Da due giorni i listini sono impegnati in una frenetica cavalcata al rialzo. Bottiglie di champagne vengono stappate negli uffici dei trader e finalmente si rivedono facce sorridenti e rilassate tra gli operatori di borsa.
Tutto bene, sono tornati i giorni felici.
Purtroppo non riesco ad unirmi al coro di voci festanti. Non tanto perchè titoli di giornale come: "il maggior rialzo a Wall Street dagli anni 30" mi portino istintivamente a fare gli scongiuri, quanto per una personale disapprovazione nei confronti delle misure di emergenza adottate dagli stati.
Dissi nell'ultimo articolo che sarebbero state usate armi da fantascienza fino eventualmente a giungere alla nazionalizzazione coatta del sistema bancario. E' evidente che gli stati abbiano cercato in ogni maniera di evitare di nazionalizzare le banche. Sembra che preferiscano di gran lunga garantire tutto! Depositi, obbligazioni, prestiti interbancari. Quello che mi disturba di questa linea d'azione è la sua estrema pericolosità. Gli stati stanno letteralmente giocando col fuoco. Se tutto va bene e la gente torna a fidarsi del sistema, bene. Se qualche parte della baracca cede si rischia una reazione a catena in grado di travolgere gli stati stessi.
Il problema è che non abbiamo le spalle abbastanza grosse per proteggere tutti.
La sola Europa si è impegnata, in una serie di piani di aiuto che coinvolgono alcune delle nazioni maggiori e che costeranno in totale 2,3 trilioni di dollari. Considerando che ci sono circa 500 milioni di cittadini nell'Unione Europea, si parla approssivamente di 4600 dollari a testa (3370 euro), bimbi compresi.
L'Inghilterra ha deciso di nazionalizzare alcune delle sue maggiori banche, la Royal Bank of Scotland e l'HBOS sborsando 88 miliardi di dollari ed ha promesso di garantire i prestiti interbancari per 438 miliardi di euro. Dietro alla nazionalizzazione delle due banche inglesi sembra esserci l'intenzione di riportare il livello dei prestiti per mutui e alle piccole aziende emessi dalle banche, a quello del 2007. Il governo inglese sta quindi cercando di reinflazionare il mercato immobiliare usando i soldi del contribuente. La Germania, che fino a poco più di una settimana rassicurava tutti sulla propria salute affermando che ad essere in condizione precaria fossero solo le banche americane, ha annunciato un piano da 681 miliardi di dollari: 400 miliardi di euro per garantire i prestiti delle banche, 80 per ricapitalizzare le banche stesse e 20 per coprire eventuali perdite. La Francia sborserà 491 miliardi di dollari quasi tutti a garanzia dei prestiti interbancari, il Portogallo 27 (il 12% del PIL), l'Olanda 273, la Spagna 135 e l'Austria 116.
Noi in Italia abbiamo partecipato mettendoci tante paroline rassicuranti del tipo: "non permetteremo che nessuna banca fallisca". Soldi zero per ora.
Alla fine dei conti l'intero sistema dei prestiti interbancari è stato nazional.... pardon, garantito.
La Fed, nel frattempo ha deciso di permettere alle banche centrali Europee di emettere un illimitato ammontare di dollari. Esistono normalmente delle swap line, cioè dei canali tramite i quali le banche centrali in Europa ed in altri paesi del mondo possono emettere e prestare dollari alle proprie banche. La quantità di dollari che possono mettere in circolazione in questo modo è normalmente limitata. Il fatto che la FED abbia rimosso qualunque limite oltre ad essere senza precedenti è il chiaro sintomo di una corsa al dollaro. Di fatto i grandi soggetti del mercato Europeo stanno facendo incetta di valuta americana per ripagare i propri debiti denominati in dollari.
Per dimostrare poi che ormai gli USA andrebbero chiamati USSA (United Socialist States of America) il tesoro americano ha imposto la ricapitalizzazione coatta di 9 tra le maggiori banche del paese. Queste ultime non hanno avuto voce in capitolo riguardo all'operazione. In sostanza non potuto rifiutare di essere ricapitalizzate. E' l'ennesimo trucchetto: dato che sarebbe stata un ammissione di debolezza se le banche fossero andate in ordine sparso a chiedere soldi al governo, Hank Paulson ha deciso di portare il governo dalle banche le quali hanno accettato ben volentieri i soldi che Hank offriva loro. Citigroup e JP Morgan si beccheranno 25 miliardi, la stessa cifra andrà anche a Bank of America e Merrill Lynch, la Goldman Sachs e la Morgan Stanley si dovranno accontentare di 10 miliardi a testa, mentre a Bank of New York e State Street andranno solo 6 miliardi. Quanti soldi prenderà la Wells Fargo non è ancora chiaro. In cambio di tutto questo denaro il tesoro USA riceverà delle azioni privilegiate.
Di certo è meglio usare i 700 miliardi messi gentilmente a disposizione con il TARP, dal congresso americano in questa maniera, piuttosto che utilizzarli per comprare della cartaccia senza valore. Purtroppo al contrario di quel che fece negli anni 90 la Svezia per uscire da una crisi scatenatasi a seguito dello scoppio di una bolla immobiliare, una ricapitalizzazione del genere appare come un tentativo indiscriminato di salvare tutti, senza nessuna punizione per il managment che ha prodotto questa situazione o per i proprietari (gli azionisti) delle banche in questione.
Anche l'Australia e la Nuova Zelanda si sono unite alle varie manovre di salvataggio arrivando a garantire per intero i depositi delle rispettive banche e nel caso dell'Australia garantendo anche i prestiti degli istituti che operano sul mercato internazionale.
I mercati hanno reagito positivamente di fronte alla sbarramento di fuoco messo in piedi dai maggiori paesi del pianeta. In tutto il mondo si sono avuti rialzi percentuali in doppia cifra. La cosa era prevedibile. L'Euforia sui listini durerà ancora per un po', poi probabilmente gli indici scenderanno sotto ai livelli toccati nell'ultima settimana. Questo per una ragione molto banale: i profitti.
Anche se il sistema finanziario globale riuscirà a sopravvivere resta sempre il problema degli individui. La gente è povera, indebitata e sempre meno incline a consumare. Gli stati che non sono pozzi senza fondo dovranno inevitabilmente tagliare servizi e programmi sociali per finanziare il salvataggio delle banche. I cittadini si ritroveranno stretti in una morsa fatta da stipendi stagnati, aumento della disoccupazione, riduzione del credito a disposizione e tagli dei servizi statali. Riduranno quindi i loro consumi andando ad incidere pesantemente sui profitti delle aziende e un azienda che non fa profitti è un azienda in cui non vale la pena investire.
E' proprio nei confronti di questo problema che il solito Roubini mette in guardia nel suo ultimo articolo. Afferma inanzi tutto che non siamo ancora usciti dal tunnel e argomenta riassumendo in sostanza quello che ho già scritto in questo articolo: il mercato scenderà ancora prima di tornare a stabilizzarsi, i profitti delle aziende caleranno nettamente, è in atto un grande corsa alla riduzione del proprio debito da parte delle aziende (di qua l'incetta di dollari che sta avvenendo) ed i cds sono ancora lì a minacciare una possibile esplosione sistemica che potrebbe verificarsi come conseguenza del fallimento di qualche grande soggetto finanziario (un fondo d'investimento o un assicuratore).
Per ovviare al rischio di una perdurante stagnazione economica e per sostenere i profitti delle aziende, Roubini suggerisce una massiccia dose di intervento pubblico. Sconti fiscali alle famiglie, pacchetti di stimolo sotto forma di assegni individuali da recapitare ad ogni cittadino (come il piano da 150 miliardi adottato nella prima metà di quest'anno negli USA) e un aumento consistente di spesa pubblica per opere infrastrutturali.
Keynesismo all'ennesima potenza.
E dire che fino ad un anno fa Keynes era solo una parolaccia in america.
Il problema in tutto ciò rimane il denaro. Abbiamo abbastanza soldi per salvare l'intero sistema bancario e contemporaneamente stimolare i consumi interni a suon di riduzioni fiscali e maggiore spesa pubblica?
In Italia sicuramente no, anche se ci può rassicurare il fatto che il leverage medio delle banche italiane sia di 1:12, quindi entro paramentri storici di relativa stabilità. Lo stato difficilmente sarà costretto ad intervenire in maniera pesante sul mercato bancario.
Dubito però che anche gli USSA o la Gran Bretagna abbiano il denaro sufficiente a sobbarcarsi gli oneri indicati da Roubini.
Facendo un veloce giro del pianeta si scopre che il Pakistan è vicino al fallimento. Il suo debito pubblico ha un rating pari a CCC+ più o meno equivalente a quello della cartaigenica del vostro bagno (e non voglio neppure provare ad infilarmi nei problemi di carattere politico). L'Argentina e l'Ucraina e il Kazakistan rischiano la medesima sorte. I cds a 5 anni "prezzano" un 80% di probabilità che l'Ucraina fallisca. Una crisi in Ucraina un paese diviso in due, con una parte filo americana e l'altra filo Russa potrebbe avere ripercussioni drammatiche. Le economie dei paesi del BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) sono in violenta contrazione e cosa che mi preoccupa maggiormente l'Ungheria, la Bulgaria e la Romania sono mezze fallite.
Anche se si tratta di stati piccoli che succede esattamente se un paese Europeo fallisce? Lo salviamo? Lo facciamo uscire dall'Europa?
La scorsa settimana girava insistente la voce che l'Ungheria fosse sul punto di dichiarare default su alcuni buoni del tesoro, dato che il mercato per i bot Ungheresi arrivò praticamente ad azzerarsi: nessuno li voleva più acquistare. A salvare l'Ungheria non è intervenuta l'Europa è dovuto intervenire l'FMI. Quando c'è da salvare uno dei suoi membri o anche un suo vicino, come nel caso dell'Islanda, l'Europa non sembra essere particolarmente zelante nell'intervenire. Il problema è che se cede un paese dell'Unione, ancorché piccolo, è la stessa integrità dell'Unione Europea a venire intaccata.
Ci troviamo quindi nell'assurda posizione di dover garantire l'intero sistema bancario, gli stati più pericolanti e se dobbiamo dare retta a Roubini anche l'economia reale a suon di spesa pubblica. Il gioco è estremamente rischioso. Non abbiamo le risorse per farlo. Il crollo dello stato sbagliato potrebbe innescare una reazione a catena in grado di far saltare tutta la baracca. Il default dell'Ungheria avrebbe potuto scatenare il fallimento della Bulgaria e della Romania. A quel punto il problema sarebbe diventata l'Austria, le cui banche sono pesantemente esposte nei confronti dei 3 paesi dell'est Europa, e da li l'infezione si sarebbe diffusa in tutti i paesi esposti nei confronti di quest'ultima.
Se abbiamo a disposizione risorse limitate invece che sparpagliarle ai quattro venti per salvare tutti e tutto sarebbe meglio concentrarle dove sono realmente necessarie. Sostenere le banche indispensabili, operare con la spesa pubblica, ma in maniera limitata e tenerci da parte abbastanza denaro per poter eventualmente aiutare gli altri paesi dell'Unione Europea dato che se salta l'Unione saltiamo tutti.
La strada che abbiamo scelto di percorrere invece è differente: o tutto o niente.
Con il rischio concreto che sia niente.
Tutto bene, sono tornati i giorni felici.
Purtroppo non riesco ad unirmi al coro di voci festanti. Non tanto perchè titoli di giornale come: "il maggior rialzo a Wall Street dagli anni 30" mi portino istintivamente a fare gli scongiuri, quanto per una personale disapprovazione nei confronti delle misure di emergenza adottate dagli stati.
Dissi nell'ultimo articolo che sarebbero state usate armi da fantascienza fino eventualmente a giungere alla nazionalizzazione coatta del sistema bancario. E' evidente che gli stati abbiano cercato in ogni maniera di evitare di nazionalizzare le banche. Sembra che preferiscano di gran lunga garantire tutto! Depositi, obbligazioni, prestiti interbancari. Quello che mi disturba di questa linea d'azione è la sua estrema pericolosità. Gli stati stanno letteralmente giocando col fuoco. Se tutto va bene e la gente torna a fidarsi del sistema, bene. Se qualche parte della baracca cede si rischia una reazione a catena in grado di travolgere gli stati stessi.
Il problema è che non abbiamo le spalle abbastanza grosse per proteggere tutti.
La sola Europa si è impegnata, in una serie di piani di aiuto che coinvolgono alcune delle nazioni maggiori e che costeranno in totale 2,3 trilioni di dollari. Considerando che ci sono circa 500 milioni di cittadini nell'Unione Europea, si parla approssivamente di 4600 dollari a testa (3370 euro), bimbi compresi.
L'Inghilterra ha deciso di nazionalizzare alcune delle sue maggiori banche, la Royal Bank of Scotland e l'HBOS sborsando 88 miliardi di dollari ed ha promesso di garantire i prestiti interbancari per 438 miliardi di euro. Dietro alla nazionalizzazione delle due banche inglesi sembra esserci l'intenzione di riportare il livello dei prestiti per mutui e alle piccole aziende emessi dalle banche, a quello del 2007. Il governo inglese sta quindi cercando di reinflazionare il mercato immobiliare usando i soldi del contribuente. La Germania, che fino a poco più di una settimana rassicurava tutti sulla propria salute affermando che ad essere in condizione precaria fossero solo le banche americane, ha annunciato un piano da 681 miliardi di dollari: 400 miliardi di euro per garantire i prestiti delle banche, 80 per ricapitalizzare le banche stesse e 20 per coprire eventuali perdite. La Francia sborserà 491 miliardi di dollari quasi tutti a garanzia dei prestiti interbancari, il Portogallo 27 (il 12% del PIL), l'Olanda 273, la Spagna 135 e l'Austria 116.
Noi in Italia abbiamo partecipato mettendoci tante paroline rassicuranti del tipo: "non permetteremo che nessuna banca fallisca". Soldi zero per ora.
Alla fine dei conti l'intero sistema dei prestiti interbancari è stato nazional.... pardon, garantito.
La Fed, nel frattempo ha deciso di permettere alle banche centrali Europee di emettere un illimitato ammontare di dollari. Esistono normalmente delle swap line, cioè dei canali tramite i quali le banche centrali in Europa ed in altri paesi del mondo possono emettere e prestare dollari alle proprie banche. La quantità di dollari che possono mettere in circolazione in questo modo è normalmente limitata. Il fatto che la FED abbia rimosso qualunque limite oltre ad essere senza precedenti è il chiaro sintomo di una corsa al dollaro. Di fatto i grandi soggetti del mercato Europeo stanno facendo incetta di valuta americana per ripagare i propri debiti denominati in dollari.
Per dimostrare poi che ormai gli USA andrebbero chiamati USSA (United Socialist States of America) il tesoro americano ha imposto la ricapitalizzazione coatta di 9 tra le maggiori banche del paese. Queste ultime non hanno avuto voce in capitolo riguardo all'operazione. In sostanza non potuto rifiutare di essere ricapitalizzate. E' l'ennesimo trucchetto: dato che sarebbe stata un ammissione di debolezza se le banche fossero andate in ordine sparso a chiedere soldi al governo, Hank Paulson ha deciso di portare il governo dalle banche le quali hanno accettato ben volentieri i soldi che Hank offriva loro. Citigroup e JP Morgan si beccheranno 25 miliardi, la stessa cifra andrà anche a Bank of America e Merrill Lynch, la Goldman Sachs e la Morgan Stanley si dovranno accontentare di 10 miliardi a testa, mentre a Bank of New York e State Street andranno solo 6 miliardi. Quanti soldi prenderà la Wells Fargo non è ancora chiaro. In cambio di tutto questo denaro il tesoro USA riceverà delle azioni privilegiate.
Di certo è meglio usare i 700 miliardi messi gentilmente a disposizione con il TARP, dal congresso americano in questa maniera, piuttosto che utilizzarli per comprare della cartaccia senza valore. Purtroppo al contrario di quel che fece negli anni 90 la Svezia per uscire da una crisi scatenatasi a seguito dello scoppio di una bolla immobiliare, una ricapitalizzazione del genere appare come un tentativo indiscriminato di salvare tutti, senza nessuna punizione per il managment che ha prodotto questa situazione o per i proprietari (gli azionisti) delle banche in questione.
Anche l'Australia e la Nuova Zelanda si sono unite alle varie manovre di salvataggio arrivando a garantire per intero i depositi delle rispettive banche e nel caso dell'Australia garantendo anche i prestiti degli istituti che operano sul mercato internazionale.
I mercati hanno reagito positivamente di fronte alla sbarramento di fuoco messo in piedi dai maggiori paesi del pianeta. In tutto il mondo si sono avuti rialzi percentuali in doppia cifra. La cosa era prevedibile. L'Euforia sui listini durerà ancora per un po', poi probabilmente gli indici scenderanno sotto ai livelli toccati nell'ultima settimana. Questo per una ragione molto banale: i profitti.
Anche se il sistema finanziario globale riuscirà a sopravvivere resta sempre il problema degli individui. La gente è povera, indebitata e sempre meno incline a consumare. Gli stati che non sono pozzi senza fondo dovranno inevitabilmente tagliare servizi e programmi sociali per finanziare il salvataggio delle banche. I cittadini si ritroveranno stretti in una morsa fatta da stipendi stagnati, aumento della disoccupazione, riduzione del credito a disposizione e tagli dei servizi statali. Riduranno quindi i loro consumi andando ad incidere pesantemente sui profitti delle aziende e un azienda che non fa profitti è un azienda in cui non vale la pena investire.
E' proprio nei confronti di questo problema che il solito Roubini mette in guardia nel suo ultimo articolo. Afferma inanzi tutto che non siamo ancora usciti dal tunnel e argomenta riassumendo in sostanza quello che ho già scritto in questo articolo: il mercato scenderà ancora prima di tornare a stabilizzarsi, i profitti delle aziende caleranno nettamente, è in atto un grande corsa alla riduzione del proprio debito da parte delle aziende (di qua l'incetta di dollari che sta avvenendo) ed i cds sono ancora lì a minacciare una possibile esplosione sistemica che potrebbe verificarsi come conseguenza del fallimento di qualche grande soggetto finanziario (un fondo d'investimento o un assicuratore).
Per ovviare al rischio di una perdurante stagnazione economica e per sostenere i profitti delle aziende, Roubini suggerisce una massiccia dose di intervento pubblico. Sconti fiscali alle famiglie, pacchetti di stimolo sotto forma di assegni individuali da recapitare ad ogni cittadino (come il piano da 150 miliardi adottato nella prima metà di quest'anno negli USA) e un aumento consistente di spesa pubblica per opere infrastrutturali.
Keynesismo all'ennesima potenza.
E dire che fino ad un anno fa Keynes era solo una parolaccia in america.
Il problema in tutto ciò rimane il denaro. Abbiamo abbastanza soldi per salvare l'intero sistema bancario e contemporaneamente stimolare i consumi interni a suon di riduzioni fiscali e maggiore spesa pubblica?
In Italia sicuramente no, anche se ci può rassicurare il fatto che il leverage medio delle banche italiane sia di 1:12, quindi entro paramentri storici di relativa stabilità. Lo stato difficilmente sarà costretto ad intervenire in maniera pesante sul mercato bancario.
Dubito però che anche gli USSA o la Gran Bretagna abbiano il denaro sufficiente a sobbarcarsi gli oneri indicati da Roubini.
Facendo un veloce giro del pianeta si scopre che il Pakistan è vicino al fallimento. Il suo debito pubblico ha un rating pari a CCC+ più o meno equivalente a quello della cartaigenica del vostro bagno (e non voglio neppure provare ad infilarmi nei problemi di carattere politico). L'Argentina e l'Ucraina e il Kazakistan rischiano la medesima sorte. I cds a 5 anni "prezzano" un 80% di probabilità che l'Ucraina fallisca. Una crisi in Ucraina un paese diviso in due, con una parte filo americana e l'altra filo Russa potrebbe avere ripercussioni drammatiche. Le economie dei paesi del BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) sono in violenta contrazione e cosa che mi preoccupa maggiormente l'Ungheria, la Bulgaria e la Romania sono mezze fallite.
Anche se si tratta di stati piccoli che succede esattamente se un paese Europeo fallisce? Lo salviamo? Lo facciamo uscire dall'Europa?
La scorsa settimana girava insistente la voce che l'Ungheria fosse sul punto di dichiarare default su alcuni buoni del tesoro, dato che il mercato per i bot Ungheresi arrivò praticamente ad azzerarsi: nessuno li voleva più acquistare. A salvare l'Ungheria non è intervenuta l'Europa è dovuto intervenire l'FMI. Quando c'è da salvare uno dei suoi membri o anche un suo vicino, come nel caso dell'Islanda, l'Europa non sembra essere particolarmente zelante nell'intervenire. Il problema è che se cede un paese dell'Unione, ancorché piccolo, è la stessa integrità dell'Unione Europea a venire intaccata.
Ci troviamo quindi nell'assurda posizione di dover garantire l'intero sistema bancario, gli stati più pericolanti e se dobbiamo dare retta a Roubini anche l'economia reale a suon di spesa pubblica. Il gioco è estremamente rischioso. Non abbiamo le risorse per farlo. Il crollo dello stato sbagliato potrebbe innescare una reazione a catena in grado di far saltare tutta la baracca. Il default dell'Ungheria avrebbe potuto scatenare il fallimento della Bulgaria e della Romania. A quel punto il problema sarebbe diventata l'Austria, le cui banche sono pesantemente esposte nei confronti dei 3 paesi dell'est Europa, e da li l'infezione si sarebbe diffusa in tutti i paesi esposti nei confronti di quest'ultima.
Se abbiamo a disposizione risorse limitate invece che sparpagliarle ai quattro venti per salvare tutti e tutto sarebbe meglio concentrarle dove sono realmente necessarie. Sostenere le banche indispensabili, operare con la spesa pubblica, ma in maniera limitata e tenerci da parte abbastanza denaro per poter eventualmente aiutare gli altri paesi dell'Unione Europea dato che se salta l'Unione saltiamo tutti.
La strada che abbiamo scelto di percorrere invece è differente: o tutto o niente.
Con il rischio concreto che sia niente.
1 commento:
...durati poco gli happy days, come era peraltro da attendersi dato il carattere sistemico di questa crisi.
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