Questo è uno di quei post insensatamente lunghi che ogni tanto scrivo e che alcuni miei amici odiano tanto. Avevo anche pensato di dividerlo in due separati post, ma ciò avrebbe interrotto il filo del discorso e alla fine ci ho rinunciato.
Siete quindi avvisati: scappate fin che siete in tempo o mettetevi comodi.
Nei commenti all'ultimo post che ho pubblicato Giovanni si chiedeva quanto fosse giusto un intervento statale in materia economica e se il tentativo di impedire il progressivo deleveraging del sistema, cioè una riduzione complessiva del debito, che gli stati stanno promuovendo non andasse nella direzione corretta.
Il dibattito su quanto sia necessario un intervento dello stato e come esso eventualmente si debba configurare in una situazione come quella attuale è annoso e ricorda da vicino certe disquisizioni filosofiche su chi sia esistito per primo se l'uovo o la gallina.
Quelli che vengono definiti Keynesiani ovviamente sono a favore di un diffuso intervento da parte statale. Questo articolo scritto da Paul McCulley, la persona che coniò il termine Minsky moment, rappresenta bene il punto di vista di certi Keynesiani. McCulley reputa obsolete certe logiche di aiuto statale come tagli fiscali o stimoli economici sotto forma, ad esempio, dell'assegno da 600 dollari fatto recapitare a casa di ogni cittadino americano durante la prima metà di quest'anno nella speranza che quel denaro sarebbe poi stato usato per consumare.
Con grande disappunto dei legislatori Statunitensi i cittadini invece utilizzarono il suddetto assegno per ripagare parte dei debiti che avevano contratto.
Secondo McCulley il deleveraging non sarebbe un processo di per se dannoso, se venisse intrapreso da singole aziende o da semplici individui. Quando però l'intero sistema: cioè aziende, banche, fondi di investimento ecc cercano di ridurre il loro leverage allo stesso tempo quella che rischia di crollare è l'intera baracca. Per impedire che questo si verifichi, McCulley afferma sia necessario un intervento della banca centrale attraverso un abbassamento del tasso di interesse che renda disponibile tutta la liquidità necessaria e contemporaneamente un intervento governativo che si traduca nell'acquisito di tutti quegli asset che aziende, fondi e simili svendono nel tentativo di recuperare denaro e diminuire la propria esposizione.
L'acquisto degli asset da parte dello stato, finirebbe col fornire un supporto al valore di questi assets (dato che esisterebbe un compratore di ultima istanza) impedendone una eccessiva svalutazione e bloccando all'origine quella spirale di vendite che il panico scatenato da un prezzo progressivamente calante potrebbe innescare.
Questa in soldoni è la stessa logica che sta dietro la creazione del TARP, il fondo da 700 miliardi che Paulson ha costretto (e se non pensate che il parlamento americano sia stato "costretto" guardatevi questo) il congresso americano ad approvare e che in origine avrebbe dovuto acquistare titoli andati a male dalle banche per ricapitalizzarle.
All'altro estremo ci sono i seguaci della scuola Austriaca di economia che si rifanno alle teorie di Mises e di Rothbard tanto per citare i due rappresentanti più illustri. Secondo la teoria Austriaca ogni intervento statale rappresenta un alterazione del mercato ed è di per se distruttivo, quindi la cosa migliore da fare in una situazione come quella odierna è stare a guardare e lasciare che il mercato corregga se stesso. Un articolo di Frank Shostak sul sito del Mises Istitute riassume bene questa visione.
In sostanza Shostak dice che anni di interferenza sul mercato da parte della FED e della sua politica di tassi bassi hanno impoverito la base dei risparmiatori, finanziando invece una serie di bolle basate sui debiti. Non facendo nulla la FED ed il governo consentirebbero a chi ha soldi di prestarli ad un tasso di interesse alto che rifletta in maniera più realistica il rischio attuale del sistema (il rischio che questi prestiti non vengano restituiti). Questo consentirebbe una progressiva ricostruzione del risparmio (dato che con tassi alti risparmiare diventerebbe conveniente) e col tempo questo risparmio si tradurrebbe in denaro rimesso in circolazione sotto forma di prestiti. Ovviamente tutto questo renderebbe sconveniente un economia basata sulle bolle e sulle piramidi finanziarie e produrrebbe il fallimento di diverse aziende, istituti e banche che su queste bolle hanno campato. Un prezzo alto, ma inevitabile da pagare.
Nel mezzo, tra le idee di McCulley e gli Austriaci, si trovano le più svariate posizioni, ma che potremmo riassumere con la visione di Roubini. Salviamo il salvabile del sistema bancario e facciamo i Keynesiani, ma nei confronti della popolazione non delle aziende decotte e dei fondi di investimento, investendo pesantemente in opere di interesse pubblico e tramite sgravi fiscali.
La mia personale posizione si potrebbe riassumere con: "Intanto salviamo il salvabile".
La prima cosa da dire è che il deleveraging che ci piaccia o no è in atto.
Un caso che ha suscitato scalpore è stato quello di Kirk Kerkorian un miliardario che aveva investito pesantemente nel titolo della Ford. La crisi economica ha colpito duramente il settore dell'auto ed ha prodotto perdite pari a due terzi dei 995 miliardi di dollari che Kerkorian aveva investito. Anche gli altri due principali titoli posseduti dal miliardario, MGM e Delta Petroleum sono stati colpiti dalla crisi. In totale le azioni che possedeva sono passate da un valore di 16,6 miliardi alla miseria di 3,1 miliardi di dollari. Trovatosi alle corde a causa di una serie di margin call da parte delle banche, Krekorian ha dovuto vendere buona parte delle azioni Ford in suo possesso e ha minacciato di liberarsi delle rimanenti gettando lo scompiglio tra i dirigenti della casa automobilistica che stanno ora valutando la possibilità di liberarsi della partecipazione Ford nella Mazda.
Più in generale però, è l'intero settore degli Hedge Fund in settembre ad aver riportato un livello di perdite record secondo l'Eurekahedge Hedge Fund Index. L'arrestarsi del mercato del credito, unito al vertiginoso aumento del ritiro dei soldi dati in gestione ai fondi da parte degli investitori e al blocco delle short (che ha distrutto alcune delle più normali strategie d'investimento) avrebbero prodotto una perdita media del 4,7%, il maggior calo mensile da quando l'indice fu creato nel 2000. Le perdite e il ritiro degli investimenti hanno costretto molti di questi fondi a vendere i loro assets e ad accumulare denaro liquido per poter mantenere i propri impegni.
Questo accumulo di denaro si è tradotto in una vera corsa al dollaro. Non solo i fondi, ma anche aziende e banche si sono unite alla caccia al biglietto verde, dato che si erano indebitate tutte sul mercato internazionale (quindi principalmente in dollari). Questo ha prodotto un pressione spropositata sulle banche centrali e sulle swap line aperte con la FED americana. Le swap line permettono alle banche centrali di alcuni paesi, come Europa e Giappone di emettere direttamente dollari in un quantitativo limitato. Data l'enorme domanda delle ultime settimane ogni limite è stato rimosso. Le banche centrali di Europa, Giappone, Svizzera e Inghilterra possono emettere tutti i dollari che ritengo necessari.
Il problema sorge per tutte quelle nazioni che non hanno swap line attive con la FED come Bred Setser mette in evidenza sul suo blog. Il caso della Corea del sud è emblematico. Anche se dopo la crisi "delle piccole tigri" del 97, i governi dell'area asiatica si ripromisero di non diventare mai più dipendenti dagli investimenti esteri, che così come erano arrivati altrettanto velocemente potevano andarsene lasciandosi dietro solo macerie, le banche coreane non si sono dimostrate altrettanto risolute. Si sono indebitate pesantemente in dollari. Non avendo la banca centrale coreana swap line con la FED, tutto quello che può fare per soddisfare la crescente domanda di dollari è usare la sua moneta per comprarli sul mercato o utilizzare direttamente quelli che ha accumulato come riserva.
Il risultato è un progressivo indebolimento del Won coreano, che spinge gli investitori ad abbandonarlo per lidi più sicuri aggravando ancora di più la situazione.
Come la Corea anche altri paesi si ritrovano con un bisogno disperato di valuta estera. L'Ungheria ha un grande bisogno di euro. L'Ucraina sia di dollari che di euro. La Russia di dollari, così come il Pakistan che non essendo riuscito ad elemosinare un prestito dai cinesi si è dovuto rivolgere all'FMI e cosa molto preoccupante la Svizzera ha un grande bisogno di euro tanto che la BCE ha dovuto allestire un apposita swap line.
Questa corsa alle principali valute internazionali ed in particolar modo al dollaro è dovuta al massiccio deleveraging in atto nel sistema.
Tutti si trovano costretti a pagare i loro debiti e tutti hanno bisogno di valuta americana.
I soggetti che scommisero in un indebolimento progressivo del dollaro nei confronti delle altre valute utilizzando strumenti derivati, stanno incassando pesanti perdite ed anche queste perdite, ironia della sorte, dovranno essere ripagate in dollari. I più invischiati in questo problema sono i paesi sud Americani in particolar modo il Brasile e il Messico.
Di fronte all'enorme pressione esercitata da questo fenomeno c'è poco da fare. E' naturale che prima o poi il debito vada pagato.
La proposta di McCulley è un assurdità. Usare lo stato per comperare roba andata a male a dei prezzi fuori mercato non servirebbe a granché, anche se di certo farebbe comodo alla PIMCO (l'azienda di McCulley) che è esposta nei confronti di certi strumenti. Qualunque fondo, come il TARP, messo in piedi a questo scopo verrebbe letteralmente assaltato da bande di disperati ansiosi di liberarsi di cartaccia senza valore ed esaurirebbe le sue risorse in breve tempo. Gli investitori non si metterebbero di certo a comperare ed a vendere certa roba solo perché all'improvviso e comparso un compratore di ultima istanza. Anche se il governo comprasse ad 80 degli assets che nella realtà valgono 10 il mercato, non dimenticherebbe d'un tratto quale sia il loro vero valore. Nessuno si sognerebbe di comprarli ad 80, mentre tutti quelli che ne sono in possesso cercherebbero di scaricarli sulle spalle del governo.
Shostak ha senz'altro ragione a dire che la responsabilità principale per la crisi attuale ricade sulla FED e sulla sua politica dei tassi bassi e sono completamente d'accordo anche con la definizione che fece Mises di crack up boom:
Quella che ci troviamo ad affrontare a causa delle attuali manovre della FED e dei vari governi è la concreta possibilità di un crack up boom. Per non voler accettare una correzione naturale del mercato stiamo rischiando l'esplosione del sistema. L'unico vantaggio di un crack up boom rispetto ad una depressione è che ti ammazza più lentamente.
Non sono completamente d'accordo con gli austriaci quando dicono che lo stato dovrebbe tenersi sempre e comunque fuori dal mercato e che in una situazione come quella attuale dovrebbe stare ai margini a guardare mentre riguardo alla posizione di Roubini mi verrebbe invece da dire: tanti buoni propositi, ma con che soldi di grazia?
La cosa più straordinaria però è che banchieri centrali e i governi stanno facendo praticamente tutto.
Di sicuro sono lontani anni luce dalla posizione Austriaca e non potrebbe essere altrimenti del resto, dato che essa non prevederebbe neppure l'esistenza di un banca centrale tanto per cominciare. Non stanno però adottando nemmeno la via di Roubini o quella di Culley.
Le stanno adottando entrambe!
Stanno cercando di salvare tutti e tutto a cominciare da Wall Street. Hanno ricapitalizzato le banche nella maniera peggiore possibile, senza eliminare il managment od ottenere garanzie di qualche tipo sull'uso che esso avrebbe fatto del denaro elargito. Hanno dovuto aumentare i tetti della garanzia sui depositi bancari quando non li hanno garantiti per intero. Poi dato che le banche non fidandosi più una dell'altra avevano smesso di prestarsi denaro hanno dovuto garantire i prestiti interbancari. Poi i Money Market Fund hanno cominciato a perdere fondi perché la gente ritirava il denaro depositato per investirlo in buoni del tesoro o semplicemente per depositarlo in banca dove era protetto dalla garanzia statale. A quel punto lo stato ha deciso di garantire anche i depositi dei Money Market Fund. Poi ha garantito i depositi bancari delle aziende. Poi, dato che la commercial paper (debito a breve termine delle aziende) rimaneva fuori dagli strumenti garantiti ed essa è fondamentale per il funzionamento del mercato, il governo americano ha deciso di acquistarla direttamente.
La prossima gamba a traballare saranno i "corporate bond", le obbligazioni delle aziende. Ovviamente esse non sono (ancora) garantite e come avrete già capito la gente le sta abbandonando per investire in strumenti garantiti dallo stato. Il rendimento dei corporate bond sta salendo alle stelle e per le aziende sarà sempre più difficile e costoso finanziarsi sul mercato. Un articolo di bloomberg di qualche giorno fa titolava: "Prezzo da Armageddon fallisce nell'attirare compratori nel mezzo di pesanti vendite". Il titolo si commenta da solo. Sotto potete vedere come sia schizzato in alto il rendimento che i bond emessi dalle aziende devono promettere agli acquirenti.
Siete quindi avvisati: scappate fin che siete in tempo o mettetevi comodi.
Nei commenti all'ultimo post che ho pubblicato Giovanni si chiedeva quanto fosse giusto un intervento statale in materia economica e se il tentativo di impedire il progressivo deleveraging del sistema, cioè una riduzione complessiva del debito, che gli stati stanno promuovendo non andasse nella direzione corretta.
Il dibattito su quanto sia necessario un intervento dello stato e come esso eventualmente si debba configurare in una situazione come quella attuale è annoso e ricorda da vicino certe disquisizioni filosofiche su chi sia esistito per primo se l'uovo o la gallina.
Quelli che vengono definiti Keynesiani ovviamente sono a favore di un diffuso intervento da parte statale. Questo articolo scritto da Paul McCulley, la persona che coniò il termine Minsky moment, rappresenta bene il punto di vista di certi Keynesiani. McCulley reputa obsolete certe logiche di aiuto statale come tagli fiscali o stimoli economici sotto forma, ad esempio, dell'assegno da 600 dollari fatto recapitare a casa di ogni cittadino americano durante la prima metà di quest'anno nella speranza che quel denaro sarebbe poi stato usato per consumare.
Con grande disappunto dei legislatori Statunitensi i cittadini invece utilizzarono il suddetto assegno per ripagare parte dei debiti che avevano contratto.
Secondo McCulley il deleveraging non sarebbe un processo di per se dannoso, se venisse intrapreso da singole aziende o da semplici individui. Quando però l'intero sistema: cioè aziende, banche, fondi di investimento ecc cercano di ridurre il loro leverage allo stesso tempo quella che rischia di crollare è l'intera baracca. Per impedire che questo si verifichi, McCulley afferma sia necessario un intervento della banca centrale attraverso un abbassamento del tasso di interesse che renda disponibile tutta la liquidità necessaria e contemporaneamente un intervento governativo che si traduca nell'acquisito di tutti quegli asset che aziende, fondi e simili svendono nel tentativo di recuperare denaro e diminuire la propria esposizione.
L'acquisto degli asset da parte dello stato, finirebbe col fornire un supporto al valore di questi assets (dato che esisterebbe un compratore di ultima istanza) impedendone una eccessiva svalutazione e bloccando all'origine quella spirale di vendite che il panico scatenato da un prezzo progressivamente calante potrebbe innescare.
Questa in soldoni è la stessa logica che sta dietro la creazione del TARP, il fondo da 700 miliardi che Paulson ha costretto (e se non pensate che il parlamento americano sia stato "costretto" guardatevi questo) il congresso americano ad approvare e che in origine avrebbe dovuto acquistare titoli andati a male dalle banche per ricapitalizzarle.
All'altro estremo ci sono i seguaci della scuola Austriaca di economia che si rifanno alle teorie di Mises e di Rothbard tanto per citare i due rappresentanti più illustri. Secondo la teoria Austriaca ogni intervento statale rappresenta un alterazione del mercato ed è di per se distruttivo, quindi la cosa migliore da fare in una situazione come quella odierna è stare a guardare e lasciare che il mercato corregga se stesso. Un articolo di Frank Shostak sul sito del Mises Istitute riassume bene questa visione.
In sostanza Shostak dice che anni di interferenza sul mercato da parte della FED e della sua politica di tassi bassi hanno impoverito la base dei risparmiatori, finanziando invece una serie di bolle basate sui debiti. Non facendo nulla la FED ed il governo consentirebbero a chi ha soldi di prestarli ad un tasso di interesse alto che rifletta in maniera più realistica il rischio attuale del sistema (il rischio che questi prestiti non vengano restituiti). Questo consentirebbe una progressiva ricostruzione del risparmio (dato che con tassi alti risparmiare diventerebbe conveniente) e col tempo questo risparmio si tradurrebbe in denaro rimesso in circolazione sotto forma di prestiti. Ovviamente tutto questo renderebbe sconveniente un economia basata sulle bolle e sulle piramidi finanziarie e produrrebbe il fallimento di diverse aziende, istituti e banche che su queste bolle hanno campato. Un prezzo alto, ma inevitabile da pagare.
Nel mezzo, tra le idee di McCulley e gli Austriaci, si trovano le più svariate posizioni, ma che potremmo riassumere con la visione di Roubini. Salviamo il salvabile del sistema bancario e facciamo i Keynesiani, ma nei confronti della popolazione non delle aziende decotte e dei fondi di investimento, investendo pesantemente in opere di interesse pubblico e tramite sgravi fiscali.
La mia personale posizione si potrebbe riassumere con: "Intanto salviamo il salvabile".
La prima cosa da dire è che il deleveraging che ci piaccia o no è in atto.
Un caso che ha suscitato scalpore è stato quello di Kirk Kerkorian un miliardario che aveva investito pesantemente nel titolo della Ford. La crisi economica ha colpito duramente il settore dell'auto ed ha prodotto perdite pari a due terzi dei 995 miliardi di dollari che Kerkorian aveva investito. Anche gli altri due principali titoli posseduti dal miliardario, MGM e Delta Petroleum sono stati colpiti dalla crisi. In totale le azioni che possedeva sono passate da un valore di 16,6 miliardi alla miseria di 3,1 miliardi di dollari. Trovatosi alle corde a causa di una serie di margin call da parte delle banche, Krekorian ha dovuto vendere buona parte delle azioni Ford in suo possesso e ha minacciato di liberarsi delle rimanenti gettando lo scompiglio tra i dirigenti della casa automobilistica che stanno ora valutando la possibilità di liberarsi della partecipazione Ford nella Mazda.
Più in generale però, è l'intero settore degli Hedge Fund in settembre ad aver riportato un livello di perdite record secondo l'Eurekahedge Hedge Fund Index. L'arrestarsi del mercato del credito, unito al vertiginoso aumento del ritiro dei soldi dati in gestione ai fondi da parte degli investitori e al blocco delle short (che ha distrutto alcune delle più normali strategie d'investimento) avrebbero prodotto una perdita media del 4,7%, il maggior calo mensile da quando l'indice fu creato nel 2000. Le perdite e il ritiro degli investimenti hanno costretto molti di questi fondi a vendere i loro assets e ad accumulare denaro liquido per poter mantenere i propri impegni.
Questo accumulo di denaro si è tradotto in una vera corsa al dollaro. Non solo i fondi, ma anche aziende e banche si sono unite alla caccia al biglietto verde, dato che si erano indebitate tutte sul mercato internazionale (quindi principalmente in dollari). Questo ha prodotto un pressione spropositata sulle banche centrali e sulle swap line aperte con la FED americana. Le swap line permettono alle banche centrali di alcuni paesi, come Europa e Giappone di emettere direttamente dollari in un quantitativo limitato. Data l'enorme domanda delle ultime settimane ogni limite è stato rimosso. Le banche centrali di Europa, Giappone, Svizzera e Inghilterra possono emettere tutti i dollari che ritengo necessari.
Il problema sorge per tutte quelle nazioni che non hanno swap line attive con la FED come Bred Setser mette in evidenza sul suo blog. Il caso della Corea del sud è emblematico. Anche se dopo la crisi "delle piccole tigri" del 97, i governi dell'area asiatica si ripromisero di non diventare mai più dipendenti dagli investimenti esteri, che così come erano arrivati altrettanto velocemente potevano andarsene lasciandosi dietro solo macerie, le banche coreane non si sono dimostrate altrettanto risolute. Si sono indebitate pesantemente in dollari. Non avendo la banca centrale coreana swap line con la FED, tutto quello che può fare per soddisfare la crescente domanda di dollari è usare la sua moneta per comprarli sul mercato o utilizzare direttamente quelli che ha accumulato come riserva.
Il risultato è un progressivo indebolimento del Won coreano, che spinge gli investitori ad abbandonarlo per lidi più sicuri aggravando ancora di più la situazione.
Come la Corea anche altri paesi si ritrovano con un bisogno disperato di valuta estera. L'Ungheria ha un grande bisogno di euro. L'Ucraina sia di dollari che di euro. La Russia di dollari, così come il Pakistan che non essendo riuscito ad elemosinare un prestito dai cinesi si è dovuto rivolgere all'FMI e cosa molto preoccupante la Svizzera ha un grande bisogno di euro tanto che la BCE ha dovuto allestire un apposita swap line.
Questa corsa alle principali valute internazionali ed in particolar modo al dollaro è dovuta al massiccio deleveraging in atto nel sistema.
Tutti si trovano costretti a pagare i loro debiti e tutti hanno bisogno di valuta americana.
I soggetti che scommisero in un indebolimento progressivo del dollaro nei confronti delle altre valute utilizzando strumenti derivati, stanno incassando pesanti perdite ed anche queste perdite, ironia della sorte, dovranno essere ripagate in dollari. I più invischiati in questo problema sono i paesi sud Americani in particolar modo il Brasile e il Messico.
Di fronte all'enorme pressione esercitata da questo fenomeno c'è poco da fare. E' naturale che prima o poi il debito vada pagato.
La proposta di McCulley è un assurdità. Usare lo stato per comperare roba andata a male a dei prezzi fuori mercato non servirebbe a granché, anche se di certo farebbe comodo alla PIMCO (l'azienda di McCulley) che è esposta nei confronti di certi strumenti. Qualunque fondo, come il TARP, messo in piedi a questo scopo verrebbe letteralmente assaltato da bande di disperati ansiosi di liberarsi di cartaccia senza valore ed esaurirebbe le sue risorse in breve tempo. Gli investitori non si metterebbero di certo a comperare ed a vendere certa roba solo perché all'improvviso e comparso un compratore di ultima istanza. Anche se il governo comprasse ad 80 degli assets che nella realtà valgono 10 il mercato, non dimenticherebbe d'un tratto quale sia il loro vero valore. Nessuno si sognerebbe di comprarli ad 80, mentre tutti quelli che ne sono in possesso cercherebbero di scaricarli sulle spalle del governo.
Shostak ha senz'altro ragione a dire che la responsabilità principale per la crisi attuale ricade sulla FED e sulla sua politica dei tassi bassi e sono completamente d'accordo anche con la definizione che fece Mises di crack up boom:
Il boom può durare solo finché il credito si espande a un tasso sempre più rapido. Il boom si interrompe quando ulteriori quantità di beni di fiducia smettono di essere immessi sul mercato dei prestiti. Ma esso non può comunque durare in eterno anche se l'inflazione e l'espansione del credito aumentassero costantemente. Ad un certo punto verrebbero raggiunte le barriere che impediscono l'espansione senza confini del credito circolante. Ciò porterebbe al "crack up boom" e alla distruzione dell'intero sistema monetario.
L'espansione del credito è costruita su fondamenta di sabbia, costituite dalle banconote e dai depositi. Essa dovrà collassare. Se l'espansione del credito non si ferma in tempo, il boom si trasformerà in un "crack up boom"; allora la fuga verso beni reali comincerà e l'intero sistema monetario si squaglierà. La continua inflazione finalmente terminerà con un "crack up boom" e la distruzione dell'intero sistema monetario.
Quella che ci troviamo ad affrontare a causa delle attuali manovre della FED e dei vari governi è la concreta possibilità di un crack up boom. Per non voler accettare una correzione naturale del mercato stiamo rischiando l'esplosione del sistema. L'unico vantaggio di un crack up boom rispetto ad una depressione è che ti ammazza più lentamente.
Non sono completamente d'accordo con gli austriaci quando dicono che lo stato dovrebbe tenersi sempre e comunque fuori dal mercato e che in una situazione come quella attuale dovrebbe stare ai margini a guardare mentre riguardo alla posizione di Roubini mi verrebbe invece da dire: tanti buoni propositi, ma con che soldi di grazia?
La cosa più straordinaria però è che banchieri centrali e i governi stanno facendo praticamente tutto.
Di sicuro sono lontani anni luce dalla posizione Austriaca e non potrebbe essere altrimenti del resto, dato che essa non prevederebbe neppure l'esistenza di un banca centrale tanto per cominciare. Non stanno però adottando nemmeno la via di Roubini o quella di Culley.
Le stanno adottando entrambe!
Stanno cercando di salvare tutti e tutto a cominciare da Wall Street. Hanno ricapitalizzato le banche nella maniera peggiore possibile, senza eliminare il managment od ottenere garanzie di qualche tipo sull'uso che esso avrebbe fatto del denaro elargito. Hanno dovuto aumentare i tetti della garanzia sui depositi bancari quando non li hanno garantiti per intero. Poi dato che le banche non fidandosi più una dell'altra avevano smesso di prestarsi denaro hanno dovuto garantire i prestiti interbancari. Poi i Money Market Fund hanno cominciato a perdere fondi perché la gente ritirava il denaro depositato per investirlo in buoni del tesoro o semplicemente per depositarlo in banca dove era protetto dalla garanzia statale. A quel punto lo stato ha deciso di garantire anche i depositi dei Money Market Fund. Poi ha garantito i depositi bancari delle aziende. Poi, dato che la commercial paper (debito a breve termine delle aziende) rimaneva fuori dagli strumenti garantiti ed essa è fondamentale per il funzionamento del mercato, il governo americano ha deciso di acquistarla direttamente.
La prossima gamba a traballare saranno i "corporate bond", le obbligazioni delle aziende. Ovviamente esse non sono (ancora) garantite e come avrete già capito la gente le sta abbandonando per investire in strumenti garantiti dallo stato. Il rendimento dei corporate bond sta salendo alle stelle e per le aziende sarà sempre più difficile e costoso finanziarsi sul mercato. Un articolo di bloomberg di qualche giorno fa titolava: "Prezzo da Armageddon fallisce nell'attirare compratori nel mezzo di pesanti vendite". Il titolo si commenta da solo. Sotto potete vedere come sia schizzato in alto il rendimento che i bond emessi dalle aziende devono promettere agli acquirenti.
Che si fa? Garantiamo pure le obbligazioni o ci mettiamo a comprarle direttamente come abbiamo fatto con la commercial paper?
Ogni intervento lascia scoperta una parte che viene immediatamente abbandonata da gente ormai incapace di fidarsi e credere nel sistema ed ogni volta lo stato deve intervenire per garantire anche quella parte. Gli stati a partire dagli USA stanno diventando l'intero sistema ed il rischio di tutto il debito irripagabile si sta scaricando su di essi.
E come se non bastasse il sostegno all'intero sistema finanziario, contemporaneamente si pensa di adottare anche politiche Keynesiane più classiche come quelle proposte da Roubini. Bernanke in questi ultimi giorni ha cominciato a parlare di stimoli sotto forma di sgravi fiscali e di facilitazioni nell'accesso al credito da parte dei cittadini. Ha lamentato che le spese in infrastrutture avrebbero un effetto a breve termine pressoché insignificante sull'economia, dando ad intendere che non esistono seri progetti in quel senso. Al capo della FED si è poi unita Sheila Bair, capo dell'FDIC, che davanti al comitato bancario del senato ha dichiarato che è allo studio insieme all'amministrazione bush, un piano per un sistema di garanzia dei prestiti che preveda da parte del governo l'impegno ad accollarsi una fetta del rischio. Secondo la Bair tale sistema dovrebbe stabilire degli standard per la modifica dei prestiti erogati dalle banche. La garanzia statale dovrebbe invogliare le banche medesime ad applicare queste modifiche, rendendo i prestiti esistenti più economici e quindi più facilmente ripagabili.
In definitiva però, tutto questo rischio non scomparirebbe, si trasferirebbe semplicemente. Se tutto è traballante e pretendi di garantire tutto prima o poi, tu stato, dovrai incassare delle perdite. Se le perdite diventano troppo ingenti le alternative non restano che due. Farla finita e dichiarare la bancarotta o come è più probabile succeda, dire semplicemente: "abbiamo scherzato! La garanzia statale da oggi non vale più."
A quel punto una liquidazione frenetica del debito ed un Minsky moment non te lo leva nessuno. La differenza rispetto anche ai peggiori scenari attuali è che gli stati in quel caso si ritroverebbero ad aver consumato gran parte delle loro risorse nel tentativo di garantire tutti e tutto e rischierebbero di non averne più a sufficienza per salvare il salvabile.
Il deleveraging come già detto è inevitabile. Sta già succedendo. Roubini che dopo il rilassarsi del mercato del credito ed il lento sgonfiarsi di indicatori come il Libor ed il TED, aveva allentato un po' il suo pessimismo è tornato a parlare di possibile rischio sistemico a causa di una vera e propria corsa agli Hedge Funds da parte degli investitori. Come precedentemente detto, il ritiro di denaro dai fondi sta progressivamente accelerando in velocità, costringendo questi ultimi a vendere assets per soddisfare tutte le richieste che giungono loro. Se questo processo non si arresta, Roubini reputa possibile l'intero blocco dei mercati per una o due settimane.
Già un paio di settimane fa durante l'ondata di vendite in borsa l'ipotesi aveva cominciato a circolare e fu annunciata ad alta voce da Silvio Berlusconi che affermò di averla discussa assieme agli altri capi di governo (quando c'è da dire o fare una cazzata nel momento sbagliato possiamo sempre contare sul nostro presidente del consiglio).
In questa situazione gettare denaro nel sistema non serve. Intanto non c'è più gente in grado di ingoiarselo dato che sono tutti troppo indebitati e secondo come scrissi nell'ultimo post, più denaro crei e più ti avvicini al punto in cui il debito generato in questa maniera non produce più crescita economica. Si tratta di quelle "barriere che impediscono l'espansione senza confini del credito circolante" di cui Mises parla nella sua definizione di crack up boom.
Bisogna arrendersi all'evidenza. Il sistema è saltato ed è necessario che gli assurdi squilibri che ha generato in questi anni vengano corretti. I valori dei beni follemente inflazionati devono tornare in linea con la realtà e tutti quelli che hanno investito male devono essere lasciati fallire, non possiamo salvare tutto e tutti. Lo stato può intervenire cercando di salvare il salvabile, occupandosi ad esempio di nazionalizzare quella parte del sistema bancario indispensabile al mantenimento della struttura economica. Nazionalizzare significa cacciare via tutto il managment, azzerare il valore di tutte le azioni e lasciar a bocca asciutta anche gli obbligazionisti. Al massimo si potrebbero convertire le obbligazioni in nuove azioni, fermo restando che la quota di maggioranza resti in mano allo stato.
Fatto ciò, lo stato può farsi i conti in tasca e nel caso ne avesse le risorse pensare di stimolare l'economia con interventi diretti come sgravi fiscali o spesa pubblica.
Il punto di partenza di tutto però deve essere il ripristino della verità.
Bisogna fare chiarezza sui bilanci delle banche e delle aziende. Nessuno si fida più del sistema, perché nessuno è in grado di sapere chi sia di fatto fallito e chi invece sia in salute. Anna Schwartz che insieme a Friedman scrisse quella che dallo stesso Bernanke viene considerata la Bibbia sulla grande depressione (un libro intitolato "A Monetary History of the United States") ha affermato precisamente questo.
Dal Wall Street Journal:
Mrs Schwarz fa poi il paragone tra la situazione odierna e la grande depressione, affermando che all'epoca le banche fossero relativamente in buona salute e che sarebbero soppravissute se fosse intervenuta la banca centrale fornendo la liquidità necessaria a sostenerle durante la fase dei ritiri frenetici dei depositi da parte della gente. Oggi invece le banche non sono in buona salute, hanno dei crateri nei bilanci e continuare a fornire loro linee di credito non serve a risolvere il vero problema.
Insomma è il discorso che molta gente compreso il sottoscritto fa dall'inizio di questa crisi: esiste un grave problema di insolvenza e non di liquidità.
La signora Schwarz continua affermando che le aziende e le banche vanno lasciate fallire e che non si può finire col restare ostaggi di quella sempre più spesso evocata minaccia chiamata:"rischio sistemico". L'economista 92 enne infine, chiude il suo discorso con una stoccata personale a Bernanke, rievocando quello che l'attuale capo della FED disse nel 2002 durante un discorso tenuto in onore del novantesimo compleanno di Milton Friedman:
Ovviamente tutto il contrario di quello che sarebbe necessario.
Europa e Canada si sono unite agli Stati Uniti nel "rilassare" le regole di bilancio in modo di non applicare il mark to market, andando quindi entrambe in direzione completamente opposta a quella della chiarezza. Un classico "uccidere il messaggero perché non ci piace il messaggio".
Per quel che riguarda la liquidità tutti danno per scontato che alla prossima riunione del 28-29 Ottobre, la FED taglierà il tasso di interesse all'1% e secondo un articolo di Bloomberg se anche ciò non dovesse migliorare la situazione, nel 2009 Bernanke, tanto per non smentire il suo sopranome (Helicopter Ben) potrebbe portare il tasso di interesse ad un valore prossimo allo 0%. Nel caso poi che fosse necessario un ulteriore stimolo all'economia - dice Adam Polse direttore del Peterson Institute for International Economics e co-autore assieme a Bernanke - la FED potrebbe sempre comperare direttamente i buoni del tesoro americano per tenerne bassi rendimenti.
Come dire che il governo USA comincerebbe a far girare le presse a tutto spiano e senza bisogno di finanziamenti dall'estero si autofinanzierebbe nella stessa maniera che adottò la repubblica di Weimar e più recentemente lo Zimbawe: stampando direttamente tutta la moneta necessaria.
Questa è la cosa che più si avvicina a una ricetta per l'Armageddon.
I casini attuali sono stati creati dal non aver voluto accettare una correzione nel 2001 quando scoppiò la bolla della New Economy, ed aver invece cercato di sostenere il sistema re-inflazionandolo follemente grazie un tasso portato ad un minimo dell'1%.
E adesso Ben ci viene a raccontare che la soluzione sarebbe riportare il tasso di interesse allo stesso valore di allora, magari minacciando addirittura lo zirp (zero interest rate point) e di stampare dollari in quantità pressoché illimitata???
Questo è un suicidio puro e semplice. Non può funzionare. Non ha mai funzionato.
Pregate che non funzioni.
Perchè se anche funzionasse, potrebbe al massimo rimandare la resa dei conti di 3-4 anni creando nel frattempo una bolla ancora più grande di quella appena scoppiata.
Uno dei principali ostacoli alla linea che sta adottando Helicopter Ben è il prossimo crollo di Bretton Woods 2.
Bretton Woods 2 è l'informale nome che venne dato al quel sistema basato sul riciclo da parte della Cina dei dollari ottenuti in cambio delle proprie merci, con l'acquisto di debito pubblico americano. In questo modo la Cina finanziava ulteriormente i consumi dei cittadini statunitensi, consumi che in gran parte si riversavano nuovamente su merci cinesi, fornendo altri dollari alla Cina con cui acquistare debito pubblico americano e cosi via.
Alla fine dei giochi gli USA si sono ritrovati ad aver bisogno di più di 2,5 miliardi di dollari al giorno di finanziamenti dall'estero per restare in piedi. Come disse Herbert Stein, famoso economista: "ciò che non puo durare, non durerà". Secondo Bred Setser il momento del crollo di Bretton Woods 2 è ormai prossimo e non come Setser stesso ed altri economisti pensavano a causa di una crescente preoccupazione cinese nei confronti dell'aumentare del debito pubblico americano.
Quello che sta venendo meno piuttosto è un adeguato ritorno per gli investimenti operati dai Cinesi sul territorio statunitense. Gran parte del ritorno economico la Cina lo traeva dagli acquisti che i consumatori americani facevano delle merci prodotte dalle aziende cinesi. Questi continui acquisti garantivano l'espansione dell'economia cinese e finanziavano la modernizzazione del paese.
A causa del congelamento del mercato del credito, dell'alto indebitamento delle famiglie e della diffidenza che hanno le banche nei confronti di chiunque chieda loro un prestito, si è rotto quel meccanismo che trasformava i soldi ottenuti tramite la vendita dei buoni del tesoro in credito individuale concesso ai cittadini americani. Quello stesso credito che li metteva in grado di consumare quasi compulsivamente le merci prodotte dalla Cina.
Con la rottura di questo processo di trasformazione, il ritorno in termini economici degli investimenti cinesi in debito pubblico americano si sta riducendo progressivamente ed arriverà il punto in cui esso perderà completamente qualunque convenienza. Sarà la fine di ciò che Setser ha sempre definito il "quiet bailout" (il salvataggio silenzioso) che i cinesi hanno operato nei confronti dell'economia USA.
La conseguenza ovvia è che il tesoro americano per finanziarsi e sostenere la sua demente pretesa di garantire tutto quanto, dovrà promettere rendimenti sempre più alti sul proprio debito.
Dovranno aumentare per forza i rendimenti sui buoni del tesoro a breve o a lungo termine.
Nel primo caso il rischio è quello di un inversione dei rendimenti in cui finanziarsi a breve termine divenga più costoso che finanziarsi a lungo termine facendo saltare la funzione principale delle banche che dovrebbe essere proprio quella di finanziarsi a breve per investire a lungo termine.
Nel secondo caso si finirebbe col distruggere quel po' che rimane del mercato immobiliare dato che l'importo delle rate dei mutui viene agganciato ai rendimenti dei buoni del tesoro di relativa durata, facendo così fallire i disperati tentativi di Bernanke e Paulson fatti per sostenere il valore degli immobili. (Nessuno può obbligare una banca a concedere un mutuo. Se il rendimento dei buoni del tesoro a 10 anni è del 5% la banca per un mutuo di uguale durata chiederà ad esempio un interesse del 6% perché altrimenti tanto varebbe per lei comprare direttamente i buoni stessi che almeno sono garantiti dallo stato).
In entrambi i casi le strategie di Ben si frantumerebbero miseramente.
Per impedire l'aumentare dei rendimenti sui buoni del tesoro, come disse Adam Polse, la FED può sempre decidere di stampare dollari e usarli per comprare direttamente buoni del tesoro. Ben e Polse possono anche andare in giro a dire che un operazione del genere avrebbe un effetto neutro sull'economia, ma in realtà sarebbe lo stesso giochino del TARP.
L'effetto sarebbe neutro se ad ogni dollaro usato per comperare un buono del tesoro corrispondesse un dollaro di controvalore, ma se invece il valore dei buoni del tesoro fosse ad esempio pari a 50 centesimi per ogni dollaro che la fed spende per i suddetti buoni, quei 50 centesimi di differenza messi in circolazione dalla FED sarebbero pura e semplice inflazione.
Questa strada porta direttamente al crack up boom e alla completa distruzione del dollaro, nel qual caso come dice sempre un mio amico: "spero abbiate un astronave parcheggiata in garage".
Dobbiamo rassegnarci al deleveraging in atto e alla sequenza di fallimenti che produrrà. L'alternativa è mille volte peggiore. Una crisi economica per quanto dura, si può anche sopportare fin tanto che il prezzo da pagare è ripartito ugualmente su tutti quanti, sono le ingiustificate differenze ad essere intollerabili.
Un crack up boom invece aprirebbe scenari molto peggiori.
Come Yves Smith sul suo blog va ripetendo da tempo, gli Stati Uniti sono ormai una Repubblica delle banane con la sola differenza che hanno il dollaro e le testate nucleari.
Ma se anche il dollaro grazie alle manovre di Ben & Co dovesse crollare cosa resterebbe agli USA?
Ogni intervento lascia scoperta una parte che viene immediatamente abbandonata da gente ormai incapace di fidarsi e credere nel sistema ed ogni volta lo stato deve intervenire per garantire anche quella parte. Gli stati a partire dagli USA stanno diventando l'intero sistema ed il rischio di tutto il debito irripagabile si sta scaricando su di essi.
E come se non bastasse il sostegno all'intero sistema finanziario, contemporaneamente si pensa di adottare anche politiche Keynesiane più classiche come quelle proposte da Roubini. Bernanke in questi ultimi giorni ha cominciato a parlare di stimoli sotto forma di sgravi fiscali e di facilitazioni nell'accesso al credito da parte dei cittadini. Ha lamentato che le spese in infrastrutture avrebbero un effetto a breve termine pressoché insignificante sull'economia, dando ad intendere che non esistono seri progetti in quel senso. Al capo della FED si è poi unita Sheila Bair, capo dell'FDIC, che davanti al comitato bancario del senato ha dichiarato che è allo studio insieme all'amministrazione bush, un piano per un sistema di garanzia dei prestiti che preveda da parte del governo l'impegno ad accollarsi una fetta del rischio. Secondo la Bair tale sistema dovrebbe stabilire degli standard per la modifica dei prestiti erogati dalle banche. La garanzia statale dovrebbe invogliare le banche medesime ad applicare queste modifiche, rendendo i prestiti esistenti più economici e quindi più facilmente ripagabili.
In definitiva però, tutto questo rischio non scomparirebbe, si trasferirebbe semplicemente. Se tutto è traballante e pretendi di garantire tutto prima o poi, tu stato, dovrai incassare delle perdite. Se le perdite diventano troppo ingenti le alternative non restano che due. Farla finita e dichiarare la bancarotta o come è più probabile succeda, dire semplicemente: "abbiamo scherzato! La garanzia statale da oggi non vale più."
A quel punto una liquidazione frenetica del debito ed un Minsky moment non te lo leva nessuno. La differenza rispetto anche ai peggiori scenari attuali è che gli stati in quel caso si ritroverebbero ad aver consumato gran parte delle loro risorse nel tentativo di garantire tutti e tutto e rischierebbero di non averne più a sufficienza per salvare il salvabile.
Il deleveraging come già detto è inevitabile. Sta già succedendo. Roubini che dopo il rilassarsi del mercato del credito ed il lento sgonfiarsi di indicatori come il Libor ed il TED, aveva allentato un po' il suo pessimismo è tornato a parlare di possibile rischio sistemico a causa di una vera e propria corsa agli Hedge Funds da parte degli investitori. Come precedentemente detto, il ritiro di denaro dai fondi sta progressivamente accelerando in velocità, costringendo questi ultimi a vendere assets per soddisfare tutte le richieste che giungono loro. Se questo processo non si arresta, Roubini reputa possibile l'intero blocco dei mercati per una o due settimane.
Già un paio di settimane fa durante l'ondata di vendite in borsa l'ipotesi aveva cominciato a circolare e fu annunciata ad alta voce da Silvio Berlusconi che affermò di averla discussa assieme agli altri capi di governo (quando c'è da dire o fare una cazzata nel momento sbagliato possiamo sempre contare sul nostro presidente del consiglio).
In questa situazione gettare denaro nel sistema non serve. Intanto non c'è più gente in grado di ingoiarselo dato che sono tutti troppo indebitati e secondo come scrissi nell'ultimo post, più denaro crei e più ti avvicini al punto in cui il debito generato in questa maniera non produce più crescita economica. Si tratta di quelle "barriere che impediscono l'espansione senza confini del credito circolante" di cui Mises parla nella sua definizione di crack up boom.
Bisogna arrendersi all'evidenza. Il sistema è saltato ed è necessario che gli assurdi squilibri che ha generato in questi anni vengano corretti. I valori dei beni follemente inflazionati devono tornare in linea con la realtà e tutti quelli che hanno investito male devono essere lasciati fallire, non possiamo salvare tutto e tutti. Lo stato può intervenire cercando di salvare il salvabile, occupandosi ad esempio di nazionalizzare quella parte del sistema bancario indispensabile al mantenimento della struttura economica. Nazionalizzare significa cacciare via tutto il managment, azzerare il valore di tutte le azioni e lasciar a bocca asciutta anche gli obbligazionisti. Al massimo si potrebbero convertire le obbligazioni in nuove azioni, fermo restando che la quota di maggioranza resti in mano allo stato.
Fatto ciò, lo stato può farsi i conti in tasca e nel caso ne avesse le risorse pensare di stimolare l'economia con interventi diretti come sgravi fiscali o spesa pubblica.
Il punto di partenza di tutto però deve essere il ripristino della verità.
Bisogna fare chiarezza sui bilanci delle banche e delle aziende. Nessuno si fida più del sistema, perché nessuno è in grado di sapere chi sia di fatto fallito e chi invece sia in salute. Anna Schwartz che insieme a Friedman scrisse quella che dallo stesso Bernanke viene considerata la Bibbia sulla grande depressione (un libro intitolato "A Monetary History of the United States") ha affermato precisamente questo.
Dal Wall Street Journal:
"La FED" lei dice "si è comportata come se il problema fosse una mancanza di liquidità". Quello non è il problema fondamentale. Il problema fondamentale per i mercati è l'incertezza che i bilanci degli istituti finanziari siano credibili."
Mrs Schwarz fa poi il paragone tra la situazione odierna e la grande depressione, affermando che all'epoca le banche fossero relativamente in buona salute e che sarebbero soppravissute se fosse intervenuta la banca centrale fornendo la liquidità necessaria a sostenerle durante la fase dei ritiri frenetici dei depositi da parte della gente. Oggi invece le banche non sono in buona salute, hanno dei crateri nei bilanci e continuare a fornire loro linee di credito non serve a risolvere il vero problema.
Insomma è il discorso che molta gente compreso il sottoscritto fa dall'inizio di questa crisi: esiste un grave problema di insolvenza e non di liquidità.
La signora Schwarz continua affermando che le aziende e le banche vanno lasciate fallire e che non si può finire col restare ostaggi di quella sempre più spesso evocata minaccia chiamata:"rischio sistemico". L'economista 92 enne infine, chiude il suo discorso con una stoccata personale a Bernanke, rievocando quello che l'attuale capo della FED disse nel 2002 durante un discorso tenuto in onore del novantesimo compleanno di Milton Friedman:
"Vorrei dire a Milton e ad Anna: riguardo la Grande Depressione. Avete ragione voi, è stata colpa nostra. Ci dispiace molto. Ma grazie a voi, non lo rifaremo di nuovo."E per non ricascarci cosa hanno pensato bene di fare Bernanke e gli stati?
Ovviamente tutto il contrario di quello che sarebbe necessario.
Europa e Canada si sono unite agli Stati Uniti nel "rilassare" le regole di bilancio in modo di non applicare il mark to market, andando quindi entrambe in direzione completamente opposta a quella della chiarezza. Un classico "uccidere il messaggero perché non ci piace il messaggio".
Per quel che riguarda la liquidità tutti danno per scontato che alla prossima riunione del 28-29 Ottobre, la FED taglierà il tasso di interesse all'1% e secondo un articolo di Bloomberg se anche ciò non dovesse migliorare la situazione, nel 2009 Bernanke, tanto per non smentire il suo sopranome (Helicopter Ben) potrebbe portare il tasso di interesse ad un valore prossimo allo 0%. Nel caso poi che fosse necessario un ulteriore stimolo all'economia - dice Adam Polse direttore del Peterson Institute for International Economics e co-autore assieme a Bernanke - la FED potrebbe sempre comperare direttamente i buoni del tesoro americano per tenerne bassi rendimenti.
Come dire che il governo USA comincerebbe a far girare le presse a tutto spiano e senza bisogno di finanziamenti dall'estero si autofinanzierebbe nella stessa maniera che adottò la repubblica di Weimar e più recentemente lo Zimbawe: stampando direttamente tutta la moneta necessaria.
Questa è la cosa che più si avvicina a una ricetta per l'Armageddon.
I casini attuali sono stati creati dal non aver voluto accettare una correzione nel 2001 quando scoppiò la bolla della New Economy, ed aver invece cercato di sostenere il sistema re-inflazionandolo follemente grazie un tasso portato ad un minimo dell'1%.
E adesso Ben ci viene a raccontare che la soluzione sarebbe riportare il tasso di interesse allo stesso valore di allora, magari minacciando addirittura lo zirp (zero interest rate point) e di stampare dollari in quantità pressoché illimitata???
Questo è un suicidio puro e semplice. Non può funzionare. Non ha mai funzionato.
Pregate che non funzioni.
Perchè se anche funzionasse, potrebbe al massimo rimandare la resa dei conti di 3-4 anni creando nel frattempo una bolla ancora più grande di quella appena scoppiata.
Uno dei principali ostacoli alla linea che sta adottando Helicopter Ben è il prossimo crollo di Bretton Woods 2.
Bretton Woods 2 è l'informale nome che venne dato al quel sistema basato sul riciclo da parte della Cina dei dollari ottenuti in cambio delle proprie merci, con l'acquisto di debito pubblico americano. In questo modo la Cina finanziava ulteriormente i consumi dei cittadini statunitensi, consumi che in gran parte si riversavano nuovamente su merci cinesi, fornendo altri dollari alla Cina con cui acquistare debito pubblico americano e cosi via.
Alla fine dei giochi gli USA si sono ritrovati ad aver bisogno di più di 2,5 miliardi di dollari al giorno di finanziamenti dall'estero per restare in piedi. Come disse Herbert Stein, famoso economista: "ciò che non puo durare, non durerà". Secondo Bred Setser il momento del crollo di Bretton Woods 2 è ormai prossimo e non come Setser stesso ed altri economisti pensavano a causa di una crescente preoccupazione cinese nei confronti dell'aumentare del debito pubblico americano.
Quello che sta venendo meno piuttosto è un adeguato ritorno per gli investimenti operati dai Cinesi sul territorio statunitense. Gran parte del ritorno economico la Cina lo traeva dagli acquisti che i consumatori americani facevano delle merci prodotte dalle aziende cinesi. Questi continui acquisti garantivano l'espansione dell'economia cinese e finanziavano la modernizzazione del paese.
A causa del congelamento del mercato del credito, dell'alto indebitamento delle famiglie e della diffidenza che hanno le banche nei confronti di chiunque chieda loro un prestito, si è rotto quel meccanismo che trasformava i soldi ottenuti tramite la vendita dei buoni del tesoro in credito individuale concesso ai cittadini americani. Quello stesso credito che li metteva in grado di consumare quasi compulsivamente le merci prodotte dalla Cina.
Con la rottura di questo processo di trasformazione, il ritorno in termini economici degli investimenti cinesi in debito pubblico americano si sta riducendo progressivamente ed arriverà il punto in cui esso perderà completamente qualunque convenienza. Sarà la fine di ciò che Setser ha sempre definito il "quiet bailout" (il salvataggio silenzioso) che i cinesi hanno operato nei confronti dell'economia USA.
La conseguenza ovvia è che il tesoro americano per finanziarsi e sostenere la sua demente pretesa di garantire tutto quanto, dovrà promettere rendimenti sempre più alti sul proprio debito.
Dovranno aumentare per forza i rendimenti sui buoni del tesoro a breve o a lungo termine.
Nel primo caso il rischio è quello di un inversione dei rendimenti in cui finanziarsi a breve termine divenga più costoso che finanziarsi a lungo termine facendo saltare la funzione principale delle banche che dovrebbe essere proprio quella di finanziarsi a breve per investire a lungo termine.
Nel secondo caso si finirebbe col distruggere quel po' che rimane del mercato immobiliare dato che l'importo delle rate dei mutui viene agganciato ai rendimenti dei buoni del tesoro di relativa durata, facendo così fallire i disperati tentativi di Bernanke e Paulson fatti per sostenere il valore degli immobili. (Nessuno può obbligare una banca a concedere un mutuo. Se il rendimento dei buoni del tesoro a 10 anni è del 5% la banca per un mutuo di uguale durata chiederà ad esempio un interesse del 6% perché altrimenti tanto varebbe per lei comprare direttamente i buoni stessi che almeno sono garantiti dallo stato).
In entrambi i casi le strategie di Ben si frantumerebbero miseramente.
Per impedire l'aumentare dei rendimenti sui buoni del tesoro, come disse Adam Polse, la FED può sempre decidere di stampare dollari e usarli per comprare direttamente buoni del tesoro. Ben e Polse possono anche andare in giro a dire che un operazione del genere avrebbe un effetto neutro sull'economia, ma in realtà sarebbe lo stesso giochino del TARP.
L'effetto sarebbe neutro se ad ogni dollaro usato per comperare un buono del tesoro corrispondesse un dollaro di controvalore, ma se invece il valore dei buoni del tesoro fosse ad esempio pari a 50 centesimi per ogni dollaro che la fed spende per i suddetti buoni, quei 50 centesimi di differenza messi in circolazione dalla FED sarebbero pura e semplice inflazione.
Questa strada porta direttamente al crack up boom e alla completa distruzione del dollaro, nel qual caso come dice sempre un mio amico: "spero abbiate un astronave parcheggiata in garage".
Dobbiamo rassegnarci al deleveraging in atto e alla sequenza di fallimenti che produrrà. L'alternativa è mille volte peggiore. Una crisi economica per quanto dura, si può anche sopportare fin tanto che il prezzo da pagare è ripartito ugualmente su tutti quanti, sono le ingiustificate differenze ad essere intollerabili.
Un crack up boom invece aprirebbe scenari molto peggiori.
Come Yves Smith sul suo blog va ripetendo da tempo, gli Stati Uniti sono ormai una Repubblica delle banane con la sola differenza che hanno il dollaro e le testate nucleari.
Ma se anche il dollaro grazie alle manovre di Ben & Co dovesse crollare cosa resterebbe agli USA?
1 commento:
Stand,
da quando ho cominciato a seguire questa crisi finanziaria, oggi sempre più crisi anche economica, sono diventato un convinto sostenitore delle tesi austriache. L'economia e la finanza nell'interpretazione di von Mises e allievi sono ridotti a termini talmente semplici ed intuitivi da essere facilmente manegiabili perfino da un fisico, come me.
Sono d'accordo che il problema è l'eccessivo debito, ma quindi è anche l'eccessivo credito. Per ogni dollaro preso in prestito c'è un dollaro prestato. Per ogni persona che si indebita ci deve essere una persona che risparmia (e il frectional reserve banking non cambia di una voirgola questo principio finaziario). Ridurre il debito significa ridurre il credito.
È importante perché a nessuna proposta di riduzione del debito sono state associate proposte serie di riduzione del credito. Ma non c'è modo di ridurre il debito nel sistema se non si riduce anche il credito o addirittura il risparmio.
E infatti quello che stanno facendo Paulson e compagnia è semplicemente di spostare tutto i debito privato sulle spalle di zio Sam, mantenendo e garantendo i creditori. Ossia per diminuire il leverage del sistema finanziario privato stanno caricando di leverage il Tesoro degli Stati Uniti d'America. Il Tesoro americano oggi è ufficialmente il più grande hedge fund della storia dell'umanità. Il leverage dell'intero sistema finanziario americano, includendo il Tesoro, non è cambiato di una virgola. Qualcuno si meraviglia che la crisi continua indisturbata?
(PS, io ho una mia ricetta su come rifurre il debito e il credito nel sistema mondiale, ma è troppo ardita per parlarne in un commento)
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