martedì 31 marzo 2009

Il G-nulla

Le previsioni meteo preannunciano un simpatica settimana fatta di pioggia e vento. Una volta si sarebbe liquidato il tutto appellandosi a qualche vecchio detto tipo: "Marzo pazzerello...". Verrebbe quasi da augurarsi che le cose fossero così semplici. Purtroppo, l'andamento climatico attuale sembra indicare qualcosa di più costante di una semplice pazzia transitoria. Se i miei amici dall'Olanda e dalla Finlandia arrivano a sfottermi perché li splende il sole - anche se fa leggermente più freddo – qualche cosa deve essere cambiata.

Ogni peggioramento climatico, in ogni caso, impallidisce di fronte ai cambiamenti avvenuti in ambito economico ed allo stesso modo il mio personale disgusto nei confronti dell'incessante pioggia, sembra sparire se paragonato alla repulsione che nutro verso certe banche e certi banchieri.

L'inchiostro versato per redigere il piano di Geithner non si è ancora asciugato che già Citigroup e Bank of America hanno iniziato a sfruttare uno dei numerosi stratagemmi che esso mette gentilmente a loro disposizione. Entrambe le banche si sono date alla caccia di spazzatura - CDO nello specifico - arrivando a contendersela per cifre superiori al prezzo di mercato, prezzo che attualmente si aggira sui 30 centesimi per ogni dollaro di valore facciale (a prezzi ragionevoli un mercato esiste anche per la spazzatura sebbene Geithner & Co dicano il contrario). La strategia fa perno sulla convinzione che in futuro i due colossi bancari riusciranno a scaricare sulle spalle del contribuente, tramite PPIP (Public-Private Investment Program), la suddetta spazzatura a una cifra superiore rispetto a quella d'acquisto.

Un bel guadagno netto per le banche che servirà magari a ricapitalizzarle in parte, ma non è certamente quello che il ministro del tesoro USA, almeno a parole, intendeva ottenere tramite il suo piano.

Si avvicina inoltre la chiusura del primo quarto. Evento che potrebbe anche riservare alcune sorprese.

I CEO dei principali istituti bancari statunitensi, Jamie Dimon della JP Morgan, Ken Lewis di Bank of America insieme a Vikram Pandit presidente della Citigroup rivelarono poco tempo fa che le banche da essi gestite, durante i primi due mesi dell'anno avevano incassato dei profitti. La notizia aveva fatto intravedere la luce a più di un investitore e aveva rilanciato i valori azionari del settore finanziario. Un ritorno all'attivo poteva essere il segnale che una lenta ripresa dell'economia fosse in atto. Musica per le orecchie di chi investe in borsa.

A gelare le aspettative ci hanno pensato gli stessi 3 individui, dichiarando lo scorso venerdì in maniera sincronizzata (neanche si mettessero d'accordo), che durante il mese di Marzo vi sarebbe stato un aggravamento del mercato, con relativo calo dei ricavi.

Mentre tutti si chiedevano perplessi a che gioco stessero giocando i suddetti CEO, un post sul blog di Zero Hedge ha gettato un po' di luce sulla natura dei profitti incassati da Citi, JP Morgan e BofA durante Gennaio e Febbraio. A quanto pare, essi sarebbero merito esclusivo dell'AIG che chiudendo una serie di posizioni ancora aperte su strumenti derivati (CDS) avrebbe incassato consapevolmente ingenti perdite - facendo affidamento sul supporto statale per tappare eventuali buchi - a favore di una serie di banche che hanno potuto così, favoleggiare in giro su un imprevisto ritorno dei profitti.

Non è certo una sorpresa scoprire che l'AIG venga usata per incanalare denaro verso le banche di mezzo mondo - Goldman Sachs in testa. A tutta la blogsfera del settore economico non è sfuggito il gioco di offuscamento portato avanti dall'amministrazione USA, volto a suscitare l'indignazione della popolazione nei confronti dei 160 milioni di bonus intascati dai manager dell'ex colosso assicurativo e facendo allo stesso tempo, passare sotto silenzio i regali miliardari fatti dal governo USA, attraverso l'AIG stessa alle principali banche. Il fatto che Obama, Geithner e perfino Bernanke, siano un giorno si e uno no in televisione la dice lunga sulla strategia mediatica che l'amministrazione del presidente americano sta adottando.

Sembra quasi cercare di convincere e rassicurare la gente a parole, più che con azioni concrete.

Concretezza di cui si sente forte necessità e che personalmente spero di vedere materializzarsi al G20.

Come si può intuire dal titolo di questo post, le mie speranze e le mie previsioni non coincidono assolutamente. Willem Buiter in un recente articolo intitolato: "G20, non aspettatevi nulla, sperate per il meglio e preparatevi per il peggio" avanza una serie di suggerimenti che il G20 farebbe bene a prendere in esame.

Buiter chiede un impegno deciso al mantenimento di liberi scambi internazionali senza che siano imposte restrizioni di alcun genere, consiglia di aumentare di 10 volte i fondi a disposizione dell'FMI tramite l'emissione di SDRs e sopratutto si augura che venga finalmente riconosciuto da tutti il collasso di quel sistema finanziario globale che è cresciuto in maniera abnorme dal 1980 in avanti. Un sistema che non può essere riparato con dei cerotti applicati in maniera grossolana, ma che avrebbe bisogno di riforme profonde e globali.

Buiter avanza alcune idee sul tipo di riforme da adottare. Tutte abbastanza ragionevoli ed ovvie se vogliamo. Così ovvie che verrebbe da sperare fossero all'ordine del giorno del G20.

Eppure, non sembra essere solo Buiter a sentire una pungente puzza di nulla provenire dalla riunione di Londra (i cui lavori partiranno domani). Anche il presidente francese Sarkozy sembra possedere un olfatto sufficientemente allenato:


Se il G20 sara' di basso profilo, mi alzo e me ne vado". La minaccia arriva dal presidente francese Nicolas Sarkozy che secondo alcuni quotidiani inglesi sarebbe pronto anche a boicottare il G20 che iniziera' domani a Londra se non si raggiungeranno obiettivi precisi.
"La Francia - spiega una fonte vicina all'Eliseo - non accettera' un G20 con tante parole e pochi fatti"

Anche il primo ministro inglese, Gordon Brown, nei giorni scorsi aveva subdorando un vertice inconcludente arrivando a suggerire che venisse messo in agenda un ulteriore incontro del G20 durante l'anno in corso. La sfiducia di Brown, nasce forse dall'aver visto trapelare la sua bozza per il comunicato finale del G20, bozza che Brown stesso, auspicava sarebbe stata successivamente firmata da tutti partecipanti alla chiusura dei lavori. Nel documento in questione è contenuto l'impegno a contribuire al rilancio dell'economia globale tramite uno stimolo fiscale congiunto di 2 trilioni di dollari. Una misura che sembra inquadrarsi pienamente con il proposito, che secondo alcuni nutrirebbe Brown, di annunciare il 22 Aprile un ennesimo pacchetto di stimolo per l'economia Britannica. Stimolo a cui si era in precedenza opposto Mervin King il capo della banca centrale inglese quando affermò che le finanze del paese non consentissero più interventi simili.

Della stessa opinione di King sono sempre state anche Germania e Francia. Entrambi i paesi si sono numerose volte opposti a degli interventi di stimolo coordinati. Non si capisce bene come Brown pensi o pensasse, di riuscire a convincere le due nazioni a contribuire ai sopra citati, 2 trilioni di dollari.

Qualunque strada abbiano in mente di percorrere il leader dei G20 sarà il caso che si sbrighino ad imboccarla.

L'economia non sta certo ad aspettarli e continua il suo inesorabile deterioramento. I dati provenienti dai paesi esportatori sono un incubo. La contrazione delle esportazioni Giapponesi ha toccato un senza precedenti -49% a Febbraio rispetto l'anno precedente, gli ordinativi esteri dell'industria Tedesca son crollati del 37%. Secondo l'OCSE in Italia quest'anno l'export crollerà del 15,9% ed il PIL del 4,3% alla faccia delle nostro governo che solo un mesetto fa si lamentava con confidustria per una previsione sul PIL di -2,5% (poi riveduta qualche giorno fa e portata al -3,5%). La disoccupazione italiana toccherà, secondo le previsioni OCSE, il 9,7% nel 2009 ed i consumi dei privati segneranno un -3%. Il governo Spagnolo ha appena salvato la sua prima banca, la Cassa di Risparmio di Castilla-La Mancha, concedendole un finanziamento di 9 miliardi. Sebbene si tratti di un istituto di dimensioni ridotte il precedente e tutt'altro che rassicurante. Il rating dell'Irlanda ieri è stato tagliato dalla Standard & Poors, scendendo da AAA ad AA+ e si prevede che il PIL dell'ex tigre celtica subirà una contrazione del 6,5% nel corso dell'anno.

Come era prevedibile si stanno verificando le prime rivolte anche all'intero di alcuni dei paesi dell'area euro ritenuti più stabili:


A Grenoble il direttore del personale e altri tre manager della “Caterpillar” sono stati sequestrati e tenuti prigionieri dagli operai dell’azienda. La multinazionale americana vuole licenziare 733 persone su 2.500 addetti, perché le vendite sono calate del 55%. Ovviamente, il licenziamento del personale è la prima e più facile soluzione alla crisi.
I sequestratori non sono delinquenti o terroristi. Benoit Nicolas, delegato sindacale della Cgt, la più grande organizzazione dei lavoratori francesi, equivalente della nostra Cgil, ha dichiarato che li tratterranno finché non si sarà aperta una trattativa.


Oltre ai manager in procinto di “razionalizzare” le attività delle aziende , un altro ambito bersaglio per la popolazione frustata, sembrano essere diventati i banchieri. Fred Goodwin ex capo della Royal Bank of Scotland, posizione che ha lasciato intascandosi una liquidazione milionaria dopo aver condotto l'istituto al fallimento e aver costretto il governo di sua maestà a una nazionalizzazione frettolosa, si è visto assaltare l'abitazione da un gruppo di cittadini inferociti che dopo aver infierito a suon di sassi contro le vetrate dell'edificio hanno terminato il proprio sfogo facendo a pezzi l'automobile di Goodwin. Dopo questo avvenimento ed in vista di eventuali proteste per il G20 è stato suggerito a tutti i dipendenti dell'RBS di recarsi a lavoro in abiti dimessi, in modo che non corressero il rischio di essere scambiati per dei banchieri.

Ai manager delle principali banche svizzere invece è stato imposto di non abbandonare il paese elvetico, neppure per viaggi di lavoro. Il timore è che una volta sbarcati all'estero essi possano essere prelevati dalle autorità locali e interrogati successivamente in merito a possibili evasioni fiscali agevolate dagli istituti per cui lavorano. Il precedente screzio tra USA e UBS e le ripetute minacce lanciate dall'Europa contro i paradisi fiscali stanno lasciando il segno. Tra le mete proibite vi sono USA, Germania e Francia.

Si sente insomma, un vago odore da 1870, anno in cui i banchieri vennero inseguiti e cacciati da una popolazione che ne pretendeva l'impiccagione.

E se troppi stati, non sembrano aver ancora deciso di intervenire in maniera netta in ambito economico, le principali banche centrali si sono dimostrate ben più attive. Alla festa chiamata QE, stanno per unirsi anche due delle ultime superstiti: la banca centrale Europea e quella Canadese.

La BCE preoccupata dagli ultimi dati sull'economia ha fatto capire, tramite il suo vice presidente Lucas Papademos, che potrebbe lanciarsi in misure di quantitative easing arrivando ad acquistare sul mercato secondario bond di diverse società (quali non è dato sapere). Ad essa ha fatto eco la banca centrale canadese ventilando anch'essa il ricorso al QE. Sembra che dopo lo zirp (tasso di interesse 0) globale stiamo finalmente arrivando al quantitative easing globale.

Le banche centrali dunque, si stanno tutte muovendo e nella medesima direzione.

Purtroppo quella odierna non è una crisi che possa essere risolta per via monetaria o indebitando gli stati in modo che l'aumento della spesa pubblica vada a compensare il calo della domanda aggregata.

Durante il G20, le principali nazioni del pianeta hanno la possibilità di gettare le basi per un sistema economico che sia un minimo più ragionevole di quello attuale, abbandonando una volta per tutte l'illusione che la situazione possa in breve tempo tornare ad essere quella di 2 anni fa. Il che significa anche cominciare a ridefinire i ruoli consumatore/produttore degli USA e della Cina.

Un buon primo passo potrebbe essere quello di sistemare una volta per tutte il sistema bancario arrivando a creare banche più piccole e meglio regolamentate in modo che non rappresentino un significativo rischio sistemico. Tornando a separare le funzioni delle banche di investimento da quelle delle banche commerciali. Ricapitalizzando gli istituti in maniera decente, facendo pagare il prezzo a chi se lo merita - azionisti e obbligazionisti. Sistemando una volta per tutte l'infernale mercato dei derivati OTC, in particolar modo quello dei CDS.

Purtroppo non penso che succederà nulla di tutto ciò a Londra. Come Simon Johnson, ex capo economista dell'FMI ha scritto su The Atlantic in uno splendido articolo, gli USA sono prigionieri di un oligarchia composta da banchieri e finanzieri. Ogni intervento del governo andrà a vantaggio di questi ultimi indipendentemente da quale possa essere l'interesse generale. Un film che Johnson ha visto più volte durante la sua permanenza all'FMI. Di solito gli interpreti, erano paesi in via di sviluppo o nazioni con dei deficit democratici come Russia ed Argentina. Durante ognuno di questi casi, gli USA erano lì, a premere perché le oligarchie venissero scavalcate e sacrificate, in modo che si potessero applicare con efficacia quelle riforme necessarie ad una ripresa del paese.

Risulta ironico constatare come siano proprio gli USA ora, a comportarsi come quelle nazioni che hanno passato intere decadi a criticare.

E' evidente che Geithner non voglia danneggiare l'oligarchia bancaria ne rischiare di far pagare il giusto prezzo agli obbligazionisti delle banche, tra cui una miriade di fondi pensione già traballanti. Il ministro del tesoro USA ha recentemente dichiarato che i naked CDS (cds emessi senza che sia dimostrata da parte dell'acquirente la reale intenzione di assicurare un obbligazione) non andrebbero proibiti.

Ad onor del vero, Geithner ha quantomeno ammesso che andrebbe controllata la solvibilità di chi emette CDS, in modo da ridurre il rischio che essi vengano venduti in quantità industriale, da società che non potranno mai pagarli in caso di problemi. L'intenzione di fondo però resta immutata: non essere troppo duri nei confronti dell'establishment finanziario.

Una scelta che trovo scellerata.

Finché non si deciderà che è venuta l'ora che certe oligarchie paghino per le proprie colpe non usciremo veramente dal casino in cui ci troviamo immersi. Quest'ora non sembra essere ancor giunta. Per questa ragione sono pronto a scommettere che il G20 di domani si rivelerà ancora una volta, una riunione fatta di nulla.

martedì 24 marzo 2009

Fuoco di sbarramento

E' dal giorno in cui il nuovo presidente degli Stati Uniti si insediò alla casa bianca che il mondo attendeva una risposta al problema degli assets tossici presenti ancora oggi nei bilanci delle banche. La speranza che il ministro del tesoro scelto da Obama, Timoty Geithner, avrebbe in breve tempo presentato un audace e risolutivo piano, si spense presto. Geithner si dimostrò impacciato ed impreparato, stretto tra il desiderio di aiutare i suoi amici banchieri ad uscire dalla loro impasse a testa alta - e soprattutto con le tasche piene - e la necessità di risolvere la situazione convincendo il contribuente che ben poco del denaro statale sarebbe stato impiegato.

Per settimane sono girate molte voci su come Geithner intendesse comportarsi per raggiungere questi obiettivi, ma pochi dettagli precisi son trapelati a riguardo. Poi, ieri mattina la svolta. Finalmente, Il governo degli Stati Uniti ha gettato un po' di luce e lo ha fatto rilasciando un documento ufficiale. In esso viene illustrato, in maniera abbastanza dettagliata, il funzionamento del piano anticipato in passato da Geithner, anche se solo a parole .

I listini hanno reagito all'avvenimento facendosi prendere da una sfrenata euforia e salendo alle stelle. Il progetto avanzato dal ministro del tesoro USA, sembrerebbe quindi avere incassato l'approvazione dei mercati.

Gli obiettivi che il piano si prefigge sono due: ripulire i bilanci delle banche dalle Legacy Loans e dalle Legacy Securities. Se vi steste chiedendo che si intende con quei due termini, beh, immaginatevi una granda pila di spazzatura maleodorante.

Il termine Legacy Loans nasce lo scorso Luglio per opera del CFO della JP.Morgan Mike Cavanagh, come modo per distanziare le banche, nell'immaginario collettivo, dai prestiti andati a male concessi nel corso degli anni precedenti. Si tratta semplicemente di un termine il cui suono è stato ritenuto più rassicurante rispetto ad "assets pericolanti". Lo stesso discorso vale per Legacy Securities, anche se in questo caso di intendono tutti quegli assets che venivano poi rivenduti sul mercato secondario, tradotto: derivati costruiti sui mutui e simili.

Nel caso delle Legacy Loans, il piano prevede che venga svolta un asta tra privati per determinare il prezzo a cui esse verranno vendute di volta in volta, da questa o quella banca. La maggior parte della cifra in questione verrà sborsata dallo stato sotto forma di garanzia fornita dall'FDIC. Una quantità di denaro pari a quella impegnata dal privato, verrà poi scucita direttamente dal tesoro.

Per capire meglio, vediamo cosa dice l'esempio illustrativo contenuto nel documento del governo:

Passo 1: Se la banca ha un pool di mutui residenziali con un valore facciale di 100 dollari e vuole disinvestire, essa si farà avanti a questo scopo con l'FDIC

Passo 2: L'FDIC determinerà, in base al processo riportato sopra (si riferisce al documento originale ndr), la disponibilità a fornire al pool in questione un leverage di 6 a 1 in base al rapporto debito-investimento

Passo 3: Il pool sarà poi messo all'asta dall'FDIC, con diversi soggetti del settore privato che presenteranno una loro offerta. L'offerta più alta del settore privato – in questo caso 84 dollari – vincerà e andrà a formare un Fondo Pubblico-Privato di Investimento che acquisterà il pool di mutui in questione.

Passo 4: Sugli 84 dollari del prezzo di acquisto, l'FDIC fornirà la garanzia a 72 dollari di finanziamento, lasciando scoperti 12 dollari di investimento iniziale.

Passo 5: Il tesoro fornirà poi il 50% di questo investimento iniziale in affiancamento all'investitore privato. Nell'esempio fatto, il tesoro investirà circa 6 dollari, mentre il privato contribuirà con altri 6 dollari.

Passo 6: L'investitore privato gestirà poi il pool di assets ed il momento della sua disposizione - usando degli asset managers approvati e sottoposti alla supervisione dell'FDIC.

La prima cosa che si può notare è che l'investitore privato su 84 dollari di investimento, ne sborsa materialmente solo 6. Altri 6 vengono messi direttamente dal tesoro. I rimanenti 72 vengono raggranellati sul mercato vendendo a questo scopo obbligazioni. Il valore di queste obbligazioni viene garantito dall'FDIC, dato che nessun privato si sognerebbe mai, senza avere una garanzia alle spalle, di prestare denaro perché esso venga poi utilizzato per l'acquisto di spazzatura. L'FDIC è un ente che dipende dal governo stesso. Il suo scopo primario dovrebbe essere quello di liquidare le banche fallite, proteggendo nel contempo i depositi dei correntisti. In questo caso invece, viene utilizzato come garante del valore delle obbligazioni emesse nell'ambito del PPIF. In soldoni, anche delle eventuali perdite sui 72 dollari di leverage (altrimenti detto debito) risponderà il tesoro USA.

Il contribuente americano quindi, si troverà chiamato in causa per il 92%-96% della cifra complessiva mentre il privato risponderà del restante 8%-6%. Una volta acquistati, gli 84 dollari di assets tossici, pardon Legacy Loans, verranno gestiti fino alla liquidazione finale da managers approvati dall'FDIC stesso.

Tutta l'operazione ideata da Geithner, si riduce all'introduzione di un intermediario, utilizzato per dare l'illusione che vi sia dietro a questo plateale giochetto, non lo stato, bensì un gruppo di privati. Questo intermediario si intascherà un bel gruzzoletto per l'opera di recupero capitale e per la gestione degli assets, mentre ogni possibile perdita - che non ecceda il 92%-96% della cifra totale - ricadrà sulle spalle del governo USA.

Chi, non vorrebbe partecipare ad un progetto simile?

Progetto che Krugman ha riassunto con la frase: "testa io vinco, croce tu perdi".

La parte del piano che riguarda le Legacy Securities è differente, ma anche in questo caso gran parte del denaro viene fornito dal governo. Vediamo l'esempio fatto nel documento ufficiale a riguardo:

Passo 1: Il tesoro lancerà il processo di sottoscrizione per i managers interessati al Legacy Securities Program.

Passo 2: Un fund manager potrà sottoporre una sua proposta e così si pre-qualificherà per il recupero di capitali privati, volti alla partecipazione in un programma di investimento congiunto con il tesoro.

Passo 3: Il governo acconsente a fornire un dollaro di capitale per ogni dollaro di capitale privato che il fund manager sarà in grado di recuperare e di fornire un certo livello di leverage per finanziare il proposto Public-Private Investment Fund.

Passo 4: Il fund manager fa poi partire il processo di vendita per il fondo di investimento ed è in grado di recuperare per esso 100 dollari di capitale privato. Il tesoro fornisce altri 100 dollari come investimento che si va ad affiancare al capitale privato e fornirà un prestito di 100 dollari al Public-Private Investment Fund. Il tesoro potrà anche considerare richieste dal parte del fund manager per un addizionale prestito che potrà arrivare ad un massimo di 100 dollari.

Passo 5: Come risultato, il fund manager ha 300 dollari (o in alcuni casi 400 dollari) di capitale totale a disposizione e può cominciare il programma di acquisto delle securities in oggetto.

Passo 6: Il fund manager ha piena discrezionalità sulle decisioni dell'investimento, sebbene segua in linea di massima una strategia di lungo termine: "compra e tieni". Il Public-Private Investment Fund, se il fund manager decide in questo senso, potrà anche avere accesso alla versione espansa del TALF quella che riguarda le legacy securities, quando essa sarà lanciata.

Anche nel caso delle Legacy Securities il grosso del denaro viene messo dal governo sebbene siano numerosi i dettagli che non si conoscono ancora, specialmente sulle condizioni che riguardano ai prestiti erogati nell'ambito del programma. Quel che risulta chiaro è che a fronte di un investimento iniziale pari a 100 dollari, si potranno ottenere fino a 300 dollari di finanziamento statale a fondo perduto (si tratta di non recourse loans). Inoltre un buon numero di queste securities rischia di venire successivamente scaricata sul bilancio statale tramite il TALF.

L'intero piano elaborato da Geithner non è altro che un gigantesco stupro operato da un gruppo di banchieri e speculatori nei confronti dell'intera popolazione statunitense. Tutto con il bene placido e sotto la supervisione del governo.

Rivoltante è dir poco.

La ragione per la quale il governo non acquista direttamente tutti i titoli tossici dalle banche facendola finita una volta per tutte, è l'impossibilità in un simile scenario di diluire nel tempo la spesa, come invece ritiene di poter fare applicando il piano di Geithner. Inoltre le pressioni di una popolazione sempre più esasperata nei confronti del settore bancario, impedirebbe l'adozione di una simile strategia ed il contemporaneo salvataggio dei banchieri amici di Geithner.

Penso che neppure il ministro del tesoro USA - per quanto vada in giro ad assicurare che un simile miracolo si verificherà - ritenga veramente che suo il piano possa far nascere un mercato per la spazzatura. I soggetti che avranno accesso ai finanziamenti statali finiranno col rimpallarsi tra loro gli assets tossici fino a quando i fondi governativi dureranno, intascandosi nel frattempo, una parcella per ogni passaggio. Chi investirà in questi fondi di suo non rischierà nulla: ogni eventuale guadagno finirà nelle sue tasche ed ogni eventuale perdita verrà segnata sul bilancio statale.

Un altro dubbio che sorge, leggendo il documento rilasciato dal governo, è se esista un eventuale meccanismo che impedisca ad una banca di istituire una struttura ad hoc per partecipare al programma del tesoro.

In sostanza, la banca A potrebbe creare il fondo pincopallo, farlo partecipare ad un asta per un pool di assets marci della stessa banca A, vincere l'asta offrendo una cifra stratosferica, sborsare solo il 5%-6% della cifra in questione liberando così i bilanci della banca ed accollando allo stesso tempo, ogni perdita allo stato.

Un gruppo di managers della Goldman Sachs qualche tempo fa, abbandonò l'istituto ed annunciò l'intenzione di fondare una società per sfruttare le possibilità di investimento che il governo avrebbe messo a disposizione del mercato tramite il PPIF (Public-Private Investment Fund). Cosa vieterebbe a questi signori di farsi prestare un 6% di fondi iniziali dalla loro ex banca ed utilizzarli per acquistare, pagandola eccessivamente, spazzatura dalla Goldman stessa?

Il sospetto che lo scopo dell'intero progetto sia proprio questo è forte.

Ovviamente la borsa ha gradito enormemente il piano. Del resto sarebbe stato strano il contrario. Il governo ha promesso di dare soldi a tutti, banche ed intermediari e di intascarsi ogni perdita. Per gli investitori e per i bilanci bancari il fatto è senz'altro positivo. Resta da vedere quanto ciò potrà effettivamente sistemare i libri contabili degli istituti di credito e quante perdite finirà con l'assorbire il tesoro USA.

Proprio ieri, la FED ha annunciato d'aver trasferito sul bilancio statale gli assets della Bear Sterns e dell'AIG che teneva parcheggiati nel fondo chiamato Maiden Lane (diviso in realtà in 3 fondi: Maiden Lane 1-2 e 3) ed il cui valore secondo gli ultimi dati disponibili, ammonterebbe a 72,1 miliardi di dollari. Quante perdite si annidino in questi assets non è dato sapere. Si conoscono solo alcuni retroscena. Ad esempio Maiden Lane 3, pagò una serie di banche, 62 miliardi di dollari per l'acquisto di alcuni CDO assicurati dall'AIG tramite CDS, in modo che i suddetti CDS venissero annullati. In cambio di questi 62 miliardi, la FED ha ottenuto assets per un valore di 30 miliardi di dollari.

Tutte le perdite contenute in Maiden Lane adesso sono un problema del governo USA. Questo dimostra come ha scritto Willem Buiter in un recente articolo, che la FED è in grado di fallire (almeno in teoria). Essa dipende strettamente dal governo degli Stati Uniti ed è incapace in maniera autonoma di far fronte ad ingenti perdite. Ogni eventuale perdita verrà inevitabilmente girata dalla FED sul bilancio statale.

Sembra inoltre, che verrà presto reintrodotta l'Uptick Rule. Si tratta di una regola adottata dalla SEC nel 1937 con l'obiettivo di limitare le vendite di titoli al ribasso. In base ad essa, prima di poter giocare a ribasso su un titolo, bisogna aspettare che il valore di quest'ultimo risalga o che esso risulti, in ogni caso, più elevato rispetto a quello riscontrato durante la vendita immediatamente precedente.

L'Uptick rule venne abolita nel 2007 dalla SEC, dopo che diversi studi ne dimostrarono l'ininfluenza. Va detto che i test in questione non furono eseguiti prendendo in esame le condizioni di un mercato sotto grande stress, quelle in cui ci troviamo immersi dallo scorso anno ad esempio. In un mercato volatile come quello degli ultimi mesi, le vendite al ribasso sono considerate "il male" (vero o meno che sia). Da più parti sono giunte pressioni verso una reintroduzione dell'Uptick Rule e tutto fa pensare che la SEC, durante la prossima riunione dell'8 Aprile cederà ad esse.

Nelle ultime settimane sono state intraprese una serie di misure estremamente pesanti. Ricapitolando: la FED si è lanciata con 300 miliardi di dollari nell'acquisto diretto di buoni del tesoro a lungo termine, Geithner ha presentato il suo piano truffaldino (almeno nei confronti dei contribuenti), è stato sospeso il mark to market, verrà (quasi certamente) reintrodotta l'Uptick Rule e la FED ha appena liberato parte dei suoi bilanci, scaricando le perdite sul conti del tesoro.

Stiamo assistendo ad un vero e proprio fuoco di sbarramento.

Le ragioni che stanno dietro a questi provvedimenti potrebbero essere banali.

Ad un paio di mesi dall'insediamento di Obama non era più rimandabile un intervento, la presentazione dei dettagli del piano di Geithner era stata posticipata troppo a lungo. Era fondamentale mostrare ai mercati l'intenzione di afferrare il toro per le corna. Tanto valeva, a quel punto, agire in maniera massiccia e coordinata, adottando una serie di misure ben viste dai principali operatori finanziari.

L'altra possibilità è che la FED ed il governo USA abbiano a disposizione dei dati di prima mano sull'economia. Dati che non vogliamo veramente conoscere perché ci toglierebbero il sonno ed in base ad essi abbiano deciso di intervenire preventivamente con una terapia d'urto nel tentativo di stabilizzare il mercato del credito e di far risalire i listini.

In questo secondo caso, ci troveremmo di fronte all'equivalente economico della linea maginot.

Quale che sia la verità, gli Stati Uniti sono molto vicini a giocarsi il tutto per tutto e per quanto trovi ripugnante gran parte delle misure intraprese, non posso che augurar loro di vincere questa rischiosa scommessa al raddoppio.

domenica 22 marzo 2009

L'ultima cartuccia

Domenica scorsa 60 minutes ha intervistato Ben Bernanke: un evento senza precedenti. Il capo della Federal Reserve aveva sempre declinato ogni invito in tal senso, forse per mantenere quell'aurea di mistero ed imperscrutabilità che da sempre avvolge la banca centrale degli Stati Uniti.

Ma i tempi cambiano. Una crisi economica che non ha precedenti nella storia recente ed il fioccare di proteste contro la scandalosa condotta tenuta dai dirigenti dell'AIG - il colosso assicurativo salvato dal governo USA a suon di 180 miliardi di dollari - che incuranti di tutto il denaro strappato al contribuente, si sono auto-assegnati 160 milioni di dollari in bonus, hanno costretto il vecchio Ben a scendere in campo rivolgendosi direttamente alla nazione.

Il servizio di 60 minutes cerca in ogni maniera di mostrarci il lato umano di Bernanke. La storia della sua famiglia, i suoi studi, come si fosse preparato una vita intera per affrontare una crisi economica come quella odierna. Ad un certo punto, l'intervistatore interroga Ben, in merito ai salvataggi che la FED ha operato nei confronti di una serie di società finanziarie. Bernanke con aria afflitta, risponde di non aver potuto agire altrimenti e annuncia di essere profondamente infuriato nei confronti di queste entità, in particolar modo dell'AIG, la cui vicenda lo avrebbe riempito di una tale rabbia, da spingerlo più volte a sbattere giù la cornetta del telefono mentre ne discuteva. Si tratta forse del momento più toccante di tutta l'intervista. Traspare una sofferenza quasi genuina dalle parole del vecchio Ben.

Mentre seguivo l'intervista e cercavo, assalito dalla commozione, di agguantare un pacco di fazzoletti, Bernanke cambiava totalmente marcia e mi spiazzava dichiarando con fare rassicurante: " Ma abbiamo un piano. Ci stiamo lavorando sopra. E io penso che riusciremo a stabilizzarla (l'economia ndr), e che vedremo terminare la recessione probabilmente quest'anno. Vedremo la ripresa cominciare l'anno prossimo".

Tutto bene quindi.

Ben e la FED stringono saldamente il timone tra le mani ed hanno imboccato una rotta che ci condurrà fuori dal mare in tempesta entro la fine dell'anno.

Giunse poi mercoledì, il giorno della prevista riunione dell'FOMC - il comitato della Federal Reserve che decide della politica monetaria degli Stati Uniti - e tutto cambiò. Generalmente, il comitato si occupa di ritoccare il tasso di interesse, ma con il tasso al minimo storico dello 0,25% era rimasto ormai ben poco da ritoccare.

L'FOMC ha quindi deciso di ricorrere alla soluzione finale adducendo come giustificazione per la decisione presa:

Le informazioni ricevute dal Federal Open Market Committee, dall'incontro di Gennaio a oggi indicano che l'economia continua a contrarsi. Il calo dell'occupazione, il declino della ricchezza e del valore delle abitazioni e una ristrettezza del credito hanno pesato sull'umore dei consumatori e sulla loro propensione alla spesa. Un deteriorarsi delle prospettive di vendita e la difficoltà nell'ottenere credito hanno portato le aziende a tagliare le scorte e gli investimenti fissi. Le esportazioni USA sono crollate dato che un numero sempre maggiore di partner commerciali sono caduti in recessione.

L'FOMC continua per qualche riga ancora, a descrivere una situazione in costante peggioramento che mal si concilia con i discorsi fatti da Ben a 60 minutes su una prossima ripresa. La vera e propria bomba però, arriva poco più sotto nel prosieguo del comunicato:

Per fornite un maggior supporto ai prestiti per mutui e al mercato immobiliare, il comitato ha deciso di aumentare le dimensioni del bilancio della Federal Reserve arrivando ad acquistare fino a 750 miliardi di dollari aggiuntivi in mortgage backed securities dalle agenzie, portando il totale degli acquisti di queste securties ad un massimo di 1,25 trilioni nel corso dell'anno, e di aumentare l'acquisto di debito emesso dalle agenzie di 100 miliardi di dollari portandolo ad un totale di 200 miliardi. Inoltre, per aiutare a migliorare le condizioni del mercato privato del credito, il comitato ha deciso di acquistare fino a 300 miliardi di buoni del tesoro a lunga scadenza nel corso dei prossimi sei mesi.

Di per se solo l'annuncio del raddoppio degli acquisti di mbs (mutui cartolarizzati) in possesso delle due grandi GSEs, Fannie Mae e Freddie Mac è significativo. Fino ad ora, questo sembrava essere l'approccio al "quantitative easing" preferito da Ben, seppure il capo della FED avesse minacciato più volte, da Dicembre in avanti, di lanciarsi nell'acquisto diretto di buoni del tesoro a lungo termine. Un'opzione che però, si era sempre rifiutato di adottare concretamente.

Mercoledì è finalmente giunta la resa.

Non c'è modo di minimizzare la gravità del passo deciso dall'FOMC.

E' l'equivalente economico dell'aver spinto uno di quei bottoni rossi protetti da piccoli schermi di vetro. Quelli che solitamente nei film vengono premuti come ultima risorsa in contemporanea al girare simultaneo di una coppia di chiavi.

Se si è intrapresa una simile azione significa che la situazione sta tutt'altro che migliorando. Altro che ripresa all'inizio del 2010.

Mercoledì pomeriggio, mentre tutti ancora aspettavano il comunicato dell'FOMC e si dicevano, per la maggior parte, certi che non avrebbe contenuto nessun significativo annuncio, in borsa succedeva un casino. Il dollaro crollava, l'oro pure, l'xlf (un indice che raggruppa i titoli finanziari dello S&P 500) galoppava al rialzo e veniva fatta incetta di opzioni di acquisto sui buoni del tesoro a 10 anni da parte di alcuni soggetti. Sembrava che qualcuno sapesse in anticipo cosa stesse per uscire dalle stanze della FED. Ingenuamente, non pensando che Ben sarebbe arrivato davvero ad annunciare l'acquisto diretto di buoni a lungo termine, liquidai certi movimenti estremi come il prodotto di poche limitate manovre speculative.

Analizzando col senno di poi gli avvenimenti, specialmente ciò che è accaduto al prezzo dell'oro, colato a picco poco prima dell'annuncio dell'FOMC e salito alle stelle subito dopo, risulta evidente che in molti sapessero. Se non altro sono in buona compagnia. Rick Santelli ha dichiarato ironicamente alla CNBC, di essersi sentito estremamente stupido, quando un ora prima che fossero rese pubbliche le decisioni del comitato della Federal Reserve, si scatenò la caccia ai buoni del tesoro. Santelli dice di non averne capito le ragioni sul momento, dato che dal suo punto di vista non era affatto scontato ritenere che Ben e soci si sarebbero lanciato in certe misure di "quantitative easing". Non parla esplicitamente di insider trading, ma il ghigno sarcastico che gli illumina il volto mentre commenta è più che sufficiente a far capire come la pensa (qui potete vedere il filmato con Santelli).

L'ennesima dimostrazione che ogni illusione di legalità e trasparenza del mercato sia andata a farsi benedire da parecchio tempo.

Manipolazioni a parte, da mercoledì economisti e commentatori si sono lanciati nell'analisi delle possibili conseguenze della scelta operata dall'FOMC.

Innanzitutto è interessante notare come la Federal Reserve abbia deciso di stampare brutalmente denaro per acquistare quei titoli che gli investitori esteri, specialmente banche centrali, hanno smesso di comperare da alcuni mesi: mbs e debiti delle GSE e buoni del tesoro a lungo termine.

Brad Setser in un recente articolo ha illustrato come il trend degli acquisti dei buoni a lunga scadenza sollevi più di una preoccupazione. Nel grafico sotto si può notare come sia crollata la domanda estera su di essi e sui titoli delle agenzie:



Il grafico si ferma a Dicembre, ma anche durante il mese di Gennaio il calo è proseguito. I grandi investitori esteri preferiscono concentrarsi sui buoni del tesoro a breve termine, quelli a scadenza trimestrale, per non correre il rischio di rimanere intrappolati negli eventuali problemi futuri degli Stati Uniti.

Conclude Setser il suo articolo:

E se - come sembra probabile - la domanda da parte straniera per buoni del tesoro svanirà prima del deficit fiscale USA, il tesoro USA dovrà vendere una grandissima quantità di buoni del tesoro agli investitori americani. Per alcuni anni ho argomentato che fosse impossibile esagerare l'impatto che la domanda delle banche centrali estere ha sul mercato dei buoni del tesoro USA.

Essa potrebbe non esserci più guardando al futuro.

Il mondo sta cambiando. Le riserve globali non stanno crescendo. L'eco dei picchi passati che osserviamo nei dati sui buoni del tesoro svanirà.


Dato che il giochino di indebitarsi per acquistare beni prodotti dai paesi emergenti - Cina ed India in primis, ma anche altre realtà minori - si è rotto, i fondi a disposizione delle banche centrali estere da riciclare in buoni americani, scarseggiano.

La FED ha quindi deciso di intervenire, facendosi carico direttamente dei buoni del tesoro a lungo termine. La più classica forma di monetizzazione del debito.

I 300 miliardi che Ben si è impegnato a stampare a questo scopo, rappresentano circa il 5% del mercato - il mercato dei buoni del tesoro USA ammonta a 5800 miliardi - e, come ha riportato David Rosenberg della Merril Lynch in un recente rapporto, l'annunciata espansione del bilancio della FED di ulteriori 1,15 trilioni complessivi è poca cosa di fronte a un rapporto tra credito privato e PIL che eccede di 8 trilioni i livelli storicamente sostenibili e che dovrà necessariamente contrarsi nel prossimo futuro (il grafico sotto riporta l'andamento nel tempo del debito privato USA - aziende più famiglie - in rapporto al PIL).




A causa di questo squilibrio, Rosenberg non vede reali cambiamenti di trend nel mercato e liquida i recenti rialzi come dei rally all'interno di un mercato in discesa.

La principale preoccupazione di Ben & Co, sembra riguardare l'impatto che la fuga degli investitori esteri potrebbe avere sui rendimenti dei buoni a lungo termine. Bernake vuole evitare che essi aumentino, aggravando la situazione di tutti quei debitori che pagano degli interessi, il cui tasso sia agganciato ai suddetti rendimenti. Come si poteva dedurre, anche leggendo tra le righe del comunicato rilasciato dall'FOMC, il problema sarebbero dunque i debitori privati, primi fra tutti i proprietari di casa (ma anche le aziende) e proprio a loro è rivolta l'ultima misura della FED.

La più diretta conseguenza di un "quantitative easing" operato comprando buoni del tesoro a lungo termine sarà un inevitabile calo dei rendimenti. Assieme ad essi diminuirà anche l'entità degli interessi pretesi sui mutui. Chi ha già contratto un mutuo avrà la possibilità di rifinanziarlo ad un interesse più basso, chi invece ha intenzione di acquistare casa per la prima volta potrà ottenere mutui a condizioni più favorevoli.

Questo almeno in teoria. Nella pratica l'entità dell'interesse chiesto dalle banche dipende da molteplici fattori, tra cui le aspettative sull'andamento dell'economia. Quando la situazione generale viene percepita come pericolosa, le banche pretendono in ogni caso uno spread elevato sugli interessi, come protezione dal rischio che i prestiti erogati non vengano restituiti.

La strategia annunciata mercoledì dall'FOMC si può quindi riassumere come un ennesimo ed indiretto incentivo al mercato immobiliare. Se fino ad ora gli USA avevano sempre agito indebitando lo stato o adottando misure soft di "quantitative easing", come l'acquisto di mbs dalle agenzie, adesso la FED ha deciso di procedere dritta come un ariete ed usare la forza bruta.

Il pericolo principale in un approccio del genere è che la FED col tempo si trovi ad essere l'unico acquirente di buoni del tesoro a lungo termine. In Inghilterra, quando la BOE (la banca centrale inglese) ha imboccato la strada del "quantitative easing", poche settimana fa, si è trovata ad avere, durante le operazioni di acquisto, un "bid to cover" di 7,35. In sostanza per ogni buono del tesoro che la BOE era disposta a comprare il mercato ne offriva 7,35. Gli investitori - e gli speculatori che ne avevano fatto incetta prevedendo in anticipo le mosse della BOE - hanno scaricato in massa i buoni del tesoro inglesi. Nulla di drammatico per il momento, ma se questo trend dovesse continuare, la BOE si troverebbe presto impantanata in una situazione estremamente scivolosa. Altra conseguenza negativa del "quantitative easing" è stata il drastico calo della domanda per tutti quei buoni del tesoro che non rientrano tra i tagli acquistabili dalla banca centrale inglese. I buoni del tesoro inglesi che scadono a Marzo del 2014 ad esempio, hanno avuto un bid to cover di 1,45, il minimo dal 2005.

Il deficit fiscale USA, previsto per questo anno, ammonterà a circa 2 trilioni di dollari. Facendo una semplice divisione, gli Stati Uniti saranno obbligati a vendere 160 miliardi di dollari in buoni a varie scadenze ogni singolo mese. 300 miliardi rischiano di essere una cifra insufficiente se la fuga degli investitori esteri dai buoni a lungo termine dovesse continuare. Se così fosse, Ben sarà inevitabilmente costretto ad aumentare l'impegno economico della FED, dato che un suo eventuale ritiro - quindi la scomparsa dell'acquirente di ultima istanza - rischierebbe di produrre una dislocazione sul mercato dei buoni del tesoro, in grado di far schizzare alle stelle i rendimenti e gli interessi sui debiti collegati.

Un mezzo Armageddon finanziario.

Anche nell'eventualità di un aumento progressivo degli acquisti da parte della FED che superi il limite annunciato di 300 miliardi, se la pressione prodotta dalla fuga degli acquirenti esteri superasse una soglia critica, non vi sarebbe stampar di moneta da parte della Federal Reserve, in grado di evitare una dislocazione.

Questo è lo scenario da fine dei tempi che toglie il sonno, da un paio di anni a questa parte, a Karl Denninger (trovate il suo blog nel mio blog roll).

Una possibilità che personalmente reputo remota allo stato attuale, ma tutt'altro che impossibile.

Altri osservatori invece, sono preoccupati da una possibilità quasi opposta: che tutta questa creazione di denaro possa produrre nel tempo una galoppante inflazione che culminerà in una devastante e terminale iper inflazione.

Sono molto scettico a riguardo. E' vero che la capacità di inflazionare il mercato di una banca centrale è teoricamente infinita. Essa ha il potere di creare tutto il denaro che vuole e sparpagliarlo in giro in 1000 modi differenti. Nella realtà però, esistono dei limiti varcati i quali, un economia come quella americana si auto-distruggerebbe ben prima che una reale iper inflazione possa prendere piede.

Intanto, in casi come questo non si tratta mai di sistemi chiusi. Anche volendo inflazionare l'economia, quanta di questa inflazione si riverserebbe negli stipendi della gente? In altri termini, se la maggior parte dei beni di consumo vengono prodotti dai paesi emergenti, quanta dell'inflazione prodotta dalla FED si riverserebbe negli stipendi degli americani e quanta confluirebbe all'estero?

Del resto, da quasi 20 anni a questa parte l'intero sistema si è basato sull'esportazione dell'inflazione USA in Cina e nei paesi emergenti. Dato che la produzione avveniva in quei luoghi anche il denaro vi confluiva invece di infilarsi nelle tasche degli americani andando ad incentivare la produzione industriale locale e la creazione di ricchezza negli Stati Uniti. La crisi attuale non ha ancora cambiato questa situazione. Le industrie non sono state rilocalizzate negli USA e neppure sono comparse (ancora) sostanziali barriere commerciali nei confronti della Cina. Considerando quanto gli USA dipendano da essa come acquirente di buoni del tesoro, non è neppure detto che ne vedremo entro breve. Nel caso accadesse, ciò equivarrebbe ad una vera e propria dichiarazione di guerra commerciale, una misura possibile, ma che puzzerrebe tanto di ultima spiaggia.

Se il resto del mondo seguisse l'esempio di Bernanke con il "quantitative easing", forse l'andamento ricorderebbe più da vicino quello di un sistema chiuso, ma sebbene alcuni dei principali stati si siano lanciati a stampare denaro, all'appello mancano ancora fondamentali soggetti come la UE e la Cina. Inoltre, anche stampare qualche trilione qua è la, non può bastare a compensare una distruzione globale di capitalizzazione pari a 35 trilioni di dollari e la poderosa contrazione del credito a cui stiamo assistendo.

A questo va aggiunto l'effetto che l'aumento della disoccupazione, il pessimo andamento generale dell'economia e la distruzione dei valori di borsa sta avendo sull'atteggiamento della popolazione. La propensione a spendere è in costante declino mentre quella a risparmiare è in aumento. Purtroppo propensione a parte - come illustra Mish in uno dei suoi ultimi post - da una recente ricerca risulta che il 50% dei cittadini USA si trovi a due stipendi di distanza dal collasso economico (negli Stati Uniti si tratta di un mese) mentre il 28% non riuscirebbe a tirare avanti per più di 2 settimane senza salario. Il 57% degli intervistati inoltre, afferma che spenderà meno rispetto al passato nel corso di quest'anno e nessuno di quelli contattati si dice intenzionato ad aumentare le proprie spese.

Per riuscire a spremere una popolazione indebitata e completamente restia a consumare ed esporsi ulteriormente, Ben dovrebbe far correre l'inflazione così velocemente, da produrre, ben prima di aver ottenuto il risultato sperato, la resa dell'intera economia. Se in futuro vi saranno significativi effetti inflattivi saranno schizofrenici e localizzati. Alcuni beni aumenteranno di prezzo, ma senza che questo produca delle ricadute sostanziali sull'inflazione generale o segnali una reale ripresa dell'economia.

L'oro probabilmente continuerà a rafforzarsi considerato quanto gradisca lo stampar di moneta. I rendimenti sui buoni USA sono destinati a diminuire. Alcuni si dicono certi che la FED non si limiterà ad acquistare il lungo termine, ma comprerà buoni a tutte le scadenze. Staremo a vedere. Il dollaro probabilmente continuerà a dare segni di debolezza ed il petrolio potrebbe realisticamente apprezzarsi, anche se esso nella situazione odierna non svolge più quella funziona di "hedge" contro l'inflazione a cui assolveva la scorsa estate. Per esso tutto dipenderà dall'economia reale. Nuovi cali di borsa che segnalino un perdurare delle difficoltà e una diminuzione della domanda industriale, affosseranno il valore dell'oro nero.

Proprio dal punto di vista dei listini, la decisione presa dalla FED non avrà probabilmente un impatto così significativo. Il Giappone può fornirci una lezione a riguardo, come fa presente Rosenberg nel suo rapporto. Quando la banca centrale Giapponese cominciò con il "quantitative easing" a Marzo del 2001, il Nikkei stava a 12190. L'indice salì di un buon 20% nel corso dei due mesi successivi, arrivando a toccare un massimo di 14529 il 7 Maggio del 2001. Nel giro di altri quattro mesi il Nikkei tornò a quota 12000. La sua discesa prosegui nel 2002-03 fino a arrivare, a metà del 2003, a quota 8900, 30% sotto il livello a cui stava quando venne introdotto il QE.

La contrazione del PIL ed il crollo dei guadagni delle aziende - pari al un 30% anno su anno nel 2001 - ebbero la meglio sul transitorio effetto positivo, prodotto dal "quantitative easing" della banca centrale giapponese.

Vi è un detto tra chi gioca in borsa che suona più o meno come: "non metterti contro la FED". In sostanza, non va mai sottovalutata la capacità di un entità come la Federal Reserve di influenzare il mercato, in particolar modo nel breve periodo, ma sul medio-lungo termine c'è poco che la Fed possa fare se i fondamentali dell'economia giocano contro. Ed ora come ora, i fondamentali non preannunciano nulla di buono.

La decisione presa mercoledì da Ben Bernanke e i signori dell'FOMC, rappresenta l'ultima cartuccia a disposizione della FED (a parte stampare denaro per acquistare direttamente azioni) e sembra indicare, la precisa volontà di trasformare la Federal Reserve in ciò che la BOJ (bank of Japan) fu durante il periodo definito "il decennio perso". Qui non si tratta più di prendere tempo, perché il tempo di solito è necessario quando si vuole ponderare con calma una possibile strategia risolutiva.

Prender tempo sperando in un miracolo è la strategia ora come ora, così come lo fu per il Giappone allora.

Alcuni affermano che Ben abbia caricato quest'ultima cartuccia e si sia infilato la canna della pistola in bocca. Altri che la canna sia rivolta alla tempia di una popolazione super indebitata e che esprima la muta minaccia: "spendete, consumate, indebitatevi ancora e per carità non pensate assolutamente di risparmiare".

Resta ancora una volta, l'impressione di essere in mano ad un armata brancaleone, impegnata a sparare colpi nel buio nella speranza che uno di essi centri il bersaglio giusto.

Ma se la FED, con l'ultima manovra avesse veramente esaurito le munizioni a sua disposizione, cosa si potrà mai inventare in futuro il vecchio Ben per stupirci?


PS:
Obama ha promesso che domani, i dettagli del piano di Geithner per la gestione degli assets tossici in pancia alle banche, verrano finalmente rivelati al mondo. Abbastanza è già trapelato da scatenare reazioni disgustate da parte di diversi economisti (potete leggere qua cosa ne pensa Krugman e qua l'opinione di Yves Smith). A riguardo ho già detto abbastanza. Mi limiterò ad aspettare la spiegazione di Obama (o Geithner se Obama ha ancora il fegato di farlo parlare in pubblico) con un pacchetto di popcorn in mano.

martedì 17 marzo 2009

Opzione Nucleare

Da qualche giorno è terminato l'incontro dei ministri delle finanze dei G20,anche se sarebbe più corretto dire G22 dato che sia Spagna che i Paesi Bassi sono stati eccezionalmente invitati in virtù della loro rilevanza economica. Tutti speravano che la riunione avrebbe gettato un po' di luce sulla via che i "grandi" del mondo intendono imboccare per condurci fuori dall'oscuro tunnel della crisi economica. Purtroppo ancora una volta i grandi ci hanno regalato una delusione. L'intero meeting si è ridotto a qualche mangiata, poche discussioni e nessuna reale conclusione.

Cercando qualche articolo a caldo sull'evento, ho dovuto constatare con disappunto, come una parte della stampa italiana trovasse più interessante il ritardo di Tremonti alla foto di gruppo con gli altri ministri presenti all'incontro rispetto al contenuto della riunione stessa. Non che le dichiarazioni uscite dal G20 siano particolarmente avvincenti, ma di certo leggermente più importanti di un Tremonti che si sofferma a parlare con un collega dimenticando di mettersi in posa.

Il numero uno dell'OCSE a margine dell'incontro, ha fatto una banale ma sempre benvenuta dichiarazione riportata da un articolo su reuters:

Per usare le parole del numero uno dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), Angel Gurria, "non esiste l''apriti sesamo', non si tratta di tirar fuori conigli dal cappello."

Che stia finalmente penetrando il concetto che non esistano formule magiche è senz'altro positivo. Magari la smetteremo di comportarci come se dovesse giungere a salvarci un miracolo improvviso. Questa almeno è sempre stata la mia speranza. Speranza che si è infranta brutalmente 10 righe più sotto:

Ciò che forse oggi conta di più, dicono gli economisti, sono due cose: l'impegno congiunto a fare tutto il possibile per salvare l'economia mondiale e i piani di combattimento di Washington contro gli attivi tossici da cui la crisi è partita e con i quali continuerà ad alimentarsi fino a quando resteranno nei bilanci delle banche.

"Restiamo appesi alla speranza che gli Usa trovino finalmente la ricetta magica per riportare la fiducia nel settore finanziario e che lo facciano presto", dice Marco Annunziata, chief economist di UniCredit a Londra.

In sintesi, i mercati finanziari in cui la bufera è iniziata cercano soluzioni facili e veloci per una situazione complicata

Sembra che per certi banchieri l'opzione miracolosa resti quella principale ed il miracolo in questione lo dovrebbe compiere niente meno che Timoty Geithner, il ministro del tesoro USA. Un tizio che quando appare in pubblico emana la stessa aurea di sicurezza di uno studente che non ha fatto i compiti. Tanta è la fiducia che ispira Geithner nei suoi ascoltatori che l'ultimo discorso ufficiale sull'economia USA fu tenuto a sorpresa da Obama. Uno dei suoi soliti discorsi: ispirato, affascinante e generico. Un discorso da campagna elettorale (qualcuno dovrebbe avvisare Obama che ha già vinto le elezioni) in cui furono sciorinati una lunga sfilza di generici propositi su cambiamento, miglioramento, grandezza della società americana e bla bla bla e al termine del quale Obama, scendendo dal pulpito strinse la mano a tutti tranne Geithner. Evidentemente non deve aver apprezzato particolarmente l'inadeguatezza del suo ministro del tesoro.

Per fortuna non dovremo aspettare molto per scoprire che coniglio nasconda nel cilindro il vecchio Tim. Qualche giorno fa il tesoro USA ha dichiarato che questa sarà finalmente la settimana buona. Nei prossimi giorni dovrebbero essere svelati i dettagli dell'ingegnoso piano che secondo Geithner risanerà i bilanci degli istituti bancari, ma qualcosa è già trapelato:

Il governo fornirà ulteriori dettagli sul piano di partnership pubblico/privato di Geithner, volto a rimuovere gli assets tossici dai bilanci delle banche, verso la fine della settimana, ha detto un ufficiale anziano del dipartimento del tesoro. L'ufficiale ha detto che il Tesoro è intenzionato a rilasciare abbastanza informazioni nel corso della settimana da permettere ai potenziali partecipanti di giudicare meglio la proposta. In base alle informazioni attualmente note, il piano dovrebbe fornire leverage a capitali pubblici e privati per comperare assets grazie a dei finanziamenti governativi. I fondi inizialmente disponibili dovrebbero provenire da ciò che rimane dei 700 miliardi del fondo di salvataggio (il TARP ndr), ma un provvedimento inserito nel piano fiscale di Obama per il 2010 consentirebbe di richiedere all'incirca 750 miliardi in nuovi fondi. Neel Kashkari, amministratore ad interim del fondo da 700 miliardi, ha detto ai legislatori la scorsa settimana che gli investitori privati sono pronti ad investire in asset basati su mutui in sofferenza a patto che abbiano accesso ai finanziamenti. Senza nessuna forma di finanziamento disponibile, essi potrebbero permettersi unicamente di pagare prezzi troppo bassi perché siano accettati dalle banche.

Gira e rigira siamo sempre là. Se i privati non vogliono comprare a 100 e le banche non vogliono vendere a 20 i soldi per colmare la differenza li metterà lo stato. In parte pagando i privati perché offrano di più ed in parte pagando le banche perché riducano il prezzo di vendita.

Se questa è davvero l'architrave di tutto il progetto, quello che Geithner tirerà fuori dal cilindro sarà un coniglio flaccido, obeso e malaticcio. Una malattia che si potrebbe rivelare infettiva contagiando anche l'Europa.

La questione degli assets tossici è stata indicata come il problema fondamentale da risolvere in una dichiarazione di intenti in 7 punti rilasciata durante il G20. Nel documento vengono inoltre, indicati come fondamentali gli stimoli fiscali e viene ribadita l'intenzione di rendere più trasparenti i libri contabili rivedendo le regole di bilancio e combattendo la pratica degli assets fuori bilancio. Come questi propositi possano sposarsi con il preannunciato svuotamento del mark to market non è dato sapere.

Il G20 si è scagliato anche contro le agenzie di rating, proponendo che in futuro il loro operato sia supervisionato da un organismo internazionale. Come e quando ciò dovrebbe avvenire, rimangono risposte non pervenute. Che le agenzie di rating vadano riformate non vi è ombra di dubbio. Mi chiedo però, perché sia così difficile andare alla radice del problema e rimuovere il peccato originale: quel conflitto di interessi che nasce dall'essere pagati dagli stessi soggetti a cui si concede il rating. Esiste una piccola agenzia, l'Egan Jones che agisce in maniera opposta, facendosi pagare dagli investitori desiderosi di conoscere il rating delle varie società. Guarda caso, essa aveva indicato i principali mali da cui era afflitta l'economia ben prima che questa crisi esplodesse. Una volta anche le altre agenzie operavano in maniera simile, negli anni 50 sarebbero inorridite tutte all'idea di accettare soldi dalle aziende a cui assegnavano il rating, poi durante gli anni 70 tutto cambiò.

Forse un po' di passata saggezza non farebbe male quando si intendono affrontare certe riforme.

Il punto però, che ha sollevato maggiore interesse tra quelli elencati nel documento del G20, riguarda l'intenzione da parte dei paesi partecipanti di raddoppiare i fondi monetari a disposizione dell'FMI, quasi esauriti per colpa degli aiuti finanziari concessi a una pletora di nazioni in difficoltà. Vengono proposti 250 miliardi di dollari per rimpinguare le casse dell'FMI, operazione che eleverebbe il totale a disposizione del fondo a 500 miliardi, ma gli USA obbiettano riguardo l'entità della cifra: troppo esigua secondo loro. Vorrebbero che essa fosse inalzata ad un totale di 750 miliardi di dollari.

Dei fondi richiesti 100 miliardi verrebbero versati dal Giappone mentre altri 100 arriverebbero dall'Unione Europea. Rimarrebbero scoperti 50 miliardi che non si sa bene da dove possano arrivare. Il solito Yu Yongding che sembra essere ormai diventato il portavoce dell'establishment economico Cinese si è detto scettico sulla possibilità che il presidente cinese decida di contribuire all'aumento dei fondi per l'FMI:

Se lo fara' - dice Yu al China Daily - sembrera' che i poveri stiano aiutando i ricchi". Secondo Yu, che dirige L'Istituto di economia e politica mondiale e L'Accademia cinese di politiche sociali, l'opinione pubblica cinese non sara' d'accordo con lui, anche perche' alcuni stati europei hanno pregiudizi anti-cinesi.

Al G20, Europa e USA hanno dichiarato che l'FMI e banca mondiale debbano essere riformati in modo da riflettere meglio la rilevanza economica di realtà come quella Cinese. Un segnale di apertura che potrebbe far dimenticare al presidente Hu Jintao, il fastidio che nutrono i suoi concittadini nei confronti dei paesi occidentali, accusati di aver prodotto la crisi attuale e di essere alla perenne caccia di denaro con cui sostenere il proprio decadente sistema economico.

In una situazione internazionale simile, ci si potrebbe chiedere dove gli USA pensino di poter recuperare 250 miliardi di dollari aggiuntivi per portare il totale del denaro a disposizione dell'FMI a 750 miliardi di dollari.

A questo risponde un articolo del Telegraph: l'FMI si limiterebbe a stamparli.

Simon Johnson, ex capo economista dell'FMI ha detto: "Il principio dietro questo è che tutti quanti riceveranno dei dollari bonus senza che la Federal Reserve li debba stampare, tutti quanti li ricevono.

"L'obbiettivo è di creare una valanga monetaria. Però, se tutti dovessero uscire e spendere questo denaro ciò potrebbe rivelarsi estremamente inflazionario"


In sostanza si invoca il ricorso ad una specie di super valuta transnazionale l'Sdr (special drawing rights). Oggi perfino il Cremlino ne ha parlato:

Il Cremlino propone che il G20 chieda al fondo monetario internazionale (Fmi) di esaminare la possibilità di istituire una valuta di riserva sovranazionale, che potrebbe essere emessa da istituzioni finanziarie internazionali. Lo si legge nel sito della presidenza russa.

"Sembra opportuno considerare il ruolo del Fmi in questo processo e stabilire le possibilità e le necessità dell' adozione di misure che consentano il riconoscimento di Sdrs -asset di riserva internazionali del Fmi - come valuta di 'super riserva' da parte di tutta la comunità mondiale", è scritto nel sito del Cremlino.

Secondo Joseph Stiglitz, premio nobel per l'economia, gli Sdr potrebbero rappresentare il preludio alla nascita di una valuta mondiale. Vennero creati per rimpiazzare l'oro come valuta di scambio internazionale. Dato che la quantità di oro in circolazione aumenta molto lentamente, mentre la dimensione delle economie coinvolte nell'FMI aumenta con una rapidità superiore, fu introdotta una forma di "oro di carta" l'Sdr per compensare questa differenza. La caratteristica principale di un oro fatto di carta è proprio il poter essere stampato a piacimento.

L'Sdr rappresenta un credito che le nazioni con surplus commerciale possono vantare nei confronti di nazioni con dei deficit. Invece di gestire queste differenze usando dell'oro, logisticamente costoso e complicato da spostare, si è preferito usare un pezzo di carta. Il valore unitario dell'Sdr è basato su un paniere di monete: euro, sterline, dollari e yen (sul sito dell'FMI vengono riportati i vari cambi).

In sostanza, dopo che gli USA, L'Inghilterra, il Giappone e la Svizzera si sono messi a stampare denaro...pardon, a giocare al "quantitative easing", anche l'FMI sta per unirsi alla partita con l'intenzione di inondarci con nuovi pezzi di carta.

Stampare denaro viene anche definito "opzione nucleare". Un opzione che sta per essere sperimentata in maniera inedita (se escludiamo alcuni limitati precedenti) e su scala sovranazionale, con conseguenze difficilmente prevedibili.

venerdì 13 marzo 2009

Omicidio premeditato

Tre giorni fa una nota interna redatta dal CEO della Citigroup, Vikram Pandit, è misteriosamente finita nelle mani della stampa, diventando di dominio pubblico. Il documento riportava i dati preliminari per il primo quarto del 2009 evidenziando un netto miglioramento della situazione finanziaria dello storico istituto. Sulla base di essi, Pandit stesso, ha scritto di prevedere per la società, il risultato migliore dal 2007, nel corso dei primi 3 mesi di quest'anno.

La notizia ha infiammato gli investitori, facendo schizzare alle stelle il titolo della Citigroup salito dal 9 Marzo ad oggi di oltre il 60%. I primi a lanciarsi sulle azioni della banca pare siano stati alcuni pezzi grossi dell'istituto stesso, cosa che ha fatto avanzare ipotesi di insider trading. Non è stato però, solo titolo della vecchia C a salire come un razzo. L'intero mercato, quasi aspettasse un qualunque segnale positivo, per quanto labile o transitorio, si è riscosso lanciandosi in una lunga cavalcata al rialzo.

In effetti, era da alcuni giorni che un crescente numero di analisti prevedeva un rialzo delle borse. Quando anche dei rinomati pessimisti come Jeremy Grantham consigliano di acquistare azioni viene il concreto dubbio che il sentimento dei mercati si stia modificando.

Naturalmente risulta molto difficile dire se un fondo, anche solo temporaneo sia stato toccato. Le notizie che continuano ad arrivare da mezzo mondo non si possono certo definire positive, anche se alcuni dati risultano meno negativi di quanto gli analisti si aspettassero ed in tempi come questi, in cui non si butta via nulla, ciò può essere sufficiente a rincuorare gli investitori.

Il rating della General Elettric è stato recentemente declassato da AAA a AA+ dalla Standard's & Poors e sembra che il ramo finanziario del gruppo potrebbe rivedere al ribasso le stime per il quarto in corso. Fitch invece ha tagliato il rating della Berkshire Hathaway da AAA a AA. Ormai restano solo 5 aziende in tutti gli Stati Uniti, non appartenenti al comparto finanziario a mantenere la famigerata tripla A, come rating assegnato dalla S&P e secondo Michael Yoshikami, capo degli investimenti al YCMNet Advisors, entro breve ne resterà soltanto una: "La tripla A in definitiva, probabilmente rimarrà assegnata solo al tesoro USA, quando tutto sarà detto e fatto" ha detto Yoshikami a Bloomberg.

Moody's dal canto suo, quasi a volersi far perdonare anni di sviste sui rating assegnati a svariate aziende e a tutta una serie di prodotti finanziari rivelatisi successivamente tossici, ha aggiornato la sua "lista della morte", un lungo elenco che riporta i nomi di quelle aziende ritenute a rischio di default. Le società aggiunte da Moody's alla lista sono state 126, portando Il totale dei nominativi a quota 238.

I segnali positivi che arrivano dai mercati, per il momento appaiono abbastanza ambigui. Dal lato finanziario alcune banche ostentano sicurezza. Il Chairman della Citi, Richard Parson ha dichiarato in un intervista che il suo gruppo non necessità di altre infusioni di capitali da parte governativa e si è anche detto assolutamente certo che nessuna ipotesi di nazionalizzazione si realizzerà nei confronti della banca. Ken Lewis, CEO di Bank of America, ha fatto eco all'ottimismo di Parson rivelando risultati in attivo a Gennaio e Febbraio e prevedendo per l'istituto, più di 100 miliardi di dollari in ricavi e 50 miliardi di puro profitto, tasse escluse, nel corso del 2009.

Tutte queste dichiarazioni e alcuni dati positivi, come il rallentamento nel declino delle vendite al dettaglio nel mese di Febbraio - meno 0,1% invece del -0,4% atteso - e una ripresa della produzione industriale in Cina nei primi due mesi dell'anno - aumentata dell'11% solo a Febbraio (anche se bisogna considerare l'aumento dei giorni lavorativi rispetto all'anno precedente dovuti a questioni di calendario) - grazie principalmente agli stimoli economici del governo che sono riusciti a controbilanciare il crollo verticale dell'export (-25,7% a Febbraio), hanno rincuorato gli investitori, spingendoli ad acquistare azioni, in particolar modo quelle del comparto finanziario.

La vera bomba però, è esplosa ieri negli USA, durante una seduta del sottocomitato per i servizi finanziari della camera, il cui ordine del giorno verteva sull'ipotesi di sospendere o rilassare la regola di bilancio chiamata "mark to market", con l'obbiettivo di ridare fiato ai conti degli istituti finanziari (qua potete guardarvi l'intera seduta se siete curiosi o siete dei nerd di queste cose come il sottoscritto). I politici del comitato a partire dal presidente Paul E. Kanjorski, hanno ascoltato una serie di rappresentati degli organi regolatori (SEC, FASB, Office of the Comptroller of the Currency) e di varie associazioni, nel tentativo di comporre un quadro più chiaro su come comportarsi nei confronti del "mark to market".

Questo sulla carta almeno. In realtà seguendo la seduta ci si rende conto velocemente, di quanto i politici del comitato sembrino odiare visceralmente il "mark to market" e di come incalzino i regolatori sulla necessità della sua sospensione. Diversi esponenti della SEC avevano in precedenza affermato di non ritenere necessario sospendere il "mark to market". Ieri il comitato della camera è stato brutalmente chiaro a riguardo, arrivando praticamente a minacciare i regolatori: "o vi muovete ed in fretta su questa questione, o vi obbligheremo noi a farlo" hanno intimato i politici.

Il "mark to market" è una regola che fu imposta in seguito al crack della Enron per evitare che altre aziende potessero ricorrere agli stessi trucchi utilizzati dall'ex gigante dell'energia, capace di portare alcune tecniche di aggiustamento dei bilanci, incentrate sull'attribuzione di valori fittizi a tutta una serie di asset, allo stato dell'arte. Sulla carta i conti della Enron sembravano scoppiare di salute mentre nella realtà nascondevano un groviglio di perdite.

"Mai più!" dissero in molti dopo il fallimento della Enron. Venne ritenuto necessario costringere le società a mettere a bilancio certi strumenti sulla base del loro valore di mercato.

Le società si lamentarono poco per il cambiamento imposto. Durante periodi in cui la maggior parte degli assets si apprezza anche il valore di quelli messi a contabilità sale allo stesso modo. Questo contribuisce a gonfiare i guadagni delle società, sulla base dei quali, vengono concessi alla dirigenza bonus e stock option. Tutti felici durante gli anni del boom, quindi: sia i manager che gli azionisti.

Il problema naturalmente, nacque quando il mercato decise di crollare. Insieme ad esso precipitò anche il valore di tutta una serie di pezzi di carta costringendo di fatto, gli istituti a segnare le relative perdite in bilancio. In questo senso il "mark to market" viene definito pro ciclico. Durante le fasi espansive è molto amato e tende a ricompensare chi corre rischi eccessivi giocando spesso con assets di dubbia qualità, quando il mercato si contrae tende a punire tutti, anche quelli che non lo meriterebbero. Uno dei suggerimenti più banali che vengono avanzati per ovviare a questo inconveniente prevede l'adozione insieme al "mark to market" di misure contro cicliche. In sostanza, quando tutto va su, andrebbe messa da parte una certa quota di capitale da utilizzare come cuscinetto in caso di crollo del mercato.

Una banalità che Keynes suggeriva di adottare anche agli stati.

Purtroppo la storia dimostra che quando tutto va bene, tutti o quasi, spendono e spandono investendo in malo modo e quando invece la situazione precipita, ci si reca in massa davanti alla porta degli stati alla ricerca di assistenza. Gli stati d'altro canto, non danno certo il buon esempio. Anch'essi raramente risparmiano limitandosi, quando sopraggiunge una crisi, ad aumentare il proprio indebitamento per finanziare i vari stimoli all'economia (finché trovano gente che continua a prestar loro denaro almeno).

Gran parte degli assets problematici in pancia alle banche, sono poi i vecchi "mark to model". Tutti i mutui re-impacchettati ad esempio appartengono a questa categoria. Strumenti che non venivano scambiati sul mercato, ma in stanzine buie tra due diversi soggetti. Non esistendo per essi, un vero e proprio valore di mercato si ricorreva a dei modelli matematici per stabilirne il prezzo. Modelli che funzionavano più o meno così: "supponendo che i prezzi delle case continueranno ad aumentare, come i dati storici a nostra disposizione suggeriscono, il nostro complicato modello assegnerà a questo bel pezzo di carta costruito sui mutui il valore x".

Quando il mercato immobiliare venne giù nessuno volle più recarsi nelle stanzette buie per comprare certi pezzi di carta. Chi li aveva creati e ne aveva ancora tonnellate da smaltire, cercò quindi di venderli sul mercato rendendoli automaticamente "mark to market". Il mercato assegnò loro un valore compreso tra x/20 e x/3 (tra i 5 e i 30 centesimi il dollaro). Il panico. Si gridò: "fermi tutti! non vendete più quella roba".

Il valore di mercato venne considerato troppo basso, da svendita. Nessuno voleva mettere a bilancio gli assets a quei prezzi. Si decise quindi di far finta di nulla, si presero gran parte degli asset, li si trasformò da assets di livello due ("mark to model") in assets di livello 3, altrimenti detti "mark to fantasy" e li si mise a bilancio a un valore stabilito "sulla base di elementi non osservabili". In sostanza ognuno si inventava il prezzo che preferiva.

I problemi con gli asset di livello 3 nascono quando degli elementi osservabili fanno la loro comparsa. In altri termini quando qualcuno vende un certo tipo di assets sul mercato, rendendo palese quanto (poco) esso valga. Per poter mantenere la finzione di non aver incassato perdite a causa di questi assets, va quindi impedito che essi vengano valutati in base al "mark to market". Si sta insomma, cercando di bloccare in ogni maniera il "price discovery", una delle funzioni fondamentali del mercato perché "il price non sarebbe giusto".

Alcuni argomentano affermando che il "price discovery" non funzioni più, perché attualmente un vero mercato per certi assets non esisterebbe e come prova indicano i prezzi da liquidazione a cui essi sono passati di mano in passato (le poche volte che sono stati venduti). Argomentazione che ho sempre trovato poco convincente.

Il guaio in definitiva, è che banche, Hedge Funds e simili, sono imbottiti di cartaccia che non possono e soprattutto non vogliono valutare a prezzo di mercato e stanno cercando da mesi di ottenere una sospensione del "mark to market".

Osservando il dibattito tenuto ieri alla camera degli Stati Uniti, ho avuto l'impressione che i politici americani stiano progettando l'omicidio premeditato del "mark to market" (non che abbiano fatto molto per nasconderlo). Nella forma probabilmente rimarrà, ma sarà consentito alle società di ignorarlo ogni qual volta ritengano che il prezzo indicato dal mercato sia troppo basso. Una sottile legalizzazione del falso in bilancio.

Anche se si parla da diverso tempo di sospendere il "mark to market", fino ad ora l'ipotesi non aveva mai avuto veramente seguito. Questa volta però, i legislatori sembrano agguerriti, decisi ad agire in prima persona se i regolatori si rifiuteranno di farlo. L'intenzione pare essere, di arrivare ad una riscrittura delle regole in tempo per la chiusura del primo quarto (a fine mese), in modo da consentire a tutte le società finanziarie di "aggiustare" i bilanci e riportare risultati migliori delle aspettative.

Una manovra che sembra inserirsi perfettamente nella strategia della casa bianca di rimandare ogni intervento risolutivo il più a lungo possibile, nella speranza che nel frattempo si verifichi un miracolo in grado di salvarci tutti. Un colpo di mano che potrebbe portare i listini ed i titoli finanziari a toccare nuove vette.

Il problema però rimane. La realtà non si cambia con un tratto di penna, scrivendo 100 dove andrebbe scritto 20 e con la realtà, prima o poi, andranno fatti i conti una volta per tutte.

martedì 10 marzo 2009

Piano B

I clima umido e gelido della scorsa settimana è riuscito a mettermi completamente KO, togliendomi, oltre a quello che potrebbe essere definito un livello accettabile di salute, qualunque spinta ad aggiornare il Blog. Fortunatamente però, da un paio di giorni a questa parte, il sole si è degnato di onorarci nuovamente della sua presenza e con il caldo anche le forze sembrano essermi tornate.

Non che si possa dire altrettanto dell'economia mondiale. Su quel versante il cielo rimane plumbeo e pesante, coperto da nuvoloni neri che non annunciano nulla di positivo. La scorsa settimana è stato il continuo precipitare delle borse mondiali a catturare l'attenzione generale. Sembrava quasi di essere tornati ad Ottobre scorso e sebbene l'entità complessiva del crollo sia stata meno marcata di allora è bastata a scatenare accesi dibattiti. Tutti si domandano quanto ancora manchi alla completa capitolazione e relativa fuga degli investitori dai mercati e quanto i vari listini distino realmente dal fondo.

L'osservato speciale, chiamato S&P 500, ha chiuso venerdì a -24,33% rispetto inizio anno, trovando un valore di supporto a 666 (vi lascio immaginare quante battute siano girate su questo fatto) e recuperando quasi il 2,5% nell'ultima mezz'ora. Dato il pessimo andamento di Wall Street nel corso dell'intera settimana, chiudere positivamente l'ultimo giorno di contrattazione aveva un significato particolare. Diversa gente venerdì, durante le ultime ore di contrattazione, aveva invocato l'intervento del PPT, della divina provvidenza, di Cthulhu o di chiunque altro fosse in grado di invertire la discesa dei listini. A quanto pare le loro preghiere sono state ascoltate e gli indici si sono fatti una bella galoppata finale che li ha portati in territorio positivo.

Uno dei pochi segnali incoraggianti in una lunga settimana di agonia.

Quattro giorni fa, sia la BCE che la BOE (la banca centrale inglese) hanno tagliato di 0,5% il tasso di interesse portandolo rispettivamente all'1,5% e allo 0,5%. La BOE ha anche annunciato l'adozione di misure di "quantitative easing", per un ammontare di 75 miliardi di sterline da usare, nel corso dei prossimi 3 mesi, per acquistare bond governativi. Un estremo tentativo di aumentare la liquidità in circolazione. Molti speravano che queste due interventi avrebbero rincuorato le borse spingendole al rialzo. I mercati invece, non hanno dato segno di essersene minimamente accorti.

Anzi, per quel che riguarda l'Inghilterra, Graham Secker, analista strategico alla Morgan & Stanley, ha prospettato un futuro peggiore di quello della grande depressione, prevedendo un crollo dei profitti del 60% - rispetto al picco - durante il biennio 2008-2009, mentre il dato dei primi anni 30 si assestò ad un più contenuto -57%. La scorsa settimana i profitti dello S&P 500 hanno toccato il -61% dal picco, il peggiore risultato dal 1871. Nefasto precedente, dato che il termine "venerdì nero" fa riferimento al 24 settembre 1869 (un venerdì), quando una folla inferocita dette l'assalto agli istituti bancari, come forma estrema di protesta nei confronti dell'improvviso aumento del prezzo dell'oro causato dalle truffaldine manipolazioni di un gruppo di speculatori e minacciò di prelevare i banchieri dai propri uffici per impiccarli lungo le vie delle città. Un avvenimento che fece da apripista alla successiva depressione diffusasi tra 1870 ed il 1873 dall'Europa agli USA e che terminò ufficialmente nella primavera del 1879.

A produrre i risultati negativi dell'ultima settimana di contrattazione hanno contribuito diversi fattori. Le dichiarazioni fatte dai revisori indipendenti sulla dubbia sostenibilità economica della GM, ad esempio, hanno riscosso una certa attenzione, riaprendo prospettive di bancarotta per il gigante del settore auto e gettando i listini nello scompiglio. Un numero crescente di politici Repubblicani ultimamente ha invocato a gran voce che la si faccia finita permettendo alla General Motors di appellarsi al "chapter 11", una "bancarotta riorganizzativa", da cui essi ritengono, l'azienda potrebbe uscire ridimensionata, ma più solida. I Democratici invece si oppongo a questa linea d'azione, convinti che la GM non abbia le risorse per sopravvivere ad un "chapter 11" e che ciò, potrebbe costringere l'azienda a dichiarare fallimento in maniera definitiva.

La situazione della società di Detroit rimane fluida ed incerta, dopo che i vertici hanno negato con insistenza ogni possibilità di bancarotta.

Un altro brutto colpo per il morale degli investitori è arrivato dai pessimi dati sull'occupazione americana, scesa dell'8,1% a Febbraio, il quattordicesimo mese di contrazione consecutivo, con una perdita complessiva pari a 651000 posti di lavoro.

Anche l'FDIC, l'ente USA che si occupa di liquidare le banche fallite (se conoscete l'inglese qua potete vedere un interessante servizio di 60 minutes su come esso operi), ha scaricato una bella secchiata d'acqua ghiacciata addosso a chi, ancora sperava in un lento miglioramento della situazione, annunciando di essere in mutande. Il fondo privato di garanzia a disposizione dell'ente ed a cui tutte le banche sono obbligate a contribuire, versando una piccola percentuale per ogni dollaro depositato presso di esse, è in via di esaurimento. La responsabilità va attribuita all'ondata di fallimenti che negli ultimi mesi ha investito il settore bancario (17 solo quest'anno, qua trovate l'elenco completo). Per ovviare a questo inconveniente l'FIDC è stato costretto a chiedere ad ogni istituto di aumentare la sua quota di contributi, scatenando una piccola insurrezione: il settore bancario non ha voluto saperne. Il denaro è poco, ed una manovra simile impatterebbe in particolar mondo sulle banche minori, prelevando loro dal 50% al 100% dei ricavi incassati nell'ultimo anno.

L'FDIC ha dovuto arrendersi, rinunciando ai suddetti aumenti e come sempre succede in questi casi, non ha avuto altra scelta che andare a batter cassa presso il governo degli Stati Uniti, il quale, ormai abituato a scucire miliardi come se piovesse, senza pensarci su troppo ha gentilmente acconsentito a stanziare, fino al 2010, 500 miliardi di dollari per il fondo dell'FDIC.

L'evento però, che più di ogni altro ha terrorizzato gli analisti è stata la spirale discendente in cui si è trovata imprigionata la General Elettric. A due giorni di distanza da un taglio dei dividendi senza precedenti, se non durante gli anni della grande depressione, il titolo del colosso industriale è sceso sotto i 6 dollari, 11 in meno rispetto ai 17 a cui veniva scambiato solo un paio di mesi fa. A preoccupare gli osservatori è la condizione del ramo finanziario dell'azienda, la GE Capital, arrivato negli ultimi anni a garantire con regolarità, metà dei ricavi dell'intera società e che secondo molti nasconderebbe tra i suoi bilanci miliardi di perdite non dichiarate: dai 21 ai 54 miliardi secondo Nicholas P. Heymann e Matthew Kelley, due analisti alla Sterne Agee.

Giovedì scorso, Keith Sherin, CFO dell'azienda, ha smentito davanti ai microfoni della CNBC - canale televisivo di proprietà della GE stessa - ogni voce riguardo a possibili problemi economici da parte dell'azienda, dichiarando che il denaro cash che essa ha sottomano, ammonterebbe a 45 miliardi di dollari, sufficienti ad affrontare qualunque traversia i mercati possano gettarle addosso. Il titolo è risalito leggermente nei giorni successivi all'uscita della Sherin, superando venerdì i 7 dollari. Eppure, molti continuano a manifestare un certo scetticismo. Troppe volte hanno ascoltato assicurazioni televisive da parte di CEO e CFO sulla condizione di grandi società, poco prima che queste fallissero. I ricordi della Bear, della Lehman, dell'AIG bruciano ancora, come delle ferite aperte.

Tutti attendono che venga fatta un po' di chiarezza sulla situazione finanziaria della GE e confidano in una presentazione che i vertici dell'azienda hanno promesso di fare la settimana del 16 Marzo, per illustrare agli analisti con dati precisi, lo stato di salute del colosso industriale.

Intanto,secondo Karl Denninger, la GE assieme ad altre società tutto sommato sane, come la Berkshire Hathaway, sarebbero sotto attacco da parte degli speculatori. Questi ultimi, sfrutterebbero i CDS per scommettere al ribasso su determinate azioni, aggirando così, ogni controllo e supervisione esistente - i CDS sono degli strumenti non regolati. Un giochino che permetterebbe di colpire un qualunque titolo, scatenando una spirale discendente sul suo valore.

I CDS sono una forma di assicurazione finanziaria. Ufficialmente dovrebbero essere acquistati da qualcuno che ha intenzione di garantirsi contro la possibilità che una certa azienda (o stato), di cui possiede delle obbligazioni, fallisca, lasciandogli in mano dei pezzi di carta senza valore.

In realtà, non è necessario dimostrare di avere delle obbligazioni per potersi assicurare. In sostanza si può scommettere liberamente sulla possibilità che una qualunque azienda fallisca. Se il fallimento si verifica effettivamente, chi ha acquistato i CDS riceverà in pagamento una somma pari a quella per cui si era assicurato. Un po' come se il vostro vicino fosse in grado di assicurarsi contro l'eventualità che casa vostra vada a fuoco, cosa proibita con le assicurazioni tradizionali dato che, beh, non incita esattamente alla conservazione del patrimonio immobiliare (piuttosto alla piromania).

Chi vende dei CDS - in cambio di un premio mensile che ogni acquirente versa - generalmente, per coprirsi contro il rischio che l'azienda in questione fallisca davvero, gioca al ribasso sul titolo di quest'ultima, in modo da trarne un guadagno nel caso il valore dovesse effettivamente calare. Dato che i CDS sono strumenti non regolati, non esiste nessun organo preposto al controllo della solvibilità delle società che li emettono. In soldoni, tramite essi si può scommettere al ribasso su un qualunque titolo senza dover presentare significative garanzie, correndo dei rischi molto limitati e producendo una perversa spirale fatta da: calo del valore delle azioni, diminuzione del capitale disponibile, declassamento del rating, aumento del valore dei CDS per poi cominciare di nuovo da capo con l'acquisto di altri CDS ecc.

Il costo dei CDS sulla GE e sulla Berkshire Hathaway è salito alle stelle nell'ultima settimana, facendo temere che le due grandi aziende possano perdere la propria immacolata tripla A di rating. (proprio oggi Warren Buffet, leggenda della finanza e capo della Berkshire, ha dichiarato che l'economia è crollata giù da un precipizio, paragonando la crisi economica ad una vera e propria guerra che ogni patriottico cittadino americano dovrebbe combattere).

Come se non bastasse, Bloomberg ha rivelato che anche quegli individui che hanno acquistato i CDS come forma di assicurazione, spesso si trovano a sperare che l'azienda di cui detengono le obbligazioni fallisca. Diverse corporation negli ultimi tempi hanno proposto ai propri obbligazionisti di convertire parte del debito esistente in azioni comuni, nel tentativo di aumentare la propria capitalizzazione, trovandosi spesso di fronte ad un netto rifiuto. Normalmente la sopravvivenza di un azienda dovrebbe essere nel pieno interesse di chi ne detiene i bond. Quando si posseggono anche dei CDS invece, risulta spesso più conveniente lasciare che la società fallisca, per poter incassare in pagamento la somma per cui ci si era assicurati.

Si sta facendo un gran chiacchierare quindi, di una realtà che è sempre stata sotto il naso di tutti: i CDS sono un mostro lasciato per troppo tempo libero di scorrazzare in maniera incontrollata per i mercati di mezzo mondo. Ed il mostro non sta preannunciando nulla di buono. Se durante il periodo del fallimento della Lehman e dell'AIG erano 75 le compagnie su cui veniva richiesto il pagamento di un anticipo, come condizione all'emissione dei CDS - per la maggior parte compagnie finanziarie - ora il loro numero è salito a 260.

Quando un'azienda è considerata particolarmente pericolante, oltre al premio mensile, chi vende dei CDS normalmente richiede in pagamento, come quota iniziale fissa, una percentuale della somma per cui ci si vuole assicurare. Per la GE, ad esempio, la scorsa settimana veniva richiesto come anticipo il 17,5%.

Nel grafico sotto si può vedere l'aumento che gli anticipi sui CDS hanno subito negli ultimi 6 mesi, separato per i differenti settori:



Per fortuna sembra che si stia cominciando a discutere seriamente su come gestire e regolare il mostro dei CDS. Al momento 4 aziende stanno stilando delle proposte per lo sviluppo di un efficace sistema di controllo dietro richiesta dei regolatori USA. La mia impressione purtroppo, è che tutto sembri muoversi ancora troppo lentamente considerata la gravità della situazione.

Se gli USA hanno attraversato una brutta settimana, nel resto del mondo le cose non stanno andando particolarmente meglio. Per la prima volta dal dopoguerra in avanti, la banca mondiale ha previsto che l'economia planetaria subirà un arretramento. Il maggior contributo alla contrazione dell'economia lo daranno i paesi emergenti: Asia, America Latina ed Europa dell'est. Per ovviare a questo problema, il presidente della banca mondiale Robert Zoellick, sta premendo affinché i paesi più ricchi mettano da parte lo 0,7% del denaro speso per gli stimoli economici e istituiscano un fondo di solidarietà a favore delle nazioni emergenti.

Zoellick dovrebbe spiegare però, come possa lo 0,7% degli stimoli erogati fino a ora, riuscire a compensare la distruzione - secondo l'Asian Development Bank - di 50 trilioni di dollari di valore sugli assets finanziari, quasi pari al PIL dell'intero pianeta (poco più di 65 trilioni nel 2007), distruzione che vedrebbe proprio Asia ed America Latina tra le principali vittime.

E del resto, anche la definizione di paese ricco sta diventando un impresa elusiva.

In Europa continua l'agonia di numerosi stati: la disoccupazione in Spagna ha toccato quasi il 15%, l'Irlanda come ha scritto un giornalista "è ad una testa spaccata di distanza dalla rivolta", lo spread dei CDS sull'Austria ha toccato i 250 punti base, lo stesso livello di quelli sulla pericolante Grecia, in Germania gli ordinativi delle industrie sono crollati del 42% in Gennaio. L'Unione Europea ha annunciato oggi, attraverso il Comitato per l'occupazione e per la protezione sociale che entro il 2010 si rischiano 6,5 milioni di disoccupati all'interno del territorio UE. Per scongiurare questa eventualità ha consigliato una serie di misure che trovo francamente risibili (leggetevi l'articolo se siete curiosi).

Anche in Italia la situazione si sta aggravando. Tremonti ogni tanto, facendo il giocoliere con le parole, prova a farlo presente: da un lato risulta evidente il suo desiderio di rassicurare la popolazione e dall'altro il tentativo di non raccontare panzane troppo clamorose. A quello ci pensa Berlusconi che riprendendo il ministro dell'economia come si fa con gli studenti disobbedenti, se ne va in giro a dichiarare:

La crisi "esiste" ma "è vissuta sui media in maniera più drammatica di quella che è", e il calo delle borse "è dovuto a una manciata di azioni". E la Rai "è l'unica tv di Stato che attacca il governo in carica".

Penso non ci sia bisogno di commentare questo tipo di affermazioni. Oggi Berlusconi ha affermato:

"Non ci saranno situazioni di miseria, di crisi acuta, il Governo è presente per sostenere i cittadini meno fortunati".

"Il mondo ha conosciuto altre crisi ma anche questa come tutte finiscono. Questa crisi sembra particolarmente grave - ha aggiunto - ma la sua profondità e la sua estensione nel tempo dipendono dai nostri comportamenti"

Per una volta sono perfettamente d'accordo con il presidente del consiglio. La profondità e l'estensione della crisi dipende dai nostri comportamenti ed in particolar modo dalle azioni che i governi dell'intero pianeta portano avanti. In Italia oltre a bearci per il fatto che le nostre banche sono meno esposte rispetto a quelle del resto dell'Unione (resta il grosso ? chiamato Unicredit), viene avanzata ancora una volta la mitologica trovata delle grandi opere. Sono stati annunciati stanziamenti per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, opera di cui si parla da che sono al mondo (ed ho la sgradevole sensazione che quando sarò sottoterra saranno ancora li a discuterne) ed è stato promesso il completamento della Salerno Reggio Calabria per il 2012-13 (se ci credete davvero ho una torre pendente da vendervi).

Quest'anno in tutto dovrebbero venir stanziati 10,8 miliardi per le grandi opere. Se siamo fortunati di esse, ne partiranno due o tre.

Le altre saranno rimandate a data da destinarsi, ma anche se per qualche miracolo partissero subito, come ho ripetuto più volte, si tratta in ogni caso di interventi poco efficaci, che muovono grandi capitali, ma poca manodopera. Come dimostra il Giappone, misure del genere non funzionano durante crisi come quella che stiamo attraversando.

Summers, il padrino di Geithner, dal canto suo ha lanciato oggi dalla casa bianca, un appello al G20, perché si impegni nel rilancio della domanda mondiale. Come questa domanda andrebbe rilanciata non è dato sapere con certezza. Summers sembra invocare il solito e generico aumento di spesa pubblica, come motore in grado di produrre il famigerato aumento della domanda aggregata, ma Jean-Claude Juncker a capo del comitato composto dai ministri delle finanze UE, gli ha già risposto con un deciso: no grazie. Sempre oggi, Geithner il figlioccio di Summers e ministro del tesoro USA, quasi si vergognasse a mostrare il suo viso in pubblico, ha posticipato per l'ennesima volta la presentazione dei dettagli sul piano di intervento per il settore finanziario. In particolar modo, sembrerebbe essere ancora in alto mare la parte che prevede l'istituzione di un organo pubblico/privato per l'acquisto degli assets tossici in pancia alle banche.

Sarà senz'altro colpa mia, ma ancora non ho ben capito come dovrebbero funzionare gli interventi in corso e quelli annunciati o meglio, non mi è chiaro un piccolo passaggio. Per riprendere la vignetta all'inizio di questo post, tutti i progetti fin ad ora presentati - chiamiamoli piano A - possono essere riassunti in 3 fasi distinte collegate tra loro:

  1. Garantire la solvibilità delle banche e del sistema finanziario con tutto il denaro necessario (basta evitare il termine nazionalizzazione) e contemporaneamente spendere un sacco di soldi che non si hanno veramente, in opere pubbliche di discutibile utilità o per sostenere aziende decotte. Il tutto ovviamente indebitando gli Stati (tranne in alcuni rari casi, come quello Cinese)
  2. Poi un miracolo si verifica
  3. Come conseguenza la gente riprende a spendere e consumare, il credito a scorrere e le aziende a produrre ed assumere

Penso che qualcuno dovrebbero chiarire meglio il secondo passaggio. Come si riesca a passare dagli interventi attuali, ad una ripresa dell'economia mi sfugge, così come a sfuggirmi è la strategia che si intende adottare nei confronti degli assets tossici in pancia al sistema bancario. Magari a Geithner riuscirà la quadratura del cerchio, grazie ad un magnifico piano ancora sconosciuto e tutta l'Europa gli andrà dietro facendoci uscire da questo buio tunnel, ma dati i precedenti nutro ben poca fiducia a questo riguardo.

Ancora più importante. Quale sarebbe esattamente il piano B?

Se tutte le trovate si rivelassero insufficienti e l'intero pianeta piombasse in una depressione di diversi anni o in una stagnazione decennale simile a quella attraversata dal Giappone (cosa che Roubini sembra ritenere sempre più probabile man mano che il tempo passa) che si fa?

Il Giappone restò a galla a forza di svalutazione ed esportazioni, ma se tutto il mondo è messo nelle medesime condizioni verso chi dovremmo mai esportare?

Se esiste veramente un piano B, temo che esso preveda militari in assetto da combattimento che scorrazzano per le vie delle nostre città (e non mi riferisco alla trovata pubblicitaria dei 3000 uomini messi in campo da questo governo). Nel caso, spero di non essere mai costretto a scoprire per via diretta il contenuto di questo piano (anche se non mi dispiacerebbe mi fosse illustrato a parole).

Nel frattempo, mi limito ad aspettare con pazienza, confidando che esista da qualche parte un ministro del tesoro, un banchiere centrale o un esimio economista che vogliano spiegarmi cosa succede durante il secondo e critico passaggio del piano A, con termini un po' più convincenti rispetto ad un semplice: " e poi un miracolo si verifica".