aspetto interventi punitivi dall'impatto estremamente limitato. Il minimo sufficiente per poter affermare di aver fatto qualcosa contro i banchieri cattivi.

Molto di quel che accadrà in futuro dipenderà come al solito dagli USA. Se la prossima settimana Geithner annuncerà l'istituzione di una "bad bank", con tutta probabilità ne vedremo spuntare di simili (anche se con alcune differenze) anche qui in Europa. C'è da augurarsi che in questi giorni, un minimo di buon senso si faccia strada tra le stanze della casa bianca e che l'amministrazione USA decida di percorre vie più ragionevoli.

Tenere saldamente i piedi per terra è di sicuro un buon inizio per cercare di risolvere i mali dell'economia, ma non è neppure lontanamente sufficiente. Occorre anche rendersi conto di quali siano le soluzioni che si possono ragionevolmente adottare e non aver paura di implementarle.

"Ragionevolmente" è la parola chiave ed ogni ipotesi di "bad bank" purtroppo è tutto fuorché ragionevole.

6 commenti:

mensa andrea ha detto...

un'ovazione per questo scritto, così bello e scorrevole da leggere.
complimenti Stand, scrivi proprio bene.
ora vorrei porre anche a te una domanda che ho appena finito di postare ad Alessandro su castelli di carte.
si sta parlando, e non solo parlando, di stimoli ai settori in crisi.
prtendiamo l'auto, da noi si ventilavano 1,5 miliardi di incentivi.
con gli incentivi si stimola a comprare "perchè conviene" e non "perchè serve", buttando auto ancora funzionanti, e creando così un ulteriore problema di smaltimenti.
non sarebbe meglio pensare alla cassa integrazione per 150.000 lavoratori per un anno, e spingere da subito a ridurre stabilmente la produzione ?
chi ha detto che "l'uscita dalla crisi" riporterà i consumi allo stesso livello antecrisi?
non sarebbe meglio generalmente prendere atto di una riduzione(salutare) dei consumi, e destinare più ricerca verso prodotti più economicamente ed energeticamente più sostenibili ?
non è ancora stato definito come si riconoscerà l'"uscita dalla crisi" e ci si conta sopra, mi sembra demenziale.
che dici ?

Stand ha detto...

Ciao andrea la questione sugli agli aiuti al mercato dell'auto è un po' complicata.

Cercare di stimolare facendo debiti o regalando denaro dei consumi che non sono sostenibili nella speranza che prima o poi (non si capisce esattamente come) lo diventino, non ha senso.

La produzione e i consumi di autovetture negli ultimi anni hanno raggiunto dei livelli assurdi. E' inevitabile che avvenga una contrazione di essi a livello mondiale. In uno scenario del genere qualcuna della grandi aziende produttrici di automobili dovrà necessariamente chiudere i battenti.

Qua la questione si fa spinosa. In un economia di mercato le aziende più solide ed efficenti sopravviverebbero e la questione si risolverebbe da sola. Se invece ogni stato si mette ad aiutare le proprie aziende, il tutto smette di diventare una competizione economica e diventa una competizione tra stati. Quale nazione ha le spalle più grosse o maggiori possibilità politicamente di aiutare le proprie industrie?

In questo caso non è detto che alla fine sopravviveranno le aziende migliori. Ci si ritrova ad agire in base a considerazioni stategiche e non economiche.

La riduzione della produzione in realtà è già in atto basta vedere la toyota che ha temporaneamente chiuso tutte le sue linee di produzione salvo una. L'intervento del governo non servirà tanto a rilanciare i consumi quanto a cercare di tamponare il crollo nella speranza di salvaguardare un mercato interno dell'auto da cui dipende, al di là della produzione, tutto un indotto di punti vendita, parti di ricambio ecc.

Dubito che servirà a granché, dato che qua non stiamo attraversando la piccola recessione transitoria. Il mercato dell'auto è andato e non si riprenderà per un pezzo. Ci sarebbero probabilmente mille altri modi di spendere in maniera più produttiva il denaro. Se il "business as usual" non funziona più, forse sarebbe il caso di cambiare business.

mensa andrea ha detto...

sono d'accordo con cosa dici, pur aggiungendo una considerazione.
se è vero che ogni stato aiuta la propria industria dell'auto, come di ogni altro bene (parlo di paesi dai consumi all'incirca omogenei), andrebbe tenuto conto che la SUA industria dell'auto è proporzionale alla forza economica di quello stato.
tanto per esser chiari, noi abbiamo la fiat, la germania ha Bmw e mercedes e wolkswaghen.
l'italia ha una forza economica e la germania tre volte tanto.
morale, dato che ogni stato dovrebbe spendere in tale impresa in proporzione alla propria dimensione, non ci sarebbero grosse differenze percentuali.
il problema sarebbe piuttosto che tutti brucerebbero una percentuale enorme di risorse per effetti discutibili, visto che oltre alla convenienza occorre anche un certo feeling per acquistare un'auto nuova quando la tua può ancora andare, e si respira aria di crisi.

mensa andrea ha detto...

nota che parlo dall'alto di un vecchio mercedes diesel aspirato (2500) di 19 anni e 350.000 km, che va da dio, sta sempre all'aperto, e parte al primo tocco.
e l'anno prossimo diventa auto storica, per cui mi costerà una bazzecola di bollo e assicurazione.

mensa andrea ha detto...

inoltre, escusa se non sono stato chiarissimo, dato che ogni casa è presente in ogni stato, sarà difficile finalizzare esattamente gli aiuti SOLO sui prodotti nazionali.
mi pare che il "buy america" di Obama, sia già tramontato, come "solo componenti francesi" di Sarkò, e come accadrà alla norma della Merkel, su "solo per i tedeschi".
l'unico aiuto, in effetti che resterebbe "in patria" sarebbe proprio solo quello sui licenziati, o cassintegrati.

mensa andrea ha detto...

speriamo che, grazie alla paura del futuro, e magari un soprassalto di sano buonsenso, ci pensi la popolazione a boicottare e rendere inutili tali piani.
almeno fino a che non sarà stato chiarito cosa vuol dire "uscire dalla crisi", e su quali livelli di consumi.