lunedì 16 giugno 2008

Crack up boom?

Ci si è messo anche l'FMI a gettare acqua sul fuoco. Il suo direttore Dominique Strauss-Kahn a margine del G8 che si è tenuto in giappone ha affermato : "ci sono delle buone possibilità che il grosso della crisi finanziaria sia ormai alle spalle, ma è troppo presto per dirlo".

Se è troppo presto, forse sarebbe il caso di stare zitti. E' interessante constatare come solo poco più di un mese fa l'FMI dipingesse uno scenario ben più fosco. Gli sviluppi delle ultime settimane sono tutt'altro che incoraggianti eppure Khan si unisce a Bernanke a Draghi e a tutto un nutrito gruppetto di banchieri centrali ed economisti che da qualche giorno non fanno altro che ripetere che il peggio è passato. Il sospetto che si tratti di un azione accuratamente coordinata, volta a rassicurare i mercati a parole più che con i fatti è forte.

Proprio i fatti languono, mentre frasi ottimiste si rincorrono sulle pagine della stampa economica. Questo perchè le opzioni a disposizione dei banchieri centrali, in primo luogo Bernanke, sono estremamente limitate. Tagliare il tasso di interesse portandolo al 2% non ha aiutato i mercati a riprendersi e adesso il capo della Fed si trova davanti una scelta impervia. Alzare o mantenere al livello attuale il tasso di interesse?

La scorsa settimana Trinchet (il capo della BCE) ha annunciato un prossimo rialzo dei tassi. Sull'onda delle sue affermazioni Paulson il ministro del tesoro americano e Bernanke hanno ricominciato a parlare di un dollaro forte. E' dall'inizio di questa crisi economica che i 2 vanno facendo dichiarazioni in questo senso, ma il mercato e tutti gli analisti non han mai fatto neppure finta di crederci dato che le loro azioni son sempre andate in direzione completamente opposta.

Questa volta complice l'alta inflazione il mercato prevede che la Fed non abbia più spazio per abbassare ulteriormente i tassi, e non possa neppure limitarsi a mantenerli inalterati. Il mercato dei futures ci dice che esiste una possibilità del 100% che entro la riunione di Ottobre i tassi aumentino di 50 punti base (0,5%). Le possibilità che esso aumenti di 75 punti base, sempre entro Ottobre, sono date al 24% ed esiste una possibilità del 98% che esso aumento di 100 punti base entro Gennaio del 2009.

Fino ad ora Bernanke è sempre costantemente stato "dietro la curva" come si dice in gergo. Cioè ha sempre seguito le aspettative del mercato senza mai deluderle. Probabilmente continuerà ancora su questa strada. Ovviamente un aumento dei tassi verrà visto come un colpo mortale dagli immobiliaristi. Realtytrac un sito che monitora l'andamento del settore edilizio riporta che le case ritornate in possesso delle banche sono aumentate del 48% in Maggio rispetto all'anno precedente. Ennesimo record da quando vengono raccolti dati a riguardo.

La situazione sul versante case e mutui è ben lontana dallo stabilizzarsi. Finché questo non succederà il mercato dei consumi americano che rappresenta il 70% del PIL non potrà riprendersi.

Troppa gente e troppe banche piene di debiti.

Aprendo una breve parentesi sul mercato bancario, parliamo brevemente della Lehman (tanto per cambiare). Il CFO (Chief Financial Officer) e il COO (Chief Operating Officer) della suddetta banca sono stati brutalmente silurati. Dopo che la povera Erin Callan (il CFO) tenne un estenuante incontro con giornalisti ed investitori cercando di chiarificare la situazione economica dell'istituto e di rassicurare il mercato, il valore del titolo perse quasi il 25% in 2 giorni. Ciò che sembra non aver convinto il mercato e l'annuncio che la Callan fece di aver venduto 130 miliardi di titoli riportando una perdita complessiva di 2,8 miliardi.

Le perdite sono sembrate troppo contenute conoscendo il valore effettivo di troppa cartaccia svalutata (essenzialmente securities di vario genere) che ancora rimane nascosta nei bilanci delle banche. Ciò ha generato la convinzione che siano stati venduti i gioielli di famiglia. I titoli di qualità più alta che la Lehman possedeva e che ormai nei libri contabili sia rimasta solo robaccia. La Callan è stata rimpiazzata dal suo vice, rendendo l'avvicendamento più cosmetico che altro. Nel week end si tenuta inoltre, una riunione straordinaria tra i vertici della banca, fa sapere la CNBC, in vista della presentazione di lunedì in cui l'istituto comunicherà i risultati del secondo quarto. L'appuntamento sarà di importanza vitale per la Lehman e la CNBC lascia intendere che in molti speculano su un possibile annuncio di vendita della banca ad una sua più solida collega.

Vedremo.

Un altro CEO ad essere silurato è stato quello dell'AIG. Una delle famose Monoline, le emettitrici di swap la cui funzione era assicurare tutta una vasta gamma di securities. A seguito dei pessimi risultati riportati dall'azienda negli ultimi due quarti la sua sostituzione si è resa necessaria per tentare, quanto meno, di ripristinare un minimo di fiducia nel managment.

Chi segue il blog sa che in realtà c'è poco da ripristinare, le Monoline sono cotte, ma tutti questi siluramenti ai vertici preannunciano nuove turbolenze sui mercati. Sarà probabilmente un altra settimana densa di avvenimenti sui mercati finanziari.

Tornando ai prossimi rialzi dei tassi, il nemico sembra essere di nuovo la stagflazione (di cui ho gia discusso qui) . Una parola che non si sentiva pronunciare con terrore, dai lontani anni 70. Con quel termine ci si riferisce ad una congiuntura economica di stagnazione e di contemporaneo aumento dei prezzi. Una morsa terribile per la gente comune, che vede il suo potere di acquisto ridursi progressivamente senza avere nessuna prospettiva seria di miglioramento economico.

Il problema allora venne individuato nella piena occupazione (prevista dal ciclo economico di Keynes) che portava i lavoratori ad avere troppo potere contrattuale e a far si che il loro stipendi si adeguassero automaticamente all'inflazione. Ciò finiva col produrre una spirale inflazionistica, in cui i prezzi aumentavano, gli stipendi aumentavano di conseguenza e questo produceva un aumento ulteriore dei prezzi e così via. Si decise allora di combattere la piena occupazione e di distruggere il potere dei sindacati, per cercare di limitare il potere dei lavoratori e quindi l'inflazione. La precarietà (o flessibilità se preferite chiamarla così) nasce in quegli anni. Si può dire che la precarietà sia espressamente prevista dal ciclo economico attuale, quindi chiunque racconti in giro di volerla combattere o eliminare sta mentendo (a meno che non presenti una teoria su un ciclo economico differente, cosa che non mi pare abbia fatto nessun politico).

Stephan Roach è il capo del reparto asiatico della Morgan Stanley. Uno dei pochi economisti che da anni va in giro a predicare il pericolo insito nell'attuale sistema economico. Nel 2005 se non ricordo male coniò in una riunione davanti a pezzi grossi della finanza e della politica, il termine "armageddon finanziario", mettendo in guardia dal fatto che secondo le sue stime gli USA avevano circa il 10% di possibilità di evitare la catastrofe economica.

Ovviamente nessuno se lo fumò, anche se ad un ballarò ricordo Fassino (incredibile!!!) citare il termine usato da Roach (peccato che probabilmente quel termine sia tutto ciò che si è ricordato delle affermazioni di Roach).

Dalle pagine del Financial Times Roach parla della stagflazione e di come sia cambiato dagli anni 70 il fenomeno:

La paura di una stagflazione come quella degli anni 70 aleggia nuovamente. Il mercato globale dei bonds si fa sempre più nervoso nei confronti di questa possibilità, ed i banchieri centrali di Europa e Stati Uniti parlano sempre più spesso degli aumentati rischi di una crescente inflazione.

Eppure oggi i rischi di una stagflazione sono molto differenti da quella che scatenò la sua furia 35 anni fa. A differenza di quel periodo, gli stipendi, nelle economie avanzate si sono scollegati dall'andamento dei prezzi. Ciò ha eliminato completamente la caratteristica dell'adeguamento automatico (all'inflazione) che creò la spirale stipendi-prezzi, probabilmente l'aspetto più nefasto della "grande inflazione" degli anni 70. Oltretutto, come lo shoccante aumento della disoccupazione negli stati Uniti a Maggio suggerisce, una ridotta crescita economica nelle economie industriali probabilmente porterà ad un rallentamento nella domanda sul mercato del lavoro, esercitando un pressione ciclica al ribasso sugli stipendi nei prossimi 2 anni.

Esiste però una nuova minaccia che non era presente negli anni 70. Essa arriva dai paesi in via di sviluppo, specialmente in Asia, dove la pressione sui prezzi (al rialzo) sta sfuggendo ad ogni controllo. Per i paesi asiatici in via di sviluppo presi nell'insieme, l'indice dell'inflazione ha toccato il 7,5% in Aprile il valore massimo negli ultimi 9 anni e mezzo e più del doppio rispetto al 3,6% di un anno fa. Naturalmente una consistente parte dell'aumento è dovuta all'accelerazione del rialzo dei prezzi di cibo ed energia - componenti critiche nel budget familiare nei paesi in via di sviluppo, ma che alcuni analisti economici si ostinano a rimuovere per avere una misura più chiara dell'inflazione sottostante (è esattamente quello che fa la Fed con i dati della "core inflation", l'inflazione depurata del cibo e dell'energia ndr). Ma anche l'inflazione che resta dopo questa operazione, quella detta "core", è salita in Asia al 3,8% in Aprile, raddoppiando il tasso dell'anno prima assestatosi all'1,8%.

Dopo gli anni 70 in soldoni i lavoratori cominciarono a diventare sempre più precari e ad avere sempre meno potere contrattuale. Questo limitò il denaro a loro disposizione ed insieme ad una serie di altre misure contribuì a limitare l'aumento dell'inflazione. Contemporaneamente la globalizzazione avanzava, l'unione sovietica cadde e i paesi in via di sviluppo divennero una grandissima fonte di lavoro a basso costo. La combinazione precarietà e globalizzazione diminuì terribilmente il potere di acquisto dei lavoratori nel così detto primo mondo.I prodotti a basso costo prodotti in Cina ed in altri paesi asiatici diminuì il costo di numerose merci abbassando il tasso di inflazione e limitando l'impatto delle retribuzioni calanti.

I banchieri centrali esultarono inneggiando alla sconfitta dell'inflazione e cominciarono progressivamente a tagliare i tassi di interesse, rendendo più conveniente chiedere denaro in prestito e chiudendo tutti e due gli occhi davanti alle varie "innovazioni finanziarie" che le banche usarono per garantire prestiti a cani e porci. La gente specialmente nei paesi anglosassoni fu più che felice di indebitarsi per consumare come se non ci fosse domani.

Purtroppo, in realtà l'inflazione non era stata sconfitta, l'avevamo semplicemente esportata altrove. In Cina, in India e in tutti i paesi che utilizzavamo come fonte economica di manodopera. Ora l'espansione inflattiva sta facendo il suo corso, come previsto secondo il ciclo economico della scuola austriaca. Quello che Von Mises definì "crack up boom":

Il boom può durare solo finché il credito si espande a un tasso sempre più rapido. Il boom si interrompe quando ulteriori quantità di beni di fiducia smettono di essere immessi sul mercato dei prestiti. Ma esso non può comunque durare in eterno anche se l'inflazione e l'espansione del credito aumentassero costantemente. Ad un certo punto verrebbero raggiunte le barriere che impediscono l'espansione senza confini del credito circolante. Ciò porterebbe al "crack up boom" e alla distruzione dell'intero sistema monetario.

L'espansione del credito è costruita su fondamenta di sabbia, costituite dalle banconote e dai depositi. Essa dovrà collassare. Se l'espansione del credito non si ferma in tempo, il boom si trasformerà in un "crack up boom"; allora la fuga verso beni reali comincerà e l'intero sistema monetario si squaglierà. La continua inflazione finalmente terminerà con un "crack up boom" e la distruzione dell'intero sistema monetario.
Mises parla di gente che si rifugia in beni reali. Il continuo aumento delle materie prime è perfettamente in linea con questo scenario. Gran parte dei dollari creati dalla Fed e prelevati dai consumatori americani tramite i debiti contratti sono finiti nei paesi asiatici. Oltre ad aver contribuito allo sviluppo interno di questi paesi tutto questo denaro ha generato pesantissime spinte inflattive. Mentre l'Asia si industrializzava l'occidente invece smantellava fabbriche e industrie pesanti, concentrandosi sul settore finanziario o quelli a contenuti tecnologici più elevati.

Adesso siamo gioco forza dipendenti dall'oriente per i prodotti di uso comune . Ora che l'inflazione ha finalmente colpite quelle, zone l'inflazione che pensavamo di avere esportato e di cui credevamo esserci liberati ci sta tornando indietro senza che esista una maniera efficace per combatterla. Contemporaneamte c'è una fuga generale dai pezzi di carta di varia natura (azioni, bonds, securities) e un rifugiarsi in roba concreta come petrolio, metalli e cibo.

Una doppia morsa.

In questo scenario basterà alzare i tassi di interesse per limitare l'inflazione?

Essa nei paesi asiatici e senz'altro alimentata dal folle taglio operato ai tassi nell'ultimo anno dalla Fed. Tutti i paesi come la Cina che per esportare tengono la loro moneta ancorata al dollaro, sono costretti a comprare dollari (stampando yuan ad esempio) per sostenere il livello del cambio o abbassare anch'essi i tassi. Il tutto si traduce in inflazione che poi viene esportata in occidente. Un aumento dei tassi avrebbe di certo un suo impatto sul livello dei prezzi. Il problema è la montagna di denaro che è stata stampata a tasso sempre più accelerato dall'inizio degli anni 90.

Se essa continuerà a scaricarsi sulle materie prime aumentare i tassi avrà un limitato impatto. Se la Cina che detiene ingenti riserve monetarie in dollari accumulate negli ultimi 10 anni, comincia seriamente ad investirle in occidente o a usarle per aumentare gli stipendi dei lavoratori cinesi per adeguarli al costo della vita (rischiando di generare un spirale inflattiva simile a quella degli anni 70, che verrà poi scaricata sui consumatori finali occidentali) c'e' poco che potranno fare i banchieri centrali.

La verità e che nessuno sembra in grado di prevedere con certezza quello che può succedere in futuro e ancora meno sono quelli che sembrano capire la complessità della situazione mondiale. I banchieri centrali come Bernanke ragionano ancora come se i vari paesi, gli USA in questo caso, fossero entità isolate, un sistema chiuso (come ritenevano nei loro studi gli economisti neoclassici da Smith in avanti) e il resto del mondo un fattore poco rilevante, alle cui variazioni, ci si può adeguare tramite manovre di politica monetarie.

Insomma mentre i banchieri centrali sembrano vivere in un mondo che non esiste più, la maggior parte degli economisti si aggrappa alle teorie economiche di Friedman, continuando a ripetere stantii slogan, che sembrano non funzionare più nel mondo attuale.

Purtroppo finché non arriverà qualcuno in grado di spiegare in maniera convincente l'attuale realtà economica, non usciremo dal tunnel nel qualche ci siamo infilati con spensierato abbandono e corriamo seri rischi di finire tutto con un grande "crack up boom".

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