giovedì 20 novembre 2008

La Grande Craxata

Anche la settimana passata purtroppo sono stato sommerso da diversi impegni, buona parte dei quali francamente fastidiosi ed ho finito col pubblicare un unico post. Se Dio vuole, nel prossimo futuro dovrei avere un po' più di tempo a disposizione e riuscire ad aggiornare il blog con maggiore frequenza. Di fatti ne stanno accadendo talmente tanti, nel panorama economico, che probabilmente persino un aggiornamento orario si rivelerebbe insufficiente, ma prima di lanciarmi a discutere degli ultimi avvenimenti, vorrei che guardaste il video sotto. Mi raccomando, tenete dei fazzoletti a portata di mano.



Se dopo la visione vi ritrovate commossi o debitamente spaventati il video ha ottenuto l'effetto voluto.

Sono attualmente in corso frenetiche discussioni tra membri democratici e repubblicani del parlamento statunitense per far si che il pacchetto di aiuti ai 3 ex giganti dell'auto di Detroit arrivi prima della fine dell'anno. Si tratta di stanziare in fretta e furia i già promessi 25 miliardi in finanziamenti per l'innovazione tecnologica e di recuperarne altri 25 da concedere sotto forma di prestiti agevolati. Da questa corsa contro il tempo, Bush sembra volersi chiamare fuori lasciando gentilmente la patata bollente ad Obama, forse come ironizzano alcuni, perché Ford,GM e Chrysler non sono banche.

Il problema a cui Bush non sembra interessarsi è che le 3 aziende data la loro pericolante situazione, potrebbero non sopravvivere fino a Gennaio, quando Obama si insedierà alla casa bianca.

Lo stesso Paulson ha fatto eco al suo presidente, dichiarando che il denaro del TARP, non dovrebbe essere usato per aiutare i costruttori di automobili, respingendo con forza le pressioni democratiche in questo senso. Ha però auspicato, che il congresso tiri fuori i famosi 25 miliardi in aiuti diretti prelevandoli da qualche altra parte, senza preoccuparsi di specificare quale dovrebbe essere questa "altra parte" (del resto è solo il ministro del tesoro).

Un altro piccolissimo problema in tutto questo dibattito è che consultando gli ultimi dati disponibili si scopre che la sola GM avrebbe un valore netto di -60 miliardi di dollari. Come possono 50 miliardi divisi in 3 riempire un buco da 60?

Ovviamente la risposta è che non possono.

La domanda basilare che nessun politico però, sembra avere il coraggio di porre è: "ma servirà veramente a qualcosa regalare denaro ai 3 (ex) colossi dell'auto?"

Gran parte delle cose che il video "terrorista" della GM dice sono vere. Si stima che il suo fallimento produrrebbe una perdita netta di 200 miliardi di dollari, senza contare tutti i posti di lavoro dell'indotto. In linea teorica salvare GM e le altre in un momento in cui l'economia si sta sfaldando e sempre più gente rimane senza lavoro finirebbe con l'avere un effetto contro ciclico, riducendo un minimo l'impatto della crisi attuale. In un mondo perfetto e se questa fosse una semplice recessione, potrebbe anche essere una strada ragionevole da percorrere.

In pratica mi trovo invece d'accordo con il senatore repubblicano Shelby. Le aziende falliscono ogni giorno ed altre arrivano a prenderne il posto. E' meglio lasciare che la "natura" segua il suo corso, sopratutto ora.

La crisi attuale non è come le altre. Oltre ad aver messo a nudo la menzogna su cui si basava il sistema economico occidentale e cioè, che si potesse compensare la perdita di potere di acquisto della gente facendola semplicemente indebitare, essa ha riportato brutalmente il livello dei consumi della popolazione in linea con gli stipendi reali. Con gli stipendi medi e senza continui finanziamenti da parte di banche ed affini non si può cambiare auto una volta ogni 3-4 anni. Un tempo era normale che un auto arrivasse a durarne tranquillamente una decina. Quello che si è verificato negli ultimi 15-20 anni è stato un profondo cambiamento di attitudine (specialmente negli USA). La necessità di dover cambiare un automobile è passata in secondo piano, l'importante è diventato dimostrare che si poteva cambiarla.

Adesso improvvisamente, mettersi in mostra è diventato di cattivo gusto. Anche chi potrebbe farlo evita accuratamente per paura di proiettare l'immagine sbagliata. Il risultato è stato un crollo verticale nelle vendite di autoveicoli. Si è di colpo scoperto che non avevamo bisogno di tutte quelle auto. Che la capacità produttiva del settore, nel suo complesso, è largamente superiore alla domanda. In uno scenario simile anche quegli individui che non possono fare a meno di comprare un automobile la scelgono in base ad elementi come affidabilità, efficenza, costo, mentre una volta erano più orientati a scegliere macchine grandi, dagli alti consumi su cui potevano però ottenere dei finanziamenti convenienti (anche se magari il prezzo finale del veicolo era elevato).

Aziende come GM che se ne sono fregate altamente dell'efficienza dei loro veicoli sbeffeggiando la toyota e le sue macchine ibride, affermando che tanto, avrebbero impiegato circa un annetto a recuperare il gap tecnologico con essa una volta che avessero deciso di provarci, stanno raccogliendo quello che hanno seminato. Quando la GM provò realmente a progettare delle ibride si rese improvvisamente conto che le sarebbero occorsi 10 anni per recuperare il gap tecnologico nei confronti della toyota e disperata, insieme a Ford e Chrysler, corse in lacrime a chiedere soldi per ricerche tecnologiche in questo senso al governo americano.

Dare soldi alla GM ora come ora, equivarrebbe a gettarli in un pozzo senza fondo, specialmente considerati gli obblighi che essa deve onorare in assicurazioni mediche ed in pensioni ai suoi ex dipendenti.

Che la scommessa è a perdere lo hanno capito diversi. Si sta infatti valutando una bancarotta pre organizzata della GM con l'assistenza governativa, il che abbasserebbe i tempi tecnici per portare la bancarotta a compimento, da 6 mesi a 45 giorni. In questa maniera l'azienda si potrebbe liberare di gran parte dei propri obblighi. Ovviamente per i dipendenti rimasti ciò significherebbe minori garanzie e un peggioramento delle condizioni lavorative e pensionistiche. Il tutto condito dallo spettro incombente della delocalizzazione.

A naso mi sento di poter affermare che la GM sia condannata. Almeno nella forma attuale. Forse se il congresso le getterà addosso abbastanza denaro (e potete scommettere che ci proverà) potrà diventare un azienda più piccola e snella liberandosi di gran parte del personale americano. Il vantaggio netto per l'economia USA alla fine sarà estremamente contenuto mentre i costi di entità indefinita.

Agli Stati Uniti converrebbe di gran lunga lasciar morire dolcemente la GM e le altre ed usare i soldi risparmiati in aiuti inutili per qualcosa di più costruttivo.

Oppure potrebbero decidere di vendere le 3 aziende decotte, ai costruttori di auto cinesi che si sono fatti avanti, ansiosi di cogliere l'occasione per entrare con forza nel mercato occidentale, in cambio dei pochi spiccoli (debiti a parte) necessari a rilevare la GM e le altre due sue colleghe.

Putroppo ho l'impressione che il parlamento americano in qualche maniera interverrà con dei finanziamenti. Quando vedono un buco nero i politici americani non sembrano in grado resistere: devono cercare di tapparlo a suon di denaro.

Nel caso poi, la GM dovesse essere posta in una qualche forma di bancarotta, mi metterò in attesa con lo sguardo rivolto al di là dell'atlantico e un paio di quegli occhiali scuri che venivano usati per osservare il bagliore prodotto da un esplosione nucleare sul naso, aspettando che i 1000 miliardi di cds emessi su di essa deflagrino.

Intanto, il solito Roubini, forse spaventato dall'eventualità che un po' di ottimismo potesse farsi strada nel mondo ha pubblicato un articolo per ricordarci che siamo ancora nella puzzolente materia marrone fin sopra le orecchie, intitolandolo: "Why things are hopeless" (perché la situazione è senza speranza). Roubini, afferma in maniera più articolata, quel che ho detto poco sopra riferendomi alla GM: la gente non ha abbastanza soldi per sostenere i consumi attuali ed è troppo indebitata. Un mondo che era strutturato per soddisfare una irrealistica domanda adesso si trova a dover fare i conti con la realtà e a dover ridurre la sua capacità produttiva. Quindi licenziamenti, riduzione di investimenti, cali dei valori di borsa, riduzione dei consumi ed un inevitabile aumento del risparmio.

Un dato interessante che fornisce Roubini riguarda proprio il risparmio delle famiglie americane. Se si tornasse a livelli storicamente normali di risparmio, cioè intorno a un 6% del PIL, questo comporterebbe una riduzione dei consumi pari ad un trilione di dollari. Se questo aggiustamento si verificasse nel giro di 12 mesi il PIL americano subirebbe una contrazione diretta del 7% e indiretta del 10%. Se si verificasse nel corso di 2 anni la contrazione sarebbe del 5% l'anno cioè una contrazione combinata del PIL del 10%. Anche nel caso ci volessero 4 anni, la perdita combinata sarebbe dell'ordine del 4,5%-5%. La peggiore recessione che gli Stati Uniti abbiano attraversato dalla seconda guerra mondiale in avanti fu quella del 1957-58 in cui la perdita combinata del PIL fu del 3,7%.

Nulla di buono all'orizzonte.

A Roubini sembra far eco la confcommercio, che come riporta un articolo di repubblica prevede consumi in calo nei prossimi 3 anni:

I consumi delle famiglie italiane diminuiranno per tre anni consecutivi, segnando un calo dello 0,5% quest'anno, dello 0,5% nel 2009 e dello 0,4% nel 2010. E' la previsione di Confcommercio secondo la quale "non ci saranno dei crolli, ma l'Italia patirà una crisi più lunga"

"La crisi italiana - commenta Confcommercio - non è come le altre; semplicemente perché c'era prima e non ha quindi nulla, o quasi, a che vedere con la congiuntura dei mercati internazionali. Certo, gli eventi di questi mesi enfatizzano le nostre strutturali debolezze, tutte ma proprio tutte italiane". Secondo l'associazione c'è poco da essere ottimisti per il futuro: "quando gli altri ricominceranno a crescere noi continueremo a barcamenarci con le variazioni decimali di prodotto interno lordo e consumi, come accade da 20 anni a questa parte e in particolare dagli anni 2000".

A giudicare dalle dichiarazioni della Confcommercio ho l'impressione che essa non abbiano ben chiara la portata della crisi che l'intero pianeta sta attraversando. Il problema dell'Italia è che si trova sprofondata nel peggior periodo economico da 50 anni a questa parte, ed è costretta ad affrontarlo senza avere nessuno spazio di manovra a disposizione grazie ai suoi disastrati conti pubblici, senza contare tutti gli altri problemi che piagano il paese. Se ci dovremo preoccupare solo per 3 anni di consumi in calo sarà un miracolo.

Alla confcommercio risponde il Codacons dicendo:

Polemico il commento della Codacons rispetto a questi dati. "Quello che però la Confcommercio non è in grado di spiegare è perché i suoi iscritti, invece di ridurre i prezzi, continuano ad aumentarli, nonostante il calo della domanda da loro stessi evidenziato - è il commento. "Per il Codacons i commercianti, dopo l'allarme lanciato da questo loro studio, dovrebbero coerentemente abbassare i prezzi degli alimentari di almeno il 20%, considerato che dall'introduzione dell'euro ad oggi li hanno raddoppiati, contribuendo a mandare sul lastrico le famiglie italiane. Invitiamo pertanto la Confcommercio ad inviare ai suoi iscritti una circolare per invitarli ad abbassare i prezzi, unico modo per rilanciare i consumi ed evitare la crisi in atto. Inoltre dovrebbe unirsi alla richiesta del Codacons di anticipare i saldi al 15 dicembre, se non vogliono avere un Natale magro".

Abbassare i prezzi???

Non sia mai! Quella la chiamano deflazione. I prezzi dovrebbero sempre salire, se calano poi diventa un problema, perché un sacco di gente ha scommesso sul fatto che i prezzi salissero o che nel peggiore dei casi restassero costanti. Se i prezzi scendono tutta quella gente perderà denaro e non è carino che la gente, specialmente banchieri e finanzieri, perda denaro a causa di scelte erronee.

Bisogna perciò fare di tutto per mantenere i valori inflazionati.

Questa estate mentre continuavo a blaterare come un pazzo ai miei pochi lettori su come l'andamento generale fosse chiaramente deflazionario, tutti gridavano al pericolo inflazione.

Ora la deflazione è diventata il nemico numero uno.

Il Codacons nella sua ingenuità ha detto una sacrosanta realtà. Se i prezzi sono troppo alti per permettere alla gente di consumare le possibilità non sono che due: o i prezzi calano o i soldi a disposizione della gente aumentano.

Nessuno vuol far calare i prezzi perché l'intera economia mondiale negli ultimi anni si era trasformata in un gigantesco Hedge Fund che faceva soldi scommettendo sull'aumento continuo del valore di certi assets. Se questi assets perdono di valore cala anche il valore di tutto quello che vi è stato costruito sopra, quindi dell'intera sovrastruttura finanziaria. La borsa crolla, le banche falliscono ecc ecc.

Il calo in realtà si sta già verificando da tempo, nonstante i disperati tentativi di impedirlo. Basta dare un occhiata agli indici delle borse di tutto il mondo.

Per cercare di impedire il crollo dei prezzi e una spirale deflazionaria i governi possono provare percorre due strade che sono poi due facce della stessa medaglia. Una potremmo chiamarla "La Grande Craxata", l'altra viene definita "Quantitative easing".

La prima possiamo immaginarla come una gigantesca torta di denaro messa a disposizione dagli stati. Il compito della Craxata è, oltre che di regalare soldi a destra e a manca a banche ed aziende, di trovare un qualche modo per mettere del denaro in mano alla gente. Arrivare a produrre un aumento reale degli stipendi in questo contesto è pressoché irrealistico. Richiederebbe un economia più robusta, serie politiche a favore del lavoro (più che a favore della finanza) e sopratutto tempo, tanto tempo.

Gli Stati hanno quindi deciso di lanciarsi nelle più bizzarre iniziative a breve termine.

Gordon Brown in Inghilterra ha promesso di tagliare le tasse diffusamente, come misura per cercare di contrastare lo spettro della deflazione. Inanzitutto, come in simili interventi di stimolo, bisogna dire che non basta mettere i soldi in mano alla gente. Bisogna anche convincerla che è il caso di spenderli questi soldi. Arrivare a convincere una popolazione come quella inglese, indebitata per il 179% del reddito disponibile (record tra le economie sviluppate), nel bel mezzo di questa crisi, sarà una bella impresa. Secondo: l'intervento di Brown sarà temporaneo. Come ha fatto ben presente il capo del partito conservatore, Cameron, a questo taglio fiscale che andrà ad incidere pesantemente sul deficit statale, farà presto seguito un aumento delle tasse. Il ministro delle business, Madelson, ha dovuto confermare le dichiarazioni di Cameron.

Sono forse pazzi gli inglesi?

Abbassano le tasse per poi riaumentarle tra un po'?

A parte la guida a sinistra e l'antipatia per il sistema metrico decimale non li potrei certo definire pazzi. Il problema è di altra natura ed è un qualcosa che sta spaventando a morte i politici di mezzo mondo.

Il problema si chiama Natale.

Sono tutti terrorizzati dalla possibilità che le vendite natalizie possano essere disastrose perché ciò verrebbe interpretato come il segnale di altre, profonde sofferenze per l'economia durante il 2009. Barrosso il presidente della commissione Europea di ritorno dal G20 ("la riunione che stabilì un altra riunione"), invitò, proprio da Londra, i paesi dell'Unione a coordinare una serie di tagli fiscali in modo da sostenere i consumi ed evitare la deflazione.

La Gran Bretagna è stata tra le prime a rispondere all'appello, ma anche l'Italia non è rimasta in disparte.

Tremonti ha presentato un piano anti-crisi da 80 miliardi di cui una metà proveniente da fondi europei. I soldi erano già stati allocati in precedenza per cui a sentire il nostro ministro dell'economia l'impatto sul deficit dovrebbe essere nullo:

Nel dettaglio i fondi per le infrastrutture saranno reperiti nel modo seguente: nell’immediato «saranno mobilitati 16 miliardi (12 per infrastrutture e 4 da project financing). Subito dopo il Cipe pianificherà l’utilizzo di fondi Ue che proiettano su tre anni una cifra stimabile in 40 miliardi per ambiente e ricerca e sviluppo. Pensiamo di ristrutturare le tariffe autostradali in modo da modificare in meglio il sistema che c’è stato finora per cui aumentavano le tariffe anche se non si facevano gli investimenti. E poi magari le aziende facevano i dividendi», ha proseguito Tremonti. «Stimiamo che con questo accordo con le compagnie autostradali si mobilitino almeno 10 miliardi di euro, ma pensiamo di più».

Tra le altre misure che formano il piano complessivo Tremonti ha poi citato «interventi per la fiscalità delle imprese», come la possibilità di pagare l’Iva per cassa, cioè al momento dell’effettivo incasso dei pagamenti, e non quando si stacca la fattura. «Saranno prorogati dal primo gennaio 2009 gli sgravi sui premi di produttività per fare dell’Italia un sistema più competitivo e una somma non piccola che non abbiamo ancora definito andrà alle famiglie».
Sembra persistere, intanto, l'idea che le grandi opere muovano molto lavoro, quando invece quello che muovono sono pricipalmente grandi macchinari. Di certo muovono tanto denaro che finisce nelle tasche degli amichetti dei politici, che poi contraccambiano generosamente. Basta dare un occhiata ai cantieri dell'alta velocità qua a Bologna per rendersi conto del limitato impatto che una grande opera ha sull'occupazione.

I 40 miliardi per ricerca e sviluppo suonano poi come una soave presa per il culo proprio mentre la ricerca viene tagliata ad ogni piè sospinto. Almeno si decidessero: o la tagliano o la finanziano.

Alla manovra sulle autostrade crederò quando la vedrò messa in pratica. A parte la breve parentesi di Di Pietro, mi pare che ai Benetton siano sempre stati concessi aumenti di tariffe a prescindere dagli investimenti realmente fatti sulla rete autostradale. Dire che essi investiranno 10 miliardi suona tanto di deliberata menzogna.

La possibilità di pagare l’Iva per cassa invece, si rivelerebbe un ottima operazione e dal forte impatto. Sarebbe davvero carino in italia per chi ha un attività, soprattutto una piccola, iniziare a pagare le tasse dopo aver incassato il denaro. Non mi dilungherò troppo su come funziona il sistema fiscale italiano perché pensarci su troppo avrebbe lo stesso effetto di leggere il Necronomicon: potrebbe condurre alla follia. In linea di massima, in Italia, chi ha un attività propria, le tasse le anticipa. Alla fine dell'anno ad esempio deve pagare le tasse per l'anno prossimo su denaro si suppone incasserà, ma che non ha ancora incassato. Il tutto calcolato sulla base delle tasse pagate l'anno precedente. Se una piccola azienda poi, prova ad esempio a raddoppiare il proprio fatturato, dovrà pagare la differenza sull'anticipo pagato l'anno precedente (che si è rivelato troppo basso dato che nessuno ha la sfera di cristallo e gli anticipi si basano sul fatturato dell'anno prima) e dovrà anticipare tasse doppie rispetto all'anno corrente, per l'anno successivo.

Il risultato è che un piccola attività, legalmente, non ha quasi strumenti per risparmiare o per investire. Se vuole farlo deve chiedere dei soldi in prestito ad una banca. Ancora peggio, data la perversione del meccanismo degli anticipi, spesso sono addirittura costrette a chiedere denaro in prestito per poter pagare le tasse.

Il problema non è tanto di redittività dell'azienda in questione, quanto di flusso di cassa. Se si chiedono sia i soldi per le tasse dell'anno corrente sia di anticipare anche quelle del prossimo anno, si crea un collo di bottiglia, un periodo in cui un piccola azienda rischia spesso di trovarsi senza i soldi necessari a tirare avanti.

Le banche ovviamente ringraziano.

Riuscire a spezzare questo ciclo perverso sarebbe importantissimo. Purtroppo però, anche per lo stato è ormai diventata un questione di flusso di cassa. Esso fa affidamento sul fatto che gli arrivi il denaro degli anticipi e senza non saprebbe dove trovare i soldi necessari per tirare avanti.

Tremonti ha promesso che rimanderà il pagamento di una parte degli anticipi per i soggetti più esposti. Sarebbe ottimo, se non fosse un intervento una tantum. Non paghi a fine anno, ma paghi a Maggio e da lì in poi si ricomincia con il gioco degli anticipi. Sempre meglio di niente, ma anche in questo caso sembra trattarsi dell'ennesima trovata per cercare di sostenere i consumi Natalizi.

Il premio per l'intervento più assurdo però, lo vince Taiwan. Il governo dell'isola orientale ha deciso di elargire ad ogni cittadino un buono spesa di circa 100 dollari valido nei ristoranti e negli esercizi commerciali, per un costo complessivo dell'operazione che si aggira sugli 80 miliardi di dollari. Il piano è basato su una simile operazione tentata nel 1999 dal Giappone, ma ha lasciato scettici diversi economisti:

"Penso che il governo si dovrebbe concentrare su piani di lungo termine per aumentare la fiducia dei consumatori, come abbassare il costo delle materie prime, aumentare l'occupazione e rivitalizzare l'economia" ha detto Jonnie Lee un analista alla President Securities

"Non riesco a credere che questo programma avrà un grande impatto sul PIL. Se le persone non riescono ad arrivare alla fine del mese, non saranno certo incoraggiate a spendere di più solo perché ricevono il buono spesa"
Lee ha senz'altro ragione nell'affermare che servono interventi di lungo periodo, ma le feste sono dietro l'angolo e i governi devono intervenire. Un periodo festivo con basse vendite è super deprimente specialmente per gli gli operatori di borsa che si attaccano ad ogni segnale positivo come dei naufragi ad un pezzo di legno galleggiante, il solo rottame rimasto di un nave affondata da tempo. E proprio poco prima delle feste per l'anno nuovo Taiwanese, il buono dovrebbe essere recapitato a casa di ogni cittadino.

Anche gli USA, come scrissi negli ultimi post, stanno studiando un nuovo piano di stimolo economico. Impazienti i CEO di alcune delle più importanti corporation, non hanno voluto aspettare l'insediamento di Obama e sono già partiti all'attacco, pressando il neo eletto presidente perché approvi una nuovo pacchetto di entità superiore ai 300 miliardi di dollari. Un paio di settimane fa a questa ipotesi, Nancy Pelosi, presidente della camera USA e democratica, aveva già opposto il suo netto rifiuto. Un intervento anche secondo la Pelosi sarebbe necessario, ma a quanto pare gli Stati Uniti non si possono più permettere una spesa simile. I democratici sembrano orientati su un intervento il cui costo complessivo si aggiri sui 100 miliardi di dollari.

La verità è che "La Grande Craxata" non funziona. Continuare ad elargire soldi di qua e di là, non risolve il problema di fondo che resta l'eccessivo indebitamento della popolazione. Il denaro in eccesso che dovesse arrivare in mano alla gente, verrebbe semplicemente messo da parte sotto forma di risparmio (anche ripagare i propri debiti è una forma di risparmio) invece di essere impiegato per spese superflue. L'effetto sui consumi sarebbe estremamente ridotto. Per rilanciare l'economia è indispensabile la cancellazione del debito che la sta schiacciando. Ed il debito si può cancellare solo lasciando fallire chi ha concesso prestiti a soggetti che non erano in grado di restituire il denaro così ottenuto oppure facendo in modo che chi ha contratto i suddetti debiti riesca a ripagarli.

La prima strada porta al fallimento di diverse aziende, di banche, al crollo di alcuni settori inflazionati come quello immobiliare, ma rimane la strada più veloce e pulita per uscire dalla crisi attuale.

La seconda porta al "Quantitative easing": l'opzione nucleare, l'impensabile, la creazione diretta ed inflazionaria di denaro.

In sostanza la monetizzazione del debito (di solito si traduce nello stampare denaro con cui comprare direttamente i propri buoni del tesoro autofinanziando così il proprio deficit).

Ciò che veniva un tempo ritenuto impensabile sta diventando sempre più reale.

Negli ultimi giorni è girata con insistenza la voce che la Cina starebbe seriamente valutando di diversificare le proprie riserve monetarie comprando dell'oro (e non poco, si parla di 4000 tonnellate). Secondo il Gulf News, l'Arabia Saudita avrebbe comprato nelle ultime due settimane oro per 3,5 miliardi di dollari, mentre l'Iran sta da tempo facendo incetta del metallo giallo per liberarsi di dollari e in parte di euro.

Molti sembrano mettere le mani avanti in preparazione di un crollo del dollaro.

A dimostrazione di come sempre più gente nutra il timore che gli USA ricorreranno al "Quantitative easing" nel tentativo di monetizzare il proprio debito (svalutando quindi il valore del dollaro), diversi economisti giapponesi hanno avanzato la possibilità che gli Stati Uniti saranno costretti ad emettere debito in valuta straniera:

"Non vi è dubbio che il dollaro si indebolirà" ha detto Eisuke Sakakibara, ex alto ufficiale per il governo in materia monetaria, attualmente professore alla Waseda University. "Il dollaro ora sembra forte per ragioni tecniche. Il denaro che le aziende americane hanno investito nel resto del mondo sta venendo re-impatriato negli Stati Uniti causando un ondata di acquisti di dollari. Ma una volta che questa conversione in dollari terminerà, il valore del biglietto verde precipiterà" ha detto Sakakibara.

A causa della crescita senza precedenti del deficit americano e della prospettiva di un dollaro indebolito rispetto allo yen che ridurrebbe il valore dei buoni del tesoro detenuti dal Giappone, diversi economisti a Tokyo stanno chiedendo che l'amministrazione del nuovo presidente Barack Obama emetta dei buoni del tesoro denominati in yen e in altre valute estere.

"Gli Stati Uniti saranno costretti ad emettere buoni denominati in valuta estera se questa sarà la nostra necessità" ha detto Mizuno (capo economista alla Mitsubishi UFJ Securities Co). "Gli USA non possono finanziare il proprio deficit da soli. Il loro sistema finanziario non può sopravvivere senza investitori esteri. In futuro vedremo degli 'Obama Bonds'."
Buoni del tesoro americani in valuta estera? Ve lo immaginate?

Significherebbe il fallimento degli USA.

Non penso che il governo Giapponese arriverà davvero a realizzare questa proposta, ma il solo fatto che l'ipotesi venga avanzata con una certa forza da un nutrito stuolo di economisti, rende evidente come il sospetto che gli USA ricorreranno alla monetizzazione stia serpeggiando.

Anche perchè ormai le cartucce a disposizione di Bernanke sono pochissime. Secondo la JP Morgan entro Gennaio la FED porterà il tasso di interesse allo 0%. Mossa in realtà inutile, dato che il tasso effettivo di interesse è gia vicino allo 0.

Il tasso di interesse che la banca centrale fissa in realtà è solo un obbiettivo. Ogni giorno essa compie delle OMO, delle operazioni dirette sul mercato (Open Market Operation) comprando e vendendo securities, generalmente buoni del tesoro, in modo da influenzare il tasso di interesse reale nel tentativo di portare il suo valore vicino all'obbiettivo fissato ufficialmente (nel caso attuale l'1%). Normalmente la FED non sbaglia di molto. Anche se spesso si verificano degli scostamenti, essi sono di entità ridotta.

Da quando il tasso di interesse è stato abbassato all'1%, il tasso effettivo è oscillato tra lo 0,23% e lo 0,35%, il che equivale a cercare di centrare un bersaglio distante 50 metri con un fucile e riuscire a spararsi su un piede. Le ragioni di ciò sono troppo lunghe e complicate per essere raccontate in questo post. La sostanza però, è che il tasso reale di interesse è gia prossimo allo 0.

Ogni ulteriore taglio avrà un effetto puramente cosmetico.

Il momento in cui gli USA dovranno decidere se arrendersi o ricorrere al "Quantitative easing" si avvicina sempre più.

Un altra cosa che i giapponesi sembrano straordinariamente aver capito, è l'inutilità di un certo tipo di interventi (forse perché hanno già attraversato una crisi simile). Intervistata a riguardo la popolazione giapponese ha deciso di non volere partecipare alla Grande Craxata, opponendo un netto rifiuto all'assegno da 600 dollari a famiglia che il governo aveva deciso di stanziare.

Nel loro piccolo i giapponesi non hanno accettato di diventare come tutti quei banchieri, finanzieri e anche cittadini comuni, che magari, senza rendersene conto, approvando certi pacchetti di stimolo si trasformano in tanti maiali che si ingozzano in quella sempre più striminzita mangiatoia che sono diventati gli stati.



Magari un giorno, ci arriveremo anche noi.

22 commenti:

Unknown ha detto...

E' chiaro che ci troviamo su un aereo, che volava ad altissima quota, che di colpo si è trovato senza carburante e dove alla fine i motori non si sono semplicemente spenti, ma si sono incendiati e rischiano addiritura di scoppiare, con tutto l'aereo.
Il carburante si chiamava "grande liquidità con credito facile".
I motori erano due.
Il primo motore è stato il mercato immobiliare con i mutui subprime insieme al credito al consumo, praticamente si comprava tutto a debito e si pagavano i debiti con altri debiti!!!!!
Questo primo motore già si è incendiato, mancano solo le carte di credito e farà il botto finale.
Il secondo motore è quello della finanza creativa con tutti i suoi bei prodotti che chiameremo semplicemente "derivati". Questi ancora non ha fatto il "grande botto", anche se con Lehman Brothers, già è partito un violento incendio.
Ora i piloti dell'aereo si stanno rendendo conto che bisogna effettuare un atterraggio di fortuna immediatamente.
Si deve cercare di salvare più passeggeri possibili o almeno quelli della classe business!!
Perchè se per esempio mi fallisce una General Motor, a parte i due o tre milioni di persone che perdono il lavoro fra dipendenti e indotto, e questo sarebbe già un disastro!! Ho il probblema dei prodoti derivati a essa collegati!
Un evento come il default della GM farebbe sembrare la crisi Giapponese degli anni novanta, come un venticello paragonato ad un Uragano di classe cinque.

Difficile dire, se adesso è meglio che l'aereo scoppi subito in volo, o tenti un penoso, quanto impossibile, atterraggio di fortuna.
La prima soluzione sarebbe la più inteliggente, ma renderebbe visibilissime le responsabilità dei piloti e della classe Business.
Si creerebbe un clima di profonda sfiducia nei piloti e quanto minimo si pretenderebbero dei maggiori e severi controlli sull'operato di questi.
Ma abbiate fede, c'è sempre qualcuno che intuendo la male parata si e già lanciato, accaparrandosi i pochi paracaduti a disposizione. Portando con se gli embrioni di un nuovo capitalismo.
Qualcuno dovrà pur costruire il nuovo aereo!

Umberto Zorzi ha detto...

Ciao, una correzione. I CDS che saranno pagati su General Motors saranno "solo" 3 miliardi di Dollari e non 1.000. Ci sono in totale 65 miliardi di dollari in cds su GM ma al netto delle posizioni il pagamento sara' solo di 3 miliardi. Quindi e' anche possibile che a breve la facciano fallire. (Per i CDS fonte la Dtcc www.dtcc.com http://www.dtcc.com/products/derivserv/data_table_i.php?id=table6
I tuoi post sono sempre molto interessanti.
Umberto

Stand ha detto...

Ciao Umberto, grazie per la segnalazione. Effettivamente il DTCC ai primi di Novembre, anche per tranquillizare il mercato, ha rilasciato i dati sui cds della GM che hai riportato tu.

Onestamente non so come questi dati siano stati compilati, ma non avendo nulla di più preciso sotto mano mi devo affidare ad essi. Posso dirti che la cifra di 1000 miliardi viene dal Mish Shedlock che la riportò tempo addietro sul suo blog.

Giusto qualche giorno fa un articolo di Whalen sul sito dell'IRA (Institutional Risk Analytics) parlava di trilioni di cds sui 3 costruttori d'auto anche se genericamente nel conteggio includeva anche i rivenditori e i finanziatori degli acquisti degli autoveicoli (quindi ad esempio la GMAC) (qua trovi l'articolo di Whalen se sei interessato http://us1.institutionalriskanalytics.com/pub/IRAMain.asp).

Per esperienza posso dire che ne Shedlock ne l'IRA sparano numeri a caso. Ho l'impressione che bisognerà aspettare materialmente il fallimento della GM per avere una cifra precisa.

Fino ad allora considererò validi i dati DTCC. dato che mi sembrano gli unici "ufficiali" in materia e ti ringrazio di nuovo per la segnalazione.

A ha detto...

Umberto e Stand,

i CDS sono contratti detti Over The Counter (OTC), ossia accordi bilaterali tra due controparti.

L'apparente incongruenza tra i numeri si spiega con la differenza tra valore nominale di tutti i contratti in essere (i $1.000 miliardi dati da Mish) e l'effettivo sbilanciamento di competenza (i pochi miliardi dati dalla DTCC).

Se io vendo una polizza su un miliardo di dollari di debito di GM all'5% e poi ne compro un'altra uguale al 4,5%, realizzerò un bel profitto di 5 milioni di dollari l'anno per 5 anni. Il totale nominale di tutti i contratti esistenti aumenta di 2 miliardi di dollari, ma di fatto quando GM fallirà un solo miliardo di dollari cambierà di tasca, mentre io lo guardo solo passare. Infatti a patto che tutti riescano a tener fede ai propri impegni contrattuali il mio assicuratore sarà alleggerito di 1 miliardo e il mio assicurato avrà il suo miliardo.

Poiché queste polizze sono state comprate e vendute come fossero dei futures, il valore nominale è esploso molto più rapidamente del rischio effettivo.

Da qui veniva l'urgenza di mettere in piedi un exchange. In un exchange io mi tengo i miei 5 milioni e mi tolgo dai piedi mentre il mio assicuratore e il mio assicurato se la vedono direttamente tra loro.

Probabilmente entrambi i numeri sono giusti.

Stand ha detto...

Ciao Alessandro quello che dici è vero, ma per l'appunto il DTCC parla di 65 miliardi in valore nominale e di 3 miliardi al netto di tutte le posizioni, quindi quando tutte le controparti hanno sistemato i loro obblighi e si è risaliti all'intera catena di CDS emessi e rivenduti.

La cifra mi sembra piuttosto bassa e resta ben lontana da quella che Mish indica, ma altri dati più precisi in giro non ne ho trovati. Del resto essendo i CDS degli OTC anche i dati del DTCC non possono che essere delle stime (non ho capito se conteggi anche tutta la roba infilata dentro i CDO sintetici).

Se le cifre del DTCC sono esatte le conseguenze di un fallimento della GM sul mercato del credito saranno limitate. Se ha ragione Mish anche al netto di tutte le posizioni sarà un casino pazzesco. Del resto abbiamo visto come è andata a finire con i 400 miliardi di CDS sulla Lehman.

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Luna